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Il Ventottesimo Libro
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Il Ventottesimo Libro

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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Proprio Filippo mi ha riferito che, di seguito, sono andati a Nazareth, circa un giorno di cammino, a prendere la madre del Rabbì, Maria, perché lei e il figlio erano invitati alla festa di nozze d'un cananeo loro parente.

Tre giorni dopo, entrati in Cana, il nuovo discepolo ha visto un amico che, con gli abiti delle feste, stava uscendosene di casa, invitato a sua volta al matrimonio, il rabbino Natanaele Bar Tolomeo, un uomo di grande idealismo. Dopo averlo abbracciato, Filippo gli ha detto con entusiasmo: "Troverai finalmente colui che cerchi: il Messia di cui parlano Mosè e i profeti è Gesú di Nazareth, figlio di Giuseppe!". "Forse che da quel paese può venire qualcosa che valga?" ha commentato Natanaele con disinteresse. "Parlagli, e vedrai!" ha insistito Filippo, e prendendolo sottobraccio l’ha presentato a Gesú. Allora il Maestro: "Bar Tolomeo, sei un israelita sincero che cerca sempre di tutto cuore la verità. So che, prima che noi giungessimo, tu stavi riposando sotto un fico". "Rabbì", s’è illuminato l’amico di Filippo, "poiché tu vedi anche dove non sei, tu sei davvero il Messia che attendevamo e io vengo con te". "Assisterai a fatti ben maggiori, amico mio".

M'ha raccontato Giovannino che, com’è nell'uso, sul far del mezzogiorno lo sposo, alla guida d'un corteo di amici, compreso Gesú, e accompagnato da suonatori, s'è recato dalla sposa. Questa intanto, con l'aiuto delle amiche e delle parenti, tra cui Maria, aveva fatto il bagno, s'era profumata e vestita d'una candida tunica stretta da una cintola alla vita e d'un velo bianco lungo dalla testa ai piedi e coronato di mirto. Dieci sue compagne vergini, vestite di bianco, con lampade accese sono andate incontro allo sposo e l'hanno condotto alla casa del padre della sposa. Qui i due promessi si sono seduti sotto un baldacchino. S'è posto il Telo della Preghiera sul loro capo. Il padre ha preso la mano destra della figlia e l'ha posta nella destra del promesso, pronunciando: "Il Signore di Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi e vi unisca in matrimonio. Faccia scendere la sua benedizione su di voi e vi consenta di vedere i figli e i nipoti sino alla quarta generazione". Quindi è andato dietro ai novelli coniugi, ha levato al cielo un calice di fragile vetro a benedizione loro e di tutti i parenti e l'ha passato alla coppia perché ne bevesse il vino. Il marito ha gettato quindi il calice a terra, infrangendolo, e ha giurato fedeltà alla moglie "sino a quando i frammenti non si ricomporranno da soli". Infine Gesú, Maria, i discepoli e tutti gli altri hanno preso a girare attorno agli sposini gettando loro orzo e grano ad augurio di fecondità e ricchezza. Verso il tramonto il marito, alla guida del corteo nuziale, ha condotto la moglie e gl'invitati alla propria casa, dov'era pronto il solenne pranzo di nozze offerto dal padre dello sposo; mi ha detto Giovannino: "Il banchetto è stato magnifico, pieno d’allegria, soprattutto quand’è venuto il momento di lanciare frizzi allo sposo. Gesú è stato il più brillante e, a differenza di altri, ha avuto molto garbo. Verso la fine però, la gioia degl’invitati ha rischiato di spegnersi, perché è terminato il vino. Allora il Maestro ha trasformato in un nettare squisito della semplice acqua, così che il padrone di casa non rimanesse mortificato e gl’invitati delusi". Mi ha precisato Giacomo: "È stata la sua mamma a chiederglielo, lui le ha risposto che non era ancora giunta l’ora di manifestarsi, ma alla fine ha accondisceso". Ha puntualizzato Giovannino: "Al suo diniego, Maria ha ordinato ai servi, come se il figlio avesse acconsentito, di fare quanto avrebbe loro comandato lui e Gesú, udendo queste parole, ha ceduto e obbedito a sua madre, perché le vuole molto bene. Fatta attingere acqua dal pozzo, s’è avvicinato alle giare e ha ordinato di mescerla nelle brocche di servizio; ebbene, via, via che l’acqua era versata, si trasformava istantaneamente in vino. Il maestro di cerimonia l'ha assaggiato, com'è suo dovere, ed è rimasto estasiato; è andato dal padre dello sposo a complimentarsi perché aveva serbato il meglio al termine, a differenza dell’uso di mescere vino scadente quando gl’invitati sono ormai brilli. L’altro, non sapendo, s’è mostrato del tutto compiaciuto: Modestamente, ha esclamato tirando indietro la testa e socchiudendo gli occhi, a casa nostra c’è sempre il meglio! Gesú, la madre e noi discepoli abbiamo udito, perché eravamo vicini, e non siamo riusciti a trattenerci dal ridere divertiti; il padrone di casa non ne ha capito la ragione, deve aver pensato a un qualche frizzo tra di noi, perché s’è allontanato raggiante proclamando ad alta voce, con un gran sorriso: Altre bevute squisite per la compagnia a spese mie, alla salute degli sposi!". L'avrà saputo in seguito, suppongo, dato che i suoi servi avevano assistito al miracolo".

