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Una visita preoccupante
Una visita preoccupante

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Una visita preoccupante

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Man mano che si avvicinava, poteva vedere sempre meglio attraverso la vetrata. Sedute accanto a Frankie c’erano sua madre e Naomi. E poi c’era Tom. Erano tutti sorridenti, come se stessero condividendo un momento di piacevole entusiasmo.

Le si strinse lo stomaco mentre spingeva la porta ed entrava bruscamente nel locale.

Tutti si girarono al suono aggressivo del campanello.

“Lacey,” disse Tom, raggiante. “Grandi notizie. I tuoi vengono a Dover con noi!”

CAPITOLO SEI

Lacey afferrò Tom per il gomito e lo trascinò nella cucina della pasticceria.

“Cosa stai facendo?” sibilò.

“In che senso?” le chiese lui, confuso.

“Hai invitato la mia famiglia a unirsi a noi per la nostra gita romantica a Dover?”

Tom scrollò le spalle. “Hanno fatto il viaggio fino a qui da New York,” le disse. “Non possiamo andarcene e lasciarli qui. Sarebbe quantomeno maleducato.” Fece un passo avanti e le accarezzò con affetto il braccio. “E comunque sarà una buona opportunità per me per conoscerli meglio. Che vorrebbe dire conoscere meglio anche te. Non penso che tu mi racconteresti di tua spontanea volontà tutti gli aneddoti imbarazzanti della tua infanzia, no?”

Le rivolse un tenero sorriso, ma non servì ad ammorbidirla. Lacey si mise le mani sui fianchi.

“Ma dove li mettiamo? Non intendo dormire ancora sul divano!”

Tom le strinse le braccia con fare rassicurante. “Rilassati. Doveva essere una sorpresa, ma la locanda è effettivamente un faro riconvertito di recente. Ho prenotato la suite principale, ma c’è la possibilità di affittare l’intero edificio. Chiamo subito il proprietario e prenoto le altre stanze, ok? Ci sarà spazio a sufficienza per tutti quanti.”

Un faro? O santo cielo! Se Tom non gliel’avesse rivelato in circostanze tanto stressanti, Lacey sarebbe stata davvero emozionata. Era una cosa unica! Così esotica! E invece la sua mente era completamente annebbiata dallo shock e l’unica sensazione che riusciva a provare era totale frustrazione.

“Avresti dovuto chiedermelo prima,” bofonchiò.

Tom la guardò perplesso. “Pensavo che avessi voglia di passare del tempo con la tua famiglia. Non avevo idea che la cosa ti avrebbe dato fastidio.”

“Non mi dà fastidio,” ribatté lei immediatamente, anche se le era difficile comprendere il complesso dei sentimenti che provava, figurarsi spiegarlo. “È solo che volevo passare del tempo con te,” disse, espirando tristemente.

“Ho buone notizie,” le disse Tom con un sorriso malizioso in volto. “Vengo anch’io.”

Ma la battuta non ebbe l’effetto di rallegrarle l’umore. Era davvero tipico di Tom. Avrebbero dovuto godersi una gita romantica, anzi, la loro prima gita romantica! Ma con la sua famiglia alle calcagna, ogni possibilità di cene a lume di candela o champagne e fragole, o bagni nella Jacuzzi sarebbe stata assolutamente fuori discussione. Eppure sembrava che la cosa non lo infastidisse per niente.

Lacey non sapeva che parole usare per esprimere quello che stava pensando. Quindi gli rivolse un mesto sorriso e si limitò a ribattere: “Sì, immagino di sì.”

*

“Non pensi che mi stia comportando in modo egoista, vero?” chiese Lacey lasciandosi andare a un profondo sospiro. “È solo che ero davvero entusiasta di avere del tempo tutto per me e Tom, e poi lui li ha invitati a venire con noi. Cioè, ma ci credi?”

Stava fissando gli scuri occhi comprensivi di Chester. Il cane mugolò, come a indicarle che la capiva, e lei gli accarezzò le orecchie vellutate.

