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Il Vento Dell'Amore - Saggio
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Guido Pagliarino

Il Vento dell'Amore

Saggio

Edizione

Economica

Copyright © 2018 Guido Pagliarino

All rights reserved

Book published by Tektime

Guido Pagliarino

Il Vento dell'Amore

Saggio

3a Edizione in E-book e 2a Edizione In Volume, senza immagini inyterne

Distribuzione Editrice Tektime

Copyright © 2018 Guido Pagliarino

Precedenti Edizioni:

1a Edizione in E-book, Smashwords Edition, ISBN 9781311241351, Copyright © 2015 Guido Pagliarino

2a Edizione in e-book e 1a Edizione in volume, con immagini interne a colori

Distribuzione Editrice Tektime

Copyright © 2018 Guido Pagliarino

La copertina di questo e-book è realizzata elettronicamente dall'autore; l'immagine inseritavi è il dipinto “Il Vento” di Vincent Van Gogh

Il Vento dell'Amore

Un approccio storico alla progressiva Rivelazione

di Dio-Amore nel Primo Testamento

Indice

INTRODUZIONE

PREMESSA - SULL'INFLUENZA DELLA STORIA SULLA BIBBIA

Capitolo I - DAL 1200 A.C. ALL’ETÀ DEL SECONDO TEMPIO

Gl’ideali eroici

Sulle mentalità enoteista e politeista presso gli Ebrei

Le deportazioni a Babilonia

Un periodo storico fondamentale

La religione del secondo tempio e la scuola teologica degli scribi e dei sacerdoti

Il sabato e la circoncisione

Una precisazione

Libri biblici post-esilici - Cenni

Tavole_fuori_testo contenenti l'elenco dei Libri dell'Antico testamento e le loro date approssimative di composizione

Capitolo II - LE BASILARI TRADIZIONI VETEROTESTAMENTARIE

Le quattro fonti e il Pentateuco

L'opera storiografica deuteronomist ica

Capitolo III - INFLUSSO DEL POLITEISMO SULLA BIBBIA

Cenno all'influenza del politeismo sulla figura biblica di Jahvè

In particolare: sul massacro di Gerico

Capitolo IV - PROGRESSIVITÀ DELLA RIVELAZIONE DEL DIO-AMORE UNIVERSALE

Progressività della Rivelazione

Il primo monoteismo: la religione monoteista egocentrica del faraone Akhenaton

La_nascita dell'idea di Dio universale e delle speranze in un messia e nella vita eterna

Continuità del Dio d'Israele nel Dio di Gesù

Perché Dio è Amore proprio e soltanto perché è Trinità unitaria

Alcuni aspetti del Padre nell'Antico Testamento

Allusione al Figlio nell’Antico Testamento

Presenza dello Spirito Santo nell’Antico Testamento

La sofferenza di Dio tra Antico e Nuovo testamento

L’unico comandamento di Cristo : amare

Appendice: Abbreviazioni, in ordine alfabetico, dei nomi dei libri biblici

INTRODUZIONE

Quest'opera contempla il Dio-Amore al servizio degli uomini già presente nell'Antico testamento, prima della Rivelazione neotestamentaria. Il taglio è storico e considera che la nota comune fra l'Antico e il Nuovo Testamento è il governo della storia da parte di Dio e che la Parola, secondo il sentire degli scrittori veterotestamentari, si rivela progressivamente nei secoli attraverso fatti storici, i quali inducono alla riflessione teologica. Si consideri che, com'è noto agli storici e ha espresso d'altro canto il concilio ecumenico Vaticano II nella sua costituzione Dei Verbum, il Testamento è sì “ispirato, e coloro che lo generarono furono ispirati nella misura in cui contribuirono alla sua costituzione”, e che non solo il Nuovo Testamento ma pure quello Antico “è parola di Dio e conserva un valore perenne”, ma dev’essere messo in conto che gli scritti del Vecchio Testamento “contengano anche cose imperfette e temporanee” e che “integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo significato nel Nuovo Testamento e, a loro volta, lo illuminano e lo spiegano” (“Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina Rivelazione”, nn. 14, 15, 16.); e con questo, ho fiducia che quei lettori che solo occasionalmente frequentano la Bibbia evitino, capitando su certi passi veterotestamentari dove Dio-Jahvè ordina o compie atti sanguinari, di prenderli alla lettera scandalizzandosi, mentre per contro spero, grazie alla citazione della Dei Verbum, che non sarò io, quando presenterò sezioni meramente umane e transeunti della Bibbia, a suscitare scandalo in qualche credente fondamentalista portato a leggere la Bibbia alla lettera: solo la risurrezione di Cristo non deve essere intesa in senso simbolico, pena altrimenti la caduta del Cristianesimo, checché ne pensasse l'ormai tralasciata, dai più, scuola mitica del teologo luterano Rudolf Bultmann e di altri autori quali il Marxen e il Dibelius.

