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La Lista Dei Profili Psicologici
Da tempo non andavo neppure in vacanza, poichè, in più di un’occasione, quando tornavo da un viaggio di piacere trovavo qualche paziente che era peggiorato, semplicemente perchè non aveva fatto la sua seduta settimanale con me.
Per questo, e per la mia ferma convinzione che la salute sia la prima cosa, abbandonai a poco a poco i viaggi che tanto mi piacevano. Non tanto a prendere il sole spaparanzato in qualche spiaggia dalla sabbia bianca, perchè sono chiaro di pelle e sotto i raggi del sole mi scotto subito, quanto per fare visite culturali in posti nuovi, addentrandomi nei loro musei.
Qualcosa che agli altri poteva sembrare noioso, per me era un fattore di arricchimento, vedere come pensavano e si comportavano ad altre latitudini, con riti e modi di esprimersi così caratteristici e particolari. Ma tutto questo è stato lasciato alle spalle e ciò che ne resta è a malapena qualche album di fotografie e nient’altro.
–Taxi!― gridai, non appena uscito dall’edificio dopo aver salutato il portriere, col quale avevo intrecciato un buon rapporto, anche se non avevo voluto intromettermi nei suoi affari personali, sebbene in qualche occasione avesse cercato di parlarmene.
A volte mi costava mantenere le distanze con gli altri, soprattutto quando sapevano della mia professione e volevano consultarmi per qualche problema proprio o di qualche familiare.
La verità è che non li biasimo, ma a volte diventava imbarazzante rifiutarmi di assisterli in mezzo a un corridoio o per strada, senza rendersi conto che esiste tutto un protocollo prestabilito, in modo che la persona fruisca della seduta col proprio tempo, il propio spazio e la propria tranquillità.
A nessuno verrebbe in mente di chiedere a un chirurgo di operarlo in mezzo alla strada, perchè è la stessa cosa che mi viene chiesto, di ‘operare l’anima’ in qualunque luogo.
–Taxi!― gridai ancora, mentre alzavo la mano.
–Dove vuole andare?― chiese il conducente quando salii sulla sua macchina.
–Al ballo, a vedere l’opera ―dissi mentre gli mostravo il biglietto che avevo tirato fuori dalla scatola, che avevo portato con me.
–Una bella serata?― chiese il tassista con un sorriso beffardo.
–Cosa?― chiesi, stupito per il suo gesto.
–Stanotte va a rimorchiare, questo è certo― rispose, mentre mi faceva l’occhiolino.
–Si riferisce alla scatola?― chiesi, notando che non la perdeva d’occhio ―ecco, non è mia, e la devo dare a qualcuno, ma non so a chi.
–Certo!, certo!― disse il tassista mentre si frugava nella camicia ―guardi, questa è mia moglie, siamo sposati già da dieci anni ed è stato in un posto come il suo. Ecco, è stato in un teatro, anche se a me non piacciono queste cose, ma a lei piace sistemarsi e andare nei posti eleganti.
»Ho risparmiato per tre mesi per avere una serata indimenticabile, e alla fine è stata un successo. Le avevo detto soltanto di vestirsi elegante e di tenersi la serata libera dal lavoro. E lì le ho fatto la grande domanda, e siamo rimasti assieme da allora― raccontava il tassista mentre guardava con affetto la foto quasi sbiadita di sua moglie.
– Ecco, farò delle domande, ma non questa― cercai di puntualizzare, anche se senza successo.
–Siamo arrivati― dissse il tassista con un grande sorriso. ―Buona fortuna!
–Sí, grazie― ho deciso di rispondere, per non dargli altri dettagli su quello strano pomeriggio in cui era venuta da me una donna con questa scatola che mi aveva portato a un’opera di balletto che non conoscevo.
Non ero un grande appassionato di quest’arte, ma in certe occasioni soprattutto quando andavo ai congressi, venivano organizzati eventi culturali, degni di partecipazione per il grande sforzo che gli organizzatori avevano fatto.
Mi trovai di fronte alla porta di un teatro, qualcosa che richiamò la mia attenzione, perchè non è il posto normale per un balletto. Al momento di entrare presentai il biglietto e il portiere mi disse:
–Buona serata!, la aspettavamo con una certa preoccupazione.
–Aspettavate me?― chiesi, stupito per quel saluto così strano.
–Per favore, aspetti che avvisi gli altri.
