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Storia degli Esseni
E prima, difendere non mi so da un pensiero che vulnera, a parer mio nella parte più sensibile la opinione in discorso. E qual’è? È il superfluo, è il vano, è l’inutile di tale opinione. Voglio dire che questa ipotesi che combattiamo, ove pure si prescinda dal suo intrinseco valore, manca senza meno del primo e indispensabile requisito di ogni asserto, la sua necessità. È egli necessario per ispiegare l’origine degli Esseni, fare siccome fanno costoro un’escursione in Egitto? Fermamente io credo che non lo è. – E chi è quello che me lo insegna? – Strana cosa, ma pure verissima. È il signor Frank istesso, è quello istesso volume ov’egli di volo depose la sua professione di fede riguardo agli Esseni. Ed in qual guisa ce lo insegna il signor Frank? Disputando intorno all’antichità delle dottrine, della scuola dei Cabbalisti. Egli fu quello, e già ve lo dissi, che più risoluto tra i moderni scese nello steccato a propugnarne l’antichità. Egli non si diè posa fintantochè non rimise l’antichità della scienza in quella evidenza intuitiva che era stata pria delle moderne discettazioni. Ciò fece il signor Frank, e saviamente faceva, a parer mio. Perchè non fu conseguente? Perchè avendo in casa più che non era mestieri a rendersi conto della derivazione degli Esseni, andò attorno a cercarne la culla sulle rive del Nilo? Perchè non quetare nella origine propria e casalinga, quando tutti gli elementi ei ne chiudeva in pugno coll’antichità cabbalistica? Perchè torcere gli occhi da quelle strette attinenze alle quali ossequiava sinceramente la buona fede del Munk, nè il signor Frank istesso osava negare? Ecco la prima lagnanza che contro l’origine Alessandrina mi è dato rivolgere. Si comprende in una parola, in una frase; cioè, non è necessaria.
Non basta questo. Un argomento vi ha che, a senso del signor Frank, dimostra l’autonomia delle dottrine cabbaliste, cioè la loro origine indigena, nazionale, Palestinese; e questo argomento è la lingua.
La lingua, egli dice, di quella dottrina, è l’ebraica, e l’ebraica aramea, ch’è quanto dire, la lingua allora usitata in Palestina. Qual’era, per contro, la lingua dei filosofi Alessandrini? Era il greco idioma, il greco esclusivamente. Non è questa, dice il Frank, prova dell’autonomia Cabbalistica? Io non voglio discutere l’argomento del signor Frank, ma lo prendo per quel che vale, e così argomento. O la lingua prova, o nulla dice. Se prova, perchè non vale egualmente rispetto agli Esseni, dei quali non si è mai detto nè si poteva dir veramente che altra lingua usassero in Palestina, che non fosse l’ebraica, o quella qualunque allor usitata? – O non prova; ed allora, perchè concedergli di prova le sembianze e gli effetti? – Pare impossibile! Vi sono nel libro prelodato del signor Frank, nella scrittura della Kabbale, e in quella parte istessa, e quasi a contatto della malaugurata origine Alessandrina, tali inattese, tali decisive confessioni, e tale offrono manifesta repugnanza colla origine istessa, che davvero non si comprende come uno scrittore illustre, qual’è il filosofo francese, non l’abbia avvertita.
Vedete, in fatti, il signor Frank precludersi colle sue mani la via a spiegare non solo, ma nemmeno a comprendere la sognata origine Alessandrina. Vedete egli stesso elevare una barriera materiale, insormontabile, che il passaggio persino contende, onde prendere nello Egitto lo Essenato. Vedete egli stesso porci le armi alla mano, con queste parole: «Dallo istante (egli dice, e traduco a verbo), dall’istante in cui la scuola Neoplatonica prese a fiorire nella nuova capitale dell’Egitto, sino alla metà del secolo IV dell’E. V.; epoca nella quale la Giudea vide morire le sue ultime scuole, i suoi ultimi Patriarchi, le ultime faville della sua vita intellettuale e religiosa; quali rapporti troviamo tra i due paesi, tra le due civilizzazioni da essi paesi rappresentate? Ove, durante questo tratto di tempo, la filosofia pagana fosse penetrata nella Terra Santa, e’ bisognerebbe naturalmente supporre la intromissione degli Ebrei di Alessandria. Ma gli Ebrei di Alessandria sì scarsi rapporti aveano coi loro fratelli di Palestina, che assolutamente ignoravano le istituzioni Rabbiniche, le quali tra gli ultimi occuparono luogo così cospicuo, e che trovavansi già radicate tra essi oltre due secoli innanzi l’E. V.» – E quali prove reca in mezzo il sig. Frank ad avvalorare l’asserto?