Quella scuola, affermando che il Nuovo testamento è mitico, non si basava sulla scienza esegetica, ma sul pregiudizio razionalista di matrice liberale da cui la scuola mitica proveniva (cfr., tra molto altro, l'articolo di Giuseppe di Rosa S.I, anche reperibile sul web, in La Civiltà Cattolica, n. 125, Volume II, Quaderno 2971, 6 aprile 1974, “Ricciardetto e la sua vana ricerca di Dio”). Della scuola mitica avevo scritto anch'io nel saggio “Gesù, nato nel 6 “a.C.” crocifisso nel 30 – Un approccio storico”, fuori catalogo ma scaricabile gratuitamente da internet in formato e-book.

Aggiungo, sempre con la Dei Verbum (“Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina Rivelazione”, n. 12), che “per ricavare con esattezza il contenuto dei testi sacri, si deve badare al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura.”

Dopo una premessa sull'influenza della storia sulla Bibbia, andrò assai indietro rispetto all’epoca di Gesù, fin al 1200-1000 a.C., secoli in cui sorge in Palestina una prima tradizione orale che si rifletterà nella Bibbia. Passando per i duecento anni successivi, quelli dei primi re, discenderò ai secoli VIII - VI a.C., in cui sono scritti gl’iniziali testi profetici, in certe parti già annunciatori del Dio amoroso, ed è steso, quanto meno stando al testo biblico posteriore 2 Re (2 Re 22, 3-20), un abbozzo del Deuteronomio, perduto e ritrovato nel tempio nel 622 a.C. sotto il re Giosia: nel Deuteronomio Jahvè è Dio della Legge, difensore anzitutto del popolo minuto e in particolare dei poveri, a differenza di quello formalista-legalista, in primo luogo desideroso di culto, del libro Levitico. Discorrerò della deportazione a Babilonia del popolo d’Israele e dell’età della liberazione e del rimpatrio, su autorizzazione del re persiano Ciro II il Grande (590-529 a.C.) vincitore di Babilonia, e del secondo tempio, eretto tra il 536 e il 515 a.C. sulle rovine di quello di Salomone, ch'era stato costruito per suo ordine nel X secolo prima di Cristo ed era stato distrutto nel 586 a.C. dall'esercito del re babilonese Nabucodonosor. Parlerò poi di quel lungo periodo, detto in senso stretto del Giudaismo, che inizia nel VI secolo a.C. giungendo a oltrepassare d’un quarantennio il tempo di Gesù, periodo in cui si mette per iscritto la maggior parte dell’Antica Scrittura giunta a noi: è questa un’epoca essenziale per la formazione della coscienza politico-religiosa giudaica e per l’abbandono definitivo del politeismo: parlerò in merito della scuola teologica, formata da sacerdoti e scribi che, avendo conservato le tradizioni durante l’esilio e avendole tramandate ai successori, dal VI al IV secolo prima di Cristo in parte redige ex novo e in parte integra i libri del Pentateuco - Genesi, Esodo, Numeri, Levitico e Deuteronomio - nei quali Jahvè è, prima di tutto anche se non esclusivamente, il Dio della Legge che stipula un patto d’alleanza (testamento) giuridica con Israele: un Dio legislatore e giudice, in vari passi castigatore analogamente allo Jahvè già presentato dal profeta dell’VIII secolo Amos. La teologia sacerdotale ha una visione tutto sommato ottimistica, sacerdoti e scribi ritengono d’essere i favoriti di Jahvè e che sia possibile, almeno per loro, vivere da “giusti”, il che significa per essi praticare il culto e stare soggetti alle prescrizioni legali. I profeti sono invece radicalmente pessimisti, convinti che l’egoismo degli esseri umani abbia fondamenta profondissime e che solo Dio possa liberarli dal peccato, che riguarda tutti: è benedetto da Dio chi confida in lui e maledetto è l’uomo che ha fiducia in sé (anzitutto, sono bersagli proprio gli uomini del governo politico-religioso, sedicenti giusti) e s’affida ad altri uomini (in primo luogo, agli appartenenti alla propria cerchia di potere).

