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Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire
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Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire

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Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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Sintanto che le cose rimanevano in quello stato, il Re si teneva per certo di trovare, quando ne abbisognasse, il popolo armato in sua difesa e nemico dei suoi nemici; e la nobiltà siccome il clero avendo gli interessi comuni colla corte, fidavano anch'essi nelle armi che avrebbero consegnate ai lazzari in un momento di crisi rivoluzionaria e si confortavano pensando che il popolano così affezionato al suo Re e così devoto al clero avrebbe resistito a tutte le seduzioni del partito liberale.

Già sul finire dello scorso secolo, i lazzari si erano mostrati quali li volevano il Re, la nobiltà ed il clero, e se nel Maggio del 48 il sangue cittadino non fu sparso in tanta copia, quanto nei giorni di Championnet, non fu quella parsimonia da attribuirsi alla clemenza del popolo, ma bensì alla debolezza della resistenza che ad esso opposero i liberali, che in picciol numero erano rimasti in Napoli, mentre pressochè tutti correvano verso il Po ove speravano combattere e vincere l'austriaco.

Intanto sì il Re che la nobiltà ed il clero si confortavano colle dimostrazioni popolari che consideravano come sintomi importantissimi dello stato della pubblica opinione. – Quando il Re compariva a Chiaja o a S. Lucia era salutato con acclamazioni frenetiche dei lazzari-pescatori, ed esso rientrava nel suo palazzo convinto che il suo popolo lo adorava, e sicuro di trovar sempre una valida difesa contro il liberalismo ed i liberali, in quei semplici, ma fedelissimi petti. – La nobiltà divideva le illusioni del sovrano, e ben sapendo, che la privilegiata di lei condizione si manterrebbe quanto il potere assoluto del principe, dessa si stimava solidamente stabilita e secura. – Il clero anch'esso vedeva sempre lo stesso concorso di popolo nella chiesa di S. Gennaro il giorno del famoso miracolo; udiva le stesse preghiere, le stesse promesse, improperi ed acclamazioni secondo che il sangue era più o meno pronto a bollire, vedeva la stessa moltitudine seguirlo nelle processioni, la stessa calca nelle chiese, ai confessionali, dinanzi agli altari; vendeva lo stesso numero di reliquie, di messe, benedizioni, indulgenze, candele o acqua benedetta, ecc. ecc., e si confortava pensando che la fede non era scemata malgrado i tentativi e gli sforzi dei liberali, e dicendosi che molti secoli passerebbero ancora prima che si riescisse a trasformare il lazzaro napoletano, in un cittadino civile, istruito e spregiudicato.

Erravamo tutti. – Nè il re, nè la nobiltà nè il clero distinguevano ciò che vi era di semplicemente drammatico in quelle dimostrazioni popolari, da ciò che vi era di veramente sentito. – Il popolo napoletano era favorevolmente inclinato al suo re perchè ne riceveva qualche parola o qualche tratto famigliare, e perchè il despotismo borbonico non pesava direttamente sopra di lui. – Era disposto verso la nobiltà ad un dipresso come verso il suo re ed il clero gli appariva come una categoria di esseri qualche poco soprannaturali, capaci di operare alcuni miracoli, ed in relazioni segrete ma dirette cogli abitanti del paradiso.

Sapeva altresì che le sue acclamazioni, e le sue romorose dimostrazioni riescivano assai gradite a quei tre ordini di persone, la corte cioè, la nobiltà ed il clero, che le rimuneravano con qualche largizione o con altri favori, e siccome il porsi in iscena facendo dimostrazioni, acclamando, urlando e schiamazzando è cosa che nulla costa al popolo napoletano, così tanto la corte quanto il clero e la nobiltà erano sempre salutati dalla plebe con eguale entusiasmo.

Ma le società segrete e gli emissarii di esse non trascuravano allora la educazione politica del lazzarone. – La classe media della popolazione apparteneva quasi per intiero a quelle società segrete, ed andava ispirando al popolo con cui mantenevasi in relazioni strette e famigliari, l'odio dello straniero e dei suoi strumenti, l'amore della libertà e della gloria, e l'entusiasmo per quel Garibaldi il cui valore emulava la potenza del clero nel far miracoli, il che eccitava nel cuore dei lazzaroni un ardente desiderio di vedere e di acclamare quel prodigioso eroe, ed un certo raccapriccio al solo pensiero che il Borbone imponesse loro di combatterlo.

