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Vivere La Vita
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Mentre nel mio stare bene, mi stavo quasi sollevando da terra, ho sentito la mano decisa, ormai conosciuta, della mia cugina salvatrice, che mi trascinava a raggiungere tutti gli altri bambini già partiti per andare nel Paradiso, dietro alla stalla.

Quando siamo arrivati, ho visto che c'erano anche altri bambini che non avevo mai visto prima.

Erano di varie misure, quasi tutti più grandi di me e guardando bene i loro modi di fare, di vestire, sentirli come parlavano, mi sembravano diversi tra di loro. Poi, giocando in totale libertà nel Paradiso senza vedere e sentire nessun grande vicino, parlando tra di noi, ho capito che ci eravamo incontrati, perché tutti noi, da tante città, avevamo appena fatto la stessa cosa.

Eravamo venuti in campagna, per trovare i nonni.

Per un lungo tempo, dal correre dietro ad un pallone, tutti insieme in un grande disordine, al fare le capriole, salire, scendere ed ogni tanto anche cadere dagli alberi o rincorrerci sul bel prato, abbiamo fatto un po' di tutto. Più passava il tempo, più stavamo scoprendo che eravamo tutti affannati, sudati e con i vestiti molto dipinti dai forti colori della terra, dell'erba, degli alberi e di qualche frutto schiacciato per terra. Poi, in un certo momento, è stato interrotto tutto dalla voce di una donna che da l'altra parte della stalla, ci chiamava ad andare per mangiare qualcosa di buono. Mentre la voce della donna diceva ancora qualcosa, un'altra voce, vicinissima a me, gridava: < chi arriva l'ultimo è... >

Dopo, non ho più capito nulla perché, seguivo i più grandi che correvano già.

Il problema grosso è stato, quando dal piccolo cancelletto, di fianco alla stalla, non siamo riusciti a passare tutti insieme e forse, quello era anche il segnale che il nostro Paradiso finiva li.

Eravamo tornati nel cortile.

Siamo entrati tutti in casa dall'ultima porta verso la stalla, lì dove non ero ancora entrato.

Era una stanza molto grande e piena di gente in quel momento. Molti di loro non avevo mai visto prima. Non sono riuscito a capire quasi nulla di come era fatta quella camera, ma dai profumi che sentivo, ero sicuro di essere entrati nella cucina. Nell'attimo dopo, mi sono visto d'avanti una faccia molto, molto bella.

Non lo so se era una ragazza grande, o una donna molto giovane, ma so che il profumo delle creps sul grosso piatto nelle sue mani, in quel momento d'avanti al mio naso, non mi faceva più pensare a niente altro, e prima ancora di sentire la sua voce, stavo già masticando il primo boccone.

Appena assaggiata ho sentito che era ancora più buona di quello che pensavo.

Era molto soffice e dentro aveva una marmellata scura, con un gusto che conoscevo molto bene, perché ogni tanto a casa, mentre mi gustavo quella buonissima marmellata, sentivo che era la marmellata di prugne fatta e mandata dalla nonna.

Dopo la prima, è arrivata anche la seconda, la terza ed inutile dire che nella fretta di mandarle giù per poter prendere subito un'altra prima che finivano, un po' di quella buona marmellata, invece di finire n bocca finiva sui vestiti, provocando un grande dolore, perché andava sprecata.

Mentre noi piccoli stavamo svuotando il vassoio delle creps ed il contenitore dell'acqua fresca, i grandi che riuscivo a vedere sempre meglio nella bassa luce della cucina, donne e uomini, continuavano i loro racconti.

I posti dove ci si poteva sedere o stare comodi, erano tutti pieni ed era molto bello vederli, ma la cosa ancora più bella era che oltre il silenzio disturbato soltanto dalle loro voci, nei loro racconti, si sentiva una grande pace in quale ci siamo persi anche noi piccoli, ognuno appoggiato alla sua mamma come i cuccioli, ascoltando quelle storie dei grandi.

Era una di quelle cose che mi facevano sentire tranquillo e sazio.

Beato.

La tranquillità è aumentata sempre di più, vedendo che nessuno dei grandi protestava per i nostri vestiti molto sporchi. Come se nessuno vedeva niente.