“Il Signore dice: ’Io condanno chi si allontana da me, perché ha fiducia nell'uomo e conta soltanto su mezzi umani. Costui sarà come un rovo che cresce nel deserto, in una terra arida, piena di sale, dove è impossibile vivere: non gli accadrà mai nulla di buono. Ma io benedico chi ha fiducia in me e cerca in me la sua sicurezza. Egli sarà come un albero che cresce vicino a un fiume e stende le sue radici fino all'acqua. Non dovrà temere quando viene il caldo, perché le sue foglie resteranno verdi. Neppure un anno di siccità gli farà danno: continuerà a produrre i suoi frutti’” (Ger 17, 5-8).

Le due linee, da una parte quella aristocratica dell’inflessibile giustizia e del primato delle forme del culto e, dall’altra, quella profetica dell’amore per i poveri e per gli stranieri e della pietà per i peccatori, coesistono e arriveranno fino a Gesù il quale, inserendosi in questa seconda via e, secondo i cristiani, concludendola, rivelerà che Dio non solo è Amore che perdona, ma serve l’uomo e vuole divinizzarlo assumendolo a sé dopo la morte, e si scontrerà perciò con le guide d’Israele, in particolare coi sacerdoti sadducei increduli sulla vita eterna, capi popolo propugnatori del giustiziere Jahvè della Legge, non del Dio-Amore.

Nell’uso ebraico i rotoli contenenti i cinque basilari testi storico-legislativi d’Israele sono definiti la Torà (Torah), parola derivante dal verbo jaràh, insegnare, che significa appunto insegnamento, ma sono pure chiamati i Rotoli della Legge o la Legge di Mosè o semplicemente la Legge. La tradizione ebraica indica i libri della Torà con la parola iniziale di ciascuno. Il termine italiano Pentateuco deriva dal greco e fa riferimento ai cinque (penta) contenitori (teuchos = contenitore) di quei rotoli. I titoli di questi libri si devono ai cosiddetti Settanta, numero convenzionale dei molti, in realtà imprecisati, studiosi incaricati da Tolomeo Filadelfo sovrano d’Egitto di tradurre la Bibbia dall’ebraico al greco verso la metà del III secolo a.C., che avrebbero compiuto l’opera in soli settantadue giorni.

Secondo certi critici la traduzione sarebbe da riferire al II secolo prima di Cristo. La datazione alla metà del III secolo a.C. deriva da un apocrifo celebrativo di Israele scritto in ambiente giudaico alessandrino, la Lettera di Aristea, opera in realtà d’ignoto autore, che parla appunto di questa traduzione: è fittiziamente attribuita ad Aristea, alto funzionario del re Tolomeo II Filadelfo tra il 285 e il 247. Anche il numero 70 dei traduttori e il numero 72 dei giorni in cui la tradizione è compiuta traggono da questo apocrifo (cfr. La bibbia apocrifa, Editrice Massimo s.a.s., 1990, p. 171 ss.).

I Settanta intitolarono quei rotoli considerandone il contenuto: Genesi (le origini), Esodo, l’uscita dall’Egitto degli Ebrei, Levitico, libro della legge dettata dai sacerdoti della tribù di Levi, Numeri, dalle varie enumerazioni contenute nei primi capitoli, Deuteronomio, ovvero la seconda legge, sempre dal greco. Per gli scribi del tempio di Gerusalemme e per i sacerdoti sadducei questo Pentateuco, questa Torà, era la sola Parola di Dio. Gli altri libri veterotestamentari, indicati in Israele sotto i nomi collettivi di Profeti e Scritti, erano accolti come ispirati, ma non ancora da tutti gli ebrei ai tempi di Gesù Cristo, solo in ambiente farisaico.

