“Che giornata!” disse Mark, mentre si immetteva nel traffico. “Prima sono stato al banco estero, ed è stato da matti. Un sacco di gente che cedeva azioni per colpa di quel dittatore nel medio oriente, quello che piace tanto ai russi. Tutti a spostare i soldi attraverso i conti Forex e a comprare obbligazioni.”
Mia stava ascoltando solo per metà, pensando al modo migliore per presentargli le sue novità. Non sentendola rispondere, Mark lo prese erroneamente come un accenno a cambiare discorso e spostò la sua attenzione su di lei.
“Allora, come sta andando alla fabbrica di pastiglie?”
Mia sinceramente non aveva idea di come iniziare.
“Te lo dico mentre ceniamo.”
Mark andò fino a un ristorante italiano che entrambi amavano e lasciò la macchina nel parcheggio mezzo vuoto. Mentre le apriva la porta, Mia si sentiva nervosa. Cosa gli avrebbe raccontato? Aver perso sia l’appartamento che il lavoro era un po’ sconsolante, oltre ad essere un sacco di roba da spiegare.
Il ristorante era caldo e accogliente. Un robusto cameriere li accompagnò a un tavolino d’angolo, dove si sistemarono, preparandosi a ordinare. Mark si accomodò, perfettamente a proprio agio.
“Allora, il tuo capo è andato a nessun convegno del Dottor Who, ultimamente?”
“Ecco, diciamo che è una delle cose di cui vorrei parlare.”
“Il Dottor Who?” rispose Mark ironico.
Mia lo guardò nervosamente, sperando di ricevere da lui un qualche aiuto, ma Mark continuava a studiare il suo menù, aspettando che lei finisse il discorso. Mia decise quindi di partire dalle piccole cose e dirgli prima dell’appartamento.
“Mi dovrò trasferire…”
Mark sollevò leggermente le sopracciglia. Curioso, ma non preoccupato.
“… trasferirti? Pensavo che Brynn e Jeff ti sostenessero.”
“Jeffrey ha venduto il condominio.”
“Ma dai! Jeff ha venduto il condominio? Deve aver fatto un colpaccio! Adoro quell’uomo.”
“Devo andarmene tra due settimane.”
“Oooh, roba rapida. Non ti preoccupare, tesoro,” la rassicurò. “Troveremo un posto, chiameremo una ditta di traslochi. Andrà tutto bene.”
Mia fissò Mark confusa. Sapeva che lei stava vivendo senza dover pagare l’affitto, eppure non sembrava per niente preoccupato. Doveva raccontargli il resto, aiutarlo a vedere il quadro completo.
“Il fatto è che ho perso il lavoro,” disse.
“Sul serio? Cos’è successo?” Questa volta Mark sembrava davvero preoccupato. Si chinò in avanti e le diede tutta la sua attenzione.
La storia le uscì di bocca in un migliaio di pezzetti frammentati, concludendosi con l’epico scontro finale con Miles Cameron.
“Miles Cameron? Il megamiliardario?”
“Sì, è stato davvero orribile…” Mentre descriveva i dettagli, l’atteggiamento di Mark iniziò a cambiare. La sua espressione solitamente così solare si fece più dura. Le narici si dilatarono in chiaro segno di rabbia.
Mia provò un senso di sollievo. Mark capiva quello che Cameron aveva fatto, il modo in cui l’aveva minacciata e insultata. Era arrabbiato per il pessimo trattamento che la sua fidanzata aveva subito.
“Ho dovuto issarmi a difesa dell’umanità,” gli disse, portando la storia a una drammatica conclusione. Poi lo guardò, orgogliosa e ancora emozionata per aver difeso i propri principi.
Mark la fissò per un momento, come se stesse tentando di formulare la risposta giusta. Il cameriere portò loro da bere, e lui mandò giù la sua birra in due sorsate. Poi parlò.