“Grazie,” mormorò Lacey. “Sapevo che avresti capito.”

In quel momento, Lakshmi apparve sulla porta con il suo camice verde scuro addosso. Abbassò lo sguardo su Lacey e Chester, accoccolati sul pavimento fuori dalla gabbia aperta. “State bene lì per terra?”

Lacey annuì. Era venuta direttamente dalla pasticceria di Tom alla clinica per avere un po’ di solidarietà canina dal suo Chester, che di certo non l’avrebbe giudicata, come probabilmente avrebbe fatto invece Gina. Voleva anche salutarlo, perché quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto per un po’ di giorni.

“Avevo solo bisogno di una sessione di pet-therapy,” scherzò Lacey. Liberò le gambe da sotto il peso di Chester, che le si era sdraiato in braccio. “Gina verrà a trovarti domani,” gli disse.

Chester la guardò con occhi tristi.

“Oh, piccolo, non farmi quella faccia,” gli disse. “Tu adori Gina.”

Chester sbuffò dalle narici, poi entrò obbediente nella sua cuccia, con la coda bassa e penzolante. Lacey provò una fitta di senso di colpa.

“Sta bene là dentro?” chiese a Lakshmi, piena di preoccupazione.

La dottoressa chiuse la porta della gabbia e vi mise il lucchetto. Chester guardava sconsolato attraverso il vetro.

“Sta benone,” le assicurò. “Sta reagendo bene alle pastiglie. Stavi dicendo che qualcun altro verrà a trovarlo mentre tu sei a Dover?”

Lacey sentì le guance che si arrossavano. Lakshmi doveva aver origliato tutta la precedente conversazione tra lei e Chester, con tutta la sua lamentosa tirata su Tom che aveva invitato la sua famiglia a Dover.

Si grattò il collo in modo imbarazzato. “Hai sentito tutto, eh?”

Lakshmi rise. “Uh-huh. Mi sa di sì. Ma non ti preoccupare. Io non penso per niente che tu ti stia comportando da egoista.” Abbassò la voce. “Io vado in vacanza per allontanarmi da mia madre. Se qualcuno la invitasse a venire, sarei furente.”

Anche Lacey rise. “Sono contenta di non essere l’unica.”

Con l’umore leggermente risollevato, lasciò Chester alle capaci cure di Lakshmi e tornò verso il suo negozio.

Sua madre, sua sorella e suo nipote erano tutti dentro quando arrivò. Frankie era seduto sul pavimento e giocava con Boudicca, mentre Naomi sedeva vicino alla finestra, sfogliando una rivista di pettegolezzi. Anche Shirley era seduta, con la schiena dritta e rigida, sulla poltroncina in velluto rosso, l’espressione un misto di disagio e noia.

“Eccola qua!” esclamò Gina quando il campanello d’ottone tintinnò leggermente al suo ingresso.

“Lacey,” disse Shirley con lo stesso tono che era solita usare quando da bambina Lacey ne combinava qualcuna. “Dove diavolo eri scomparsa?”

“Scusate,” mormorò lei. “Sono dovuta andare dal veterinario a salutare Chester. Pensavo di averlo detto.”

Sapeva benissimo di non averlo fatto, dato che se n’era andata di punto in bianco dal negozio di Tom, frastornata, ma una piccola bugia innocente a volte era necessaria per evitare discussioni maggiori.

“Gina mi ha raccontato tutto di Punch e Judy,” si intromise Frankie. “Voglio comprare il pagliaccio, ma la mamma ha detto che non posso.”

“Mi fa paura,” disse Naomi, guardando la marionetta con una smorfia. “E lo vuoi solo perché ha i capelli rossi. Non ci giocheresti mai.”

