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Язык: Итальянский
Год издания: 2021
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Rotha guardò fuori e vide gli Khmer Rossi allontanarsi dalla loro capanna per controllare un’altra famiglia, e non ne vedeva altri nelle vicinanze.

“Svelto, Ravuth! Vai tu per primo” sussurrò lei.

Ravuth scese cautamente gli scalini e percorse di corsa la breve distanza che separava la loro casa dalla giungla. Si nascose quindi dietro un gruppo di alberi, e si guardò indietro in attesa del fratello.

Vide Oun ai piedi degli scalini, ma verso di lui si stava dirigendo un soldato, che si fermò accanto al fratello. Il ragazzo agitò il fucile verso Rotha e Tu, ordinando loro di scendere immediatamente. Il cuore di Ravuth batteva all’impazzata quando si nascose dietro il largo tronco dell’albero.

Le grida degli Khmer Rossi svanirono, quindi Ravuth sbirciò da dietro l’arbusto. Vide la madre, il padre e il fratello venir condotti verso la capanna comune. Si rese conto di non essere stato visto, quindi costeggiò il villaggio, nascondendosi grazie agli alberi e alla vegetazione della giungla per osservare ciò che stava accadendo all’interno dello stesso.

I compaesani restarono nella capanna comune per un’altra ora prima di uscire e aggirarla.

I soldati selezionarono quattro anziani dal gruppo di persone. Ravuth sperò che li avrebbero fatti restare al villaggio. Pensava che si sarebbero potuti prendere cura di lui fino a quando i suoi genitori e Oun avrebbero fatto ritorno.

Sul viso del comandante si fece strada un ghigno quando i suoi soldati spinsero i quattro anziani a terra e spararono loro alla testa.

Gli abitanti urlarono dalla paura mentre gli Khmer Rossi puntarono i fucili sulla folla caduta nel panico e urlarono “Fate silenzio o morirete!”

Il comandante si rivolse alla folla “State zitti!” Esclamò, e attese fino a quando ebbe la loro completa attenzione. “Queste persone erano così vecchie da non poter produrre nulla per l’Angka. Le loro vite non portano alcun beneficio all’Angka e le loro morti non sono una perdita”.

I paesani, tremanti e spaventati, sembravano degli avviliti rifugiati. Incespicarono lungo il tragitto che portava a Koh Kong per unirsi all’esodo della popolazione rastrellata e destinata ai campi di lavoro.

Gli Khmer Rossi lasciarono che gli abitanti portassero con sé i loro miseri averi, che avrebbero sottratto loro alla fine del viaggio.

Restarono solamente due soldati. Ravuth li guardò trascinare il cadavere di Dara dalla capanna comune, gettandola insieme agli altri. Presero poi una tanica di benzina dal capanno in prossimità del generatore, e ne versarono un po’ sulle abitazioni e sui cadaveri. Ridacchiarono nell’appiccare il fuoco, incendiando le capanne e incenerendo i corpi. Quegli assassini senza pietà erano adolescenti, che non mostravano alcun tipo di rimorso per le loro azioni. Un soldato si divertì a colpire con un bastone le teste dei cadaveri ardenti, e alzò lo sguardo sulla vegetazione della giungla quando captò un movimento. Urlò qualcosa a un suo commilitone, il quale imbracciò il fucile e corse verso il nascondiglio di Ravuth, fermandosi però sui propri passi.

“Te lo sei immaginato. Qui non c’è nessuno” disse il giovane.

“Sono sicuro di aver visto qualcuno” disse l’altro con fare indignato.

“Vuoi addentrarti nella giungla per cercare meglio?”

“No. Non so cosa ci sia lì dentro, forse è un animale selvatico. Andiamo, raggiungiamo gli altri”.

“Okay. Perché hai paura, andiamo” lo prese in giro l’altro ragazzo. Si voltarono e tornarono di corsa al villaggio per seguire il resto della truppa.

Ravuth tremava. Indietreggiò ulteriormente nel fitto sottobosco. I militari degli Khmer Rossi erano arrivati solo a qualche centimetro dal suo viso.