Prove reca, bisogna pur dire, che desiderar non potrebbonsi più luminose. Egli reca la intera Enciclopedia ebraica alessandrina, ove assoluta campeggia la ignoranza delle cose e degli uomini Palestinesi. Reca, tra gli apocrifi, il libro della Sapienza, di origine, di autore Alessandrino. Reca l’ultimo libro dei Maccabei, foggiato come pare indubitato sulle rive del Nilo, ed il silenzio ci addita e la ignoranza assoluta di tutto quello che Palestina riguarda. Ignoranza dei più grandi uomini, che alta e sonora levarono fama di sè; ignoranza di Simone il Giusto, dei più celebri tra i Tannaiti; delle grandi scuole di Hillel e Sciammai; e sovra tutto, ei dice, ignoranza di costumi, d’idee, di tradizioni. Ma il Frank non è uomo da darci dimostrazioni incompiute. Egli prova, e si può dire con egual nerbo, con egual verità, la ignoranza reciproca nella quale gli Ebrei di Palestina vivevano di tuttociò che in Egitto avveniva, di tuttociò che concerneva i loro fratelli di Alessandria. Lo prova la oscura, l’alterata cognizione che i dottori possedevano della traduzione dei Settanta; lo prova il silenzio strano, incomprensibile, nella Misnà e nel Talmud dei nomi più insigni, delle grandi, delle somme illustrazioni israelitiche dell’Egitto; silenzio di Filone, silenzio di Aristobulo, e silenzio infine di tutte le opere anzidette, concette e partorite all’ombra delle scuole Egiziane. Lo credereste? Egli è in mezzo a quest’osanna perpetuo, alla impossibile comunicazione tra Palestina ed Egitto, egli è in mezzo a questo concorso imponente, maestoso di prove, contro l’origine Alessandrina, egli è qui, qui per l’appunto che l’origine Alessandrina degli Esseni si pone dal signor Frank siccome quel vero, che mestieri non ha di esser provato.
Voi lo udiste; voi vedeste con quanta urgenza di prove l’illustre autore innalzi tra Palestina ed Egitto tale una muraglia, rispetto alla quale, quella famosissima della Cina ti pare un trastullo. Che credereste ora che faccia il sig. Frank? Egli crede citare la massima delle prove, e cade invece, se così è lecito pensare di un tant’uomo, nel massimo degli equivoci. Egli cita in prova della non avvenuta comunicazione tra Palestina ed Egitto, il silenzio dei Rabbini intorno gli Esseni, intorno i Terapeuti. Perchè, egli chiede, perchè questo silenzio? Perchè gli Esseni, ei dice, origine avevano egiziana, e nulla che fosse egiziano dai Rabbini si conosceva. – Sogniamo o siamo desti? – È egli il sig. Frank che tale profferiva sentenza? E pure, dovuto avrebbe ad una piccola circostanza avvertire, che tutta avrebbe mandata a soqquadro la sua argomentazione; ch’è quanto dire, avria dovuto avvertire, che se la ragione può valere pei Terapeuti dimoranti in Egitto, non lo può in nessun modo pegli Esseni in Palestina stanziati; pegli Esseni che viveano tra le stesse mura e sotto gli occhi stessi dei dottori, i quali se non ne fecer menzione, a tutt’altra cagione bisogna imputarlo, che non a quella della pretesa origine egiziana. La quale origine egiziana tuttochè fosse vera addimostrata, nulla avrebbe impedito che dai dottori gli Esseni si conoscessero, e di essi a dilungo favellassero, siccome quelli che comune con essi avevano e patria e soggiorno e convivenza. Che se non lo fecero, non ci dite, di grazia, perchè traevano dall’Egitto la origine; chè così dicendo, offendete, non ch’altro, il più comunale buon senso. – Ma che dico il buon senso? Dovrei dire la vostra istessa teoria, il vostro sistema istesso d’isolamento, di separazione dell’Egitto. E come no? Voi dite gli Esseni Egiziani. E bene sta. Ma dove abitavano cotesti Esseni? Abitavano pure in Palestina; dunque di Egitto trasmigrati si erano in Palestina, o almeno le idee loro dall’Egitto passate erano in Palestina, perchè uomini od idee, nel caso nostro, è tutt’uno. Ma se passarono, se dall’Egitto trasferironsi in Palestina: che segno è? È segno che questi rapporti da voi negati, esistevano veramente. È segno che le dottrine cabbalistiche possono avere quelle stesse vie percorso, che lo Essenato percorse. È segno che tutto l’apparecchio dialettico da voi posto a sostegno della autonomia, della originalità cabbalistica, ruina ad un tratto. È segno che coteste due cose da voi sostenute, non