Lacey guardò Gina con espressione dispiaciuta. Non le era venuto in mente che l’amica sarebbe rimasta incastrata con la sua famiglia mentre lei faceva la sua sessione di pet-therapy con Chester. Eppure Gina non sembrava per niente stressata, ma piuttosto positiva. Dopotutto era una che amava stare con la gente. E non aveva neanche lo stesso passato che lei aveva vissuto con loro.

“Allora, cosa facciamo oggi?” chiese Shirley con il suo tono leggermente irritato. “Non voglio starmene seduta nel tuo negozio per un’eternità.” Anche se non lo disse a voce alta, era più che evidente che Shirley si sentiva piuttosto a disagio nel negozio di antiquariato di Lacey. Il suo naso arricciato e la postura rigida erano un segnale inequivocabile.

Naomi si unì a lei. “Sì, Lacey, cosa facciamo oggi? Abbiamo visto la spiaggia. Le scogliere. Le pecore. Abbiamo mangiato pasticcini appena sfornati e bevuto tè dalla teiera. Cos’altro c’è da fare qua in giro?”

“Tom ha detto che dovremmo bere il cream tea del pomeriggio,” disse Frankie. Guardò Lacey con espressione interrogativa. “Cos’è il cream tea? È come un frullato caldo?”

Lacey rise. “Capisco come tu sia arrivato a questa conclusione, ma no, il cream tea non è un frullato caldo. Il cream tea è quando bevi una tazza di tè con uno scone alla marmellata e la panna,” gli spiegò.

“Gli scone!” ripeté Frankie. “Li ho mangiati. La mamma me li prepara nelle occasioni speciali.”

Sorpresa, Lacey si voltò a guardare la sorella. Naomi stava fingendo di non ascoltare più la conversazione, per l’ovvio motivo che la persona che aveva fatto loro conoscere gli scone era stato loro padre, e lo aveva fatto proprio a Wilfordshire.

“Beh, Wilfordshire ha i migliori scone di tutto il Regno Unito,” disse Lacey, rivolgendosi di nuovo a Frankie. “Devi provarli prima di tornare a casa. Posso suggerire un’adorabile sala da tè sulle colline, e lì c’è anche una bellissima residenza signorile che si chiama Villa Penrose.” Se la sua famiglia avesse fatto tutto il giro fino alla villa, lei avrebbe avuto almeno un paio d’ore di respiro prima che il loro viaggio li costringesse a stare ancora più vicini.

“Altro cibo?” disse Shirley con un sospiro sdegnoso. “Onestamente, come fanno gli inglesi a non essere tutti sovrappeso? Pare che ci sia un pasto dopo l’altro, qui.”

Gina iniziò a ridere, dandosi dei colpetti sulla pancia leggermente arrotondata. “Alcuni di noi lo sono.”

Boudicca emise un piccolo verso, come se volesse protestare contro l’auto-ironia della padrona.

“Non possiamo restare qui?” chiese Frankie. Era seduto a gambe incrociate sul pavimento accanto a un baule aperto, circondato da giocattoli antichi.

“Ti annoieresti nel giro di cinque minuti,” commentò Naomi.

Shirley non sembrava per niente contenta della richiesta di Frankie. “No, Frankie. La nonna non se ne vuole stare seduta in una stanza buia e polverosa tutto il giorno. Non è salutare per i miei polmoni. E non posso neanche dire che l’odore mi piaccia molto.”

Diciamo che sono più che altro i ricordi a non essere graditi, pensò Lacey, la mente che andava al ricordo del vecchio negozio di antiquariato del padre a New York. Ma ovviamente non disse niente a voce alta. Parlare di suo padre era peccato.

Frankie si alzò in piedi, lasciando il suo mucchio di giocattoli sul pavimento, e andò alla porta. Naomi e Shirley lo seguirono.

“Almeno abbiamo solo un giorno da passare qui,” disse Naomi a Shirley mentre aprivano la porta. “Domani partiamo per Dover.”

Il campanello tintinnò mentre la porta si richiudeva dietro di loro.