Parlerò dei documenti, o tradizioni, che gli studiosi considerano fonti sia del Pentateuco, sia dei successivi sei libri biblici detti storici anche se non esenti da idealizzazioni, secondo il modo antico, apologetico, di fare storia.

Tornerò quindi ancora indietro nel tempo e discenderò quindi nuovamente verso gli anni di Gesù, trattando del politeismo presso gli Ebrei, del primo monoteismo (non giudaico ma ideato, per ragioni meramente politiche, dal faraone Akhenaton), della miglior comprensione dell’amore di Dio da parte d’Israele, della nascita della speranza in un messia profeta, sacerdote, re e del sorgere dell’idea della vita eterna. La ricerca teologica del popolo giudaico, che secondo i fedeli è ricerca divinamente ispirata, scopre sempre più nel tempo un Dio diverso da quelli pagani prima adorati dagli Ebrei accanto a uno Jahvè che mostrava a sua volta l’inquietante caratteristica di voler essere temuto e servito pena gravi castighi. A un certo momento i redattori biblici cominciano a esprimerlo come il Dio che sì punisce, ma solo allo scopo amorevole di correggere: analogamente a quei genitori che, in passato, picchiavano violentemente i figli nell’illusione di renderli migliori. Finalmente, o parallelamente considerando le anticipazioni d’Osea e di qualche altro profeta, la ricerca religiosa arriva alla consapevolezza d’uno Jahvè fondamentalmente amoroso, di quel Dio cioè che sarà pienamente rivelato da Gesù come il puro Amore e, sia pur ancora imperfettamente, già sarà ben presente, nel corso degli ultimi due secoli prima di Cristo, nei più recenti libri della Prima Scrittura, detti i deuterocanonici nella Chiesa latina e greca; tali libri non sono di fede per la religione ebraica e nemmeno per i cristiani della riforma protestante che li definiscono apocrifi.

Il lettore incontrerà nel testo parti non del tutto essenziali che ho rese graficamente in corsivo: ho tenuto conto del lettore frettoloso ed egli,volendo, può saltarle. Per agevolare il frequentatore occasionale del Testamento, ho aggiunto un’appendice con le abbreviazioni dei nomi dei libri biblici.

Guido Pagliarino

PREMESSA - SULL'INFLUENZA DELLA STORIA SULLA BIBBIA

“Dio è amore”afferma al di là di ogni dubbio il Nuovo testamento nella prima lettera di Giovanni (1 Gv, 4, 8b), un'immagine ben diversa dalla fisionomia di un Dio corrucciato e tremendo che possiamo osservare nel Giudizio Universale di Michelangelo. Non si tratta d'un annuncio solo neotestamentario. Come vedremo, le fattezze del Dio-Amore, presentate in modo netto da Gesù di Nazareth con la parola e con l’esempio, erano andate già tracciandosi prima, nel corso della storia dell’antico Israele, riflettendosi, anche se non ancor appieno, nell'Antico testamento grazie in primo luogo a ispirati profeti. In quei libri, nondimeno, i lineamenti del Dio amoroso non appaiono assoluti, anzi essi differiscono dalla figura dello Jahvè (o del Jahvè se si pronunci Giavè e non Iavè) della Legge che troviamo in altri passi veterotestamentari, un'immagine severa che, come vedremo, origina dalla riflessione teologica non di profeti ma di sacerdoti e scribi del tempio.

Leggendo, si abbia sempre presente che l’argomento del governo della storia da parte della Provvidenza, indirizzato alla Salvezza dell’umanità, riguarda l'intera Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, e inoltre che ogni testo biblico è influenzato dalla situazione storica in cui s’è preparato ed è stato scritto. Ad esempio, la schiavitù dei Giudei in Babilonia e la loro liberazione da parte del re Ciro II, che incontreremo nel prossimo capitolo e si riaffaccerà nel corso del saggio, influenza i versetti della Bibbia che parlano della schiavitù in Egitto e dell’esodo degli Ebrei sotto la guida di Mosè, fatti storici che sono di molti secoli precedenti: per certi commentatori estremisti, il contenuto di tali testi sarebbe, addirittura, solo mitico-allegorico.