Il motivo non lo sapevo, ma sentivo che era un giorno di grande festa per tutti.

Poi, quando dalla finestra ho visto che il sole cominciava a scendere per andare a dormire, la cucina è cominciata a svuotarsi finché siamo rimasti: noi quattro, con i miei nonni, le mie cuginette e la loro mamma.

Loro abitavano li, sulla stessa via, molto vicino ai nonni ed il loro papà non c'era, perché al lavoro.

Quasi subito dopo, mentre si alzava, il mio nonno ha chiesto a noi piccoli se volevamo darli una mano nel suo lavoro.

Stava ancora parlando quando è uscito di casa, ma con tutti noi già intorno a lui.

Seguendolo in tutto quello che faceva, ci siamo trovati dietro casa nel cortile delle galline, e mentre lui buttava per terra da un grosso contenitore dei bellissimi chicchi gialli, insegnandoci che erano di grano turco, guardavamo la calca che si era formata attorno a noi.

Vedendo sorridevo, perché sembravamo noi con il piatto delle creps.

Finito lì, il nonno ci ha dato il compito di tornare tra un po’, per chiudere tutte le gabbie dopo che ogni creatura sarà entrata al suo posto per la notte, poi siamo ritornati nel cortile. Insieme a lui, per la prima volta mi sono avvicinato al cane e mentre le dava da mangiare lo toccato.

Per me è stato come volare sulla luna.

Era la prova di coraggio più grossa mai fatta fino in quel momento della mia vita.

Quasi subito dopo, guardandolo bene, mi è sembrato di vedere che non aveva la faccia di un cane cattivo, anzi. Purtroppo, non ho fatto in tempo a concludere tutti i miei pensieri e preparare i miei progetti futuri su come fare amicizia con il cane, perché ci siamo trovati nella casetta dei maiali ed anche loro, come le galline prima, facevano un gran rumore. C'era una spinta ed un movimento continuo alla ricerca del posto migliore, mentre mangiavano molto veloce e con tanto appetito. Dopo un po' di risate ed un po' di carezze, siamo usciti per poi entrare nella stalla.

Siamo entrati da una porta diversa di prima ed appena dentro, dopo aver preso un attrezzo che sembrava una nostra forchetta da tavola, ma con quale poteva mangiare un gigante, mio nonno ha cominciato a tirare giù del fieno, dalla parte alta della stalla. Faceva un bel rumore mentre cadeva giù ed il profumo era ancora più buono di quello del materasso. Poi, ha aperto una piccola porta di legno dentro la parete ed è stato bellissimo vedere comparire da l'altra parte l'immensa testa di Viola, la mucca nella stalla. Era così grande che non ci stava tutta nella porta ed il suo faccione buono, non metteva paura. Anzi, ci ha dato il coraggio di accarezzarla uno alla volta, anche se le sue corna erano molto grosse e la lingua molto ruvida.

Quando il nonno ha cominciato a mettere il fieno nella sua mangiatoia attraverso la piccola porta, sembrava che si capivano benissimo, perché lei, con dei movimenti lunghi e molto lenti, dopo essere quasi uscita dalla piccola porta quando l'abbiamo accarezzata, ha tirato indietro la testa, lasciando lo spazio al nonno per metterle il cibo.

Al lavoro finito, siamo usciti dal cortile ed eravamo sulla via di terra.

Dopo aver fatto pochissima strada, ci siamo trovati d'avanti ad un piccolo fiumiciattolo che scorreva tranquillo e senza fare nessun tipo di rumore. Mentre il mio nonno stava riempiendo i due secchi che aveva portato, un po' più su, ho visto una piccola diga. Fatta di pezzi di legno, erba e terra. Le mie cugine mi hanno subito spiegato che quello è il posto dove i bambini vanno a giocare nelle giornate molto calde.

Appena ritornati nel cortile con i due secchi pieni di acqua, siamo andati subito alla stalla. Questa volta siamo entrati dentro, lì dove c'era Viola ed il suo piccolo. Mentre lei, sempre con dei movimenti molto lenti, ha cominciato a bere, finalmente

ho visto il piccolo in piedi che si era avvicinato al muso della madre. Un vitellino così bello, non avevo mai visto neanche nei più bei cartoni animati, e mentre le stava vicino, il nonno ha detto a tutti noi che lo potevamo toccare se non avevamo paura.