I progressi delle istruzioni e delle intimazioni date dal ceto medio al basso popolo, apparivano nella agitazione che subentrava alla naturale indolenza del popolo napoletano. – Il governo borbonico confiscava i giornali che trattavano delle cose d'Italia, e credeva con ciò di mantenere il popolo in quella assoluta ignoranza di cui si era fatto uno scudo; ma gli emissarii delle segrete associazioni spargevano a voce le notizie meglio adatte all'umore ed al carattere di quelle plebi; raccontavano i combattimenti e le vittorie conseguite sull'austriaco, la confusione e lo spavento del nemico, le prodezze del re Vittorio e di Garibaldi che apparivano come altrettanti Orlandi, presentavano alla immaginazione di quel popolo, un quadro così seducente che al confronto di questo impallidiva e si oscurava lo splendore delle cerimonie religiose, i miracoli di S. Gennaro ed altri, ed il magico sfarzo delle feste di corte.

Ognun sa come Garibaldi entrò a Napoli, accompagnato soltanto dal suo stato maggiore, e come attraversasse le vie ingombre di popolo e di soldati borbonici, salutato dalle entusiastiche acclamazioni di quelli su di cui faceva appunto il re per combatterlo. – Non un colpo di fucile fu tirato quel giorno a Napoli; e fu questo per noi grande ventura, poichè cessato l'incanto che attraeva quelle moltitudini a Garibaldi, troppo facile cosa sarebbe riescita l'impadronirsi di lui e lo annientare tutti gli effetti della spedizione Siculo-Napoletana. Fortunatamente però, l'incantesimo non fu rotto. – I soldati borbonici si ritirarono a Gaeta ove li aspettava il re, ed il popolo lasciato in balìa di sè medesimo, si abbandonò all'ebbrezza della sua gioja e della sua ammirazione per quell'eroe ch'era venuto per così dire disarmato a liberarlo.

Da quel momento sino ad oggi, Napoli ha subìto le varie peripezie che subiva il rimanente d'Italia; ma non ha dato segno di essersi pentito di quella sua rapida trasformazione. – Non camminò con passo veloce sulla via del progresso e della civiltà; ivi, non meno che altrove va deplorata la inerzia delle classi educate e colte; che poco o nulla hanno tentato per riscattare la plebe dalla sua secolare ignoranza. – Pure un certo quale progresso è evidente per chi visita oggi Napoli, e si ricorda come lo aveva lasciato alcuni anni addietro. – Le vie principali della città sono sgombre dalle immondezze e dai rottami che le disonoravano altre volte; alcuni ampj ed eleganti magazzini di stoffe, di ornamenti in oro o in corallo, adornano invece la città, e gareggiano già in estensione ed in lusso coi principali magazzeni di Parigi e di Londra, il popolo quasi ignudo che giaceva disteso in terra sulla sponda del mare, e sul lastrico delle contrade, è pressochè interamente scomparso. – I bambini di quei padri non istanno più li interi giorni rotolati ed aggruppati sui marmi delle chiese per godere un poco di fresco, intento favorito dal modo loro di vestire che consisteva nella assenza completa di qualsiasi pezza di tela o di stoffa che ne coprisse il corpo o le membra. – Da tutto ciò si vede che il popolo Napoletano, non ignora da qual lato dell'orizzonte spunti il sole del viver civile, e desidera uniformarsi anch'esso alle leggi della civile società.

Diciamo ancora che il Napoletano sottoposto per la prima volta a gravose imposte, condotto sul campo di battaglia per difendervi dei principii a lui poco noti ed apparentemente estranei ai suoi interessi, non ha mai dato segno di malcontento; e meno ancora di tendenza alla ribellione.

Tutto ciò ne dà liete speranze per l'avvenire, e poichè Napoli si mostra così bene disposta a lasciarsi guidare ed a porre la sua fiducia nel senno altrui, piuttosto che nei suoi naturali istinti, e nelle sue proprie impressioni, tanto più deploriamo la lentezza con cui il nostro governo e le classi più colte e più facoltose della popolazione si occupano di fondare associazioni ed istituzioni dirette alla educazione ed alla istruzione del popolo. Che cosa non siamo noi in diritto di aspettare da un popolo che per tanti secoli corrotto e depravato di proposito da un iniquo ed assurdo governo, acquistata in un giorno la illimitata libertà che si compete soltanto alle più incivilite nazioni, non abusa di così gran dono, e si sottopone di buona voglia a tutti i sacrificii che sono come il prezzo della sua libertà!