“Hai rifiutato un lavoro da sei cifre?” La sua voce sembrava tesa.
“Ho dovuto farlo,” disse Mia, non capendo completamente perché si stesse concentrando su quell’aspetto della storia.
“Perché mai fare una cosa del genere?” le chiese con rabbia. Alcuni altri clienti del ristorante si voltarono verso il loro tavolo. Mia era stupita dall’intensità della sua reazione.
“Hai sentito quello che ho appena detto? Quell’uomo era insopportabile.”
“È un multimiliardario. Pensi che sia facile?” ribatté Mark, diventando man mano più agitato.
Mia rimase a bocca aperta.
“Aveva intenzione di cambiare destinazione d’uso di un importante farmaco contro il diabete,” gli spiegò.
“È la sua azienda, Mia. Può farci quello che vuole.” Nella voce di Mark c’era una nota acuta che Mia non aveva mai sentito prima d’ora. Mark chiamò il cameriere e ordinò un’altra birra. “Ho bisogno di bere qualcos’altro dopo questo disastro.”
“Disastro? Mi stai dicendo che avrei dovuto accettare i soldi?”
“È proprio quello che sto dicendo, Mia. Sai quanto sia costosa New York. Se entrambi avessimo un reddito da sei cifre, magari potremmo permetterci più di uno sgabuzzino. Hai davvero mandato tutto a puttane.”
Mia si sentì avvampare in viso. Sembrava che tutti nel ristorante li stessero fissando.
“Posso trovare un altro lavoro, Mark.”
“Tu? Sei un tecnico di laboratorio. Pensi che chiunque ti proporrebbe un contratto da duecentomila dollari? Questa era la tua possibilità, la nostra possibilità. Il Prossimo Passo è una cosa costosa, Mia.” Calò il silenzio.
Mia stava fissando il suo fidanzato, stupefatta. Mark non le aveva mai parlato così. Si sentiva mortificata, ferita e confusa. Le relazioni erano una situazione in cui ci si aiutava quando le cose diventavano difficili, o no? La signora al tavolo accanto la guardava con compassione.
“Cosa vorresti dire? Ti ho raccontato quello che è successo. Sono stata il fulcro nella creazione di quel medicinale. Non sono solo un tecnico di laboratorio. Sono un fantastico tecnico di laboratorio.”
“È solo che a me sembra che il lavoro qui lo faccio tutto io,” disse Mark scrollando le spalle.
Mia sentì le lacrime salirle agli occhi. Ricacciò indietro i suoi sentimenti prima che lui potesse vedere quanto l’aveva ferita. Come avevano fatto le cose a precipitare così rapidamente? Forse era meglio se ora tagliava la testa al toro e gli diceva come si sentiva.
“Senti, Mark. Il lavoro in laboratorio mi piace, ma le dinamiche e l’organizzazione sono frustranti. Quello che voglio veramente è far funzionare The Vortex.”
Mark parve sgonfiarsi davanti ai suoi occhi. La rabbia evaporò e lui sprofondò nella sua sedia.
“… Vedi? Ecco qual è il problema. Non sei seria, Mia. Continui sempre a sognare.”
“Ma essere una coppia non dovrebbe significare supportarsi a vicenda nei propri sogni?”
“No, se sono sogni del piffero! Cosa vuoi da me, Mia. Dimmi solo quello che vuoi.”
“Che ne dici di fare il Prossimo Passo con me? Siamo fidanzati da due anni. Non dovremmo andare a vivere insieme? Fissare la data per il matrimonio? Iniziare a fare programmi?”
“Non è così semplice, Mia. Ci sono un sacco di considerazioni da fare.” Mark scrollò ancora le spalle e la guardò dritta negli occhi.
“Ma potremmo semplificare le cose, Mark. Potremmo scappare insieme. A me non frega niente di anelli e inviti di nozze, e a te?”
Questa volta non rispose, ma continuò a tenere gli occhi bassi, perso nei suoi pensieri. Poi scosse la testa.