Aveva gli stessi colori della madre.

Era così caldo e morbido come nessun'altra cosa mai toccata prima.

È stata la cosa più meravigliosa di quella giornata.

La ciliegina sulla torta di quella giornata che era già stata la più bella della mia vita fino in quel momento.

Uscendo dalla stalla, mi stavo già godendo in pieno i conti di quante cose bellissime avevo visto e vissuto in quel giorno, ma senza riuscire a finire nulla, perché la mia cugina salvatrice, mi ha detto che stava per arrivare il momento più bello.

Mentre il nonno entrava nella cucina, noi siamo ritornati nella stalla con la nonna.

Aveva nelle mani un piccolo sgabello, un grosso secchio di metallo smaltato bianco ed una grossa tazza, uguale al secchio.

Appena entrati, dopo aver messo lo sgabello vicino alle gambe dietro, di fianco alla Viola, con il secchio per terra tra le sue gambe, la nonna ha cominciato a mungere.

Era bellissimo.

Mungeva con tutte due le mani ed il latte usciva così forte che faceva un bel rumore mentre colpiva il metallo del secchio vuoto. Poi, piano piano, il rumore non era più di metallo, ma di un qualcosa che non conoscevo, perché mai sentito prima e mentre guardavo nel secchio, dopo che mi ero avvicinato alla nonna, ho capito che quel bel rumore profondo, sconosciuto, era il rumore della tanta schiuma molto bianca e molto morbida, che faceva il latte appena munto.

Guardavo senza fiatare la nonna come mungeva con una mano sola nella grossa tazza che teneva con l'altra mano. Quando era quasi piena me la data, dicendomi di bere insieme alle mie cugine.

Non avevo mai visto prima una cosa così.

Appena toccata la tazza, ho sentito che era molto più calda di come era l'aria fuori, ma molto meno calda di come sono gli oggetti appena tolti dalla cucina.

Un caldo molto piacevole, morbido e delicato.

Appena ho provato ad assaggiare, non ho sentito il latte, ma la schiuma molto soffice e di un leggero così fine, come non ho mai avuto prima sulle labbra. Appena in bocca, si scioglieva subito, più veloce del gelato e senza lasciare nessuna traccia.

La cosa più speciale mai assaggiata.

Poi e arrivato il latte.

Era quasi dolce di gusto, e se non avessi saputo che era latte, avrei pensato che è gelato sciolto per come lo sentivo mentre scendeva nella mia pancia. Meno liquido di quello del negozio e scendeva più lentamente. Quasi da non riuscire a capire bene, se è panna o latte. In bocca, si sentiva e lasciava una cosa buonissima, indescrivibile. Mi è sempre piaciuto condividere tutto con tutti, ma in quel momento, quella tazza più grossa di me, l'avrei bevuta da solo, senza neanche respirare.

Quando stavamo ritornando nella cucina, il buio si stava già mescolando con la luce.

Entrando in casa, ho capito cos'erano quei bei lampadari con il liquido dentro, perché quello della cucina era già acceso e la sua fiammella in continuo movimento, faceva una bella luce. Abbastanza forte da poter vedere bene tutto nella cucina. Molto piacevole da guardare senza sentire nessun fastidio.

Dopo aver finito il lavoro con il latte appena munto, mia nonna ha cominciato a preparare la cena.

Non ho fatto in tempo a capire bene cosa aveva fatto e cosa aveva messo nella pentola, perché un'altra sorpresa mi è venuta addosso rotolando.

È andata con la pentola nell'angolo più lontano, dove c'era un mobile in metallo e quando dalla parte di sopra ha tolto un po' di cerchi in ferro di misure diverse tra loro, di dentro è come saltato fuori il fuoco.

Nell'attimo dopo ero vicino a lei, per capire che cos'era.

Dentro, un grande fuoco ballava e si muoveva da tutte le parti, molto forte, deciso, senza mai fermarsi.

Ho capito che quel strano mobile chiamato stufa era la sua cucina.