E detto questo aprì una porta interna e si mise a urlare:
–E’ già qui!, tutti pronti.
–A chi si riferisce il tutti?― chiesi, senza sapere bene perchè ci fosse tutto quel trambusto.
–Prego!, Prego!― disse una signorina aprendo una porta laterale che ostacolava il passaggio accanto alla finestrina di accesso.
–Grazie, ma non capisco a cosa devo tante attenzioni― dissi tra il sorpreso e il sopraffatto.
–Mi segua!― disse quella donna mentre ci addentravamo in uno stretto passaggio che sbucò in una saletta.
–Venga qui, per favore― disse un’altra persona da una poltrona.
–Da che parte devo scendere?― chiesi, vedendo che mi trovavo nel mezzo di un piccolo palcoscenico, mentre quella donna se ne andava.
–Alla sua destra ci sono tre scalini, non sono molto alti― rispose la persona che si alzava dalla poltrona.
Una volta trovata la strada, dissi alla persona che mi aveva accolto a braccia aperte,
–Qual è il mio posto?
–Uno qualsiasi!― affermò con un grande sorriso.
–Come dice?― chiesi, sorpreso.
– Sì, il posto che vuole, ora devo andare― disse mentre saliva sul palcoscenico da dove io ero sceso, e spariva dallo stesso posto da dove era sparita la donna che mi aveva portato fin lì.
–Signore e signori!, buona sera, prima di tutto vi ringrazio per la vostra presenza, spero che quest’opera sia di vostro interesse. E senza ulteriori indugi iniziamo― disse il bigliettaio che ora indossava una giacca verde e una calzamaglia dello stesso colore.
Mi guardai attorno per vedere se c’erano altri spettatori in quella sala, ma non vidi nessuno. Questo mi sorpese perchè non capivo cosa stava succedendo. Ero sicuro di essere arrivato nel modo giusto, l’indirizzo e anche il bigliettaio, tutto era in ordine, tranne quello che era successo da quando ero entrato.
Sul palcoscenico si presentavano contemporaneamente e in successione quelle tre persone che ballavano e cambiavano continuamente vestiti e intonazione.
All’inizio mi ci volle un po’ a capire di quale spettacolo si trattasse, ma capii in fretta di trovarmi all’opera più rappresentata della storia. Un’opera descritta come la più drammatica e al tempo stesso complessa, piena di amore, odio, vendetta e desiderio. Ma che è nota per la celebre frase “Essere o non essere? Questo è il dilemma”.
Amleto, una delle tragedie più conosciute di William Shakespeare ma adattata a un piccolo villaggio creato sul palcoscenico, invece di riflettere la nobiltà della Danimarca e dei suoi personaggi originali.
La trama non era molto lontana dai drammi attuali, anche se i ballerini mantenevano gli abiti medievali e usavano anche il linguaggio duro e poco diretto dell’opera originale.
Inoltre, siccome erano pochi gli attori-ballerini, rappresentavano vari personaggi, distinguendo un perionaggio e l’altro con i vestiti che usavano. Così, perchè fosse evidente il cambiamento, i due attori maschi facevano ruoli femminili, oltre che maschili.
In appena mezz’ora era finito, ed io ero perprlesso. Non che ricordassi tutta la trama, ma sapevo che aveva tre o quattro atti, ognuno abbastanza lungo, ma quello fu come un ‘Amleto espresso’.
Quando i tre ballerini rimasero in piedi in mezzo al palco con le braccia alzate dopo aver fatto un inchino piegandosi fino alle ginocchia, e si misero a guardarmi, non potei fare altro che applaudire.
–Come le è sembrato?― chiese l’attore-ballerino che aveva fatto il bigliettaio.
–Bello― dissi, cercando di riprendermi dalla sorpresa.
–Davvero le è piacuto?― chiese l’attrice, nervosa.
–Bene, in sostanza è corretto, ma mi è mancata la cosa più importante― dissi, poichè non volevo scoraggiarli.
–La più importante?― chiese il terzo.
–Sì, tutta l’introspezione dei personaggi, in particolare del principe Amleto. Mi è mancato un po’ di monologo.
–Lo sapevo!― disse il primo attore.
–Tranquillo!― disse il terzo.
–Come crede che potremmo migliorarlo?― chiese la donna.
–Non lo so, non è che sono un intenditore, nient’affatto.
–Questo è quello che desideriamo, da qui l’invito ―spiegò la donna.