Non appena se ne furono andati, Lacey si accasciò in avanti sul bancone e si lasciò andare a un profondo sospiro. Dubitava fortemente che nella pittoresca cittadina balneare di Dover ci sarebbe stato qualcosa di sufficiente a tenere occupata la sua famiglia, se Wilfordshire li aveva annoiati così rapidamente.

Gina si mise a ridere. “Dimmi che sono pazza, ma potrei giurare che tua sorella ha appena detto che domani vanno a Dover.”

Lacey posò gli occhi stanchi sull’amica e annuì tristemente. “Tom li ha invitati a venire con noi.”

Dietro alla sua montatura rossa, Gina sgranò gli occhi. “Oh.”

“Proprio oh,” rispose Lacey, prendendosi la testa tra le mani.

Sarebbe stato un lunghissimo viaggio.

CAPITOLO SETTE

“Questa è la tua auto?” chiese Naomi di primo mattino l’indomani. Lo disse con il suo tipico tono, mentre sollevava la sua valigia per metterla nel bagagliaio della Volvo. “Cioè, sei migliorata in materia di uomini, ma cosa diamine è successo al tuo gusto nei veicoli?”

“Mi serviva qualcosa per muovermi e andare in giro,” rispose Lacey, mettendosi subito sulla difensiva nei confronti della sua berlina, di seconda mano e brutta in modo unico. “Non avevo idea che mi sarei stabilita qui a Wilfordshire.” Lasciò cadere le sue borse nel baule dell’auto. “E poi, con il tempo sono arrivata ad amarla.”

Naomi ruotò gli occhi. “Facevi sembrare così stravagante la tua vita qui, Lacey. E invece salta fuori che lo è veramente, stravagante!”

Rise della propria aspra battuta, poi si accomodò sul sedile posteriore dell’auto. Lacey fece un profondo respiro per calmare i nervi che già erano a fior di pelle.

Era riuscita a superare un’altra serata con la sua famiglia, per lo più grazie alla calmante presenza di Tom e al suggerimento di guardare insieme un epico film fantasy della durata di tre ore. Sembrava quasi che Shirley stesse iniziando a provare una certa simpatia per lui, e c’erano voluti solo altri due piatti di alta ristorazione fatti a mano per portarla a quel punto, dopo la Homity pie. Le linguine alla prugna di Tom avevano fatto faville e la sua sorpresa mattutina con gli hot cross bun per la colazione sembrava aver concluso l’affare.

Proprio in quel momento, Tom apparve al suo fianco, le braccia cariche di bagagli. La stampa floreale di una delle borse le fece capire che appartenevano a Shirley.

“Mia madre ti ha fatto portare i suoi bagagli?” chiese Lacey, prendendo una delle valigie. “Come se fossi una specie di facchino?” Era mortificata.

“Mi sono offerto io,” le rispose Tom, come se non fosse un grosso problema.

Frankie saltò fuori dalla porta del Crag Cottage e montò in macchina, andando dritto al sedile del passeggero. Gridò “Colpito!” e si tuffò a bomba all’interno.

“Non penso proprio, signorino,” disse Lacey avvicinandosi al lato del passeggero prima che lui potesse chiudere la portiera. “Quello è il posto di Tom.”

“Ma io soffro di mal d’auto,” disse Frankie.

Naomi sporse la testa dal sedile posteriore e aggiunse: “È vero. Meglio farlo sedere davanti, sorellina. Non vogliamo certo che si metta a vomitare.”

Lacey strinse i denti.

Tom le rivolse uno sguardo comprensivo mentre le porgeva un pezzo di carta.

“Che cos’è?” gli chiese.

“Le indicazioni per arrivare alla locanda,” le disse lui prima di infilarsi sul sedile posteriore.