“Senti, è un po’ che ci penso. Forse dovremmo prenderci una pausa.”
Mia si sentì sprofondare il cuore sotto ai piedi, come quando si trovava su una di quelle montagne russe dove Frank la portava, quelle che salivano lentamente fino in cima e poi precipitavano giù velocissime dall’altra parte.
Mark la stava lasciando?
“Cosa intendi dire?” gli chiese, sentendosi tradita, confusa e ferita. “Stai rompendo il nostro fidanzamento?”
Mark era irrequieto sulla sua sedia, quasi incapace di guardarla negli occhi.
“Penso solo che non stia funzionando,” disse alla fine.
Mia lo fissò. Da quanto la pensava così? Da quando si era trasferito a New York per inseguire la sua carriera nella finanza, era stato evasivo. Fino ad ora, lei aveva imputato il suo comportamento allo stress del nuovo lavoro. Adesso si rendeva conto che c’era qualcosa di più profondo.
“Ricordo quando anche tu avevi un sogno, Mark. Volevi creare una community online che facesse da punto d’incontro tra mentori e aspiranti imprenditori del terzo mondo. Cos’è successo a quel ragazzo?”
“È cresciuto,” disse Mark con tono calmo. “Quello che voglio diventare adesso, è un gestore di fondi speculativi. E sei cambiata anche tu Mia, lo sai benissimo.”
“Forse hai ragione,” gli disse, sentendo le lacrime che minacciavano di tornare. Non voleva che Mark la vedesse piangere. Cacciò giù i propri sentimenti feriti. La verità era che si erano allontanati. Lui era ancora un bravo ragazzo. Ma la sua compassione era stata eclissata dall’ambizione.
“Sai, Mark, una volta credevi in un mondo migliore. Ora non sono più sicura di cosa credi. Ma so che non credi in me.”
Sperava che avrebbe ribattuto alle sue parole, che le avrebbe detto che si sbagliava, e invece fece solo segno alla cameriera di portare il conto. Rimasero in silenzio ad aspettare. Non era rimasto altro da dire.
Mia prese il telefono dalla borsetta e aprì la app Uber per chiamare un’auto.
“Devo prendere le mie cose dalla tua macchina.”
Mark pagò il conto e la seguì fuori. L’auto che mia aveva chiamato arrivò e lei vi mise dentro le sue borse. Poi si voltò verso Mark e lo guardò negli occhi per l’ultima volta.
“Senti, magari potremmo…” le disse lui.
“… Dovresti andare a vedere lo spettacolo. Aspettando Godot parla dell’attesa di qualcosa che non succederà mai, un po’ come io che aspettavo il nostro Prossimo Passo. Addio, Mark.” Lo baciò sulla guancia e si infilò nell’Uber. Mentre l’auto partiva, iniziò a cadere una fredda pioggia.
CAPITOLO QUATTRO
Mia si svegliò sotto a un groviglio di coperte stropicciate. Per un breve momento le parve una mattina come tutte le altre. Il sole stava brillando dietro alle imposte e il rumore del traffico iniziava a farsi più intenso. Sul suo telefono arrivò una notifica. Nervosamente lo afferrò: magari Mark aveva cambiato idea e la chiamava per parlarne? Controllò messaggi e email. A parte un principe nigeriano che chiedeva le sue credenziali bancarie, la sua casella era vuota. Sprofondò nuovamente sul suo cuscino, triste e avvilita.
Uff, ieri è stato il giorno peggiore della mia vita!
Il ricordo della totale mancanza di appoggio da parte di Mark era ancora vivido e doloroso. E poi le faceva male la testa. Oh sì, ora ricordava. Era rimasta sveglia fino a tardi con una bottiglia di Pinot a guardare repliche di Cacciatori di fantasmi. Quindi questo era il primo giorno di ciò che restava della sua vita. Il grande spazio vuoto che costituiva il suo futuro sembrava schiacciante. Il telefono suonò, ridestandola dai suoi pensieri. Era Mark? Si strofinò gli occhi e fissò lo schermo mentre le tornava in mente un promemoria molto spiacevole.