Ravuth ritornò al villaggio al tramonto, avendo troppa paura di muoversi nel caldo opprimente del giorno. Era stordito, confuso e assetato. Avanzò nel villaggio deserto, oltrepassando i cadaveri fumanti, e raggiunse la propria casa. Nonostante gli Khmer Rossi avessero incendiato diverse capanne e quella comune, l’abitazione della propria famiglia era rimasta relativamente incolume. Quando entrò apprese che non era rimasto molto, in parte perché l’abitazione era stata saccheggiata, e in parte perché era stato portato via dai suoi genitori. Ravuth si accovacciò e si mise a piangere. Restò nella propria casa per tutta la notte, domandandosi che cosa fosse successo e che cosa potesse fare. Quando giunse il giorno, la luce filtrò nella stanza, e il ragazzo vide la scatola fatta di foglie di banano fare capolino da un buco nelle assi del pavimento in un angolo della stanza. Si rese conto che i propri genitori avevano tentato di nasconderla dai soldati. Ravuth prese in mano la scatola e l’aprì. All’interno si trovava la strana pianta, insieme a qualche piccolo articolo di bigiotteria sotto alle fotografie della sua famiglia. Estrasse quindi le foto, e con le lacrime agli occhi le accarezzò una a una, chiedendosi che cosa fosse successo ai propri cari.

Ravuth si sentiva solo, impaurito e confuso. Ripose le foto nella scatola, uscì dalla capanna e si aggirò nel villaggio in cerca di cibo, acqua o oggetti utili rimasti. Oltrepassò i macabri resti, andando di capanno in capanno e raccogliendo quanto di valido. Trovò un machete, mangiò, e bevve un po’ di acqua. Avvolse i resti di cibo in una foglia di banano e incanalò un po’ di acqua in alcune zucche da un contenitore raccogli-pioggia. La sua conoscenza delle piante commestibili e delle fonti di fluidi gli avrebbe permesso di sopravvivere nella giungla. Ravuth prese la scatola, il machete e altri oggetti che aveva trovato nel villaggio, quindi lo attraversò, diretto verso la strada che portava a Koh Kong.

***

Ravuth avanzò nella giungla per due ore. Aveva percorso quella strada diverse volte con il fratello e il padre, ma nel momento in cui Tu raggiungeva la strada e procedeva in bicicletta insieme ad altri paesani, i fratelli facevano ritorno al villaggio. Uscì dalla giungla, inoltrandosi sulla strada a lui non familiare, camminando sul ciglio, nel caso avesse incrociato delle ronde di Khmer Rossi. La sua lunga camminata verso la periferia della cittadina fu senza sorprese, non vide né traffico né persone. Lungo il tragitto notò diverse case di legno distrutte e depredate.

Una volta raggiunta la periferia di Koh Kong, Ravuth proseguì verso il centro città, il quale era inquietante, data l’assenza di persone. Avanzò per qualche chilometro fino a quando arrivò alla baracca della polizia di frontiera. Si nascose dietro al capanno quando vide un soldato degli Khmer Rossi appoggiato alla recinzione costruita da poco, che delimitava il confine con la Tailandia.

I tratti apatici del bambino soldato installarono rinnovata paura in Ravuth. Si allontanò furtivamente dal posto di blocco e ritornò al centro città deserto. Ravuth entrò in un piccolo café abbandonato, e rifornì le proprie riserve di cibo e acqua con i pochi avanzi rimasti. Si accomodò per ponderare sulla propria situazione.

Giunse la notte, e Ravuth non aveva ancora deciso il da farsi. Udì un veicolo avvicinarsi. Terrorizzato, si nascose sotto un tavolo mentre un vecchio pick-up si fermò davanti al café in cui entrarono sei Khmer Rossi.

Ravuth tremava dalla paura, e restò immobile mentre i giovani soldati attivarono un piccolo generatore per illuminare il locale prima di accomodarsi. Ravuth si era nascosto sotto a un tavolo nell’angolo buio del café.

Un soldato aveva portato con sé diverse bottiglie di whisky Mekong, che consumò insieme agli altri.

Ravuth ascoltò i giovani Khmer Rossi vantarsi delle loro atrocità del giorno, di chi avevano giustiziato, descrivendone dettagliatamente il modo. Parlarono del loro bottino di guerra e di che oggetti avessero sgraffignato. Uno di loro disse qualcosa che stimolò l’interesse di Ravuth.

“Il mio gruppo è andato direttamente a *Choeung Ek, e abbiamo selezionato chi tra loro potrebbe diventare un giovane cittadino Khmer Rosso o un bravo combattente” disse.

“Oggi abbiamo radunato quattro gruppi, sono andati alla provincia di Koh Kong per ingrossare le nostre fila” disse un altro.

