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Una visita preoccupante
Una visita preoccupante

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Una visita preoccupante

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Lacey tornò al suo negozio ed entrò.

Gina diede un’occhiata al suo volto rigato di lacrime ed esclamò: “Hanno soppresso Chester!”

“No!” esclamò Lacey. “Sta male. Deve stare per un po’ sotto osservazione dal veterinario.”

Gina si portò una mano al petto. “Grazie al cielo. Mi hai spaventata.”

Lacey si lasciò cadere sulla sedia dietro al bancone, affondando la testa tra le mani. Fu solo allora che si rese conto che i messaggi di Naomi l’avevano completamente distratta dal chiamare Tom e cancellare il viaggio a Dover. Guardò fuori dalla vetrina, in direzione della pasticceria dall’altra parte della strada, osservandolo mentre si muoveva indaffarato nel suo negozio. Sorrise mestamente. Aveva voluto così tanto passare una breve vacanza romantica con lui.

“Adesso dovrò cancellare il viaggio a Dover,” disse Lacey con un profondo sospiro. “Non posso abbandonare Chester mentre è malato. Lakshmi ha detto che delle visite gli farebbero bene.”

“Posso andare io a trovarlo,” le disse Gina.

Lacey esitò. Sollevò la testa e incrociò lo sguardo di Gina. Poi scosse la testa. “Non potrei chiederti di fare una cosa del genere. Fai già così tanto.”

“Esatto. Cosa vuoi che sia un’altra commissione da aggiungere alla lista?”

Lacey era reticente. A volte aveva l’impressione di caricare Gina di troppe responsabilità e richieste. Non aveva la minima intenzione di diventare il genere di boss che si aspetta dai suoi dipendenti un comportamento da soldatini, proprio come era stata la sua severa capa a New York.

Scosse di nuovo la testa. “No. Non sarebbe giusto. Non puoi stare dietro al negozio, prenderti cura di Boudicca e andare a controllare Chester ogni giorno.”

“E tu non puoi continuare a lavorare tutti i giorni senza una pausa,” contestò l’amica. Si mise le mani sui fianchi e la guardò con espressione severa. “Quand’è stata l’ultima volta che ti sei presa un giorno libero?”

Lacey iniziò a calcolare mentalmente, ma Gina la interruppe prima che potesse arrivare alla risposta.

“Esatto!” esclamò la donna. “Non riesci neanche a ricordarti quand’è stato, da tanto tempo è passato. Senti, signorinella, ti ordino di andare a fare il tuo viaggio. Se non ci vai, io mi licenzio.”

Lacey sentì un debole sorriso incurvarle le labbra. Dove sarebbe stata se non avesse trovato Gina? “Ti porterò un regalo di ringraziamento,” le disse docilmente.

“Non serve!” tuonò lei con tono plateale. “Il tuo regalo sarà vederti tornare rilassata e felice.”

“Sono stata piuttosto nervosa ultimamente, vero?”

Gina annuì con decisione.

Lacey rifletté che erano successe un sacco di cose da quando si era trasferita in Inghilterra. Anche se la maggior parte di queste erano state positive, quel bene si era mescolato con un sacco di aspetti negativi. E tutto aveva lasciato un certo segno su di lei. Lacey aveva bisogno di premere il pulsante reset, ripulire la mente dalle ragnatele.

“Davvero non ti dà fastidio?” le chiese.

Gina si mise una mano sul cuore. “Sinceramente, al cento per cento: non mi dà fastidio.”

Lacey provò uno slancio di gioia. Saltò in piedi dalla sedia e fece cenno a Gina di avvicinarsi al bancone, in modo da poterla abbracciare. Ma prima che potesse farlo, il campanello sopra alla porta suonò, annunciando un qualche cliente. Voci americane molto forti riempirono il negozio.

Voci americane molto forti e molto familiari…

La testa di Lacey si girò di scatto verso la porta. Da lì stavano entrando nel suo negozio di antiquariato nientemeno che sua sorella Naomi, suo nipote Frankie… e sua madre.