Ore 18.30 di stasera. Cena I&P.
No!
La cena annuale dell’Incatramata con piume veniva organizzata dai Middleton ogni primavera in onore dell’illustre antenato della famiglia – Arthur Middleton – che era stato un grosso fan della citata punizione, riservata agli oppositori durante la Rivoluzione Americana. Mia aveva la netta sensazione che non appena avesse detto alla sua famiglia che nello stesso giorno aveva perso lavoro e fidanzato, sarebbe stata lei a finire ricoperta di catrame e piume.
Si tirò le coperte sopra alla testa. Starsene seduta alla cena dei Middleton con tutte le loro stupide domande e le scuse che lei avrebbe dovuto porgere, era l’ultima cosa che voleva. Tirerò fuori una scusa, pensò, appena mi passa questa balla e il mio cervello ricomincia a funzionare.
Percependo il suo bisogno di compagnia, Tandy saltò sul letto e premette il muso contro la sua spalla. Mia si era fermata a prenderlo tornando verso casa, dicendo a Brynn che aveva mal di testa e che la serata era finita presto. Mia sbirciò fuori dalle coperte e lo vide intento a fissarla incuriosito, i suoi occhi marroni stranamente comprensivi e compassionevoli. Come a volerla rassicurare, le leccò la mano.
“Hai ragione,” gli disse, gettando via le coperte. Sentì girare un poco la testa quando si mise a sedere e fece un respiro profondo. Non poteva permettersi di provare pena per se stessa. C’erano un milione di cose da fare. Tandy saltò giù dal letto e iniziò a correre qua e là, contento che si fosse alzata e si stesse muovendo.
Mia andò in bagno, si lavò il viso dagli ultimi residui di make-up della sera precedente e si spazzolò i capelli. Poi mandò giù tre aspirine con il suo caffè, si infilò una tutta e portò Tandy a fare una corsa. Trenta minuti e tre miglia più tardi, era tornata nel suo loft, arrossata, sudata e leggermente rinvigorita. Si fece una doccia e si vestì. Oggi non serve nessuna camicia ordinata, pensò.
Dopo lo scontro con Miles Cameron, le Risorse Umane si erano dimostrate piuttosto generose con la liquidazione, fintanto che lei accettasse di non parlare alla stampa e non denunciasse la società per terminazione ingiusta del contratto. E poi aveva da parte i suoi risparmi. Fece il conto. Se stava attenta, poteva avere a sufficienza per un acconto e tre mesi di affitto, oltre alle spese per vivere. Non era molto tempo per far funzionare The Vortex, ma era pur sempre qualcosa. Poi avrebbe dovuto trovare un lavoro sicuro.
Quando tornò in salotto, notò una chiamata persa. Le balzò il cuore in gola quando vide che c’era un messaggio in segreteria. Magari era Mark, e alla fine non avrebbe dovuto affrontare un futuro incerto. Poi riconobbe il numero. Era Brynn. Sospirò e premette il tasto per ascoltare.
“Mimi? Jeffy ha ricevuto una chiamata molto strana da parte di Mark stamattina. Va tutto bene? Chiamami se riesci. Oppure ci vediamo direttamente stasera.”
Il cuore di Mia crollò a terra. Mark aveva chiamato loro, non lei. A quanto pareva gli interessava di più coltivare Jeffrey come futuro cliente che riparare la loro relazione. Apprezzava la preoccupazione di sua sorella. Ma non si sentiva pronta a parlare. Che scusa poteva usare per evitare la cena? Intossicazione alimentare? Che doveva fermarsi al lavoro fino a tardi? Che il suo ex ragazzo l’aveva scaricata e non voleva essere costretta a spiegare tutto nel dettaglio? Mandò velocemente un messaggio a Brynn.