“La maggior parte dei nostri erano anziani indesiderabili, quindi ce ne siamo sbarazzati” disse un terzo, aggiungendo “Ma ci siamo divertiti a rieducarli”. Mostrò agli altri il machete sporco di sangue con un ghigno in volto.

I dettagli raccapriccianti che si scambiarono i ragazzi proseguì per poco; Ravuth li udì poi biascicare e ridacchiare quando il forte whisky sortì il proprio effetto sui giovani.

Trenta minuti più tardi i soldati barcollarono fuori dal café e salirono sul mezzo che partì con una sgommata.

Ravuth uscì da sotto al tavolo. Le luci erano accese, quindi si guardò attorno nel café ora silenzioso. Si mise in cerca di informazioni circa Koh Kong e Choeung Ek. Non sapeva nulla di nessuno dei due luoghi, e poiché non sapeva né leggere né scrivere, ripose nella scatola i volantini che trovò nel locale.

Ravuth trascorse la nottata al café, e all’alba del giorno successivo se ne andò da Koh Kong, diretto verso la giungla, dove avrebbe atteso la propria famiglia. Non si rese conto di essere seguito fino a quando approcciò una strada all’esterno di Koh Kong e una voce dietro di lui gridò “Tu…Fermo lì!”

Ravuth si voltò, e una giovane ragazza soldato gli puntò contro una pistola automatica che cercò di bilanciare sul manubrio della bicicletta. “Vieni qui!” Sbottò lei.

Ravuth avanzò verso la ragazza dal viso sudicio, che lo guardò. Nonostante sembrasse più giovane di Ravuth, a quest’ultimo vennero i brividi lungo la schiena quando la guardò negli occhi.

“Perché non sei con gli altri? Dov’è il tuo villaggio?” Scattò lei.

Ravuth tremò quando giunse le mani e implorò “Mi dispiace molto, mi hanno lasciato indietro quando mi sono fermato per riposare”.

La ragazzina rivolse un’occhiataccia a Ravuth. “Seguimi” ordinò, scendendo dalla bicicletta per invertirne il senso di marcia.

Ravuth era terrorizzato quando vide altri quattro Khmer Rossi avvicinarsi in bicicletta. Andò nel panico, afferrò il machete che aveva sistemato alla cintura e lo scagliò con tutta la propria forza al braccio della ragazza. La ragazza non riuscì a reagire per proteggersi dato che stava faticando a reggere il manubrio della bicicletta. Strillò dal dolore quando la lama le affondò nella carne e raggiunse l’osso. Fece cadere la pistola e Ravuth la spinse via dalla bicicletta, si sistemò frettolosamente il machete alla cinta, salì sulla velocipede e accelerò lungo i terreni induriti delle risaie. Si diresse verso i Monti Cardamomi e verso la sicurezza della giungla, seguito dalle pallottole che lo sfiorarono mentre pedalava per salvarsi la vita.

Pedalò per ciò che gli sembrò un’eternità, fino a quando non udì più i colpi di pistola. Ravuth si fermò all’esterno della giungla, celò la bicicletta nella vegetazione e si nascose dietro a un gruppo di alberi. Sbirciò per controllare se i suoi inseguitori fossero nei paraggi. Ravuth vide quattro puntini in lontananza, diretti verso di lui. Aveva un po’ di vantaggio, ma sapeva di dover trovare riparo nella densa vegetazione. Ravuth corse attraverso la giungla, trovando brevi percorsi che seguì fino a quando raggiunse il terreno accidentato e impraticabile.

‘Non mi troveranno mai’ pensò, correndo attraverso il denso sottobosco.

Ravuth era esausto, aveva attraversato di corsa per tre ore quella sezione della giungla a lui non familiare. Raggiunse una radura dove le chiome degli alberi erano talmente fitte da schermare la luce solare, facendone filtrare appena. Si nascose lì, sapendo di essere al sicuro; non vide i suoi inseguitori, quindi si sedette ai piedi di un gigante Dipterocarpo, stando allerta.

Ravuth restò lì per due giorni, sfamandosi grazie all’abbondante vegetazione circostante. Si rese conto di essere sfuggito ai propri inseguitori, quindi si mise in cerca del proprio villaggio.

Ravuth si sentiva al sicuro nella giungla, e camminò tutta notte alla luce della luna. Si riposava durante le giornate cocenti e umide, cacciando e cercando il cibo dal tardo pomeriggio fino al tramonto.