Lacey aprì il pezzo di carta e vide che quello che stava guardando era molto, molto più che un insieme di normali e lineari indicazioni. Tom aveva sfruttato lo stesso talento artistico che usava per fare le sue sculture di macarons per la vetrina del negozio e aveva disegnato, con pennino a inchiostro, una mappa della località dove erano diretti, vicino a Dover. Si chiamava Studdleton Bay, e dal modo in cui l’aveva rappresentata, sembrava un posto delizioso. La piccola cittadina aveva molte etichette riportate sopra, a indicare musei, chiese e bei ristoranti dove aveva intenzione di portarli durante la vacanza. C’era una spiaggia per prendere il sole, scogliere per camminare e aveva addirittura disegnato la locanda del faro dove avrebbero alloggiato, con una piccola versione di loro due ritratti a china nell’atto di salutare dalla finestra. Proprio come le fotografie, la mappa era un altro particolare romantico della gita che Tom aveva programmato, per renderla ancora più speciale.

Lacey si voltò a guardarlo, seduto sul sedile posteriore accanto a Naomi e Shirley, schiacciato tra le due, coscia contro coscia.

Proprio come lo volevano loro, pensò mestamente mentre ripiegava il foglietto e se lo infilava in tasca.

“Zia Lacey!” gridò Frankie dal sedile del passeggero. “Possiamo ascoltare musica di cornamusa?”

Lacey fece un profondo respiro tranquillizzante. Quelle poche ore di viaggio l’avrebbero davvero messa alla prova.

*

“Frankie, per la centesima volta: non stiamo andando in Scozia,” disse Lacey

Aveva la testa che scoppiava dopo un’ora di informazioni e chiacchiere su Loch Ness e le Highlands, e la ricetta dell’haggis. L’incessante entusiasmo di Frankie per tutte le cose che appartenevano alla Scozia aveva anche l’effetto secondario di escluderla dalle chiacchiere di Tom, Shirley e Naomi nel sedile posteriore. I tre sembravano andare d’accordo come grossi amici, ridendo di qualche battuta che lei non era riuscita a sentire. Lacey sapeva che avrebbe dovuto essere riconoscente del fatto che il suo compagno e la sua famiglia andassero d’accordo, ma era ancora scocciata per come sua madre e sua sorella si erano intrufolate nel loro viaggio romantico.

“Sai che ci sono più di settemila diversi stili di stoffa scozzese?” chiese Frankie.

Lacey espirò lentamente. “Lo sapevo già. Perché me l’hai già detto. Diverse volte.”

“Guardate!” esclamò improvvisamente Naomi dal sedile posteriore, tanto forte da farle quasi venire un attacco di cuore. “Il cartello di Studdleton Bay!”

In effetti, alla loro sinistra c’era l’indicazione blu dell’autostrada, con la scritta bianca che dichiarava l’attuale distanza dalla piccola cittadina di Studdleton Bay, vicino a Dover. Sotto c’era scritto:

Deal… 8 miglia

Sandwich Bay… 15 miglia

“Sandwich Bay?” lesse Lacey a voce alta. “Per quello c’era la foto del panino?”

Finalmente aveva messo al suo posto l’ultimo indizio fotografico che Tom le aveva passato.

“L’hai capito solo ora?” le chiese Tom ridendo. “Per cosa pensavi che fosse il panino?”

“Ho solo pensato che ci fosse un qualche famoso sandwich che fanno a Dover e di cui non sapevo nulla,” gli spiegò.

Sentì le spalle che iniziavano a fremere, scosse dalle risate. Era bello poter interagire con Tom per quella che le sembrava la prima volta da quando erano partiti la mattina. Ma prima che potesse continuare la conversazione, un altro nome sul cartello le fece quasi fermare il cuore in petto. Canterbury.

Tutt’a un tratto Lacey rivide nella propria mente il messaggio che aveva ricevuto da Xavier Santino. Quando aveva cercato di prendere le distanze da lui – preoccupata che potesse avere un secondo fine romantico per aiutarla – lui le aveva scritto dicendo di sapere dove si trovava suo padre. A quanto pareva c’era stato un recente avvistamento di Francis a Canterbury, ma Xavier era stato tanto vago nei dettagli e incapace di fornire qualcosa di più specifico, che lei aveva immaginato fosse solo un misero stratagemma per mantenere il contatto con lei. Ma ora che vedeva la parola stampata, cominciava improvvisamente a pensare che la cosa fosse possibile. Poteva darsi che suo padre fosse a sole venti miglia dal luogo della sua vacanza?