–Non capisco!― dissi, confuso per quell’affermazione.
–Abbiamo abbandonato un invito al parco in modo che chiunque volesse potesse assistere in forma anonima alla nostra ‘prima’ per conoscere di prima mano l’impressione che fa la nostra opera sullo spettatore ―affermò il primo attore.
–Beh, forse non sono la persona imparziale che cercavate, sfaccio lo psichiatra e tendo ad analizzare alla luce della mia professione tutto quello che vedo e sento, è deformazione professionale!― dichiarai con una certa rassegnazione.
–Allora! Le è piaciuto?― insistette la donna che indossava una calzamaglia e un tutù neri.
–Sí, credo che sia interessante l’impostazione che gli avete dato, ma è diventato troppo breve, e mancano alcune scene importanti dell’opera.
–Di questo si tratta― affermò in tono ribelle il terzo attore. ―Se vuole vedere un’opera classica ha sbagliato sala, amiamo rischiare, siamo innovatori, e non vogliamo ripetere le stesse cose degli altri.
– A prescindere da questo, direi che un po’ più d’introspezione sarebbe un’ottima cosa perchè il pubblico rifletta sulla natura umana, così come voleva Shakespeare ― ho risposto.
–Riflessioni?, non è questo che cerchiamo, vogliamo emozionare, fare colpo, lasciare senza fiato…vogliamo che quando esce ricordi quello che ha vissuto come un’ esperienza unica. Niente riflessioni!― insistette il terzo attore in tono infastidito.
–Bene, dico solo quello che penso, credo che questo è un classico, e dobbiate rispettare l’opera originale.
–La ringraziamo per il suo tempo― disse la donna mentre scendeva i tre gradini del palcoscenico.
–A proposito, questo è vostro?― dissi, mostrando la scatola che mi aveva portato a quell’esperienza imprevista.
–Sí, è nostra― affermò la donna. ―Anche se speravamo che venisse accompagnato.
–Accompagnato?― chiesi, sorpreso.
–Sì, ma immagino che non abbia avuto nessuno con cui venire― affermò il terzo ballerino in tono molto sarcastico scendendo dal palco.
–La verità è che, se avessi saputo dove sarei capitato, potevo portare anche qualcun altro, ma fate come se non avessi detto niente.
–Come niente?― chiese il primo attore, quello che aveva fatto il bigliettaio ―C’era il luogo, l’ora e anche una descrizione dell’opera.
–Sí, certo, ma non mi immaginavo un luogo come questo, sul giornale avevo visto che annunciavano una compagnia di balletto che debuttava oggi, e pensavo che foste voi.
–Magari!― disse la donna. ―Noi non siamo neppure una compagnia, siamo solo degli amici che tentano di offrire un po’ d’arte al popolo, ma è vero, ci piace che sia di qualità, e che provochi emozioni nello spettatore.
–Ha sentito bene?, emozione!, non dialogo― affermò il terzo ballerino, mentre si sedeva accanto a me.
–Bene, allora congratulazioni, e continuate così― dissi cercando di finirla con quella situazione così strana,perchè era la prima volta che assistevo a una di quelle opere alternative o come si chiamavano.
Non andavo spesso a teatro, ma quando ci andavo mi accertavo sempre che fossero opere di compagnie internazionali.
–Un momento!― disse la giovane tirandomi per la manica della giacca. ―E questo cos’è?
–Cosa?― chiesi, meravigliato.
–Questo anello e il biglietto?, che significa tutto questo?― disse stupita mentre lo toglievo dalla scatola.
–Non ne ho idea, era nella scatola― risposi, senza conoscere il motivo del suo stupore.
–Noi abbiamo lasciato la scatola nel parco perchè la persona che volesse potesse venire e così potessimo conoscere la sua opinione, ma quello non ce l’abbiamo messo noi― affermò il primo attore.
–Eppure le assicuro che quando ho ricevuto la scatola era gà lì dentro― insistetti.
–Tenga!― disse la ragazza, porgendomi entrambi gli oggetti.
–E cosa vuole che ne faccia?― chiesi, contrariato per aver scoperto che non erano loro.
–Non so, ma non sono nostri, molte grazie per la sua visita, e per la sua opinione sul nostro spettacolo― disse la donna mmentre mi indicava il palcoscenico con la mano.
–La accompagno all’uscita― disse il terzo ballerino, mentre mi precedeva.