Era perso senza una direzione da seguire, a differenza dell’area nei pressi del proprio villaggio, di cui conosceva la maggior parte dei sentieri e della vegetazione. All’alba del decimo giorno fece capolino da dietro una fila di alberi, trovandosi in un terreno aperto. In una conca poco profonda era stato realizzato un terrapieno, circondato da una rete metallica.

Vide diverse file di tende da bivacco, insieme ad alcune tende da campo di tipo militare di diverse dimensioni. Ravuth vide delle persone aggirarsi dietro alla recinzione; alcuni gruppi stavano cucinando grazie a dei focolari. Ravuth captò i profumi tipici del cibo cambogiano, e gli venne l’acquolina in bocca. ‘Dev’essere uno dei posti di cui parlavano gli Khmer Rossi. Mi chiedo se la mia famiglia sia qui’ pensò. Si aggirò furtivamente attorno alla recinzione metallica, osservando con attenzione i presenti nel campo fino a quando raggiunse il cancello anteriore. Ravuth si sentiva esposto all’aperto, quindi si nascose in un angolo buio, mettendosi in osservazione.

Ravuth vide diversi veicoli militari e soldati andare e venire durante il giorno. Notò che il personale militare non era composto da Khmer Rossi. Erano adulti, e indossavano divise mimetiche. Ravuth fece avanti e indietro lungo il perimetro della recinzione, osservando le dinamiche del campo. Occasionalmente si arrampicò per avere una visuale migliore dalla giungla, ma non vide nessuno dei membri della propria famiglia, né dei compaesani. Scese la notte, quindi Ravuth approcciò la recinzione, trovò un punto sollevato, e con le mani scavò un piccolo fosso sotto la rete metallica. Si spinse attraverso il passaggio, e strisciò verso la tenda più vicina. Ravuth si rannicchiò, guardò avanti, cercò d’individuare un’area adeguata e...

“Chi sei tu?” Disse un uomo in un linguaggio con cui Ravuth non era familiare “Alzati e voltati”.

Una forte luce dietro Ravuth lo confuse. Era terrorizzato, e non comprendeva le istruzioni impartite dell’uomo, quindi si alzò istintivamente in piedi, accecato dalla luce.

*Vedi Appendice

-2- Il Fenomeno della Pasticceria

Il Maestro delle Cerimonie si schiarì la voce e annunciò “Il premio per il Pasticcere dell’Anno va a…” facendo una pausa a effetto prima di guardare il nome scritto sul retro del biglietto dorato. “Per il terzo anno consecutivo” disse quando si rivolse al pubblico con un sorriso in viso. “Il pâtissier che rappresenta l’Hotel Avalon” si interruppe nuovamente prima di annunciare “Il Signor Ben Bakewell!” Poi l’applauso dell’uomo si unì a quello del pubblico riunito nella sala conferenze del lussuoso Park Lane Hilton. Molti esultarono, mentre alcuni mormorarono qualcosa mentre un uomo in un abito fuori misura si diresse tranquillamente verso il palco.

“Ben fatto, Cake” disse il presentatore quando il pasticcere salì sul palco e gli strinse la mano.

Cake aveva vinto quel premio prestigioso per tre anni consecutivi, ma era ancora imbarazzato nel reggere l’effige di cristallo. Il suo discorso di ringraziamento riverberò quello degli anni precedenti. “Grazie” mormorò nel microfono, arrossì, scorreggiò, scese dal palco e si affrettò al tavolo dove sedevano i suoi colleghi.

Con gran sollievo di Cake, la cerimonia di premiazione era quasi finita. Diversi critici culinari sul palco discutevano dei vari piatti che si erano aggiudicati dei premi. Cake detestava eventi simili, e considerava i critici culinari tanto utili quanto una scorreggia in un colino, incapaci di bollire un uovo e per nulla tagliati per il settore. Riceveva però sempre ottime recensioni da parte loro. Una di esse descriveva il suo *Avalon Nest Egg un’esplosione di sapori impeccabili che provocavano orgasmi orali, e descriveva come ogni pietanza che creava Cake fosse perfetta. A ogni modo Cake le riteneva sempre nella media ed era dell’opinione che mancasse qualcosa ai propri piatti, ma non era in grado di capire di che cosa si trattasse.

Cake rincasò attorno alle 11, dopo aver percorso un lungo tragitto attraverso la capitale. Jade aveva già fatto ritorno dalla gita di cinque giorni a Lincoln. Cake era entusiasta di vederla, e voleva scoprire come stesse procedendo la loro pasticceria. Si abbandonò su una poltrona in salotto mentre Jade gli versò un calice di vino, quindi si misero comodi. Le porse l’assegno ricevuto dalla vincita della competizione e lei gli sorrise, mostrandogli poi il video che aveva realizzato dei lavori in corso.