Quando mi sono di nuovo seduto e mentre la pentola ed il suo coperchio, stavano già facendo dei rumori molto divertenti, mio nonno ha aperto una piccola porticina sotto la pentola, sul lato della stufa, dicendomi di guardare il fuoco.

Il buio fuori, aveva preso completamente il posto della luce ed in quel momento, tutto il mondo era in quella stanza.

Fuori non esisteva più nulla.

Dentro casa, il silenzio, la tranquillità, la pace assoluta.

La piccola lucina del lampadario ballava sulle pareti e sul soffitto in legno.

Il gatto sotto la stufa, stava quasi russando.

Il rumore sempre più forte e divertente della pentola.

Il fuoco che cambiava sempre il colore, dal giallo forte e luminoso all'arancione molto intenso, con dentro ogni tanto delle lingue rosse come il sangue, lingue che erano blu appena partite dal legno che bruciava.

Il rumore del fuoco ed ogni tanto i botti che sentivo dentro la stufa e quando capitava, nell'attimo dopo, si riempiva tutta con tantissime piccole scintille molto luminose che saltellavano in tutte le direzioni.

Le persone che si erano trovate ognuna il proprio posto e stando in silenzio si gustavano lo spettacolo.

Sembrava una bellissima favola che donava tantissima pace, tranquillità, serenità, sicurezza.

Tutto questo, mi faceva sentire sazio e beato.

Cosi sazio, da poter andare a dormire senza neanche mangiare del cibo.

Il cielo sereno e pieno di stelle, come non lo avevo mai visto, che mi ha fatto vedere mio padre prima di andare a dormire, è stata l'ultima meraviglia vista in quel giorno fatto di solo meraviglie.

Era stata la giornata più bella, intensa, interessante, fino in quel momento della mia vita.

Ricca di cose nuove, insegnamenti e tante amicizie.

Spensierata, movimentata e vissuta in pieno ad ogni respiro.

Con tutto ciò, la stanchezza non si era mai vista, anzi, sentivo soltanto la soddisfazione, la serenità, la gioia, la tranquillità e la pace assoluta che vivevo in quel preciso momento.

Sarei potuto ripartire subito per un nuovo giorno, senza neanche riposare.

Tutti i gironi che sono seguiti, sono stati uno meglio dell'altro.

Li passavo sempre insieme ai miei nuovi amici, nel nostro Paradiso, o nei Paradisi dei loro nonni.

Nella “nostra piscina” sul fiumiciattolo.

In mezzo ai campi, oppure sulle colline, mentre i grandi lavoravano il fieno.

Era tutto bellissimo e qualsiasi cosa si viveva, dentro me, mi faceva stare bene come mai prima.

Mi faceva sentire più libero che mai.

Beato.

Tutto è stato interrotto una mattina, quando mia mamma ha cominciato a fare cose strane, che non aveva mai fatto prima in quei giorni da sogno.

Mi ha svegliato e fatto scendere dal letto molto presto, anche se di solito dormivo quanto volevo. Fatto lavare e mangiare senza più lasciarmi tutto il tempo che volevo. Poi, mi ha vestito con dei bei vestiti da città ed era per la prima volta da quando eravamo arrivati, che mi diceva di fare attenzione a non sporcarmi.

Non ho chiesto nulla, ma cominciavo a preoccuparmi per mia mamma.

I comportamenti non erano più come quelli tranquilli e morbidi dei giorni prima e lei non era più serena e rilassata.

Speravo soltanto che se le era successo qualcosa, non era molto grave.

Con lei per mano, siamo usciti dal cortile ed abbiamo cominciato a camminare e più andavamo avanti, più vedevo che stavamo facendo al contrario, la strada che avevamo fatto insieme al nonno, appena arrivati con l'autobus.

Arrivati quasi al punto dove eravamo scesi, siamo entrati nel cortile di una casa molto grande, sull'altro lato della strada.

Sentivo già il cuore nel petto che cominciava di nuovo a correre, ma appena siamo arrivati nel bel parco verde dietro alla grande casa, il cuore è tornato a camminare, perché lì, c'erano quasi tutti i miei nuovi amici.

Ognuno, con la sua mamma.

Tutti vestiti da città, non più da battaglia.

