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Raji: Libro Uno
Raji: Libro Uno

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Raji: Libro Uno

Язык: Итальянский
Год издания: 2020
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Non vede che sono un’Intoccabile? Al di sotto della casta più bassa. Non adatta a stare accanto a persone diverse dalla mia specie.

Rimase in piedi, ma continuò a fissare il libro di mappe sul pavimento.

Hajini, Madre, sono passati quasi nove anni dall'ultima volta che ti ho vista. Sei ancora lì, a Calcutta, a chiederti cosa sia successo alla tua unica figlia?

L’enormità del mondo l’aveva sconvolta. Conosceva un po’ della geografia dell’India, soprattutto di quella zona dello stato del Bengala Occidentale, dove si trovava Calcutta, ma pochissimo del Paese. Suo padre possedeva una mappa dell’India, e le aveva insegnato ciò che sapeva, ma lui non sapeva del Mondo più grande. O, se lo sapeva, non l’aveva spiegato a sua figlia di cinque anni. Aveva parlato delle terre oltre il loro paese come un mondo esterno; ora lei si era resa conto di essersi persa proprio in quel mondo esterno. Per tutti questi anni aveva pensato, da quando era stata portata via dalle strade di Calcutta daiPhansigar, una banda di teppisti e mercanti di schiavi, di essere semplicemente in una delle grandi città dell’India. Ma non era così. Era molto, molto lontana da casa.

Il suo ricordo di Klaanta, suo padre, non era chiaro. Si ricordava che le aveva insegnato a giocare a scacchi. Almeno come ogni pezzo si muove sulla scacchiera, ma non la strategia.Questo, l’aveva imparato da sola. Sembrava le venisse naturale. Aveva imparato così in fretta da battere suo padre ad ogni partita.

O era lui a lasciarmi vincere?Si chiese. Aveva sempre quel sorrisetto idiota sul viso quando lo mettevo sotto scacco.

Sua madre, Hajini, la ricordava abbastanza bene. Era sempre amorevole e premurosa verso la sua quinta figlia, ultima genita, e unica femmina. Quei bellissimi sari di seta che indossava. Così colorati di rosso, giallo e verde. Eil puntino rosso cenere sulla fronte, sempre lì ad esprimere il suo orgoglio di essere sposata. Rajiani aveva sempre voluto essere proprio come sua madre, indossare un bel sari, e un giorno, anche un puntino di frassino rosso.

Ricordava anche il profumo diBrahma Kamal, il fiore selvatico dell’Himalaya. Sua madre ogni giorno portava al tempio una ciotola di fiori viola, insieme al riso e a qualche moneta, come offerta alla dea Annapurna e al dio Krisna. Il dolce profumo dei venerati fiori era parte di sua madre. Ora Rajiani si chiedeva se l’avrebbe mai più rivista.

Piccola principessa, la chiamava sua madre.

Questo è il significato del tuo nome. Non dimenticarlomai; Rajiani, la mia Piccola Principessa.

Si allontanò dal libro. Non piangerò. Sbatté le palpebre e deglutì. Non lo farò.

* * * * *

Fuse era in piedi e guardava Rajiani fissare l'atlante sul pavimento.

Non sa dove si trova. Ma com'è possibile? Come può aver attraversato mezzo mondo e non sapere dove si trova?

Voleva confortarla, ma come? Quando aveva cercato di posarle la mano sulla spalla, lei si era spostata.

Guardò una lacrima scenderle sul viso.

“Torno subito,” disse Fuse e corse su per le scale. Nella camera dei suoi genitori, aprì un cassetto e cercò fra le coseche c’erano dentro, finché non trovò quello che voleva.Si affrettò a scendere le scale e diede a Rajiani il fazzoletto di pizzo di sua madre.Lei lo prese, lo spiegò e studio i ricami colorati.

“Mia nonna lo fece per mia madre quand’era una bambina. Non credo le dispiacerà se lo usi.”