CAPITOLO TRE

Lacey sbatté le palpebre. Di certo era un’allucinazione. Ma quando il suo nipotino dai capelli ramati gridò “Zia Lacey!” non ci fu più alcun dubbio. Sua madre, sua sorella e suo nipote erano davvero lì! A Wilfordshire! Nel suo negozio!

Gina si voltò a guardarla e la sua bocca formò una perfetta O di sorpresa. “Lacey? È la tua famiglia?”

Aveva gli occhi sgranati dietro ai suoi spessi occhiali dalla montatura rossa. Ma Lacey era troppo stupefatta per poter rispondere. Tutto quello che riusciva a fare era restare a fissare la scena.

Come avevano fatto ad arrivare qui? Perché erano qui?

Il pesante tonfo dello zaino che Frankie aveva appena fatto cadere a terra la risvegliò di colpo dalle sue considerazioni. Il bambino le si lanciò incontro di corsa.

Era cresciuto di almeno 10 centimetri da quando Lacey l’aveva visto l’ultima volta e ora aveva un sorriso maturo che trasformava il suo volto di bambino in quello di un ragazzo.

“Sorpresa!” esclamò mentre le andava a sbattere contro così forte da lasciarla senza fiato. Le strinse le braccia attorno alla vita come le spire di un pitone.

“Cosa ci fate qui?” balbettò Lacey, mentre accarezzava i suoi riccioli rossicci.

“Punti miglia,” disse Naomi, sollevando una valigia molto grossa e strapiena. Era vestita secondo la moda di quell’estate, con un vestito lungo colorato e un giacchino in jeans, il tutto completato da delicati gioielli in oro rosato. Lacey si sentì subito tesa per la mise casual che invece indossava lei: Naomi tendeva ad essere piuttosto critica in materia di aspetto.

Accanto a Naomi c’era Shirley, la madre di Lacey, con un grosso borsone a motivo floreale, apparentemente pronta a scattare da un momento all’altro. Vedendola, Lacey si innervosì immediatamente.

“Ho tirato su un sacco di miglia,” spiegò Shirley, spingendosi gli occhiali da sole in cima alla testa. “Frankie aveva una voglia matta di visitare la Scozia, quindi abbiamo pensato di venirti a trovare strada facendo.”

Mentre quella cozza di Frankie si staccava da Lacey e iniziava a esplorare il negozio, lei aggrotto la fronte confusa. “Ma la Scozia è un paese del tutto diverso! Letteralmente a centinaia di chilometri in quella direzione.” Indicò fuori dalla finestra, dalla parte opposta dell’oceano.

“Questo lo sappiamo,” ribatté Shirley, il tono subito offeso dall’insinuazione di Lacey. “Ma costava meno volare in Inghilterra per fare scalo che andare diretti lì.”

“Siamo solo di passaggio,” aggiunse Naomi. “Siamo diretti a Edimburgo.”

Lacey non poté che sentirsi sollevata che la loro visita fosse breve. “Quanto tempo avete di scalo, allora?” chiese.

Shirley, che stava sbirciando uno scaffale di ceramiche, rispose distrattamente. “Cinque giorni.”

“Giorni? Ore intendi,” la corresse.

Shirley si voltò verso di lei. “No, cinque giorni,” disse con totale ovvietà.

Tutta l’aria contenuta nei polmoni di Lacey uscì in un improvviso sbuffo. Quasi si strozzò per lo shock. Cinque giorni? CINQUE GIORNI? Che genere di scalo durava cinque giorni? Come li avrebbe intrattenuti? E il suo weekend lungo a Dover con Tom? La loro piccola fuga romantica cadeva proprio nel mezzo dell’imprevista visita della sua famiglia! Certo non poteva mollarli tutti lì, ora che avevano fatto tutta quella strada per venire a trovarla.

