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Una Linea Sottile
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Intanto visualizzo già il mio conto in banca lievitare e pregusto di battere un lord inglese amante del the! Puah!
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Il giorno seguente mi sveglio presto. Vado a correre col mio personal trainer canino, quando mi alleno con lui ho la sensazione di avere madre natura come partner e non c'è niente di più affascinante e mi metto subito all'opera leggendo l'incartamento. Come è mia abitudine ascolto una musica rilassante di sottofondo.
Verso l'ora di pranzo avevo letto già più della metà dei documenti. Decido di contattare il sig. Saveri per prendere un appuntamento col suo Consiglio di Amministrazione al completo.
Lo chiamo e fissiamo l'appuntamento per quello stesso pomeriggio presso la sede della società.
Arrivo con la mia Station Wagon (sì, lo so che non è una macchina per un avvocato, ma ho pur sempre un fratello peloso da portare con me che necessita di molto spazio!) all'indirizzo indicatomi e, per una volta, il navigatore mi porta a destinazione senza prima averlo mandato a quel paese dieci volte per avermi fatto girare in tondo.
Entro in un grosso vialone alberato e proseguo per circa un chilometro. Parcheggio in un bellissimo prato inglese e mi avvio all'ingresso principale. L'edificio è dipinto con molti colori, non mi aspettavo che una industria farmaceutica potesse avere tutti quei colori, ma evidentemente doveva far parte di una precisa strategia.
All'ingresso trovo un omone della sicurezza a cui, dopo essermi presentato, chiedo indicazioni per trovare il boss. Mi fa però cenno di seguirlo poiché mi avrebbe accompagnato lui stesso in sala riunioni.
Camminiamo nel corridoio di questo enorme edificio a forma di casermone per buoni cinque minuti fin quando non arriviamo nei pressi di una stanza di vetro. All'ingresso, l'omone mi lascia nelle mani di una attempata segretaria che mi fa cenno di entrare e aspettare che di lì a poco sarebbe arrivato il Consiglio di amministrazione al completo.
Mi siedo e aspetto. La stanza è una classica sala riunioni con al centro un grosso tavolo rettangolare e al muro ritagli di giornale raffiguranti i successi nel campo della ricerca della Salus.
Passano i minuti e ricordo il passato quando il mio dominus aspettava i clienti. Se non erano puntuali iniziava a perdere le staffe. Lui, il grande avvocato, non poteva attendere, tutt'al più doveva essere atteso! Sorrido ricordando qualche episodio divertente e, nel mentre, si apre la porta. È arrivata la cavalleria al completo.
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Ora li conosco tutte e tre.
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Prese la parola, come evidentemente era abituato a fare, Saveri.
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A questo punto mi interessa solo come piazzare punti a favore nella eventuale transazione col milord inglese.
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È giunto il momento di porre fine alla discussione prima che degenerasse nuovamente. <
In realtà la storia mi appassiona già!
Faccio un saluto generale e mi avvio alla macchina per il ritorno a casa.
Dopo due giorni ho già accettato l'incarico e mi preparo per l'appuntamento del venerdì successivo.
Capitolo 5
Lo straniero
(Ferrari)
La mattina, come di consueto prima di un appuntamento importante, mi alleno. Tiro di boxe al sacco e ho la mia seduta con i pesi.
Indosso, per l'occasione, il mio abito migliore. Voglio fare colpo sull'avvocato inglese, del resto l'Inghilterra mi ha sempre affascinato così come la sua cultura.
Ricordo quando, molto giovane, soggiornavo da amici dei miei genitori a Cambridge. Il mio primo viaggio in Inghilterra fu una sorpresa: pensavo di recarmi in un paese ostile, freddo di clima e di persone e in cui non mi sarei divertito, invece, le mie impressioni furono ben altre... avevo conosciuto persone educatissime, rispettose e serie e avevo visto con i miei occhi che il sistema anglosassone funzionava per tutto, dal primo lavoro, all'acquisto di una casa. Lo stato non lasciava mai il cittadino, ex suddito, da solo. Visitai anche numerosi college e l'università di giurisprudenza nonché quella di criminologia. Ne rimasi colpito.