Scrive Carlo Buzzetti (in, di Carlo Buzzetti - con Carlo Ghidelli -, Le tappe della lettura della Bibbia. Come leggere una pagina biblica, come leggere una parabola, un discorso, un miracolo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2003.): “Ogni testo scritto sorge in un contesto vitale (o situazione originaria) di cui è espressione. Ma non sempre quella situazione delle origini può essere avvertita agevolmente da chi legge il testo; di solito ciò risulta abbastanza facile per i primi destinatari, per i primi lettori, poiché essi sono vicini; ma tale situazione si fa più oscura o più enigmatica o più ardua da conoscere per i lettori successivi che, invece, risultano piuttosto lontani. […] distinguiamo due fasi del compito teso a rendere esplicito il contesto implicito: prima, si cerca di ricostruire la situazione che il testo riflette; poi, si tende a una ricostruzione della situazione vissuta dall’autore del testo. Entrambe le fasi richiedono un certo impegno di indagine storica che, evidentemente, non può limitarsi al solo approccio diretto con il testo; chi legge deve considerare anche vari indizi forniti da altre voci più o meno contemporanee e in qualche modo parallele o convergenti rispetto a quel testo”

Ecco perché nel trattare il nostro tema di fondo, Dio-Amore nel Primo Testamento, dovremo esaminare, sia pure a grandi linee, le vicende storiche del popolo d’Israele e, quanto meno all'ingrosso e dove possibile, considerare la situazione personale dei redattori biblici; ad esempio vedremo che Esdra, motore principale anche se forse non redattore del Pentateuco, è mosso e aiutato dall’essere un funzionario giudeo del regno di Persia e un custode delle antiche tradizioni ebraiche, sopravvissute alla deportazione in Babilonia.

Inizieremo dall’epoca dei Giudici, verso la fine dell’Età del Bronzo.

Capitolo I

DAL 1200 A.C. ALL’ETÀ DEL SECONDO TEMPIO

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Bibliografia principale di questo capitolo: AA. VV. (a cura di David e Pat Alexander), Guida alla Bibbia, Edizioni Paoline – Roma, 1980; AA. VV. (Joseph Schreiner e collaboratori), Introduzione letteraria e teologica all’Antico Testamento, Edizioni Paoline s.r.l., quinta edizione 1990; AA. VV. (sotto la direzione di John A. Garraty e Peter Gay), Storia del mondo, Vol. I, Arnoldo Mondatori Editore, 1973; Abraham Cohen, Il Talmud, traduzione di Alfredo Toaff, Gius. Laterza & Figli S.p.A., Roma-Bari, 2003; Giovanni Filoramo, Giudaismo, in, di AA.VV., Manuale di storia delle religioni, Gius. Laterza & Figli, 1998; A cura di P. Bonsirven (scelta dei testi a traduzione dagli originali), Daniel-Rops (introduzione), Enrico Galbiati (presentazione), La Bibbia apocrifa, Editrice Massimo s.a.s., 1990; Edmondo Lupieri, capitoli Il Giudaismo del secondo tempio e le origini del Cristianesimo, pp. 7-19, e Radicalizzazione dell’osservanza e aperture ai non giudei (da Pompeo a Nerone), pp. 20-68, in, di AA. VV. (a cura di Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi), Storia del Cristianesimo, Gius. Laterza & Figli, vol I, 1997; Alviero Niccacci, La casa della sapienza, voci e volti della sapienza biblica, Edizioni San Paolo s.r.l., 1994; Giovanni Odasso, L’esilio come luogo di salvezza, in Leggere la storia come salvezza, numero monografico di Parola, Spirito e Vita - quaderni di lettura biblica, n. 1 gennaio-giugno 2003, Centro editoriale devoniano; Michel Morre, Dizionario Mondadori di Storia Universale, primo volume, Arnoldo Mondatori Editore, 1973; fonte internet: Enzo Cortese, articolo Per una teologia dello spirito nel tardo profetismo, Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem.