Non possiamo tributare le medesime lodi alla Sicilia. – Ivi la corruzione si mesce alla naturale ferocia di una popolazione derivata in parte dall'Arabo, e quell'isola che fu un giorno popolare e ricca oltre ogni credere, non ha fatto sin qui uso della acquistata libertà se non per compiere atti che non si possono paragonare che alle carnificine del medio evo, o dei popoli selvaggi. – La camorra che alleata al brigantaggio nel Napoletano, ritardava il progresso di quelle popolazioni verso la civiltà, opprime e disonora la Sicilia con una impudente tirannide che non ha pari. – L'isola che per due terzi della sua estensione è posseduta dalle corporazioni religiose e dalle manimorte, è pressochè deserta, ed è del tutto incolta. – La legge si sforza invano di ridurre sotto il suo scettro i Siciliani, che vi si sottraggono colla più odiosa violenza, minacciando di morte, e non sono le loro, vane minaccie, i magistrati, ed i testimonii che potrebbero convincerli di innumerevoli delitti. – La missione della polizia non può essere adempita poichè un sistema di falsificazione di tutti gli atti civili, seguito da lunghissimi anni rende vana qualsiasi vigilanza della autorità. – I depositarii degli atti civili di nascita, di morte, di contratto, matrimonio, ecc. ecc. avevano per costume di riempire varii fogli di carta per ogni uomo che temeva la luce del giorno, e l'esame della sua condotta. – Sopra uno di quei fogli l'individuo di cui trattavasi, era presentato come vivo; su di un altro come morto; sopra un terzo figurava come del sesso femminile; e quando le nuove autorità mandavano ispettori a verificare lo stato civile di un sospetto, gli si presentava ora l'uno ora l'altro di quei fogli, secondo lo richiedevano le circostanze. – La colonna mobile che durante gli scorsi anni ebbe per missione di purgare la Sicilia dalle orde di briganti che la infestavano, operò milaottocento catture, ed i catturati erano pressochè tutti assassini di molte vittime, esseri che dell'umana natura conservavano appena l'aspetto, e questo ancora corrotto e degradato. – Non parlerò della strana ostinazione colla quale i Messinesi inviarono per tre volte al Parlamento il contumace Mazzini sebbene dal Parlamento stesso avvertiti della illegalità di tale elezione. – Non parlerò degli ultimi fatti di Palermo in cui un popolo ferocemente fanatico ed istigato dallo spirito di vendetta che disonora pur troppo una gran parte di quel clero ignorante e sensuale, commise delle atrocità che non mi regge il cuore di descrivere; ma osserverò soltanto che un popolo il quale si vale della recentemente acquistata libertà, per assimilarsi alle fiere, ha bisogno di una rigorosa tutela, e di severe repressioni.

Pure anche in mezzo a sì luttuose scene, ed a così colpevoli eccessi, il naturale facile al progresso, e l'ingegno aperto agli insegnamenti morali e civili, si scorge chiaramente nel popolo Siciliano. – La vigliaccheria non è un vizio in cui lo trascinano gli altri molti vizii di cui è preda. – Tutti gli uffiziali che ebbero sotto gli ordini loro dei soldati Siciliani, li dichiarano valorosi, e riconoscono altresì che l'indole loro, cupa dissimulata e crudele, si dirada e si emenda sotto l'influenza della militare disciplina. – Dicono essi che il soldato Siciliano tornando alle proprie case vi porta dei germi fecondi di moralità, ed una certa quale inclinazione al bene a cui era affatto estraneo quando rivestiva per la prima volta la divisa militare.

I soldati licenziati potranno diventare i primi maestri del vivere civile pei loro concittadini, ma se ad essi è lasciata esclusivamente la missione di civilizzare la Sicilia, l'ardua impresa non sarà compita in un secolo. – Un uomo si è distinto in Sicilia per l'ingegno, l'operosità, la moralità ed il patriottismo, e quest'uomo è oggi Prefetto di Palermo. – Ciò dimostra che il governo è ansioso di impiegare gli strumenti di civiltà che gli fornisce il paese. – Ma desso non può crearli. – Ora spetta a tutti coloro che si sentono superiori alle basse passioni del volgo e capaci di cooperare fosse pure menomamente alla riforma di uno stato sociale così miserabile e vergognoso, il concertarsi fra di essi, ed il dedicarsi a sì nobile e così sacrosanta impresa.