Ma i suoi pensieri vennero immediatamente distratti da Frankie.

“Guardate! Guardate!” gridò, indicando con gesti frenetici.

In lontananza era apparsa all’orizzonte una fascia argentata di oceano. Era così una bella e soleggiata giornata, che l’acqua luccicava. In alto, stormi di gabbiani volavano leggiadri sopra alle onde. E apparvero anche le frastagliate scogliere di gesso color crema. Le famosissime scogliere bianche di Dover.

Lacey sentì un brivido percorrerle la schiena. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di demoralizzarla. Per quanto la sua famiglia potesse darle ai nervi, o per quanto i pensieri di suo padre le affollassero la mente, si sarebbe goduta questo posto meraviglioso, questa estate strepitosa e questi giorni privi di responsabilità.

Sempre che prima non finissero con l’ammazzarsi a vicenda.

CAPITOLO OTTO

“Oh, Tom, è fantastico,” disse Lacey, incrociando il suo sguardo nello specchietto retrovisore.

Lui le rispose con un sorriso, ma non ebbe modo di dire nulla, perché Frankie stava indicando entusiasta fuori dal finestrino, esclamando: “C’è un castello su quella collina! Un castello!”

“E guarda quella chiesa pazzesca,” aggiunse Shirley, indicando un alto edificio in pietra grigia con un grandissimo campanile.

Tutti quanti continuarono a commentare meravigliati la bella campagna di Dover, mentre Lacey guidava in mezzo alle floride e verdeggianti colline, entrando infine nella graziosa e coccolosa cittadina di Studdleton Bay. Qui l’architettura era un miscuglio di vecchi cottage in pietra, case a tre piani in stile edoardiano e grandi edifici in mattoni, retaggio dell’epoca di re Giorgio, con le sporadiche rovine di una chiesa normanna. Sulle soglie delle porte sventolavano le bandiere inglesi, affiancate da cestini pieni di fiori rosa che decoravano ogni lampione.

Dopo un paio di curve in più, in lontananza apparve la punta rossa a cupola di un faro.

“Non sarà mica quello…” disse Lacey, sentendo l’emozione gonfiarsi nel petto.

“Penso di sì…” rispose Tom con voce ridente.

“Non può essere!” balbettò lei incredula.

La struttura a strisce bianche e rosse del faro si fece sempre più evidente e Lacey non poté fare altro che guardarlo a bocca aperta per lo stupore. Quella di Tom era stata davvero un’idea unica. Così avventurosa. Così romantica. David non l’aveva mai portata in posti come questo. A lui piacevano i suoi hotel comodi, puliti e di lusso. Non avrebbe mai pensato alla rustica sistemazione di un faro sulle scogliere di Dover. Il cuore di Lacey era gonfio di gratitudine mentre guardava Tom dallo specchietto retrovisore. Come aveva potuto avere una tale fortuna?

“Sembra un lecca lecca,” esclamò Frankie accanto a lei.

“Sembra essere venuto fuori da quel film fantasy che abbiamo visto ieri,” aggiunse Shirley.

“Sembra… è in una fattoria?” disse Naomi.

Aveva ragione. Quando Lacey fece l’ultima svolta, l’odore di deiezioni animali filtrò attraverso i finestrini appena aperti. Un cartello di legno piantato nel terreno diceva Fattoria Ashworth e un nugolo di galline passò di corsa davanti all’auto.

“Attenta, zia Lacey!” gridò Frankie.

“Non ti preoccupare, le ho viste,” disse lei, rallentando a passo d’uomo. La macchina procedeva sobbalzando sul terreno irregolare.

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