“All’inizio non ne ero sicura,” disse Naomi, continuando la storia da dove Shirley l’aveva lasciata. “Dato che una deviazione di cinque giorni in una vacanza di dieci mi sembrava poco conveniente. Ma poi la mamma ha suggerito di venire qui e farti una sorpresa. Molto meglio che passare cinque giorni nell’hotel di un aeroporto!”

Rise, ma Lacey non riuscì a fare neppure un sorriso. Per loro era meglio, sicuro, ma non lo era certo per lei! Tutto quello che avevano fatto era stato spostare l’inconveniente sulle sue spalle. E non avevano idea dell’impatto che avrebbe avuto la loro decisione.

“Avreste dovuto chiamare, o controllare, o qualcosa del genere,” disse Lacey nel più totale panico. “Non ho avuto il tempo di preparare nulla.”

“Cosa devi preparare?” chiese Shirley.

“La mia casa,” disse lei rapidamente. Si stava in realtà riferendo ai preparativi emotivi di cui solitamente aveva bisogno prima di passare del tempo con la sua famiglia, ma certo non serviva che loro lo sapessero. “Dove vi metto? Ho solo una camera in più!”

“Cavolo,” disse Naomi, distogliendo lo sguardo dallo scaffale pieno di statuine che stava oziosamente scrutando. “Possiamo prendere un hotel, se serve. Sul serio, pensavo che saresti stata più felice di vederci.”

Sono felice,” disse Lacey velocemente, anche se il suo tono carico di stress non suonava per niente convincente. “Sono solo stata presa alla sprovvista. È difficile farsi una ragione del fatto che siete tutti improvvisamente qui. Cinque minuti fa mi stavi mandando messaggi sul tempo e sulle montagne, e…”

Si fermò vedendo sua sorella che sorrideva e ammiccava con le sopracciglia. Alla fine Lacey capì a cosa si stava realmente riferendo la sorella in quei messaggi. Stava alludendo al loro imminente arrivo! Ma lei era troppo concentrata sulla situazione con Chester in quel momento, e non se n’era per niente accorta.

Lacey scoppiò a ridere e la bonarietà della situazione la aiutò finalmente a superare lo shock. Si avvicinò a sua madre e sua sorella e le abbracciò entrambe.

“Benvenute!” esclamò, con l’ospitalità che probabilità si aspettavano da lei fin dall’inizio.

“Questo è Chester?” chiese Frankie. Si era accucciato accanto a Boudicca e la stava accarezzando.

“Chester è dal veterinario,” spiegò Lacey. “Quella è la cagnolina di Gina, Boudicca.”

“Boudicca?” esclamò Frankie entusiasta, guardando Gina. “Come la regina guerriera celtica?”

“Ma sì! Giusto!” esclamò Gina guardando il ragazzino con occhi stupiti. “Come fai a saperlo?”

Frankie indicò i suoi ricci rossi e sorrise.

“È ossessionato da chiunque abbia i capelli rossi,” spiegò Naomi, con il tono di una madre che è arrivata al limite della propria pazienza con le fissazioni del figlio. “Ha deciso di studiare e scoprire di più su qualsiasi personaggio storico con i capelli rossi.”

“Ne conosco anche un sacco di britannici,” si vantò Frankie. “La regina Elisabetta I. Re Enrico VIII. Ron Weasley.”

Lacey ridacchiò. “Non sono sicura che si possa contare Ron Weasley come personaggio storico,” iniziò a dire, ma il suono del campanello sopra alla porta richiamò la loro attenzione.

Per un breve momento, Lacey fu felice della tregua fornitale da un cliente. Un paio di minuti di normalità le sarebbero stati utili per ricalibrare il cervello e digerire quella strana nuova realtà.

Ma quando vide chi era stato annunciato dal tintinnio, il suo stomaco le sprofondò sotto ai piedi.

Tom.

Cosa ci fa qui?! pensò disperatamente Lacey, ancora una volta pervasa dal panico. Non era pronta a presentarlo a sua madre!