Fondare delle scuole non solo pei fanciulli, ma per gli adulti altresì, ed ivi invitarli colla seduzione di insegnamenti variati e dilettevoli a cui non rimarranno a lungo indifferenti quelle nature curiose, e quelle menti accessibili ad ogni raggio di luce. – Stabilire dei piccoli centri di industrie, ove, sì gli uomini come le donne, trovino delle occupazioni poco faticose ed un guadagno equamente ripartito. – Aprire dei magazzini così detti cooperativi, in cui il compratore venga messo a parte dei profitti del venditore, e che rendino impossibile le congiure fra questi ultimi per ispogliare i primi, raddoppiando e triplicando il prezzo degli oggetti di prima necessità. – Nè vorrei si trascurasse o si sdegnasse di procurare a quelle popolazioni qualche opportuno divertimento che avesse per effetto di rasserenarne gli animi, e di ammansarne i costumi. – Insegnerei loro un po' di musica e le addestrerei a cantare dei cori, che il pubblico si recherebbe volontieri ad udire quando anche non si ammettesse se non pagando una frazione qualunque di franco, che verrebbe poi distribuita ai cantanti. – Questi tentativi, queste misure, debbono essere modificate in modo da adattarle ai variati caratteri delle popolazioni; ma qualunque istituzione avente per iscopo di occupare quelle genti, e di addolcirne i costumi senza aggiungere nuovi vizii agli antichi, sarebbe benefica, e la esperienza indicherebbe presto quali modificazioni convenisse introdurre nel piano primitivo. – Vediamo ora quali sono i progressi già eseguiti in Italia, dal 60 in poi, e quali mezzi impiegava il nostro governo per realizzarli.

I due principali strumenti di civiltà, di cui dispone un governo posto nelle condizioni in cui trovasi il nostro, sono la costruzione di nuove strade e lo stabilimento di scuole popolari. – I governi che lo precedettero, e che avevano per unico oggetto degli atti loro il mantenersi nella autorità di cui facevano così deplorabile uso, trascuravano di proposito quei due elementi del nazionale incivilimento, e perchè avrebbero voluto circondare i loro Stati di un muro inaccessibile come quello della China, e perchè tanto la costruzione di nuove strade come lo stabilimento di nuove scuole popolari costano molto denaro. – Nelle provincie meridionali del Napoletano, siccome nella Sicilia, le strade esistevano soltanto nei conti del Ministero dei lavori pubblici; ma in fatto, il percorrere la pittoresca Calabria, era altrettanto difficile, faticoso e pericoloso, quanto il percorrere il centro dell'Affrica o dell'Asia. – Nelle parti centrali e settentrionali d'Italia la stessa condizione di cose non era possibile, e perchè non poche strade vi erano state costrutte dai precedenti governi, ed in ispecie dal Napoleonico, e perchè l'incessante concorso di forestieri, che visitano ogni anno quelle contrade, avrebbe reso impraticabile l'abbandono dei mezzi di comunicazione dai paesi loro all'Italia, o per lo meno avrebbero trasformato quell'abbandono in uno scandalo europeo. – Fu dunque mestieri che l'Austriaco si rassegnasse a lasciare alle sue provincie d'Italia il benefizio che dalle opere dei suoi predecessori ricavavano; e lo stesso fece per le scuole comunali, ch'erano istituzioni dell'imperatrice Maria Teresa, e che ebbero per effetto di mantenere i contadini lombardi in una condizione morale ed intellettuale assai meschina per vero dire, ma superiore a quella delle popolazioni rurali del rimanente d'Italia, tranne però delle toscane.

Le ragioni medesime, che avevano indotto i sovrani assoluti d'Italia a non costruire nuove strade, e a non aprire nuove scuole, traevano il governo nostro a dotare senza frapporre indugio il paese così delle une come delle altre.