possono insieme capire. È segno che bisogna scegliere, che bisogna ottare. – Volete gli Esseni derivati d’Egitto? Ed allora non negate tralle due regioni i rapporti. O meglio vi talenta ricusare tra Palestina ed Egitto ogni legame, ed allora rinunziate alla origine alessandrina dello Essenato. Volere e l’uno e l’altro, è al di sopra di ogni creata possanza: stare, per così dire, sulle due sponde a cavallo, è opera più che umana; conciossiachè del solo colosso di Rodi, si narri poggiare ad un tempo i suoi piedi sulle due opposte rive. Ma il colosso di Rodi è favola meglio che storia. E bene, o miei giovani, se ne accorse quel perspicace intelletto del Munk, il quale nella sua Palestina (a p. 519) tali parole dettava sul conto del Frank, le quali comecchè di gentilezza condite, non lasciano per questo di contenere l’avvertenza che noi al signor Frank dirigiamo. «Sembra, dice, in verità avere il signor Frank indebitamente negletto l’officio che gli Esseni ponno aver sostenuto, quali mediatori e sensali, tra l’Egitto e Palestina.»
Questa si chiama conseguenza, e noi volentieri la ossequiamo, quale diretta e legittima illazione del principio da ambidue consentito, cioè della origine alessandrina dell’Essenato. Noi possiamo però separarci dalla costoro sentenza, senza per questo incorrere nella taccia di contraddizione. Noi neghiamo col signor Frank la comunicazione tra Palestina ed Egitto; ma neghiamo altresì ciò ch’egli non fa veramente, cioè la origine alessandrina dello Essenico istituto.21
Io vi dissi che gli argomenti dal signor Frank invocati a sostegno della autonomia cabbalistica, militavano con non minor urgenza in favore dell’autonomia degli Esseni. Giudicatene voi stessi. – Ignoravano, egli dice, i dottori di Palestina, i loro confratelli di Egitto. In qual guisa le scuole pagane avriano conosciuto? Non è egli, io aggiungo, cotesto validissimo argomento in favor eziandio della originalità degli Esseni? Ma più. La lingua greca, dice il signor Frank, era in onore: sì, ma appo gli Israeliti di Palestina non era però familiare. Vedete, egli aggiunge, vedete Flavio che pure nella scienza pagana ci sembra tra i coetanei il più erudito. E pure, chi il crederebbe? è Flavio stesso che ne depone, è la sua confessione, sono le sue parole: Mestieri egli ebbe di chi nella greca favella lo erudisse, quando prese a dettare le sue istorie. – Mestieri ebbe di porsi al fianco tale, che nella lingua dei Greci quelle nozioni possedesse, di cui egli era digiuno. Mestieri fu che le istorie sue al costui sindacato sottoponesse.– Non basta. Flavio non recita sol di sè stesso la confessione, ma la ignoranza egli autentica altresì di tutti i suoi contemporanei, i quali al dire di lui poco in generale delle lingue curandosi, poco eziandio coltivavano lo idioma dei Greci; e se l’idioma, dice il Frank, era così trascurato, come potevano meglio conoscere le dottrine in esso idioma vergate? Bene, a parer mio, argomenta il signor Frank, e non meno bene noi stessi argomentiamo.
Io torno e domando. Avvi nulla in questo raziocinio che a capello non si acconci alla istituzione degli Esseni? Avvi nulla che più manifesto resulti della loro autonomia? – Ma più oltre spinge il signor Frank la intrapresa argomentazione, e più oltre con esso noi pure procederemo. Che cosa dice il signor Frank? Poniamo, egli dice, che la lingua si conoscesse. Poniamo che queste materiali difficoltà che noi vedemmo frapporsi alla comunicazione dei due paesi, non esistessero; mettiamo anzi, che liberamente le idee alessandrine in Palestina circolassero, e quelle di Palestina nello Egitto avessero accesso. Sarebbe per questo più probabile l’adozione delle dottrine dei Greci tra gli Ebrei, tra i dottori di Palestina? Lo nega il signor Frank per ciò che le dottrine cabbalistiche concerne, ed ha ragione. Chiama il Frank a rassegna, e concludenti ed infiniti sorgono alla sua voce, fatti, assiomi, decreti, anatemi, che tutti attestano concordi l’errore, la repugnanza in cui si avevano tra i dottori antichissimi le dottrine dei Greci. Egli chiarisce assurda, impossibile la pretesa consecrazione di teorie forestiere; egli restituisce alla teologia cabbalistica i suoi titoli, la sua ingenuità, la sua cittadinanza.