Rajiani disse qualche parola, poi avvicinò il morbido lino alla faccia. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Dopo un attimo, si asciugò le guance e sorrise a Fuse. Era il più bel sorriso che avesse mai visto. I suoi denti erano perfettamente allineati e brillantemente bianchi in contrasto con la sua carnagione. Gli aveva già sorriso prima, ma mai in quel modo. Anche i suoi occhi sembravano sorridere per lui. Era come l’alba al mare dopo una tempesta notturna.

“Ora ti senti meglio,” disse. “Lo vedo. Ma non sapevi di essere così lontana da casa, vero? Quello che devo fare è distrarti finché non impariamo a comunicare. Poi scoprirò come sei arrivata qui e forse riusciremo a pensare ad un modo per farti tornare a casa.”

Mentre prendeva uno dei vassoi e alcuni piatti, Rajiani disse qualcosa da dietro di lui. Sembrava una domanda. Si voltò vedendola indicare una fotografia incorniciata sul caminetto.

“Sì,” disse, pensando che avesse chiesto di toglierla.

Lei prese la foto mentre lui prendeva il piatto e il bicchiere dal tavolo.

“Papà,” disse Rajiani.

“Cosa?”

“Papà.” Puntò il dito verso la foto, poi verso il signor Fusilier sulla sua sedia a rotelle di legno.

“Si, quello nella foto è papà, prima di farsi male.”

“Fuse,” disse lei.

Mise giù il vassoio e si avvicinò a lei. “Si, sono io. La foto è stata scattata lo scorso Natale. Vedi l’albero sullo sfondo? Ce l’avevamo proprio lì.” Indicò l’angolo della stanza, vicino alle scale.

Lei guardò da quella parte, poi tornò sulla fotografia. Toccò l’immagine di sua madre e fece una domanda.

“Mi dispiace, non capisco.”

Si guardò attorno nella stanza e alzò le spalle, come se non vedesse quello che cercava.

“Oh, la mamma non c’è. È in Africa.”

“Afca?”

“Africa. È una volontaria della Croce Rossa in una spedizione per aiutare a vaccinare i bambini contro il vaiolo.” Fuse fissò per un momento l’immagine sorridente della madre. “Doveva essere solo per tre mesi, durante le mie vacanze scolastiche estive, ma sono già passati sei mesi.L’ultima letterache abbiamo ricevuto, arriva da Nairobi. Stavano preparando una barca di rifornimenti per attraversare il lago Victoria, per poi risalire il Nilofino al nord dell’Uganda, dove un grosso focolaio della malattia ha ucciso metà dei bambini. Quella lettera è arrivata un mese fa, ancora non sa dell’incidente di papà. Se le mie lettere riuscirannomai a raggiungerla, sono sicuro che salirebbe sulla prima nave per tornare a casa.”

Rajiani lo fissò.

“Non capisci una parola di quello che sto dicendo.”

Lei sorrise.

“Se tu imparerai alcune delle mie parole, io imparerò alcune delle tue, va bene?”

Lei scrollò le spalle.

Lui indicò la foto. “Papà,” disse.

“Papà.”

“Fuse.”

“Fuse,” disse lei.

“Mamma.”

“Mamma.”

“Albero di Natale.”

Lei raggrinzì la fronte e disse, “Albero.”

“Ehi, sai cosa?”

“Ehi,” disse Rajiani.

“Dopo aver pulito la cucina, potremmo andare a tagliare l’albero di Natale.”

“Albero?”

Rimise la foto sul caminetto e prese il vassoio. Rajiani glielo prese e ci caricò sopra il resto dei piatti, poi si diresse in cucina.

“Torno subito, papà,” disse Fuse e seguì Rajiani fuori dalla stanza. “Non sei costretta a farlo,” disse a Rajiani quando sistemò il vassoio dei piatti sporchi vicino al lavandino della cucina e mise il tappo.

Mise in funzione la leva della pompa, ma non uscì l’acqua.