Mi accompagnò all’uscita attraversando il piccolo passaggio e dopo aver varcato la porta d’uscita, l’unica cosa che quell’uomo mi disse fu:
–Più dialogo?, che ne sa lei del balletto?
Detto questo chiuse la porta e rimasi per qualche secondo a guardarla prima di girarmi e guardarmi attorno.
Quasi tutta la strada era buia, tranne alcuni negozi di bevande o di scommesse, quelli che non chiudevano neppure alla notte.
Guardai da entrambi i lati e non vidi neppure una macchina. Consultai l’orologio e vidi che era passata più di un’ora da quando ero uscito dallo studio.
“E a quest’ora dove lo trovo un taxi?”, pensai mentre cominciavo a camminare lungo la strada, nell’attesa che ne passasse uno.
Poichè iniziavo ad avere freddo, mi strinsi nella giacca e misi le mani nelle tasche quando mi accorsi che avevo ancora l’anello nella giacca. Lo tirai fuori e vidi con difficoltà che aveva un’incisione, che prima non avevo notato, ma con quella poca luce non riuscivo a vedere bene.
Lo rimisi in tasca e toccai il biglietto, e mi accorsi che aveva un rilievo su una delle facce. Lo tirai fuori, lo osservai, ma non vidi nulla.
“Forse lo vedrò meglio alla luce”, pensai, mentre lo alzavo in direzione di una lampada che a svariati metri d’altezza faceva quello che poteva per illuminare la strada.
–Niente, così non si può ―dissi, dopo aver cercato di osservare il biglietto da diverse angolazioni.
Ero ancora lì quando la strada iniziò a illuminarsi e vidi che arrivava una macchina, quindi intascai rapidamente quel pezzo di carta e mi preparai a fermarla.
–Taxi!,taxi!…― urlai, facendo cenni con le mani per farmi vedere.
–Taxi, signore?― mi disse il conducente fermandosi accanto a me.
–Sí, grazie― risposi sollevato, mentre mi sedevo sul sedile posteriore.
–Dove la porto?
–All’ Hotel Plaza.
–Ha avuto fortuna che sia passato di qui!, non è una zona molto raccomandabile.
–Sí, sto iniziando a rendermene conto― dissi mentre l’auto procedeva e vedevo che era un quartiere un po’ trascurato.
–E’ qui in vacanza?― chiese il tassista.
–Cosa?― chiesi, mentre osservavo il quartiere che stavamo attraversando.
–E’ la sua prima volta in città?― insistette.
–Abito qui.
–Dove?, in hotel?― chiese il tassista con derisione.
–Sí, esatto― affermai categoricamente.
–Mi scusi, ma non capisco― disse l’uomo, sorpreso.
–Abito lì da anni, in questo modo posso concentrarmi sul lavoro senza distrarmi per cose necessarie come i lavori di casa.
–Che lavoro può essere così totalizzante?― chiese curioso il tassista.
–Faccio lo psichiatra,― risposi, mentre mi abbassavo il colletto della giacca.
–Psi…cosa?, lo strzzacervelli?― chiese mentre si faceva una bella risata.
–Colui che si prende cura della salute mentale degli abitanti di questa città― puntualizzai senza avermene a male per quel commento scherzoso, che non era certo il più offensivo che avevo dovuto sopportare.
–Bene, comunque sia, le da abbastanza per vivere in un hotel? Guadagnerà molto― disse mentre faceva un gesto con indice e medio, per indicare il denaro.
–Non tanto, ma poichè non ho molte spese, me lo posso permettere.
–Ah!, sí, certo― disse il tassista con un sorriso burlone.
–Se si rende conto di ciò che spende per affitto o mutuo, più le bollette di luce, acqua, assicurazione e cibo, probabilmente sceglierà una soluzione come la mia― dissi, tentando di illustrargliene i vantaggi.
–Se dicessi ai miei parenti che vado a vivere in hotel, la prima cosa che mi chiederebbero è se ho vinto al lotto ― ribattè scherzosamente il tassista.
–E la seconda? ―chiesi, continuando la battuta.
–Cosa farei con mia madre?― rispose ridendo.
–Ha una famiglia numerosa?―chiesi, curioso.
–Numerosa?, contando mia moglie, la suocera, gli zii e i cugini, quando ci riuniamo tutti insieme siamo in dieci, e un altro in arrivo. E lei non ha moglie? ―chiese in tono scherzoso.