Di questi giorni Tom era troppo occupato per passare a trovarla al lavoro. La stagione estiva portava tantissimi turisti a Wilfordshire, e dopo che la sua precedente assistente Lucia si era licenziata per lavorare al Lodge B&B, Tom sembrava non avere mai un secondo libero. Ma ora, nel peggiore dei momenti, era venuto a trovarla!

“Giorno,” disse Tom entrando, tutto occhi luccicanti e sorriso malizioso.

“Oooh,” disse Naomi sottovoce. L’espressione nei suoi occhi si era improvvisamente trasformata in quella di un predatore che punta lo sguardo sulla sua preda. “Salve, signor Meraviglia.”

Ovviamente quella mangiatrice di uomini di sua sorella non poteva lasciarsi sfuggire una bellezza come Tom.

Lui andò dritto verso Lacey e le schioccò un bacio sulla guancia. Lacey rimase impietrita, come a volersi preparare per un impatto.

Naomi sgranò gli occhi. Shirley li socchiuse. Frankie fece una smorfia disgustata.

“Bleah!” esclamò. “La zia Lacey ha un fidanzato.”

Tom la guardò accigliandosi. “Zia?” Poi sgranò gli occhi, comprendendo la situazione. “Lacey, questa è la tua famiglia?”

Prima che lei potesse rispondere, Naomi passò avanti e gli tese la mano.

“Sono Naomi, la sorella più giovane e simpatica. E tu devi essere Tom.” Disse il tutto con una voce sensuale che la faceva sembrare un gatto che fa le fusa.

Gli occhi di Tom scattarono di lato verso Lacey, come se fosse terrorizzato. Prese la mano di Naomi. “Bene,” disse con aria incerta. “Piacere di conoscerti.”

Naomi strinse la mano di Tom in una sorta di carezza. “Non mi avevi mai detto che era così bello,” disse a Lacey.

“Non ne ho mai avuto l’occasione,” rispose lei. “Eri troppo occupata a dare di matto dicendomi che era un santone serial killer.”

Tom ridacchiò nervosamente, lo sguardo che si spostava ansioso tra le due sorelle.

“Non essere sciocca,” esclamò Noemi. “Non ho mai detto niente del genere.”

Lacey ruotò gli occhi al cielo.

Tom cercò di liberare la mano dalla stretta di Naomi. “Lacey non mi aveva detto che sareste venuti a trovarla,” disse.

“Lacey non lo sapeva,” spiegò Naomi. “Volevamo farle una sorpresa.

“E ci siete riusciti benissimo,” commentò le sarcasticamente. Poi, rendendosi conto che il povero Tom era ancora prigioniero, disse con tono severo a sua sorella: “Puoi lasciarlo andare adesso.”

Non appena Tom si fu liberato dalla morsa della mano di Naomi, Shirley avanzò verso di lui. Era come guardare dei lupi che accerchiano un cucciolo di cerbiatto, pensò Lacey, trovando l’immagine in parte divertente.

Tom doveva essersi accorto dell’avvicinarsi di Shirley, perché sgranò ancora gli occhi. La donna teneva lo sguardo fisso su di lui, come se lo stesse curiosamente giudicando. Teneva ancora la braccia stretta attorno alla sua borsa a motivo floreale, come se fosse una sorta di scudo protettivo.

“Questa è mia mamma Shirley,” disse Lacey nervosamente, indicandogliela. La sua pazienza si stava lentamente esaurendo.

Tom parve stupefatto, proprio come era stata Lacey pochi minuti prima. Lei poteva non essere pronta a presentarlo a sua madre, ma a quanto pareva non era per niente pronto neppure lui.

“È un immenso piacere conoscerla,” disse Tom con tono gentile che mascherava lo shock sottostante.