"Sì", s’è intromesso a questo punto Simone Bar Giona che, seduto non lontano a riparare una rete, aveva ascoltato tutto, "è per quella trasformazione dell’acqua in vino che abbiamo definitivamente creduto in Gesú. Alla fine della cena il Maestro ci ha detto che, con quell’evento apparentemente incredibile, aveva voluto darci un segno d’un futuro evento meraviglioso che avrebbe avuto lui a protagonista e sarebbe accaduto per il bene di tutto il mondo; altro non ha aggiunto e noi non abbiamo osato chiedere precisazioni25 ; comunque, quella trasformazione a noi basta e avanza per credere in lui e seguirlo". Noi condiscepoli chiamiamo Simone L’entusiasta: cerca sempre di sapere ogni cosa per poter essere utile al Maestro e vuol sempre essere il primo ad aiutarlo, con una foga tale che, a volte, combina pasticci. In questi giorni è un po’ triste perché, stavolta, il Rabbì non l’ha scelto per accompagnarlo.

Tornato coi sei seguaci nella zona del lago, il Maestro ha iniziato a predicare. Ha guarito ammalati liberandoli dai demòni delle loro malattie e ha reso liberi pazzi furiosi dagli spiriti maligni che li possedevano26 . Altri discepoli si erano intanto aggiunti: Simone di Cana, di famiglia farisaica ma libero girovago idealista, Giuda Taddeo, carpentiere e parente del Maestro, Giuda detto Tommaso27 , geometra e costruttore, Giacomo di Alfeo, carpentiere e anch’egli parente di Gesú, e Giuda di Qerijoth di Giudea, l'Iscariota, l'unico non galileo, in passato mio impiegato al banco del tributo e che m’aveva lasciato per seguire Giovanni il battezzatore: parla continuamente di politica e corre voce che, da giovanissimo, fosse uno zelota, ma egli nega, forse per prudenza, ché si sa bene cosa fanno i romani a chi, anche solo, sia sospettato d'essere un partigiano! Per la stessa ragione, immagino, Gesú raccomanda a tutti di tacere i miracoli che compie, e non solo perché è infastidito dalle acclamazioni: se la notizia ch’è il Messia arriva agli occupanti prima ch’egli abbia raccolto un esercito, lo arrestano e lo crocifiggono. M'ha riferito Giacomo Bar Zebedeo che un sabato, mentre il Maestro stava leggendo e commentando la Torah in sinagoga, "con gran fascino", m'ha precisato, "altro che gli scribi!" un pazzo ha rimproverato Gesú: "Che c'entri tu con noi, tu che sei di Nazareth? Sei venuto a rovinarci? Io so chi sei tu: l'Unto dell’Altissimo". "Taci!" ha imposto il Maestro contrariato, quindi ha ordinato: "Esci da quell'uomo!" e uno spirito immondo ne è sortito. Sì, anche i diavoli hanno paura dell'Unto. Secondo Giovannino ‘sotutto’, l’Altissimo aveva predisposto tale situazione pure come un simbolo sul quale meditare: il giovane condiscepolo afferma che l’indemoniato si potrebbe vedere come chiunque sia legato soltanto alla Legge, del tutto soggetto ai sacerdoti e agli scribi, e non attenda più il Messia liberatore del popolo annunciato dai profeti, così come ormai non pochi oggigiorno in Israele, persone cui un qualche Diavolo ha tolto le speranze. Mah, non saprei, mi sembra un pensiero degno sì d’un ragazzo brillante come Giovannino, ma un po' troppo