Quando tornai in Italia il mio primo pensiero fu un paragone ingiusto con le nostre strutture. Ho iniziato a studiare legge un po' per tradizione familiare, un po' per passione, ma soprattutto perché attirato dalla figura americana dell'avvocato, persona ammaliante e molto rispettata. La realtà italiana mi avrebbe presentato ben altre sorprese! Una cosa certa che desideravo avere dai miei studi era di non farmi fregare da nessuno nella vita. Illuso. Già nei banchi universitari vi era chi rubava gli esami e chi i cellulari. Constatai con amarezza che avrei dovuto, innanzitutto e subito, difendermi dai miei colleghi. Fu così che abbandonai le lezioni da corsista e studiai per lo più a distanza, recandomi in facoltà poche volte e per gli esami.
Ma torniamo ad oggi. Si sta facendo tardi e devo sbrigarmi. Come al solito, mi alzo in anticipo e arrivo in ritardo. Questa volta, però, non posso fare brutta figura, devo essere puntuale. Entro in auto per combattere col traffico cittadino che di inglese ha solo la guida a destra sempre in fase di sorpasso nella corsia che dovrebbe essere quella "lenta".
Napoli è una città bellissima ma incoerente. Si atteggia a metropoli avanzata ma, in essa, convivono scene di illegalità divenute ormai consuetudine. Quando mi affaccio dal balcone dello studio posso osservare la fiera di personaggi che caratterizzano questo poliedrico angolo di mondo. Capaci di grosse bellezze ma anche di enormi nefandezze. Trovi il parcheggiatore abusivo e a lato il vigile urbano. Trovi il poliziotto di quartiere e gli storici "giocatori delle tre carte". Insomma, dove mi trovo ad esercitare è un mondo in cui ci si può imbattere in clienti di ogni genere. Non credo che un inglese possa mai abituarsi a questo modo di vivere.
Arrivo puntuale all'albergo, Excelsior, uno splendido albergo a 5 stelle plus situato sul lungomare. Si tratta bene l'inglese!
Mi annuncio alla receptionist che mi introduce nella sala riunioni appositamente noleggiata e preparata con un rinfresco per l'occasione. Mi accomodo sulla sedia di fronte all'ingresso principale per notare chiunque entri e aspetto. Dopo circa 10 minuti arriva.
Devo dire che la prima impressione non è molto positiva.
Indossa un elegante abito blu notte in perfetto stile inglese con gilet e soprabito attillati e cravatta perfettamente intonata. Scarpe lucidissime di cuoio nero. Quello che mi colpisce è, però, il suo sguardo: altezzoso, superbo e compiaciuto. Sembra guardare il mondo dall'alto in basso, quello che Paul Ekman definisce come “sguardo da disprezzo sociale”: labbra lievemente serrate e naso leggermente arricciato. Può darsi che mi sbaglio ma, se è guerra che cerca, può esserne certo, ne troverà più di quanto a lui necessita. Mi alzo e vado a stringergli la mano.
Capitolo 6
Il ritorno
(Tancredi)
Non è stato il glorioso rimpatrio che sognavo.
Di certo non quello che sette anni fa, valigia alla mano, mi ero ripromesso avrei fatto nel caso fossi mai tornato a calcare il suolo di questa città. Motivi per andarsene ce n’erano anche troppi e del resto, ad eccezione della mia famiglia, non credo che nessuno abbia sentito la mia mancanza in tutto questo tempo. Non ricordo fazzoletti bagnati o amici dispiaciuti all’aeroporto il giorno in cui presi il volo. Le mie ragioni non erano migliori di quelle di tanti altri.
Erano soltanto alimentate da un odio feroce.
L’odio che si riserva nel realizzare che non ci sono speranze o opportunità ad attenderti l’indomani. L’odio che si porta verso tutto ciò che uccide i tuoi sogni.