Fece un passo avanti come a volerla salutare con un bacio, ma il fagotto che la donna teneva in mano gli impedì di avvicinarsi troppo, quindi rifece un passo indietro e le porse la mano. Shirley cercò di sistemare la borsa in modo da liberare un braccio, ma non ci riuscì, quindi Tom riportò la propria mano lungo il fianco e rimase fermo, con un sorriso timido e insicuro in volto.

Lacey non poteva che trovare divertente tutta quella scena. Almeno stava ripagando Tom con la sua stessa moneta! Magari ora capiva perché lei si fosse sentita così impacciata quando lui l’aveva presentata a sua madre, Heidi, mentre si era trovata alla stazione di polizia, sospettata per omicidio!

Shirley sorrise. “È un piacere anche per me,” disse, anche se Lacey era piuttosto sicura che la madre lo stesse mentalmente confrontando con il suo ex marito David, che Shirley ancora adorava, tanto da incontrarlo in diversi brunch.

In quel momento, Frankie apparve dietro alla nonna. “Io sono Frankie.”

“E tu da dove salti fuori?” esclamò Tom scherzosamente. Si guardò attorno in maniera esageratamente teatrale. “Siete tutti? C’è nessun altro che sta per saltare fuori dagli scaffali?”

Frankie ridacchiò.

“Hai un accento fantastico!” esclamò Naomi entusiasta. “Sei come l’eroe di una commedia romantica.”

Tom arrossì davanti al suo sorriso ardente. “Per quanto vi fermerete in città?” chiese. L’imbarazzo che evidentemente provava fece poco per mascherare l’immagine del goffo britannico a cui Naomi faceva riferimento. “Vi va di cenare con noi stasera?”

Inorridita, Lacey ruotò la testa di scatto per guardarlo. “Ma dovevi prepararmi una torta salata speciale!”

“È piuttosto facile da poterne fare per cinque,” disse Tom, fraintendendo completamente il suo commento. Guardò la famigliola. “Vi andrebbe di provare una torta di carne tradizionale britannica?”

“Oh sì. Tu sei uno chef, vero?” disse Naomi con la sua voce suadente. “Beh, io ho assolutamente voglia di assaggiare una delle tue delizie…”

Lacey si coprì gli occhi, sentendosi sprofondare per l’imbarazzo.

“Meraviglioso!” disse Shirley. Evidentemente l’offerta di un pasto fatto in casa era tutto ciò che bastava per eliminare il suo velo di sospetto.

“Ottimo!” disse Tom, ignaro della reticenza di Lacey. Le diede un bacio sulla guancia. “Ci vediamo alle sette. Buona giornata, signore!” Salutò poi Frankie con un leggero pugno contro pugno. “E signori.”

Uscì dal negozio e attraversò di corsa la strada, tornando alla postazione sicura della sua pasticceria. Lacey lo guardò andare, sentendo nel petto una sensazione di pesantezza per quell’improvviso invito che Tom aveva appena offerto alla sua famiglia, cancellando quindi il loro appuntamento a due.

Si voltò quindi verso la famigliola, ansiosa per la scomparsa della zona cuscinetto rappresentata fino a poco fa dal suo adorato. Non era che lei avesse un cattivo rapporto con nessuno dei suoi parenti. Solo che c’erano un sacco di cose non dette tra loro, soprattutto in relazione a suo padre. Dopo che Francis (detto anche affettuosamente Frank, al tempo) aveva improvvisamente lasciato la famiglia quando Lacey era ancora una bambina, Shirley si era rifiutata di parlare ancora di lui. E anche se Naomi aveva dato al figlio il suo nome, comunque non se ne parlava mai. In effetti nessuno aveva neanche mai espresso apertamente dei commenti sul nome del bambino. Shirley aveva immediatamente iniziato a chiamarlo Frankie – probabilmente per evitare che qualcun altro iniziasse a dargli il soprannome di Frank – e Naomi aveva semplicemente finto che quel nome le piacesse e basta. E dato che le cose non dette avevano la tendenza a gonfiarsi sempre più – come grossi buchi neri che poi inghiottono tutto e non si lasciano dietro nient’altro che antimateria – il legame madre-figlia-sorella era stato intaccato in maniera significativa.