Io credo che niente più grecizzante sia il nostro Essenato, il quale, come vi accennai sino dall’esordire, tra le più distinte file si reclutava del nostro dottorato; che n’era, a così dire, il substratum, la quintessenza, il patriziato, e quindi doveva tutte parteciparne le viste, tutte le repugnanze. Finalmente, vi ha un argomento al quale come ad ultima ratio ricorre il signor Frank; nè male veramente si appone, sendo questo, e per esso e per noi, decisivo. Egli è l’argomento cronologico. Prova il Frank che R. Iohanan Ben Zaccai, grande Patriarca della misteriosa Mercabà, molto tempo innanzi fioriva che una scuola si schiudesse in Alessandria, che un solo filosofo vi facesse udire delle sue dottrine la voce. E non solo R. Iohanan Ben Zaccai, ma un dottore ad esso posteriore, R. Gamliel, quella scuola alessandrina precedette di tempo, conciossiachè da lunga pezza egli fosse già morto quando i primi albori spuntavano di filosofia nella città di Alessandria. Or bene (cosa meravigliosa e pur vera!), non si avvide il signor Frank, che questa stessa cronologica repugnanza si oppone a dirittura a qualunque preteso rapporto tra l’Essenato e gli Alessandrini; che questa anteriorità ch’egli a buon diritto conferisce ai dottori sulle scuole di Alessandria, di gran lunga maggiore, vantano meritamente gli Esseni, siccome quelli che, a confessione del medesimo signor Frank, erano, come attesta Giuseppe, generalmente conosciuti non solo ai tempi superiormente indicati di R. Gamliel e di R. Iohanan, ma in tempi assai più per antichità ragguardevoli, ch’è quanto dire ai tempi di Gionata Maccabeo, quando 150 anni dovevano ancora passare pria che di Cristiani si parlasse, pria che le scuole alessandrine risuonassero di quelle dottrine, che si vogliono generatori, balj del grande Essenato. E questo è argomento che davvero vi sembrerà categorico. Nè ciò basta.
Quando più saremo innoltrati nelle presenti esposizioni, molte cose vedremo che a confermare varranno la impossibile derivazione straniera del grande istituto degli Esseni. Vedremo la loro forte e rigida organizzazione, i gelosi insegnamenti, le lunghe prove, le incomunicabili dottrine, la perpetuità, la immutabilità dei dettati e tutto; insomma, vedremo quello che costituisce una forte, un’autonoma personalità, ove il genio spicca della originalità anzichè della imitazione, del profondo e concentrato sentire anzichè della espansione, della interiorità anzichè della esteriorità. In una parola, noi vedremo come non solo tutti gli argomenti dal signor Frank accampati, ma ben altri ancora rendano sommamente improbabile quella greca paternità, che pel Munk, pel Frank e per V. Gioberti si volle agli Esseni assegnare. Adesso venga pure avanti nella prossima conferenza l’origine cristiana, che non la temiamo. Faccia pure l’estremo di sua possa, chè rimarrà ancor essa sconfitta. Tutti i campioni che ella potrà mettere in campo, non salverannola dall’ultimo eccidio. Dirò come David nell’atto di affrontare Golia: «Ed io pure il Leone, ed io l’Orso percossi a morte.» – Quando si è avuto l’onore di convincere d’inesattezza gli autori questa sera rammemorati, si può a buon diritto sperare di venire a capo di altri eziandio. E sin da ora ai difensori della origine Cristiana potrò dire con Dante:
Ch’a più alto lion trassi lo vello.