Raccolgo pigramente il bagaglio e mi dirigo verso l’uscita passeggeri di Capodichino. Un breve sguardo d’assieme mi conferma che l’estetica dell’area aeroportuale è cambiata rispetto all’ultima volta. Esco dalle scorrevoli dell’uscita e mi dirigo verso una piccola area stradale a forma di cuneo che qualcuno, con una fantasia tutta partenopea, ha ribattezzato come “Stazionamento Taxi”. Non appena mi avvicino al primo disponibile si scatena una piccola baruffa tra vari autisti desiderosi di intascare la tariffa di trasporto. La cosa più vicina ad un salasso che questa città possa riservare. La rissa termina con un vincitore: un uomo nerboruto in canottiera che letteralmente opera un sequestro di persona.
Io e la valigia veniamo sollevati di peso e messi sul sedile posteriore dell’abitacolo per partire a tutta birra prima che qualcuno dei colleghi tassisti possa accampare ulteriori proteste.
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Sorrido a denti stretti. La lingua napoletana ha sempre avuto un fascino molto particolare, non tanto per il dialetto in sé quanto per il folclore evocativo che trasmette. In questa città infatti qualunque sconosciuto ti si avvicini con una cravatta è per antonomasia un dottore. Poco importa se chi ti parla è l’ultimo dei ciabattini. Resta comunque un dottore. Una specie di laurea honoris causa concessa sul campo.
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L’autista infatti, sprezzante del pericolo, imbocca la circumvallazione esterna ad una velocità che qualche pavido villico definirebbe criminale. Ormai è da tempo che in questa metropoli il codice della strada ha assunto un valore sempre più blando fino a sfumare in un vero e proprio catalogo di suggerimenti.
In breve si è passati dall’ordine imperativo al consiglio facoltativo. Il risultato di questa evoluzione sociale è l’aver dato vita ad una specie di complotto geografico per uccidersi a vicenda non appena si mette il culo su un auto.
Venti minuti dopo, ancora vivo, ma con il tassista che avrà collezionato una decina di accuse di tentato omicidio, arrivo a mettere piede nell’albergo. Il sole è alto e la mattina molto afosa. Mi ero disabituato ad un clima così mite. Prima di entrare nella hall mi giro un istante a vedere il mare a pochi metri dall’albergo. Un attimo che sembra eterno a rimirare la migliaia di scintille del sole che si riflettono sull’acqua. Un attimo a ricordare tutto quello che mi è mancato.
L’appuntamento con l’avvocato della Salus è stato fissato qui per mia fortuna così ho tutto il tempo per salire sopra e cambiarmi.
La suite è magnifica e talmente tirata a lucido che potrei specchiarmi nelle pareti. Non ho molto tempo prima del meeting, quindi mi fiondo sotto la doccia e tiro fuori dal bagaglio il mio magnifico doppiopetto Anderson e Shepard comprato alla Savile Row di Londra. Non sono particolarmente amante delle cravatte, ma d’altro canto adoro la buona sartoria. Qualcuno potrebbe pensare che sono un egocentrico vanitoso. Quel qualcuno avrebbe ragione. Non esito ad annodarmi compiaciuto una bellissima “Marinella’’ rosso aragosta, un piccolo piacevole ricordo che porto da Napoli in giro per il mondo.
Laccato di tutto punto, raccolgo la mia ventiquattr’ore e prendo l’ascensore fino alla Hall. Nell’immenso salone ci sono svariati uomini che spaziano in lungo e in largo. Ognuno di loro potrebbe essere Ferrari. A passo lungo mi avvio alla receptionist per chiedere se un certo Riccardo Ferrari si è fatto vivo. La ragazza allunga una mano in direzione delle poltrone vicine all’ingresso e precisamente verso l’unica persona seduta. Lo sconosciuto si accorge che lo sto fissando e si alza.
Ha una forma imponente e uno sguardo deciso. Da questa distanza non posso esserne sicuro, ma da come gli cade addosso il vestito, avverto che ha un bicipite grosso come la mia testa e anche il resto del corpo pare seguire lo stesso repertorio.
È decisamente diverso da come me l’aspettavo. Credevo che avrei avuto a che fare con il solito ometto sudaticcio di mezz’età con l’aria da usuraio, un bel po’ di trippa sulla pancia e pochi capelli in testa. Questo qui mi sembra piuttosto il clone di un guerriero spartano con lancia e mantello.