“Devi caricarla.” Fuse prese un bicchiere d’acqua dal bancone e lo versò nella parte superiore della pompa. Dopo alcuni colpi alla maniglia, l’acqua uscì dal pozzo sotto la casa. “Poi si riempie il bicchiere, così, e lo si mette qui per la prossima volta”

Rajiani annuì e iniziò a pompare. Quando ebbe il lavandino mezzo pieno, prese il sapone alla soda caustica da un piattino vicino e cominciò a lavare i piatti.

“Okay,” disse Fuse. “Se insisti a lavare i piatti, ti aiuterò.”

“Okay,” disse Rajiani.

“Okay.”

Lei si tenne a distanza e stette molto attenta a non toccarlo mentre gli passava i piatti da asciugare.

Dopo aver finito di pulire la cucina, tornarono nella sala da pranzo a controllare il padre. Sembrava a suo agio e al caldo, lì vicino al fuoco.

“Aspetta qui,” disse Fuse a Rajiani.

Andò all’armadio sotto le scale e tornò con dei vestiti.

“Questo è il maglione che indossavo da bambino, ma credo che ti starà bene.”

Infilò il maglione marrone e blu fatto a maglia dalla testa, poi mise le braccia nelle maniche e si allungò per tirare fuori i capelli dal colletto. Disse qualcosa a Fuse e sorrise, facendo scorrere la mano sul maglione sfumato.

“Si, anche questo l’ha fatto mia nonna. Prova gli stivali, ma prima metti due paia di calzini.”

Rajiani si sedette per terra per infilarsi i calzini, poi gli stivali.

“Sono un po’ troppo grandi per te.”

Lei allacciò uno degli stivali di pelle.

“Ma è meglio che correre in giro sulla neve con quelle tue vecchie scarpe logore.” Si inginocchiò per allacciarle l’altro, ma lei tirò via il piede.

Rajiani si alzò in piedi dopo aver finito con il secondo stivale. Si mise i guanti di pelle che lui le porse e camminò in cerchio davanti a Fuse guardandosi i piedi.

Si fermò e fece una domanda puntando il piede verso il basso.

“Stivali,” disse lui.

“Stivali.”

“Papà,” disse Fuse, controllando il camino. “Andiamo dall’altra parte dello stagno a tagliare l’albero di Natale. Te la caverai per un paio d’ore?” Mescolò i carboni ardenti con un attizzatoio, poi aggiunse altri due legni al fuoco.

“Papà,” Fuse sentì la voce di Rajianidietro di sé. Si voltò e la vide davanti al signor Fusilier, i cui occhi erano rivolti verso il suo viso.

Lei indicò i suoi piedi. “Stivali.”

La testa di lui si inclinò lentamente. Dopo un attimo, i suoi occhi tornarono sul suo viso, e sbatté le palpebre.

Capitolo Sette

Era bellissimo il bosco, al di là dello stagno. Era uscito il sole, soffiava ancora il vento, e l’unico rumore era il soffice scricchiolio della neve sotto i loro piedi.

Fuse si fece strada attraverso i cumuli.Rajiani camminava dietro di lui, e Ransom la seguiva, trainando una piccola slitta con sopra un’ascia.

“Cervo.” Fuse indicò la neve davanti a loro, dove una scia di improntespuntavasul loro percorso.

“Cervo?” Rajiani era accanto a lui e seguì le tracce con gli occhi vedendole scomparire sulla riva del letto delfiume.

La corrente tumultuosa era sufficientemente rapida da non ghiacciarsi mai, in particolarenelle pozze e nei mulinelli.

“È andato laggiù a bere,” sussurrò Fuse.

Rajiani raggrinzì la fronte.

Lui mimò il gesto di portarsi un bicchiere alle labbra e indicò il fiume. “Bere.”

“Cervo, bere.”

Si inginocchiò per sfiorare le impronte, un attimo dopo proseguirono nel bosco.