arzigogolato. Comunque sia, certo è che, per il momento, Gesú fa bene ad avere prudenza e a nascondere ch’egli è l’Unto dei cieli. Tuttavia, tante volte gli è impossibile evitare voci. Dopo aver cacciato quel demonio, ritiratosi coi suoi a casa di Simone e di Andrea, come Simone stesso m'ha raccontato, il Rabbì gli ha guarito la madre della moglie, che quella mattina s'era ammalata, e l'ha guarita così bene che la donna s’è unita alle consorti dei due figli di Giona per servire gli uomini di casa. Il Maestro l’ha fatto per bontà, ma pure perché di sabato nessun maschio può svolgere il benché minimo lavoro mentre la donna, se è vero che di sabato non può rassettare né cucinare e dunque prepara i cibi prima del tramonto del giorno precedente, nel giorno di riposo può però, anzi deve servire a tavola gli uomini di famiglia e quelli ospitati; e i convitati erano veramente tanti. Io, veramente, ricordavo d'aver sentito narrare quell'episodio solo qualche tempo dopo, da gente di piazza, ma è possibile che la memoria m’inganni e, d'altronde, Simone era presente. La madre di sua moglie, dopo il pranzo, dev'essere andata a raccontare alle vicine come fosse guarita miracolosamente, perché quasi mezza contrada, per così dire, tramontato il sole del sabato e scaduto il precetto del riposo, s'è riunita davanti alla porta conducendo infermi e inoltre, ben legati, due indemoniati furiosi. Gesú li ha guariti tutti, mostrando pure il potere di far tacere i diavoli della pazzia che cercavano di dirgliene d’ogni sorta. Con loro c'è riuscito, ma con la gente chiacchierona no: da quel momento le notizie sul Maestro non hanno smesso di passare di bocca in bocca.

Giorni dopo, seguito ormai da una folla, è salito coi discepoli sulla cima d’una collinetta che sorge nella nostra campagna, che alcuni chiamano montagna, ma con una certa forzatura visto che è alta poco più di trecento cubiti28 , s’è messo a sedere fra i suoi e ha meditato, gli occhi chiusi. Dopo un certo tempo, illuminato, s'è levato in piedi, lo sguardo all'orizzonte, e ha proclamato ad alta voce, ché tutti udissero:

"Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti,

perché saranno consolati.

Beati i miti,

perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore,

perché vedranno l’Altissimo.

Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli dell’Altissimo.

Beati i perseguitati per causa della giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli".

Qui s'è rivolto ai discepoli e ha aggiunto qualcosa d'inaspettato: "Beati tutti voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Voi siete il sale della terra; ma se il sale non avesse più il sapore, come si potrebbe restituirglielo? Potrebbe solo essere buttato via e calpestato. Voi siete la luce del mondo. Una città sopra a un monte non può restare nascosta. Neppure si accende una lucerna per metterla sotto il moggio29 dell’orzo; si pone invece sul lucerniere perché illumini tutta la casa. Così risplenda davanti agli uomini la vostra luce, affinché vedendo le vostre opere buone gli uomini rendano gloria al vostro Padre celeste".