Speravo di affrontare il Pinguino invece mi trovo davanti Batman.
È anche piuttosto sicuro di sé dall’aria che sfodera.
È venuto per la guerra.
Muove qualche passo e mi si fa incontro con un mezzo sorriso per stringermi la mano. Ricambio accondiscendente.
E guerra sia.
Le mani rimasero strette per alcuni secondi. Nessuno dei due mosse lo sguardo dagli occhi dell’altro. Abbassare lo sguardo prima dell’altro avrebbe mostrato una debolezza che un abile professionista avrebbe potuto sfruttare nelle future mosse. Questo duello occhi negli occhi fu interrotto dalla receptionist che li indirizzò nella sala riunioni prenotata dalla Smithson.
Senza emettere un fiato si accomodarono entrambi alla scrivania ovale in legno d’acero l’uno di fronte all’altro mentre la porta alle loro spalle veniva chiusa delicatamente. Ferrari emerse da quel silenzio carico di tensione e fece un cenno della mano verso un piccolo banco su cui stazionavano bibite e snack leggeri.
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Tancredi passò lievemente una mano sulla cravatta di seta che scivolava magnificamente sul doppiopetto con un sorrisetto: <
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Tancredi allungò una mano verso la ventiquattro ore e ne tirò fuori un voluminoso fascicoletto che posò alla sinistra del tavolo mentre Ferrari finiva il suo caffè.
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Tancredi alzò lievemente le sopracciglia <
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Tancredi accavallò le gambe congiungendo le mani. <
Ferrari tirò indietro la testa e scoppiò in una fragorosa risata.
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Ferrari si bloccò mano sul pomello.
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Ferrari lasciò andare la maniglia e si girò di nuovo verso il tavolo delle trattative.
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Riccardo, spinto più dalla curiosità che dall’aperta sfacciataggine del suo avversario tornò a sedere.
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Due secondi dopo, carte alla mano, emise un sibilo.
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Ferrari afferrò di getto il pezzo di carta. <
Tancredi alzò vagamente le spalle. <>, rispose, <
Ferrari era arrabbiato per l’imprevisto, ma evitò di perdere lucidità.
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A Ferrari poco mancò per rovesciare il caffè sul tavolo.
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Tancredi era visibilmente stufo della spacconeria di Ferrari e si appoggiò gomiti al tavolo guardandolo fisso negli occhi.
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Ferrari pensò avesse finito ma sulla soglia Tancredi, come per un ripensamento si girò.
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Senza aggiungere altro si voltò e uscì.
Capitolo 7
Faccia a faccia
(Ferrari)
Immaginate di vivere fuori città, in un piccolo quartiere dove non c'è molto da fare. Quando nasci in una periferia malfamata la tua vita è condizionata da due scelte: o diventi un delinquente o un poliziotto. Io ho deciso di diventare un avvocato penalista. Non è stata una scelta dettata dal fatto che sono figlio di due avvocati. Bensì, la scelta è nata da fattori impulsivi. Ho sempre amato le storie di avvocati di successo, desideravo e immaginavo di diventare da grande un grosso avvocato newyorchese, un avvocato conosciuto soprattutto per la sua retorica e per la lotta a favore dei più deboli. Un gentile e ricco avvocato vincitore di innumerevoli class action.
Durante gli anni universitari alternavo a letture di testi universitari di diritto, tantissimi legal thriller di qualsiasi autore mi capitasse a tiro. Mi davano la carica per non arrendermi alle difficoltà della materia e mi facevano sognare. Meraviglia delle meraviglie, sembrava che avessi attratto quel mondo. Ora ero un protagonista di un legal thriller.
Fu così che il giorno dopo l'incontro scontro con Tancredi dovetti informare i miei clienti dell'accaduto per lavorare sul da farsi.
Anche se è sabato mattina devo informare Saveri e tutto il Consiglio di Amministrazione. Abbiamo poco tempo e dobbiamo decidere il piano di attacco. Fino ad ora abbiamo giocato in difesa aspettando cosa avevano da proporci gli inglesi. È venuto il momento di agire. Prendo di corsa il cellulare e compongo il numero di Saveri.
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