LEZIONE SETTIMA
Movendo in cerca della origine storica, della derivazione degli Esseni, due furono finora i sistemi che abbiamo discusso. Quali questi sistemi si fossero, voi certo lo ricordate. Fu quello in primo del Salvador, che questa origine pone durante la invasione dei Siriaci sul suolo Ebraico. Fu quello in ultimo che sotto gli auspizj ci si offriva del Frank e del Munk, i quali la origine veggono entrambi dell’Essenico istituto nelle scuole, nelle idee, che la greca civiltà trapiantato si ebbe sulla terra di Egitto. Qual fu il giudizio che emerse dal duplice esame? Io non so se sbaglio, ma parmi avere abbastanza dimostrata la improbabilità di ambedue i sistemi. – Avvi ancora un terzo da esaminare; e quello si è che agli Esseni, all’Essenato un’origine attribuisce, un carattere assolutamente cristiano. Potremmo noi senza citarlo in giudizio procedere risolutamente alla dimostrazione di quella origine che crediamo più vera? Io credo che nol possiamo. Nol possiamo, perchè troppo si disdice ad accorto strategico, lasciarsi fiero e numeroso nemico dopo le spalle. Nol possiamo, per le smodate pretensioni che accampa, per la fama, per l’autorità dei suoi campioni; ed infine, permettete che io aggiunga, per il legittimo e dolce desio di un trionfo. Io ricordo però come il Profeta ammoniva, non prima doversi celebrare vittoria, che l’arma non si discinga debellatrice. Mestieri è dunque combattere, e combattere virilmente. Il campo conoscete, conoscete del litigio la causa; solo vi manca di conoscere gli avversarj, e dopo gli avversarj, le armi, gli argomenti proposti, e infine i poderosi argomenti della difesa. – Quali sono gli avversarj? Si può dire arditamente che nè maggiori potrebbero essere nè più cospicui. Qui è per primo Eusebio, il quale nel secondo libro delle Istorie Ecclesiastiche non dubita di affermare, non altro aver voluto Filone ritrarre, laddove degli Esseni prese a discorrere, che la Chiesa Cristiana allora nascente. Eusebio che aggiunge (e di che sappia l’asserzione vedremo fra poco) che il nome di Terapeuta vale a dire il nome in Egitto equivalente a quel di Esseni, anzi la greca traduzione del vocabolo Esseni, fosse comune appellativo dei primi Cristiani, anzi che questo nome di Cristiani assumessero. – Qui Epifanio che dice risolutamente, aver Filone nei Terapeuti dipinto il modello e i prischi tentativi del monacato cristiano; qui S. Girolamo che, per andare per le corte, converte di motuproprio al Cristianesimo il nostro Filone, che storico degli Esseni, Egiziani ed Essena egli stesso, fu quello le cui memorie togliamo anch’oggi qual guida, almeno principalmente nella cognizione dell’antico Essenato; qui il pseudo Dionigi Areopagita, che seguendo ciecamente l’andazzo dei suoi, giunge sino a chiamare un monaco a cui scrive, col bel nome di Terapeuta; qui Sozomeno, storico dei primi secoli dell’E. V., che alla sentenza medesima aderisce, solo per correttivo aggiungendo aver forse gli Esseni qualche vestigio conservato di riti giudaici; qui un cardinale, il Baronio, che a dimostrare la verità dell’antico Cristianesimo dei Terapeuti, così argomenta. Egli avverte il silenzio che degli Esseni si conserva assoluto per tutto il corso degli Evangelj, ed a questo silenzio non trova il Baronio che altre cause si possa assegnare, tranne coteste due. È la prima, dice il Baronio, la identità degli Esseni colla chiesa Cristiana. È la seconda la posteriore loro apparizione alla predicazione evangelica. Ma la seconda, aggiunge il Baronio, si oppone alla storia, che la esistenza degli Esseni ricorda sin da’ tempi anteriori: dunque, sola è vera la prima, solo il Cristianesimo degli Esseni basta a spiegare il silenzio evangelico. Voi udiste l’argomentare del Baronio; udrete tra poco, come dice l’Alighieri, l’argomentar che gli farò avverso. Per ora seguitiamo la nostra rassegna. Io debbo un solo ancora ricordarvi degli avversarj, e questi è il P. Montfaucon. Chi era il Montfaucon? Egli appartenne al dottissimo ordine fratesco, alla regola di quel grande che fondò Cassino, e fu Benedetto. Il Benedettino Montfaucon, che visse nel secolo erudito del 700, lasciossi così appieno infatuare dal preteso Cristianesimo dei Terapeuti, che a provarne ad esuberanza la verità, si accinse, siccome credo per primo, alla traduzione di quelle opere di Filone ove dei pretesi Cristiani, dei Terapeuti, è parola.