Nel ritorno, Giuda Iscariota, sconcertato, ha detto a bassa voce ai compagni vicini: "Chi mai potrebbe perseguitare i seguaci del re Unto protetto dall’Altissimo? Suvvia! e poi, ditemelo voi: conquistare un regno con quelle idee?! No, penso che voglia mettere a prova la nostra lealtà". Giovannino s'è intromesso: "Secondo me, non c'entrano i regni terreni"; ma è stato zittito dall’Iscariota con le parole: "…e cosa, se no? I diabolici regni marini30 ?". "No, Giuda, egli ha parlato dei cieli", ha insisito il giovinetto; "…e via! cosa vuoi capirne tu che sei poco più d’un bambino?". È intervenuto Giuda figlio di Taddeo: "Io penso che Gesú abbia voluto avvertirci che la conquista del regno sarà un'azione lunga, densa di pericoli, e che dovremo fare attenzione a non perdere la vita: in guerra è sempre così, c'è chi muore e c'è chi sopravvive per godersi la vittoria". "Sì", s'è aggiunto Filippo, "lo immagino anch'io; però abbiamo capito che creerà un regno di totale pace, e d'altronde non è forse promesso dalle Scritture?". Quando i condiscepoli m’hanno riferito quelle parole del Maestro, ho riflettuto anch'io, e penso d'aver capito almeno questo: Gesú vuol avere le folle dalla sua prima di prendere il potere. Assicurare la giustizia è di certo il modo migliore per ingraziarsele: chi, essendo un poveraccio, non seguirebbe colui che lo comprende e gli promette giustizia?! Penso che, inoltre, abbia voluto far sapere che sarà un re mite. Una cosa è comunque certa, che Gesú è il Messia: quello stesso giorno, mentre stavano per arrivare a casa, ha detto ai discepoli: "Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Torah o i profeti; non sono venuto per questo ma per dare compimento, perché si capisca che la giustizia non viene dall'osservanza di formalità e nemmeno, soltanto, dal seguire i comandamenti, come fanno certi farisei che s'illudono d'essere santi, ma viene dal perdonare gratuitamente. A che serve pregare l’Altissimo se non si perdona?! A che serve non rubare se si odia qualcuno?! Non bisogna rubare e neppure bisogna odiare. Ordina il Signore nel Levitico: Desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te, e l’Altissimo non dice solo per il prossimo amico; e nei Proverbi ci dice: Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere; così voi dovete fare il bene a tutti, anche agli avversari". È chiaro che Gesú ha inteso proclamarsi ufficialmente il re Unto, il Messia promesso dalle Scritture, ché dopo pochi passi ha aggiunto: "Vi dico in verità: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure il più piccolo segno dell'alfabeto della Legge, neppure il puntino dello jod, o un trattino, senza che tutto quanto ho detto sia compiuto. Chi trasgredirà uno solo dei miei precetti d’amore, anche minimi, e insegnerà agli altri a fare lo stesso sarà considerato minimo nel regno dei cieli": egli ha detto "miei precetti", miei per evidenziare ch’egli è senz’altro il Messia del Signore che parla come sua voce. Ha continuato: "Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini sarà considerato grande nel regno dei cieli. Vi dico che se la vostra giustizia non supererà quella solo formale degli scribi e di quei farisei ipocriti che ruotano attorno al sinedrio, non entrerete nel regno dei cieli". Ho capito che noi discepoli dobbiamo essere concretamente giusti per ingraziarci il popolo, altrimenti non saremo nominati ministri del regno o, peggio ancora, ne saremo esclusi. Chi sa perché lo chiama "dei cieli"? Sarà questo il nome che gli darà? Poiché l’Altissimo non può essere mai chiamato col suo vero nome, cielo oppure regno dei cieli è da sempre una delle espressioni che lo designano. Sarebbe dunque come chiamare il nuovo regno: l’Altissimo. D'altra parte, essendo Gesú il suo Messia, forse proprio questo vuole l’Altissimo, un regno dove venire lui stesso a passeggiare, come faceva nell'Eden; anzi, che in qualche modo coincida con lui: il pensiero m’è venuto proprio spontaneo, anche se non mi è chiaro.