Una circostanza speciale rendeva vie più importante pel paese nostro, che le lacune lasciate espressamente dall'Austriaco nel sistema delle nostre strade fossero colme. – Voglio dire delle strade ferrate, che cangiarono radicalmente la condizione materiale, morale, intellettuale ed economica di tutte le nazioni che le adottarono, e di cui avevano soltanto alcuni stralci, ed alcuni progetti, contro la cui esecuzione tanti ostacoli andavano mano mano sorgendo, che un secolo non sarebbe bastato ad appianarli. – La ferrovia da Milano a Venezia era terminata nel 59, ma eransi impiegati più di venti anni a costruirla. – Del rimanente, alcuni chilometri da Milano a Monza, a cui si erano aggiunti coll'andar dei tempo altri non molti chilometri che mettono a Como: ecco in che consistevano in quel tempo le ferrovie lombarde. – Il Piemonte n'era assai meglio fornito; e la toscana, anch'essa, sebbene le sue ferrovie fossero esclusivamente destinate a facilitare le relazioni e le comunicazioni dall'una all'altra città toscana, e non importasse di congiungerle con altre ferrovie delle varie provincie italiane. – Egli è bensì vero che le ferrovie toscane avrebbero potuto congiungersi soltanto con quelle dell'Italia settentrionale, o per meglio dire con quelle del Piemonte; poichè nelle provincie situate al mezzodì della Toscana le ferrovie erano tuttora limitate a pochi chilometri, i dintorni di Napoli e gli Stati pontificii serbandosi mondi da quelle abbominevoli invenzioni della scienza moderna.

Nel 1859 tutte le provincie che formarono il regno d'Italia possedevano complessivamente 1,472 chilometri di strade ferrate, e fra queste erano comprese le ferrovie del Piemonte che ammontavano ad una gran parte di quella intera cifra. – Nel 1863 si erano aggiunti 1,287 chilometri di nuove strade ai 1,472 del 59; e noverando quelle allora in via di esecuzione, ammontavano a 4,464 chilometri; e quelle che debbono essere terminate nel 1869 non saranno al di sotto di 8,057 chilometri, cioè un terzo di più che non ne possiede la Francia e circa il triplo dell'Austria, proporzionalmente alla estensione del loro e del nostro territorio.

Giova poi osservare che la configurazione fisica dell'Italia presenta molti ostacoli alla costruzione di ciò che chiamasi una rete di strade di ferro. – Nelle vaste pianure del Belgio e dell'Olanda, come pure in quelle della Francia, segnate unicamente da leggiere ineguaglianze del terreno, i bisogni e la convenienza delle popolazioni sono le sole circostanze che si debbono prendere in considerazione per volgere in quella o in questa direzione una ferrovia. – Ma nella Italia, ossia su quella sterminata catena di monti che si chiamano l'Apennino, e che s'estendono sino a' suoi tre litorali, difficilissima riesce l'introduzione di una ferrovia fra quelle cime e quelli abissi. – Prova ne siano le strade da Torino e da Milano a Firenze, nella costruzione delle quali, sebbene si arrischiassero salite e discese come nessuna altra ferrovia le aveva prima tentate, si dovette percorrere per lungo tratto il letto di un fiume o torrente che sia, di modo che i costruttori medesimi confessavano, che le riparazioni della ferrovia la toglierebbero per gran parte d'ogni anno alla pubblica circolazione.

Per le strade ferrate del Napoletano, per quelle principalmente che debbono estendersi nelle Calabrie ed altre provincie situate al mezzogiorno di Napoli, le difficoltà saranno fors'anche maggiori; e per parlare soltanto di contrade a tutti ben note, ricorderò quanti ostacoli incontrano i costruttori delle strade che legano a Genova le sue due riviere.

Anche in Sicilia le ferrovie in gran parte non sono costrutte; e le strade ordinarie sono in picciol numero, e senza un concetto che le leghi fra di esse e le utilizzi. – Ora però si contano in quell'isola chilometri 114,779 di strade aperte al carreggio, e se ne debbono eseguire altri 166,840. – Quanto alle ferrovie, la Sicilia già ne possiede la lunghezza di 708 chilometri: cioè 160 da Palermo a Trapani, passando per Marsala; 280 da Palermo a Catania; 145 da Messina a Catania e a Siracusa; 76 da Girgenti a Licata; e 46 da Caltanisetta a Girgenti.

Anche le provincie napoletane posseggono a quest'ora un ricco tesoro di ferrovie; poichè queste comprendono poco meno di due mila chilometri, che si legano alle ferrovie dell'Italia centrale e settentrionale, per cui può dirsi che il problema di ravvicinare le funeste distanze che si opposero mai sempre all'unificazione d'Italia è stato sciolto nel corso degli ultimi sette anni. – Simili colossali imprese non si eseguiscono senza adequati sagrifizii; e le strade italiane, le ferrovie in ispecial modo, hanno costato e costano tuttora, in guarentigia d'interessi dei capitali impiegati dalle società, ingenti somme di denaro.