“Allora, Lacey?” disse Shirley con tono impaziente. “Quando pensi di farci fare un giro della città?”

Frankie sembrava elettrizzato. “Sì! Un giro! Un giro! Voglio vedere le montagne!”

“Non ci sono montagne a Wilfordshire,” iniziò a dire Lacey, prima di essere interrotta dalle voci simultanee di Naomi – “Io voglio andare a bere una pinta di birra al pub” – e Shirley: “Questo posto sembra essere saltato fuori da un film.”

“Nessun giro,” esclamò Lacey, alzando le mani in segno di STOP. Ma lo disse con tono un po’ troppo forte e deciso. Tutti fecero silenzio, guardandola con espressioni abbattute.

“Ho un negozio da mandare avanti,” disse lei rapidamente, cercando di spiegarsi. “Non posso mollare tutto senza preavviso.”

“Ma certo che puoi,” disse Gina intromettendosi. “Questa mattina te ne sei andata per portare Chester dal veterinario, no?”

“Motivo in più per non lasciarti da sola un’altra volta,” disse Lacey annaspando.

“Sciocchezze,” rispose Gina. “Posso occuparmi del negozio. Sai che sono sempre felice di farlo. Te l’ho spiegato benissimo. E diciamocelo chiaramente: devi sempre assentarti per qualche imprevisto motivo. Che problema c’è se ne aggiungiamo un altro alla lista?”

Chiaramente Gina pensava di esserle d’aiuto. Non si rendeva conto che Lacey in realtà non voleva passare una giornata intera con la sua famiglia, senza essersi prima preparata psicologicamente!

“E il Lodge?” chiese alla fine, aggrappandosi disperatamente a una scusa. “Non vai a lavorare lì al giardino il pomeriggio? Non vorrai abbandonare Suzy.”

Gina rise. “Ho finito con i miei lavori al Lodge. Sono di nuovo tutta tua. E poi c’è il giardino qui che sta iniziando a dare segni di incuria. Ci sono pomodori non raccolti che stanno marcendo nell’orto, dato che qualcuno non capisce quando siano abbastanza maturi da essere raccolti,” le disse con sguardo eloquente.

“Lacey!” la rimproverò Shirley, come se lei – una residente di New York – fosse un’esperta nella coltivazione dei pomodori.

“Significa che oggi sei libera?” chiese Frankie con tono esaltato, tirandole la maglietta.

“Ha-ha,” disse lei, sforzandosi di cancellare la frustrazione che provava, per non deluderlo. “Immagino di sì…”

Un cane malato. Un’improvvisa intrusione famigliare. Le cose non stavano esattamente andando secondo programma. E ora che la sua famiglia sarebbe venuta con lei anche al suo appuntamento serale, si stava chiedendo di quanto ancora la situazione sarebbe potuta peggiorare.

CAPITOLO QUATTRO

“Possiamo entrare lì?” giunse la voce eccitata di Naomi da dietro le spalle di Lacey.

Stringendo i denti, Lacey ruotò di 180 gradi per guardare sua sorella in faccia.

Per ora l’allegra famigliola era arrivata alla fine della via principale senza imbattersi in persone del posto, cosa che non era stata per niente facile. Lacey aveva fatto il possibile per tenere Shirley alla larga dalla boutique di Taryn, e Frankie a debita distanza dal negozio di giocattoli di Jane, ma ora Naomi si era fermata fuori dalla Coach House Inn e stava sorridendo entusiasta.

“Avevamo detto che prima saremmo andati alla spiaggia,” le ricordò Lacey, sentendosi come un’insegnante durante una gita scolastica, intenta a tenere a bada un gruppo di discoli scolaretti, guidandoli verso la loro destinazione.