Fuse sapeva quale albero voleva. Si trovava nella parte più lontana del bosco, vicino alla recinzione che segnava il confine coni Quackenbush. Ci aveva posato gli occhi lo scorso agosto, quando aveva riparato il recinto sul lato nord della loro fattoria. Nella sua mente, l’aveva immaginato come l’albero di Natale perfetto grazie alla sua forma conica. Non era grande quanto l’abete rosso dell’anno precedente, ma l’altezza ridotta l’avrebbe reso più facile da decorare.

“Questo è quello che voglio,” disse Fuse quando arrivarono dall’altra parte del bosco. Andò verso il pino loblolly di sette metri e si inginocchiò sotto di esso. “Taglierò il tronco, proprio lì.”

Puntò l’ascia. Lei si chinò per vedere sotto i rami.

“Vieni qui sotto, vedrai meglio.” Fuse la incoraggiò ad inginocchiarsi sotto l’albero.

Lei si lasciò cadere sulle proprie mani e ginocchia e strisciò sotto. Lui tirò indietro l’ascia e colpì con forza, tagliando l’albero alla base. La vibrazione dell’impatto scosse la neve dai rami, facendola cadere a cascata, quasi seppellendo entrambi. All’inizio lei urlò, ma quando Fuse si mise a ridere, lo fece anche lei. Appenarealizzò che la stava prendendo in giro, si buttò su di lui. Caddero nella neve, rotolando da sotto l’albero. Con un gridolino, lei saltò in piedi, allontanandosida Fuse, e cominciò a togliersi la neve da braccia e spalle.

Saba logo,” disse lui, con un sorrisetto. Si alzò e si scrollò la neve dal cappotto “Non toccare, giusto?”

Lei lo guardò, poi abbassò lo sguardo, stringendosi le mani dietro la schiena. E gli sussurrò, “Saba loga,” correggendo la sua pronuncia.

Saba loga. Se alla tua gente non piace essere toccata, come fate a…” Si bloccò. “Non importa.”

“Non importa.”

“Giusto.”

Fuse finì di tagliare l’albero e lo sollevò sulla slitta, Ransom lo trainò senza problemi lungo il sentiero.

* * * * *

Dopo cena, Fuse inchiodò una base di legno all’albero, poi portò due scatole di decorazioni giù dalla soffitta.La scatola conteneva due serie di addobbi in vetro rosso, verde e blu, assieme a lunghi fili di capelli d’angelo, fiocchi di neve e ritagli di carta appesi a delle catenelle realizzati e colorati da lui all’età di tre o quattro anni. Il ricordo della madre che lo aiutava a tagliare ed incollare la carta sul tavolo della cucina lo bloccò per un attimo. Quanto avrebbe voluto poter tornare indietro e rifare tutto da capo.

La mamma è così lontana, e non sa nemmeno…

Rajianigli parlò, interrompendo i suoi pensieri. La guardò e vide che reggeva uno degli ornamenti.

“Quello va lassù.” Indicò la cima dell’albero.

“Ah.” Appoggiò sul pavimento la stella giallo pallido.

“Non so quale Dio abbiate in India,” Fuse andò da suo padre e spinse la sedia a rotelle vicino all’albero, “ma dubito che sia uguale al nostro.”

Sapeva che lei non capiva il significato dell’albero, ma ovviamente le piaceva decorarlo.

Lei prese una decorazione di vetro blu e lo guardò in modo interrogativo.Fuse ne prese una rossa dalla scatola.

“Appendilo al ramo, così.”

“Ah, Okay.”

Dopo le ghirlande verdi e i ritagli di carta colorata, lui e Rajiani avvolsero a spirale l’ultimo orpello intorno all’albero. Quando tutte le decorazioni furono al loro posto, Fuse si mise in piedi sul gradino centrale della scala e si chinò per posizionare la stella in cima.

“Ottimo lavoro,” disse dopo aver messo i regali per mamma e papà sotto l’albero. Fece un passo indietro per ammirarlo.

“Ottimo lavoro,” disse Rajiani.