Giacomo Bar Zebedeo m’ha raccontato che, giorni dopo il discorso sull’altura, e questo lo sapevo anch'io perché la notizia era corsa, uno zelota ha tagliato la gola a tradimento a un soldato d’una decuria di ronda, isolatosi un momento per un suo bisogno corporale; l’uomo non ha fatto in tempo a fiatare prima di morire e accasciarsi sul suo sterco, ma l’assassino è stato visto, benché circospetto, allontanarsi tra i cespugli dal decurione, che s’è insospettito e l’ha fatto catturare. Poco dopo s’è scoperto il cadavere e i superstiti hanno caricato di legnate il partigiano. Il Maestro l’ha poi visto percorrere sanguinante in mezzo ai soldati la via centrale della città, in catene, verso la caserma dove sarebbe stato processato e condannato alla crocifissione; il suo cadavere sarebbe stato lasciato in pasto ai rapaci per tre giorni, prima d’essere calato dalla croce. Intanto, nel vederlo passare Gesú ha avuto per lui, che pesto com’era si trascinava con enorme fatica e grave dolore, un'espressione di gran compatimento. Quando l'uomo e i militi non sono più stati alla vista, il Maestro ha rivolto lo sguardo ai suoi discepoli e ha detto loro: "Sapete ch’è antico precetto di non assassinare e che chi ha ucciso dev’essere processato. Io dico di più: chiunque si arrabbia col prossimo sarà sottoposto a giudizio, o chi lo diffama dicendolo falsamente stupido, oppure pazzo, così danneggiandolo nei quotidiani rapporti umani31 ; e il reo sarà condannato alla Geenna". Penso che con Geenna abbia inteso pena di morte. Sappiamo infatti, dal libro di Geremia, che il luogo era usato anticamente dai pagani per i sacrifici umani a Moloc, il principe delle mosche. Oggi, com’è noto, è l'immondezzaio di Gerusalemme e vi si bruciano le cose inutili, così che finiscano per sempre nel nulla. Invero c'è chi dice che il fumo non è il nulla, ma comunemente la gente intende così. I condannati a morte dal re Unto saranno bruciati in quel luogo pestifero e fatti cadere per sempre nel nulla?32 Certo che essere bruciati solo per un insulto, e per di più tra le immondizie...! Forse questo non piacerà al popolo: vorrei dirlo a Gesú, ma non oso. Il Maestro, e questa me l'ha riferita Giovannino, ha aggiunto: "…dunque, se mentre presenti l'offerta all'altare ti ricordi che uno ha qualcosa contro di te, lascia il dono, riconciliati e poi torna a offrire il dono: è inutile pregare se non si cerca prima la pace col prossimo, perché il cielo non ascolta. Se sei inadempiente, chiunque sia il tuo creditore accordati con lui in qualche modo non appena lo incontri per via, così ch’egli non ti denunci e il giudice non ti faccia incarcerare da una guardia, poiché nessuno esce di prigione sino a che non abbia pagato fin all'ultimo spicciolo del suo debito". Forse non a tutti i creditori piacerà d’accordarsi per una cifra minore di quella loro spettante ma, per me, è meglio una parte dei soldi e il debitore libero piuttosto che il debitore in prigione e nessun pagamento: il Maestro ha molto buon senso. Secondo il giovane Giovanni però, Gesú non s'è riferito tanto ai debiti pecuniari quanto, in generale, a qualunque obbligazione, anche morale, ha inteso cioè dire del perdono.

Un sabato, mentr’era in sinagoga, Gesú ha udito Zebedeo padre di Giacomo e Giovanni giurare davanti ai rotoli della Torah a un certo Geremia, carpentiere, che gli avrebbe pagato puntualmente il prezzo se gli avesse costruito una barca nuova. All'uscita il Maestro ha colto l'occasione per ammaestrare i discepoli così: "Avete inteso che fu detto dagli antichi di non spergiurare e di mantenere i giuramenti davanti all’Altissimo; però io vi dico di non giurare affatto, né per il cielo né per la terra né per Gerusalemme, e neppure sul vostro capo, ché neppure un suo capello vi appartiene. Invece il vostro parlare sia sì, sì; no, no. Il resto viene dal maligno". Gli ha domandato Giovannino con dispiacere: "Mio padre è stato ispirato da Satana?". "No, solo d’ora in poi ha da essere così. Prima non era stato rivelato. La rivelazione dell’Altissimo è progressiva e io sono venuto a completarla. Ascolta, Giovanni: più tardi va' col tuo parente a casa del vostro babbo e, quando nessun altro ascolta, perché non sia umiliato, ditegli da parte mia che l’Altissimo non vuole si giuri". Ahi loro! I due poveracci sono ritornati dal Maestro doloranti per le botte che Zebedeo aveva loro comminato sul groppone gridando: "Tornate qui a lavorare invece d'insegnare a vostro padre, imbecilli pelandroni presuntuosi!". "Quell'uomo ancora non sceglie di salvarsi", ha commentato tristemente Gesú, "eppure, un genitore dovrebbe volere la libertà dei figli adulti, non il proprio orgoglio e il proprio tornaconto; ma io pregherò l’Altissimo per lui".