–No, ecco, l’avevo, ma ora non c’è.
–Ah!, mi spiace― disse, cambiando tono.
–Allora non si dispiaccia, se è stata con un altro mentre io ero a un congresso.
–Dice sul serio?
E ci mettemmo a ridere per quella situazione così assurda. Poi ci zittimmo, un silenzio molesto quasi quanto quello che sentii quando tornai a casa e trovai un biglieto di mia moglie che diceva: “Spero che tu ragginga sempre ciò che desideri, io voglio provarci e per questo me ne vado”.
Un biglietto che tenevo sempre nel portafoglio, ma che non avevo mai fatto vedere a nessuno, non so se per vergogna o per paura di condividere i miei sentimenti. Era chiaro che lei non era felice con me e che voleva “esplorare nuove possibilità”.
Non appena arrivai a casa, e dopo essermi reso conto della situazione, feci le valigie e andai all’Hotel Plaza, dove sono rimasto.
Non mi è neppure venuto in mente di prendere una casa senza di lei. Tanto silenzio, tanta solitudine, nella casa che avevamo comprato con tante illusioni. Dovevamo avere dei figli, vederli crescere, e quella sarebbe stata la nostra dimora per il resto della nostra vita, e in due anni di matrimonio tutto è finito in questo modo. Nè una chiamata di scuse, nè una spiegazione, solamente un biglietto.
E’ certo che gli ultimi mesi erano stati frenetici da parte mia, concentrati sul nuovo progetto di essere cofondatore di un’associazione internazionale di psichiatri, nella quase volevamo offrire una nuova prospettiva a persone estranee alla nostra specializzazione, creare una rivista trimestrale, cercare finanziamenti per progetti di ricerca, occuparmi delle mie sedute…forse ho trascurrato ciò che amavo di più, ma non ho visto alcun segnale.
Quando tornavo a casa lei era sempre felice e contenta, mi raccontava del suo lavoro di professoressa, delle difficoltà che incontrava,e che c’era qualche bambino che la faceva impazzire.
Ricordo anche che avevamo parlato delle prossime vacanze, facendo progetti di trascorrere una settimana in una qualche isola tropicale, piene di palme da cocco e spiagge bianche, dove il cielo si confonde col mare, per poter stare da soli condividendo quel pezzetto di paradiso sulla Terra. E all’improvviso, da un giorno all’altro, solo un biglietto.
–Eccoci qui!― disse il tassista mentre si fermava di fronte all’ingresso principale dell’hotel.
–Grazie!― dissi, pagandogli la corsa e scendendo dall’auto.
–Buona notte!― disse il facchino dell’hotel.
–Buona notte!― risposi mentre mi tiravo su il collo della giacca ed entravo con una certa fretta perchè aveva iniziato a far freddo.
Dopo aver salito le scale ed aver superato la porta girevole mi diressi alla reception.
–Buona sera, stanza 311, c’è posta per me? ― chiesi, mentre aspettavo che mi dessero la chiave della stanza.
–No, dottore, ma c’è il giornale di oggi, come aveva chiesto.
–Molte grazie, buona serata― dissi, mentre prendevo i giornali internazionali che mi piaceva leggere prima di ritirarmi.
–Quale piano?― chiese il ragazzo dell’ascensore.
–Il terzo― risposi sapendo che lui già conosceva la risposta, perchè tutte le sere mi faceva la stessa domanda.
–Una buona giornata?― chiese ancora.
–Beh!, è stato un pomeriggio particolare.
–Lo dice per il tempo?
–Sí, anche per quello― risposi, con un sorriso forzato.
–Siamo arrivati!, le auguro una buona notte.
–Ci proverò, molte grazie― dissi, uscendo dall’ascensore e dirigendomi verso la mia stanza.
In fondo al corridoio, c’era una piccola suite, che disponeva di uno studiolo e un a stanza da letto. Non era molto grande, ma era il meglio che ero riuscito a concordare con il direttore dell’hotel, perchè non era normale avere clienti che alloggiavano per anni nella stessa stanza.
Non appena aprii la porta della suite mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Un forte odore di tabacco inondava la stanza, che di certo non era mio perchè non fumavo, e neppure invitavo amici nella stanza, così non ho potuto fare a meno di lasciarmi scappare un:
–Chi c’è?