Non mi piaceva tanto quello che stava succedendo, perché ognuno di noi, tenuto per mano dalla sua mamma, non era più libero di fare quello che voleva e le facce delle mie amiche e dei miei amici, sembravano più triste di quelle che conoscevo già abbastanza bene.

Non vedevo la mia, ma eravamo della stessa squadra.

Quasi subito è arrivata una signora che non avevo mai visto prima ed insieme a lei, siamo entrati tutti, nella grande casa e poi, dopo pochi passi, in una grossa camera piena di tavolini e sedie.

Tutte a nostra misura.

Appena entrati, ho sentito la mia seconda mano tornare libera.

Anche se dentro la grossa camera, c'era tutto il nostro gruppo di amici, mentre ognuno di noi si sedeva su una sedia, non si sentiva più quella cosa tranquilla e bella che ci faceva stare bene tutti insieme, ma una cosa diversa.

Sembrava che eravamo uniti, perché stavamo soffrendo tutti nello stesso modo e non più perché ci stavamo divertendo.

Forse aiutati dagli alberi e dal tanto verde che si vedevano nel parco attraverso le grandi finestre, ancora di più dal canto degli uccellini che si sentivano fuori e molto dal profumo della buona aria che entrava, un po' di serenità stava quasi tornando.

All'improvviso, come ad un segnale, tutte le mamme sono andate via.

Rimasti soltanto con la nuova signora, lei ha cominciato a tirare fuori dai grossi armadi, dei giochi di plastica ed altre cose che non avevo mai visto prima.

Con il suo aiuto, abbiamo imparato come si usavano e come si poteva giocare con tutte quelle cose nuove per me.

Era tutto bello, ma non così bello come era quando eravamo noi da soli.

Stavamo tutti giocando e stavamo bene, ma non eravamo allegri e gioiosi come sempre.

Si rideva molto meno e le facce dei miei amichetti sembravano più tristi.

Di sicuro, lo era anche la mia, perché dentro mi sentivo così.

Poi, siamo usciti fuori, nel grande parco ed anche se era molto bello, con tanti giochi, il nostro Paradiso era un'altra cosa.

Non lo so quanto tempo era passato, ma quando il sole era abbastanza alto, luminoso e forte, le mamme sono tornate tutte e dopo aver salutato la nuova signora, siamo andati via.

Arrivati a casa dei nonni, ho capito che era il momento giusto per il pranzo e mentre si mangiava, più di una volta ho sentito i grandi che dicevano guardando me: < è pronto! >.

Non ho dato tanta importanza, perché pensavo già al bel pomeriggio da passare con i miei amici nel Paradiso, o da qualche altra parte.

Da lì a poco, è arrivato il momento di ritornare a casa nostra.

Non mi dispiaceva, ma rimpiangevo e piangevo forte per tutto quello che lasciavo.

Sono riuscito a fermarmi dal pianto, soltanto quando il mio nonno, mi ha detto di pensare a quanto sarà bello il prossimo anno, quando sarò più grande e potrò fare cose ancora più belle di quelle appena fatte e vissute.

Tornati a casa, quasi subito siamo andati tutti insieme a comprare quello che serviva al mio fratello per la scuola e quello che serviva a me per andare al' asilo.

Perché ero pronto!

L'immenso mondo fuori casa

Entravamo ed uscivamo tutti insieme in dei negozi dove non ero mai andato prima.

C'era tanta gente, tanta confusione e la cosa non mi piaceva.

Riuscivo a rimanere un po' contento soltanto perché erano tanti bambini e bambine di tutte le misure. Poi c'era un po', ma soltanto un po' di curiosità per quei vestiti che mi dovevano comprare per andare all'asilo.

La curiosità è stata quasi subito esaurita, e dopo che mi hanno fatto provare quella specie di vestito da donna chiamato grembiulino, che non vedevo l'ora di togliere, e quella specie di borsetta come quella del postino ma a mia misura, anche quella poca curiosità era scomparsa.

Non vedevo l'ora di tornare a casa.

Appena arrivati a casa, sono andato subito dalle mie macchinine, perché il discorso dell'asilo per me era già chiuso.

L'unica cosa buona in quel momento era l'entusiasmo di mio fratello per l'elegante vestito che doveva indossare a scuola e la montagna di quaderni, matite colorate, birro, pene stilografiche e tante altre cose nuove ed interessanti che riempivano il tavolo in quel momento.