Gl’ideali eroici

L’Età del Bronzo viene chiusa da due serie d’invasioni. Una proviene da nord-est, è attuata dai Popoli del mare, come gli Egizi chiamano gl’invasori, e nel corso di questa sequela d’occupazioni, poco prima del 1200 a.C. le tribù dei Peleshei, detti Filistei dai Greci e nella Bibbia, prendono possesso della terra di Palestina dandole il nome, mentre il rimanente si sparpaglia in diverse zone attorno al Mediterraneo compiendo incursioni fin in Grecia e, forse, bruciandovi i palazzi di Micene e Pilo.

Il declino della civiltà micenea avvenne verso il 1200 a.C. per ragioni non ben chiarite. In seguito al rinvenimento a Pilo di tavolette cotte in un incendio del palazzo reale, è stata prospettata l'invasione dal mare poiché vi si parla di allestimenti militari per difendere le coste da un pericolo incombente d'invasione e in quanto, in quello stesso periodo, era stata posta in grave difficoltà la civiltà egiziana e abbattuta quella ittita dai cosiddetti popoli del mare, onde è parso lecito ipotizzare che gli stessi popoli fossero stati gli invasori. Una più tradizionale spiegazione è invece l'invasione della popolazione indoeuropea dei Dori. D'altro canto, altri studiosi ritengono che il declino della civiltà micenea sia stato causato da meri fattori economici e demografici, e forse climatici, e gl'incendi non siano stati necessariamente dovuti a invasori.

L’altra serie d’invasioni viene da sud-est e riguarda tribù seminomadi di lingua aramaica che giungono dai confini del deserto arabico, le quali dapprima s’infiltrano e quindi s’impadroniscono con la forza della Siria, della Mesopotamia settentrionale, dell’Assiria, di Babilonia e della Palestina, chiamata Canaan dalla Bibbia. Quanto al popolo che sarà detto israelita, esso è in questa zona all’incirca dal 1200 a.C., un cinquantennio dopo l’epoca dell’esodo ebraico dall’Egitto, e convive, non senza contrasti, con la popolazione indigena. Non tutto il popolo ebraico proviene da un’altra terra, che sia o no quella dei faraoni: molti agricoltori, parlo dell’epoca storica trascurando le precedenti migrazioni, hanno origini locali (sono, per così dire, Cananei) e col tempo si fondono coi pastori nomadi invasori (diciamo con gli Ebrei) formando il popolo d’Israele. È questa l’epoca, fin verso il 1000, che nella Bibbia è detta dei Giudici e di cui si può conoscere solo la storia di fondo, essendo le relative informazioni veterotestamentarie trasfigurate miticamente. Utile è il confronto con altre società del tempo. In Palestina e in altre zone del vicino Oriente, nonché in Grecia e sulle coste e isole mediterranee dell’Asia minore, sono apprezzati in primo luogo gl’ideali eroici e un semplice insulto basta a scatenare una tremenda reazione come, per la Grecia, nel primo canto dell’Iliade dove l’eroe Achille, oltraggiato dal re Agamennone che gli ha sottratto la schiava Briseide, si ritira dalla guerra contro Troia dopo aver avuto l’impulso d’ucciderlo; o come, per la Palestina, nella Bibbia (1 Sam 25, 9-42) dove il re Davide, offeso dagli atteggiamenti superbi del suddito Nabal, vuole ammazzargli tutti i maschi della famiglia, peraltro impietosendosi di fronte alle suppliche di Abigail, moglie dell’offensore; ma penserà poco dopo un tremendo Jahvè a fare giustizia capitale uccidendo il tronfio Nabal, e allora Davide prenderà la vedova tra le sue mogli. È una società dove la posizione dell’individuo dipende dalla sua statura morale, dal coraggio personale e dal contributo che dà alla società, come ad esempio per la figura biblica del giudice Sansone. È un ideale che si riflette tra il 1100 e il 750 a.C. in racconti leggendari in prosa e in versi recitati oralmente e solo successivamente riuniti per iscritto, come per l’argomento dei poemi greci Iliade e Odissea e, dalla terra ebraica, per le primitive narrazioni confluite, principalmente, nella Genesi e in 1 Samuele e in 2 Re verso il V secolo a.C., con molte addizioni e varianti tratte da saghe e leggende, conosciute dagli Ebrei durante la schiavitù babilonese, che attingono all’antica mitologia della Mesopotamia.

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