“Adesso, devo preparare papà per andare a dormire.” Le fece cenno di seguirlo su per le scale. “Ma prima vieni, ti mostro dove dormirai.”

Camminarono lungo il corridoio del piano superiore, oltre la sua stanza, fino alla porta di fronte alla camera da letto dei suoi genitori.

“Questa è la stanza degli ospiti,” disse accendendo la luce.

Lei lo seguì nella stanza fredda. Lui si diresse verso il letto e tirò giù la trapunta. “Se lasciamo la porta aperta per un po’ si riscalderà. D’accordo?”

Lei inarcò le sopracciglia e alzò le spalle.

“Puoi dormire qui.” Fuse unì le mani, inclinò la testa e le appoggiò sotto la guancia, come se fossero un cuscino. Poi chiuse gli occhi.

“Oh,” disse lei. “Okay.”

Quando uscì dalla stanza, Rajiani chiuse la porta dietro di lui.

* * * * *

Fuse si alzò prima dell’alba la mattina di Natale. Tremante nella sua camera da letto, si affrettò a vestirsi. La stufa della cucina e il caminetto tenevano calda la casa tutto il giorno, ma quando la legna si spegneva alle prime ore del mattino, la casa diventava davvero fredda.

Quando uscì dalla sua stanza e accese la luce del corridoio, notò che la porta della stanza di Rajiani era aperta. Non entrò, ma poté vedere dalla soglia che se n’era andata ed il letto era stato rifatto.

“Non ditemi che ha dormito nel fienile,” sussurrò lui, abbottonandosi la camicia.

Si sorprese nel vedere che aveva tolto la ghirlanda e l’orpello dall’albero. Tutte le altre decorazioni erano ancora lì; solo quelli erano scomparsi.

Guardò nella stanza di suo padre, di fronte al soggiorno al piano terra. Era la stanza da cucito di sua madre, ma Fuse aveva spostato lì il letto del padre perché non riusciva a salire e scendere le scale con la sedia a rotelle. Stava ancora dormendo, così Fuse andò in cucina.

Il profumo del caffè appena fatto lo accolse nella stanza calda. Le fette di prosciutto erano sul tagliere, con accanto un cesto di uova, pronto per la padella.

Mi chiedo come abbia imparato a fare il caffè.

Si infilò gli stivali e il cappotto. Avrebbe lasciato dormire il padre fino al termine delle faccende.

Quando arrivò al fienile e aprì la porta, trovò i pollie i piccioni che beccavano il loro mangime sul pavimento sporco. Anche i cavalli, Cleo e Alex, erano stati accuditi. Stormy e il suo cucciolo erano tranquilli su uno strato di paglia pulita.

Fuse uscì dalla porta sul retro e vide il mucchio fumante di paglia e letame ripulito dalle stalle. Aveva riposto con cura anche lo sterco di mucca. Ora c’erano quattro file di letame a seccare.

Perché ha messo per terra quella roba?

Andò a controllare le mucche. Lì, nella loro stalla, trovò le decorazioni mancanti dell’albero di Natale; le aveva usate per adornare le mucche. C’erano fili verdi e argento sulle loro corna e attorno al collo.

Cosa c’entrano le mucche?

Le guardò mangiare il mais che lei aveva versato nella loro mangiatoia. Le mucche sembravano indifferenti ai loro nuovi ornamenti mentre sgranocchiavano il mangime.

“Okay?”

Fuse sussultò al suono della sua voce. Si voltò e vide la ragazza sorridente con in mano un secchio del latte appena munto. Gli ci volle un attimo per riprendersi.

“Okay.” Era felice di vedere che indossava gli stivali, e anche il suo maglione sotto ilcappotto. “Devi esserti alzata ore fa.”

“Latte.” Lei gli porse il secchio.