***

Benjamin Bakewell, detto Cake da sempre, aveva una reputazione impeccabile nel mondo culinario. Ogni cuoco stellato e ristorante di lusso lo conosceva. Aveva ricoperto la posizione di maestro pasticcere all’Avalon per tre anni. Le sue celebri torte e pasticcini facevano invidia ai maggiori pasticceri grazie al metodo di Cake, il quale era unico, e che molti tentavano invano di replicare.

Cake era nato nella periferia di Louth, Lincolnshire, una piccola cittadina rurale a quaranta chilometri da Lincoln City. La sua famiglia possedeva una fattoria da 200 acri ai margini della città, dove venivano coltivati il frumento, l’orzo e il luppolo. Il suo soprannome, Cake, gli era stato affibbiato a causa del suo cognome, Bakewell, e del suo amore per la pasticceria. Aveva frequentato la scuola elementare Grimoldby, e mentre gli altri bambini trascorrevano la ricreazione giocando e facendo sport, lui aiutava i cuochi della scuola in mensa.

I genitori di Cake erano sempre stati al corrente del fatto che il figlio avesse come un sesto senso. Era in grado d’individuare tutti gli ingredienti di ogni piatto, e aggiungeva elementi in cui riteneva che il piatto risultasse carente. In tal modo accentuava ed elevava il sapore fino a quando il proprio palato perfetto lo considerava accettabile. Cake non mangiava né maneggiava la carne, il cui odore non conteneva aromi fragranti, la cui consistenza era granulosa e grossolana, e il cui sapore gli faceva venire la nausea. Tollerava certi tipi di frutti di mare, ma solo se erano freschi e moderatamente aromatizzati, come la rana pescatrice o le cape sante, alle quali poteva aggiungere erbe e spezie per mascherarne l’odore e il sapore. Nessuno comprendeva il dono insolito di quel ragazzo, e trascorsero molti anni prima che qualcuno scoprisse la causa del suo palato sopraffino e del suo olfatto iper sviluppato. Solamente Cake era in grado di percepire il profumo e il sapore del mondo dal proprio punto di vista, individuando le fragranze nell’aria. Durante i suoi primi anni a scuola aveva sfruttato il proprio talento unico per estorcere dei dolci e altre golosità dai propri compagni di classe indovinando che cosa avevano mangiato per colazione quella mattina in base all’odore dei loro peti. Crescendo utilizzò tale trucco durante le feste a cui prendeva parte.

Cake trascorse un’infanzia felice con molti amici, anche se le ragazze lo evitavano per la sua tendenza ad annusare l’aria circostante, inclinazione sgradevole. I suoi amici lo ritenevano un passatempo divertente, ma il ragazzo smise di farlo quando la madre gli disse che non era educato, e che un giorno avrebbe avuto bisogno di una ragazza, e annusar loro il sedere non era il modo per far sì che lo trovassero attraente. Cake aiutava alla fattoria durante i raccolti, e il suo periodo preferito dell’anno era la primavera, quando la flora veniva impollinata e sbocciava; gli innumerevoli odori lo facevano andare in estasi. Aiutava anche la madre e la nonna a fare il pane fresco, le torte, i biscotti e i dolci per la famiglia e per i lavoratori della fattoria. Cake concentrava il suo talento unico sulla realizzazione di pietanze dolci e salate, fino a quando queste gli soddisfacevano i sensi. Da giovane Cake si era sentito a casa in cucina, e ridacchiava con voluttà ogniqualvolta tirava fuori dal forno una teglia di dolciumi cucinati da lui. I profumi della confetteria appena sfornata, che facevano venire l’acquolina in bocca, aleggiavano nella calda cucina della casa colonica, e solitamente la nonna di Cake si affrettava dal nipote per vedere che cosa si fosse inventato.

La nonna vide una scintilla negli occhi di Cake quando un giorno il ragazzino le disse “Nonna, un giorno sarò il pasticcere più famoso d’Inghilterra...forse anche del mondo”.

Al che la nonna sospirò e gli rivolse un ghigno. “Si Cake, lo so”.