Ti spiego dopo. Non mi sento ancora in forma.
Brynn le rispose immediatamente.
Non osare lasciarmi sola a quella cena, Mimi!
Fregata, pensò Mia.
Va bene! Ok, ci vediamo stasera. Ma ti prego, non parlare di Mark davanti a tutta la famiglia! le scrisse.
Forse la cosa migliore era rimettersi subito al lavoro. Poteva darsi che non fosse troppo tardi per salvare l’account O-Date. Avrebbe registrato lo spot e l’avrebbe mandato ad Angie con delle scuse. Premette il pulsante d’accensione del suo portatile. Non appena lo schermo di accese, Angie le mandò un messaggio.
Non ti preoccupare per quello spot. Andiamo avanti con un altro podcast. ‘Libro, campanella e candela’. È nuovo. Un sacco di visualizzazioni. Scusa, Mia! Stammi bene.
Dannazione, pensò Mia con una bruttissima sensazione. Ecco che anche O-Date se ne andava. Ora aveva davvero zero entrate. Aveva una voglia disperata di tornare a letto, ma aveva solo due settimane per fare qualcosa. Aprì un nuovo documento e stese una lista delle cose da fare.
Prendere scatoloni. Inscatolare roba.
Cercare appartamento.
Potenziali sponsor? Chiamate a freddo. Uff.
Ok. Punto uno. Scatoloni. Non c’era un negozio UPS in fondo alla strada? Stava per cercarlo su Google, quando il suo telefono suonò di nuovo. Questa volta fece un salto e quasi le venne un colpo. Non posso proprio andare avanti così, pensò mentre fissava il numero, questa volta sconosciuto
Prese il telefono. Tanto cos’altro poteva andare storto?
“Pronto?”
“Parlo con Mia Bold?”
Mia si preparò ad ascoltare qualche offerta. “Sì.”
“Ciao Mia! Sono contento di averti beccato,” disse un’amichevole voce maschile. “Prima di tutto, sono un grosso fan di The Vortex. Davvero un grosso fan!”
“Ehm, grazie,” riuscì a dire Mia, arrossendo.
“Mi chiamo Graham Stone. Sono un produttore. Una volta mi occupavo di serie TV a Hollywood. Mai sentito parlare di Presenze?”
“Intendi dire quando la gente scompare, ma rimane attorno a noi?”
“No, lo show in TV! Prima di diventare una cosa che si faceva nelle coppie, era una serie di un’ora.”
“Non sono sicura di conoscerlo,” disse Mia, googlando il nome. Stava dicendola verità. Era presente nel database della IMDB con un breve elenco di accrediti e progetti. La maggior parte degli accrediti erano per effetti speciali fisici. Lo spettacolo Immagini fantasma era durato un anno.
“… Senti, so che fai fatica con la commercializzazione del tuo prodotto,” disse Graham. “Ho sentito le tue promo. Ottima scrittura, ma sei un’artista, non una venditrice. Ecco dove entro in ballo io.”
“Ok, ti sto ascoltando,” disse Mia, ora davvero incuriosita.
“Sono un genio del marketing. Sto lavorando a un progetto nuovo di zecca e sto già parlando con la HBO e la Disney. Ho già Appuntamento con il Vampiro e O-Date come sponsor.”
“Hai firmato O-Date?” gli chiese, irrigidendosi al pensiero dell’account che aveva appena perso. Si preparò a sentire cos’avesse da venderle questo tizio.
“Ti chiamo per offrirti un lavoro. Il mio nuovo progetto è un podcast che si intitola Libro, campanella e candela.”
“Ah, sì. Angie me l’ha accennato.” Quindi questa era la roba della campanella e della candela per cui la O-Date l’aveva scaricata? Lo show con un sacco di visualizzazioni?