* * * * *

Rajiani vinse la sua prima partita a scacchi durante la colazione. Diede da mangiare al padre di Fuse mentre lui si concentrava sulle sue mosse. Sembrava che avesse passato più tempo ad aiutare il padre che a giocare la partita, ma aveva vinto facilmente, facendogli scacco matto in sole quindici mosse. Finirono di lavare i piatti e pulirono la cucina prima di preparare la scacchiera per una seconda partita, ma furono interrotti da una bussata alla porta d'ingresso.

Fuse rimase sorpreso dal fatto che qualcuno fosse venuto a casa la mattina di Natale, ma soprattutto da Rajiani che saltò in piedi per correre in cucina. La sua regina nera e i due pedoni caddero a terra quando colpì la tavola con il ginocchio. Pochi secondi dopo, la porta sul retro sbatté.

Scavalcò i pezzi degli scacchi per andare alla porta d’ingresso, chiedendosi chi potesse essere. Rimase sorpreso nel vedere chi era in piedi sul portico

“Salve, vicino.”

Ci volle un attimo perché Fuse riacquistasse la voce. “B-buongiorno, signor Quackenbush.”

Capitolo Otto

Buford Quackenbush entrò e si avvicinò al fuoco per scaldarsi. Tirò fuori un coltellino dalla tuta, poi un blocchetto di tabacco da masticare. Dopo averne tagliato un pezzo enorme, se lo infilò nella guancia e offrì il blocchetto a Fuse, che scosse la testa.

Dopo aver pulito la lama sui pantaloni, Quackenbush ripose il coltello. Masticò il tabacco nella guancia rigonfia, e un po’ di marrone gocciolò dall’angolo della bocca mentre si guardava intorno come se cercasse un posto dove sputare.

“Ho preso un cervo stamattina,” borbottò con il grumolo appiccicoso.

Aprì il parafuoco e sputò un filone di succo di tabacco tra le fiamme. Un odore putrido seguì un breve sfrigolio.

Fuse guardò il fuoco e storse il naso. “Un cervo?”

“Sì, una bella cerbiatta.” Quackenbush si pulì la bocca sulla manica del cappotto. “Al primo colpo ero un po’ traballante e l’ho colpita alla zampa. Il secondo l’ha colpita al fianco, ma il terzo è stato un colpo secco e decisivo.” Fece un rapido movimento verso il collo, sotto l’orecchio destro. “Un proiettile proprio sul collo.”

Fuse prese l’attizzatoio e colpì il fuoco, battendo su tronchi mezzi bruciati. “Pensavo che la stagione dei cervi fosse finita.”

“Beh, credo che lo sia, legalmente parlando, ma starò zitto se farai lo stesso.” Quackenbush indicò il padre di Fuse. “E so che lui non parlerà con le autorità.” Si mise a ridere. A Fuse sembrò un asino con l’anatomia maschile impigliatain un recinto di filo spinato.

Fuse sentì la rabbia salirgli nel petto. L’uccisione fuori stagione lo infastidì, ma non tanto quanto l’insulto al padre. Anche se non gli piaceva quell’uomo, sua madre gli aveva insegnato il rispetto verso gli anziani. Così, si morse la lingua e tenne la bocca chiusa.

Quackenbush indossava una giacca nera stile militare sopra una tuta sporca, e un cappello porkpiegrigiocon il bordo macchiato di sudore. Puzzava come i cani da pastore bagnati, e il calore del fuoco non faceva che peggiorare la situazione.

“Spero non ti dispiaccia che abbia ucciso quel cervo nella tua proprietà.” Strinse gli occhi guardando Fuse, come per sfidare il ragazzo a rispondergli. “Ero sulla riva di quel piccolo ruscello, dietro il tuo stagno. Con i piedi ho coperto di neve il sangue e le budella, così nessuno lo verrà mai a sapere.”

Fuse gettò l’attizzatoio nella scatola di legno ripensando al giorno prima, quando aveva mostrato le impronte del cervo a Rajiani. Era preoccupato che la ragazza fosse fuori al freddo.

Come posso sbarazzarmi di quest’uomo odioso prima che ci riempia di puzzo tutta la casa? Sarei dovuto uscire dalla porta sul retro con Rajiani.