Anche se la spiaggia sarebbe stata piena di gente, vi avrebbero trovato per lo più turisti, e le loro possibilità di mescolarsi anonimamente con la folla erano molto più elevate lì. Ma se fossero entrati al Coach House, era scontato che vi avrebbero trovato qualcuno del posto. E se Brenda, la cameriera pettegola, avesse visto Lacey con la sua rumorosa famiglia americana, la notizia si sarebbe diffusa a macchia d’olio nella cittadina in un batter d’occhio. Lacey sapeva benissimo quale fosse l’accoglienza riservata agli americani in quella cittadina, e aveva lavorato sodo lei stessa per staccarsi di dosso l’etichetta da straniera.

“Ma io voglio una bella pinta di nera,” disse Naomi facendo il broncio come un bambino disobbediente.

“Nessuno la chiama così qui,” le disse Lacey, ormai esasperata. “E poi è troppo presto per l’alcool. E poi Frankie non potrebbe entrare. È troppo piccolo.”

“Davvero?” disse Naomi con tono sorpreso. “Pensavo che tutti i bambini europei bevessero vino a tavola.”

“Vino?” esclamò Frankie con eccitazione, tirando la maglietta di Lacey. “Posso bere il vino?”

Lacey scosse la testa. “Sono i bambini francesi che bevono vino. Nel Regno Unito sono severi quanto noi in materia di alcolici.”

Era un bluff. L’età per bere era di diciotto anni in Inghilterra, e i bambini potevano entrare nella maggior parte dei pub durante il giorno, se accompagnati da un adulto. Ma non era necessario che Naomi lo sapesse.

“Io voglio davvero andare in spiaggia,” disse Shirley. “È da tantissimo tempo che non vedo l’oceano.”

“Visto!” disse Lacey, cogliendo la palla al balzo. “Facciamoci una camminata sulla Promenade. Poi possiamo andare a vedere le rovine del vecchio castello.”

“È un castello scozzese?” chiese Frankie, tirando la mano di Lacey mentre riprendevano il cammino.

“Non è scozzese,” gli spiegò lei. “Siamo in Inghilterra. La Scozia è molto distante da qui. E poi cos’è tutta questa ossessione per la Scozia? Da dove è saltata fuori?”

Naomi ruotò gli occhi e rispose per lui. “Uno dei suoi compagni di classe ha fatto una festa di compleanno a tema Braveheart. Frankie ha fatto il collegamento dei capelli rossi e tutto è partito da lì. Quando la mamma gli ha chiesto cosa volesse per il suo ottavo compleanno, lui aveva pronte due richieste: lezioni di cornamusa, oppure un viaggio a vedere il treno a vapore giacobita nelle Highlands scozzesi. Fortunatamente per i timpani di tutti, la mamma aveva tutte quelle miglia aeree da usare.”

“Per fortuna…” mormorò Lacey sottovoce.

“Hmm?” chiese Naomi.

“Niente,” le rispose prontamente.

Doveva darsi una regolata, ricordò a se stessa. Avere qui la sua famiglia era bello. Soprattutto poter vedere Frankie dopo tanto tempo. Ne aveva sentito la mancanza negli ultimi mesi, e il bambino era cresciuto un sacco. E sembrava anche essersi calmato un poco. Era solo lo shock di esserseli trovati tutti davanti senza preavviso. E il tempismo. Un tempismo davvero pessimo!

Lacey pensò alla sua fuga romantica con Tom. Prima o poi avrebbe dovuto parlarne con la sua famiglia, spiegando che li avrebbe dovuti lasciare a loro stessi. Ma adesso non era il momento. Erano appena arrivati in terra britannica.

“Ehi, mamma, guarda qua,” disse Naomi, rivolgendosi a Shirley. Si era fermata fuori da un’agenzia immobiliare e stava guardando la vetrina con gli annunci di enormi proprietà agricole che nessuno poteva permettersi, ma dove tutti amavano immaginare di poter vivere.

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