“Angie-pasticcino? È fantastica. Senti, non posso ancora pagarti, a parte la spartizione dei profitti. Ma i numeri cresceranno e ci saranno degli extra. Posso offrirti un ottimo appartamentino, totalmente gratuito. Ti piacerà un sacco!”
Come fa a sapere che sto cercando casa? Doveva ammettere che Graham Stone era davvero un ottimo venditore, migliore di quanto lei sarebbe mai stata. Era molto sicuro di sé e il suo entusiasmo era contagioso.
“Mi sembra fantastico, signor Stone, ma…”
“Chiamami Graham.”
“Ho un cane…”
“Io adoro i cani! Come si chiama?”
“Tandy.”
“Come Vic Tandy! Che forza! Senti, il condominio è mio. Amiamo i cani! È un posto fantastico. Qual è la tua email? Ti mando un link.”
“Ecco, è solo che non penso…”
“Dacci un’occhiata. Cos’hai da perdere?”
Quelle parole la scossero come un terremoto. Cos’aveva da perdere? Tutto attorno a lei stava già cadendo a pezzi.
“Mia Bold chiocciola The Vortex punto com,” gli disse.
Si sentì un ping e subito le arrivò un link. Ci cliccò sopra e si trovò a guardare un sito immobiliare. Mentre scorreva le foto, rimase a bocca aperta. L’appartamento era bellissimo, con una certa atmosfera da vecchio mondo coloniale, ed era completamente arredato. Sembrava accogliente, ben messo e pronto per essere abitato. Alla fine vide l’indirizzo.
“Ma è in Massachusetts!”
“Già.”
“Salem, Massachusetts? Il posto del processo alle streghe?”
“Proprio quello!”
Quanti posti stregati aveva voluto andare a vedere a Salem? Troppi per poterli contare. Dunque, c’era la prigione di Salem, il Proctor’s Ledge, la Tenuta Turner-Ingersoll, la Casa della Strega, il vecchio cimitero, e molti altri.
Controllò su Maps la strada da Fishtown a Salem. Erano cinque ore di macchina. Per un momento fu tentata di dire sì. Bastava tirare fuori la sua vecchia auto dal garage a casa di Brynn, e lasciare la città. Dimenticare Mark e non dover spiegare alla sua famiglia l’intera storia. Semplicemente imboccare la strada e ripartire da zero. Potrei semplicemente prendere e partire così? Non sono mai vissuta in nessun posto oltre alla Pennsylvania. Le cose sono difficili, certo. Ma partire così e trasferirmi a trecento miglia di distanza? Decise sensatamente che l’intera idea era una follia.
“Senti, apprezzo davvero l’offerta, ma devo dire di no.”
“Non vuoi neanche sapere qual è il lavoro?”
“Scrivere?” Le sembrava piuttosto ovvio.
Graham rise e la sua voce rimbombò attraverso il telefono.
“Voglio molto di più, Mia! Voglio che tu sia il nostro pezzo forte.”
“Il vostro pezzo forte?”
“Sì, sai, quella col cervello. La conduttrice. Ci serve qualcuno con una base scientifica, e tu sei la migliore. Adoro come scrivi. Adoro la tua voce. Ho visto un tuo video su YouTube, e hai anche l’aspetto giusto. Sei strepitosa! Ti voglio per il mio spettacolo. Voglio fare di te una star!”
Mia era riconoscente che Graham non potesse vedere com’era arrossita.
“Mi sento lusingata, ma…”
“La prima puntata è tra tre settimane. Prenditi un po’ di giorni per pensarci, ma ti avviso che potrei diventare insistente. Mi farò sentire.” Graham riagganciò prima che Mia potesse rispondere.
Scosse la testa. Era davvero successo?