Provai ad accendere le luci, ma non successe nulla, nonostante abbia premuto ripetutamente l’interruttore.
–Non si preoccupi dottore, va tutto bene― disse una voce dal mio divano.
Avevo trascorso talmente tanto tempo in quella stanza che ero capace di riconoscere ogni spazio e sapevo che da dove mi parlavano c’era solo un divano sotto una lampada dove di solito mi sedevo a leggere i quotidiani prima di coricarmi.
–Chi è lei?― chiesi, facendo un passo indietro e spostandomi verso l’uscita per aprire la porta e illuminare la stanza.
Ero sul punto di farlo, con la mano sulla maniglia, quando all’improvviso notai che qualcuno me la teneva chiusa impedendomi di abbasare la maniglia.
–Stia tranquillo!, glielo ripeto, se avessi voluto farle del male non saremmo qui a parlare.
All’improvviso si accese la luce dietro di me,l’uomo che mi stava parlando aveva acceso la lampada e per questo vidi che un altro, che aveva un cartellino di riconoscimento e i guanti, mi aveva preso una mano tra le sue.
Mi liberai e mi girai per protestare contro la violazione della mia intimità,perchè, anche se non era così, consideravo quella stanza come casa mia.
–Stia tranquillo!, le ho già detto che non vogliamo farle del male― disse l’uomo seduto sotto la lampada mentre si accendeva un sigaro.
–Qui non si può fumare!― protestai.
–In verità mi sorprende, che un uomo come lei, col suo talento, sia finito in un posto come questo― disse l’uomo del sigaro mentre buttava fuori una boccata di fumo.
–Non mi piacciono le lusinghe, non so cosa volete, ma avete sbagliato persona― insistetti, cercando di sganciarmi da una situazione così scomoda.
–Sicuro che a quest’ora si sarà fatto un’opinione su di me.
–Un’opinione?― chiesi, sorpreso.
–Non si fa, dottore. La conosciamo bene, o preferisce che le citi tutti i ibri che a scritto riguardo ai profili psicologici― rispose, in tono ribelle.
Parole che mi riportarono ai tempi dell’università quando ero ancora uno studente, e trascorrevo molte ore in biblioteca.
In un’occasione, studiando le materie Basi Psicologiche e Biologia della Personalità ho scoperto con meraviglia come si potesse indagare in una persona fino all’inverosimile.
Le forme di essere, provare sentimenti e pensare si scoprivano di fronte a un buon analista che era capace di scoprire i segreti di qualsiasi persona come se fossero trasparenti come cristalli.
Qualcosa che all’inizio avevo iniziato a leggere per hobby, perchè non rientrava nelle materie obbligatorie, ma che a poco a poco divenne parte della mia specializzazione, affrontandolo in diverse materie, approfondendo quelli che attualmente si chiamano Profili e che sono così utili per i giudizi attraverso le perizie, e anche nell’ambito della selezione delle risorse umane, al momento di scegliere il miglior candidato.
–Benjamín Franklin, Carl Gustav Jung, Albert Einstein… ha osato anche con Stephen Hawking, è audace o visionario?― chiese l’uomo del sigaro.
Mentre mi allontanavo dalla porta lasciai la giacca sull’appendiabiti e cercandolo su una mensola presi un voluminoso libro sui profili e dissi:
–Se vuole imparare, posso prestarle uno dei miei libri.
–Non sono venuto per prendere tempo nè per assistere a una sua lezione, voglio solo sapere se è qualificato per questo.
–Perchè?― chiesi, tentando di saperne di più di quella situazione.
–Mi spiace, ci siamo sbagliati― disse l’uomo, mentre si alzava.
–Intende dire che vuol vedere se sono in grado di dirle che, nonostante il suo suoi modi presuntuosi, lei non è altro che il figlio di un commerciante che gli ha insegnato il mondo della parola e dell’inganno, impiegando una certa teatralità mentre gestisce la paura e lo smarrimento, facendo capire di essere lei a dominare la situazione, quando in realtà non sa come reagirò.
»La sua cosidetta guardia del corpo non è altro che il suo autista, che ha tenuto la mia mano sulla maniglia con entrambe le sue e non con una sola, come si addice a qualcuno abituato a esercitare violenza.
»Lei, per esempio, indossa un abito troppo elegante per scarpe consumate, e il sigaro che fuma è d’importazione, il che mi dice che non le interessa la qualità, bensì l’utilità delle cose.