Soltanto dopo qualche giorno, quando ero da solo con mia mamma, mi ha detto che dovevo indossare di nuovo il grembiulino, per vedere se andava tutto bene.

Dopo averlo fatto, mia mamma mi aveva chiesto di tenere i miei due indici tesi ed intorno, è passata più volte con una fascia rossa di seta larga quanto le mie dita, che ha fatto diventare all'improvviso, una bella farfallina.

Vestito e con la farfallina intorno al colo, mi sono visto per la prima volta allo specchio.

Sembrava tutto meno brutto di come pensavo.

Con il grembiulino celeste chiarissimo come il cielo di fine estate, il colletto bianco con una forma buffa ma divertente e d'avanti quella grande farfalla rossa di setta quasi trasparente, con appesa a tracollo quella borsetta marrone molto chiaro, ero pronto per cominciare l'asilo.

Ho capito che protestare non serviva.

Il secondo giorno, con mia mamma per mano, dopo aver indossato di nuovo tutto e dopo che nella borsetta mi aveva messo del cibo ed un bicchiere di plastica per poter bere, siamo usciti di casa e siamo andati in una direzione dove non ero mai stato prima.

Dopo aver fatto non tanta strada, siamo passati attraverso un grosso cancello di ferro, oltre una recinzione in cemento che non lasciava vedere nulla da l'altra parte.

Appena entrati, mi sono sentito investito in pieno dalla testa ai piedi da un forte boato.

Era come se mi avesse investito un muro fatto da voci di bambini.

Erano così tanti che mi stavo chiedendo se si erano radunati, i bambini di tutto il mondo.

Di tutte le misure.

I maschietti, quasi tutti, erano vestiti come mio fratello.

Le femminucce, erano ancora più belle di loro.

Ho visto subito che ero della misura più piccola.

In un attimo, siamo andati oltre quel grande gruppo di bambini, nel' angolo più lontano di quel grosso cortile. Li c'era un gruppo molto, molto più piccolo di quello dei bambini più grandi, ma immenso nei confronti di quello dei miei amici, in campagna dai nonni.

Quando le mamme erano ancora con noi, ci hanno divisi in gruppi più piccoli e poi hanno fatto entrare ogni gruppo con la sua maestra, nella sua aula.

Le sedie ed i tavolini erano a nostra misura, come quelle in campagna nella grande casa. Poi, quando tutti insieme, prima le femminucce e poi i maschietti, siamo andati in bagno, ho visto che anche li, era tutto fatto a nostra misura.

Tutto molto bello.

Ho subito visto, fatto ed imparato cose nuove, ma erano tutte meno interessanti di quelle viste, fatte ed imparate a casa dei nonni.

Questo mi piaceva meno.

Tutte le mattine sarei rimasto a casa, perché dovevo andare e rimanere lì dentro per tanto tempo, troppo tempo. Fare tante volte gli stessi giochi che avevo imparato subito e che non mi divertivano più. Stare sempre nello stesso posto, con vicino a me sempre gli stessi due bambini, non potermi alzare ed andare da un amico, o un’amica per dire loro ciò che volevo, quando volevo, non mi piaceva.

Tutte quelle cose nuove, chiamate regole, mi facevano vivere in una sofferenza continua.

Come mai prima.

Stavo un po' meglio soltanto quando ci portavano nel cortile e ci lasciavano liberi, tutti insieme, con i nostri giochi, oppure quando dentro l'aula, ci dicevano che stavamo per fare del lavoro manovale ed ogni volta imparavo qualcosa di nuovo. Soprattutto, quando ci davano carta e matite per disegnare bastoncini, linee ed altre cose tutte in riga, una dietro l'altra sullo stesso foglio.

Stavo ancora meglio, quando mentre mangiavamo, scambiavo il mio cibo con quello del mio amico di fianco, oppure quando buttavo via qualcosa che non mi piaceva, senza che la maestra riusciva a vedere e capire nulla.

Era sempre una grande vittoria.

In tutto quel tempo, l'unico momento di vero sollievo è stato quando ho sentito che era arrivata la vacanza grande.

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