CAPITOLO CINQUE
Mia smontò dall’Uber, cercando con attenzione di trovare il giusto equilibrio sulle sue scarpe vintage con i tacchi alti, mentre camminava sul marciapiede irregolare. La verità era che si sentiva un po’ nervosa all’idea di partecipare alla cena annuale dell’Incatramata con piume. Sollevò lo sguardo sulla solida struttura in mattoni della City Tavern che incombeva su di lei. L’edificio storico, situato a un tiro di schioppo dal fiume Delaware, era stato frequentato dai delegati del primo Congresso Continentale, riunito nella vicina Carpenter’s Hall nel 1744. A presenziare il congresso si erano succeduti George Washington, Thomas Jefferson, John Adams e l’antenato della sua famiglia adottiva, Henry Middleton, padre di Arthur Middleton, che aveva firmato la Dichiarazione d’Indipendenza. In parole povere: quel posto aveva un passato molto importante.
Il dress code per la serata era un semi-formale con ‘accenti dell’epoca’. Mia aveva scelto un vestito in pizzo color crema dal taglio moderno, con una gonna a più strati increspati e scollo rotondo. Gli accessori non erano una difficoltà, perché il suo patrigno, Daniel Randolph Middleton, era un commerciante di antiquariato che forniva reali pezzi americani a ricchi europei. Infatti, ogni Natale da quando aveva compiuto diciotto anni, Daniel le regalava uno strepitoso gioiello dalla sua collezione. Questa sera indossava un cameo d’epoca legato al collo con un nastro rosa.
I gradini di legno scricchiolarono sotto ai suoi piedi mentre saliva al secondo piano del locale, dove i camerieri e le cameriere correvano avanti a indietro nei loro costumi del diciottesimo secolo, servendo piatti e drink dell’epoca. Era un po’ come cenare in un museo del cibo, illuminato da candelieri e candele a fiamma aperta.
La famiglia Middleton era seduta attorno a una lunga tavolata, apparecchiata con boccali dal coperchio in peltro e ceramiche bianche. La madre di Mia, Madison, era perfettamente agghindata con un vestito di Chanel blu-navy e portava al collo un giro di perle che era appartenuto a Mary Izard, la moglie di Arthur Middleton. Seduta accanto a lei, con postura militare e un portamento elegante, c’era il patrigno di Mia, Daniel, vestito con un tradizionale panciotto. Mia si chiese se non sarebbero stati più felici se fossero vissuti nel diciottesimo secolo. Il contrasto tra il suo vero padre, Frank Bold, con il suo aspetto trasandato e un certo fascino rilassato, e il suo patrigno così tradizionale e compassato, Daniel, non avrebbe potuto essere più netto. Ma anche se a volte Daniel Middleton metteva un po’ di soggezione, era un uomo generoso e adorava sua madre.
Jeffrey e Brynn sedevano dalla parte opposta del tavolo. Un uomo dinoccolato, Jeffrey sarebbe anche stato bello, se non fosse stato per la sua espressione sempre tesa. Stava scrutando la stanza e fu il primo a scorgere Mia. Poi sussurrò qualcosa nell’orecchio a Brynn.
Maleducato! pensò Mia. Quella era la definizione perfetta per lui nella sua mente: riservato e noncurante di come le sue azioni facessero percepite dagli altri. Mia lo ignorò.
Poi c’era Reynolds Webb, l’addetti agli acquisti per la Antichità Middleton. Era vestito in maniera impeccabile, con una cravatta ascot e una spilla antica. L’unica sedia vuota al tavolo era quella accanto a lui. Perché non sono sorpresa? Sicuramente il segreto della rottura del suo fidanzamento era stato spifferato. Erano anni che Daniel tentava di sistemarla con il nervoso e timido Reynolds.
Mia accennò quello che sperò apparire come un sorriso allegro e si avvicinò al tavolo. Mark era sempre stato bravo a districare situazioni imbarazzanti. Questa sera avrebbe dovuto affrontare la propria famiglia da sola. Quando si fu avvicinata, Jeffrey si stava esibendo in un rapido monologo.