Aveva accumulato libri e riviste di cucina nel corso degli anni, realizzando ogni torta la cui ricetta era stata pubblicata sui quotidiani, e aggiungendo erbe e spezie che combinava per esaltare il sapore dei piatti, rendendoli unici. A Cake sembrava sempre che alle pietanze mancasse qualcosa, ma la nonna Pearl lo rassicurava dicendogli che un giorno avrebbe scoperto LA SUA spezia perfetta.

Nella sua prima adolescenza Cake iniziò a fare kick boxing. Era alto e snello, e l’arte marziale lo fece diventare muscoloso, ma le sue gambe e braccia restarono pelle e ossa nonostante il duro allenamento.

Cake era un bel ragazzo dal viso magro, gli occhi nocciola e i capelli corti e castani. Assomigliava a un giovane Kevin Costner, anche se la sua figura allampanata e bizzarra faceva sì che avesse più tratti in comune con il pagliaccio Coco. In adolescenza le ragazze iniziarono a notarlo, a quel punto aveva smesso di annusarle.

La sua famiglia diede per scontato che una volta terminata la scuola avrebbe continuato il mestiere di famiglia, diventando un agricoltore. I sogni e le ambizioni di Cake erano però lontano dal mondo di famiglia, dato che il ragazzo voleva frequentare la scuola di cucina. I suoi genitori glielo proibirono e gli offrirono un compromesso. Avrebbe potuto fondare un piccolo forno insieme alla madre e alla nonna; loro tre avrebbero cucinato mentre le sorelle di Cake avrebbero venduto i loro prodotti a Louth e nei dintorni. Cake accettò tale compromesso, sapendo che ciò avrebbe implicato lunghe ore in cucina, sacrificando gli allenamenti di kick boxing; ma la pasticceria era la sua passione. Suo nonno concesse loro di cucinare in un vecchio capanno, e acquistò due forni a gas di seconda mano oltre all’ampio piano di cottura AGA. La famiglia comprò un’impastatrice e altre attrezzature, oltre a scaffali, frigoriferi e unità di conservazione come da istruzioni di Cake, realizzando una pittoresca pasticceria rurale. Il padre aveva ceduto loro una Land Rover della fattoria affinché lui e le sorelle girassero per la cittadina in cerca d’industrie e negozi che acquistassero i loro prodotti. Cake fece in modo che il menù fosse semplice. Amava sperimentare, ma la famiglia decise che i filoni di pane, i panini, le baguette, le torte e le crostate sarebbero state sufficienti.

L’attività di Cake aveva inizio dopo il raccolto. Cucinavano di prima mattina, e il primo lotto usciva dal forno alle 6. Le sorelle svolgevano le consegne prima di andare a scuola, e Cake cucinava e consegnava ulteriori lotti durante il giorno. Si trattava di una routine che funzionava bene, e presto vennero sommersi di ordini. Il business della panetteria divenne un’entrata extra molto redditizia per la fattoria. Cake era felice, ma non si sentiva realizzato. Più leggeva riviste di cucina che trattavano di nuove tecniche e ricette create in ampie panetterie, ristoranti e hotel, adulando grandi chef, più Cake bramava una vita prestigiosa.

Una calda mattina d’estate, mentre Cake stava sfornando una partita di panini croccanti, ricevette una telefonata da Bill, il proprietario del pub ‘Rising Sun’.

“Giorno Cake” disse Bill “Un mio cliente vorrebbe parlarti. Potresti venire qui?”

“Che cosa vuole?” Domandò Cake.

“Non lo so, vieni qui e parlagli, così lo scoprirai” disse Bill, sembrava vago.

Cake, incuriosito, guardò l’orologio e disse “Okay Bill, dammi più o meno venti minuti”. Quindi si cambiò, togliendosi la divisa bianca da fornaio, e guidò fino in città.

***

Una volta al Rising Sun, Cake si diresse da Bill, il quale gli sorrise e gli disse del cliente. “Il primo giorno ha mangiato il tuo sandwich gourmet con una fetta di Gateau, e oggi ha ordinato diversi sandwich e fette di torta. L’ho visto prendere un assaggio di tutti i piatti, assaporarli, avvolgerli in un tovagliolo e sistemarli in un borsone”. Bill si grattò il mento prima di proseguire “Oggi mi ha chiesto chi mi forniva i prodotti da forno, e quando gli ho detto che si trattava di un fornaio locale si è presentato e ha insistito affinché potesse parlarti. Non ti avrei disturbato, ma sostiene di essere famoso, anche se non l’ho mai sentito nominare”.

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