Quackenbush guardòl’attizzatoio rovente mentre masticava il tabacco spostandolo da una guancia all’altra. “Tua madre è in casa?”

“No.”

“Oh!Mi è sembrato di sentire sbattere una porta appena prima di entrare.”

“Ero io…che entravo dalla cucina.”

Entrambi guardarono verso la porta della cucina, era aperta.

“È la prima volta che vengo in questa casa da quando Marie aveva quattordici anni.”

Quackenbush camminò verso il centro della stanza, guardando il posto, come per valutarne il valore. Andò alla ringhiera delle scale e allungò il collo per guardare al piano di sopra.

Fuse non aveva mai sentito nessuno chiamare sua madre per nome. Anche suo padre l’aveva sempre chiamata “mamma”, almeno quando Fuse era presente.

Perché Quackenbush era nella nostra casa quando mamma era adolescente? Dev’essere stato prima di conoscere papà.

La casa e la fattoria erano appartenute ai genitori di sua madre. Dopo l’ictus del nonno e la sua morte nel 1918, la nonna sopravvisse solo altri sei mesi. La dolce vecchietta sembrava essersi sciupata, struggendosi per il suo compagno da cinquantotto anni.

“Marie era una graziosa ragazzina a quei tempi,” disse Quackenbush, distogliendo Fuse dai suoi ricordi. “Comunque dov’è? Mi piacerebbe vederla.”

“È in Africa.” Fuse non avrebbe voluto dirlo. Non erano affari di Quackenbush.

“Africa?”

Fuse annuì.

“Ha dei parenti lì?” Un’altra risata d’asino.

“No. è una volontaria della Croce Rossa.”

“Ah, allora starà via per molto tempo.”

“Mi aspetto che torni da un giorno all’altro.”

Quackenbush si strofinò il dorso delle dita sulla barbetta incolta della guancia. Gli occhi iniettati di sangue dell’uomo erano troppo vicini al suo naso da becco di corvo. Sembrava avere la stessa età della madre di Fuse.

“Ole Kupslinker, giù alla banca, ha detto che vuoi affittare questo posto.”

“Non sono sicuro di volerlo affittare.”

“Beh, Kuppy parlava come se tu fossi pronto a firmare per tuo padre sulla linea tratteggiata.”

“Non è legale.”

“Chi lo verrà a sapere?”

Questo è come uccidere quella povera cerbiatta. Devo sbarazzarmi di questo stupido e trovare qualcuno che mi dia consigli sulla fattoria. Firmare quei documenti, non porterà a nulla di buono. E come se non bastasse, avremmo questo babbuino in mezzo ai piedi ogni giorno.

“Il signor Kupslinker ha detto che posso pensarci fino alla fine dell’anno.”

“Beh, ti aiuterò a pensarci,” disse Quackenbush. “Ho preso due contadini montanari.” Si scaldò il fondoschiena, poi fece scivolare la mano dietro di sé per grattarsi. “A loro piace ficcare il naso nei miei affari, ma se qualcuno li tiene d’occhio, lavorano bene. Potremmo abbattere la recinzione che separa le nostre fattorie e unire il vostro pascolo al mio campo di grano. Probabilmente avremmo 60 acri di mais lì. Potrei far venire i miei ragazzi qui domani, per darti una manoe occuparsi delle cose della casa mentre sei a scuola.”

Fuse rimboccò la coperta a scacchi gialli e rossi sulle gambe del padre. Il signor Fusilier mosse la testa, e Fuse lo guardò. Suo padre sbatté le palpebre due volte in rapida successione. Dopo un attimo, lo fece di nuovo.

“Giochi a chest (petto)?” chiese Quackenbush, annuendo verso la scacchiera.

“Si dice chess (scacchi). E sì, ci gioco.”

“E con chi stai giocando a chest? Non con tuo padre.”

Fuse rispose prima di dover sentire di nuovo quella risata irritante. “Io…gioco per entrambi.”

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