Ecco gli avversarj. Quali sono i loro argomenti? Parte ve ne dissi, e questi più particolarmente appartengono agli autori rammemorati. Parte adesso ne udirete, e sono quelli che più di frequente si veggono dagli avversarj imbranditi. – Quali sono questi argomenti? Sono tutti, si può dire, fondati sopra qualche supposta analogia fra i costumi, le leggi, la società, il genio dei primi Cristiani, e quelle dipinture che degli Esseni ci lasciava Filone. Ella è ora la gerarchia che s’invoca dei Terapeuti, ove tutti i diversi ordini sembra a costoro vedervi della Chiesa nascente; ora le guarigioni dagli uni e dagli altri miracolosamente operate, i beni ai poveri distribuiti, l’erario e gli averi comuni, l’amore delle chiose, dei commenti allegorici, il predominio del senso mistico sul letterale; eglino sono i digiuni, le macerazioni; ed infine, egli è il celibato. Ecco gli argomenti nemici; ed ecco i nostri. Egli è, in primo luogo, la contraddizione in cui cadde Eusebio, quegli stesso che primo vedemmo accreditare tra i Cristiani la voce del Cristianesimo Terapeutico. Or bene, tanto fu possente la verità, che lo stesso Eusebio non potè in qualche luogo dell’opera sua contrastargli l’ossequio. Voleva Eusebio provare come tra gli stessi Ebrei, nella stessa chiesa primitiva, allignasse lo spirito, la tendenza al ritiro, alla vita solitaria, alla contemplazione. Or che credete che faccia Eusebio? Egli cita gli Esseni; gli Esseni che, a senso suo, attestano l’antichità del genio cenobitico in Israel; gli Esseni che, per provare l’assunto, devonsi supporre Israeliti eglino stessi; gli Esseni, infine, che lo stesso Eusebio dovrà tra non molto dichiarare Cristiani. Si può dare contraddizione maggiore di questa? Eusebio però non si contenta di asserire, egli pretende inoltre provarne il Cristianesimo. Quali sono le prove? I Cristiani, egli dice, ebber nome Terapeuti, anzichè quello assumessero definitivo di Cristiani. È egli vero, costante, il fatto da Eusebio allegato? Parecchi antichi ne mostrarono la falsità. Lo mostrò, tra gli altri, il Basnage provando sino all’evidenza, come il nome Cristiani venisse dalla Chiesa adottato anzichè il menomo sentore avessero i nuovi credenti della esistenza nemmeno del nome Terapeuti; ch’è quanto dire che i cristiani tal nome ricevessero nella città di Antiochia, prima che altrove fosse predicato il Vangelo, pria che Marco Apostolo fondasse la Chiesa Egiziana, della quale si volle trovare i primi elementi nella scuola, nell’istituto dei Terapeuti. Che se il nome di Terapeuta lo vediamo tra i Cristiani usitato, siccome veramente il vedemmo, a denotarsi scambievolmente, che prova ciò? Prova soltanto che la parentela, che la consanguineità Terapeutica fu antico vanto, vanto preteso della Chiesa Cristiana; prova soltanto che imbevuti siccome erano della origine Terapeutica, si gratificavano scambievolmente di sì bel nome per una illusione che io chiamerei volentieri illusione retrospettiva; prova soltanto che il credersi dai Terapeuti originato, era un onore che avidamente si agognava. E poi, chi meglio di voi conosce il senso lato, vasto, capacissimo del nome Terapeuta, del nome di Essena? Voi sapete che cosa significa; significa Medico, Risanatore, e Risanatore dell’anima, delle passioni; ch’è quanto dire un concetto vi presenta che ogni religione, ogni setta, ogni scuola, per poco che abbia amore di sè, per poco che alto voglia infondere in altri il senso della sua eccellenza, si approprierà volentieri, siccome quello che meglio adempie all’officio nobilissimo per quel vocabolo additato. Che maraviglia, dunque, che il Cristianesimo se l’appropriasse e che il togliesse, senza per questo accennare precisamente ad una origine, ad una filiazione qualunque? Vi ha ora l’argomento del Baronio, che dobbiamo giudicare con processo sommario. Che cosa diceva il gran cardinale? Egli argomentava il Cristianesimo degli Esseni dal silenzio degli Evangelj. Diceva il Baronio: due sono le sole cause plausibili di questo silenzio: o gli Esseni sono Cristiani, o ai tempi evangelici non esistevano. – Ma l’ultimo dei supposti è falso, perchè gli Esseni esistevano veramente, dunque è dimostrato che gli Esseni sono Cristiani. – Dante, quando nell’VIII canto del Paradiso volle parlare di Sigieri, che insegnato aveva logica in Parigi, disse di lui che nel vico degli Strami