Tempo dopo, com’è ben noto in tutto il paese, s’è acceso un duello tra due vignaioli che lavoravano presso lo stesso padrone. L'uno, un certo Amos, s’era invaghito della sposa dell’altro, chiamato Saulo, e quel cattivo giorno, dopo che il marito era uscito per la fatica quotidiana, invece d'andare egli pure al lavoro è entrato nella loro casa, ha legato e imbavagliato la donna, di nome Giuditta, e se l’è caricata sul suo asino per portarsela in un altro paese. Qualcuno però, di lontano, l'ha visto partirsene con la prigioniera ed è corso ad avvisare il marito che, ottenuto dal padrone un cavallo, s’è lanciato all’inseguimento. Raggiunto il rapitore ha visto che la moglie era liberissima e procedeva con l’uomo di propria volontà: evidentemente era stata una messa in scena per salvare, in paese, l’onore della donna se qualcuno li avesse visti partire. Come poi avrebbe raccontato davanti all’assemblea dei concittadini, colmo d’ira il tradito ha estratto il coltello. L’altro non s’è fatto intimidire, tanto più che lei l’ha incitato a ucciderle lo sposo: ha cavato la sua sica e ha cercato di colpire il rivale alla gola. Questi è riuscito in parte ad abbassarsi, così che il fendente gli ha accecato un occhio invece d’ammazzarlo. Nonostante l’atroce ferita, in risposta lui ha trafitto il rapitore, prendendolo in pieno petto e uccidendolo; poi, sulla base del principio antico dell’occhio per occhio, ha appunto cavato un occhio al cadavere, l'ha buttato in terra e l'ha schiacciato sotto un piede; quindi ha rincorso la moglie che stava scappando, l'ha agguantata, l'ha picchiata, l'ha legata e se l’è ripresa. Tornato in paese, Saulo il guercio, come da allora viene chiamato, ha accusato pubblicamente la sposa d’adulterio e, ottenuta l’approvazione dei compaesani, insieme con alcuni di loro, che tenevano ferma la donna, l’ha strozzata33 . In base alla Legge anche tutti i suoi atti contro il defunto Saul erano stati leciti e non ha avuto noie. Conosciuto il fatto però, come Andrea m’ha raccontato, Gesú ha detto ai miei condiscepoli: "Quando quell’uomo ha capito che la donna era consenziente, doveva cercare di convincerla a tornare, invece d’estrarre l’arma; e se sua moglie non ne voleva proprio sapere, doveva lasciar andar via i due peccatori: nel loro stesso peccato avevano già condanna davanti all’Altissimo. Anche se fu detto occhio per occhio e dente per dente, io vi dico: d'ora in poi non opponetevi al malvagio. La perfezione è questa, che se uno vi schiaffeggia sulla guancia destra, voi porgiate la sinistra per un nuovo schiaffo..." "Dobbiamo farci riempire di botte dai nemici, Maestro?!" l'ha interrotto preoccupatissimo l'impetuoso Simone. Pazientemente, Gesú gli ha risposto: "Capisco che non conosci appieno la nostra simbologia. No, quanto ho detto significa, al di là del simbolo, che non dovete prendervi vendetta giammai e che dovete essere disposti a ricevere ancora male dall’aggressore, sempre senza farlo pagare. Se dunque vi chiamano ingiustamente in giudizio per togliervi la tunica, voi date subito anche il mantello, o se pretendono il mantello, voi donate pure la tunica; se poi vi si vuole costringere a fare un pezzo di strada, come fanno i soldati romani quand’ordinano ai passanti di portare i loro fardelli, fatene il doppio; se ne avete i mezzi e vi chiedono un prestito, datelo, invece d'allontanarvi. Voi dovete imparare ad amare gli avversari e i vostri persecutori e a pregare per loro. Così, Giacomo e Giovanni devono pregare per Zebedeo loro padre che, nella sua superbia, li odia". "Maestro, qual è il miglior modo di pregare?" gli ha chiesto Giovannino. "Pregando, non usate tante parole, perché non sono le tante parole che piacciono all’Altissimo. Egli sa di cosa abbisognate prima che apriate bocca. Ecco dunque come dovete pregare il Padre vostro che è l’Altissimo:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome;

venga il tuo regno;

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

e rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori

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