V'ha chi biasima il nostro governo perchè si accinse senza frapporre indugio ad opere di tale immensità, ed il cui costo oltrepassava i mezzi dei quali disponeva allora. Ma vi sono delle circostanze in cui la volgare prudenza è più pericolosa della massima temerità, e coloro, che avrebbero consigliato al nostro governo di costruire lentamente ed economicamente le nuove vie di comunicazione fra le varie e distanti provincie italiane, non riflettono che tali opere dovevano necessariamente essere compite prima che si pensasse a combattere l'Austria, e a torle quella parte del nostro suolo ch'essa calpestava tuttora dopo il nostro riscatto. Chi prese parte, o fu soltanto spettatore della guerra del 66, può dire di quale vantaggio riescissero quelle ferrovie, che da una estremità della penisola all'altra portavano, in poche ore, notizie, reggimenti, artiglierìe, munizioni da guerra, ecc. ecc. – La guerra fu breve; e sebbene il successo d'ogni particolare fatto d'armi non fosse a noi favorevole, il successo finale della guerra stessa oltrepassò le nostre speranze, cosicchè non esperimentammo grandi rovesci. Ma se le cose fossero andate altrimenti, se fossimo stati costretti a ritirate forzose e rapidissime dal campo di battaglia, a cangiamenti repentini di piani, a cercare rifugio e salvezza dietro le mura delle nostre fortezze, la mancanza di strade avrebbe potuto cagionare la nostra rovina. Un governo posto a fronte di eventualità di così gran momento, deve prevedere ogni possibile accidente e star parato a combatterlo. La guerra dell'Italia contro l'Austria, fatta prima che l'Italia possedesse i mezzi di comunicazione fra le sue diverse parti, sarebbe stata una deplorabile follia, e poteva recarne incalcolabili ed irremediabili pregiudizii.

L'Italia, sebbene abbondi di catene di altissimi monti, e possegga conseguentemente molte sorgenti, ed i vasti serbatoi che sono le nevose cime dei monti medesimi, non può comporsi un sistema conveniente di navigazione interna. – Ciò dipende in gran parte dall'altezza de' suoi monti, e dal poco spazio lasciato al declivio di essi per giungere al mare ove tendono. – Per tal modo i nostri fiumi percorrono dalla sorgente alla foce loro un breve e precipitoso cammino, spinti e risospinti di balza in balza, senza potersi mai distendere nè tranquillare le loro acque attraversando una vasta pianura, come avviene dei fiumi della Francia, dell'Inghilterra, del Belgio e di tante altre contrade; per cui questo utilissimo sostituto delle strade ordinarie e delle ferrovie, per quanto almeno concerne il trasporto delle merci, la navigazione interna dei fiumi o di canali che ne derivano, ne manca, e probabilmente ne mancherà in perpetuo. – Un parziale compenso a tanta mancanza possiamo trovarlo nella navigazione marina, detta di cabotaggio, e che ha luogo lungo le coste del nostro litorale; navigazione che presenta pochi pericoli, essendo le coste dei nostri mari piuttosto basse e piane, ed offre grandi vantaggi, per la frequenza dei porti, rade, ecc. seminati lungo le rive, che rendono l'approdo e lo sbarco dei piccoli navigli, percorrenti quei mari, facili e securi.

Tutte le cure del nostro governo per far progredire le popolazioni italiane verso la civiltà, non furono assorte dallo stabilimento dei nuovi mezzi di comunicazione. – Le scuole popolari sono un potente istrumento di civiltà, e queste sono ora numerosissime in tutta Italia. – Già nel 1863 ne esistevano circa 30,000; e sebbene buon numero di esse fossero di creazione anteriore al 59, nelle provincie meridionali però, ed in Sicilia particolarmente, quasi tutte le scuole elementari pei due sessi sono dovute al nostro governo; e gli sono dovute in due modi: e perchè istituite da lui, e perchè sostenute quasi per intero a spese dell'erario, mentre nelle altre provincie del regno molte scuole elementari stanno a carico dei Comuni, ed altre non poche sono sostenute da doni o da lasciti privati.

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