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La plebe, parte III
– Mi rincresce tanto: interruppe con beffarda insolenza Barnaba; ma siccome non ci so che fare, lasciami riprendere il nostro discorso.
– Il diavolo che lo strozzi, brutto arnese da forca, diceva fra sè stesso, masticando colle denudate gengive la sua stizza, il bravo bettoliere; che sì che là dietro vi può essere qualcheduno della cocca, che udendo codesto è capace di farmi qualche brutto complimento.
– Or dunque, continuava il poliziotto, io vengo da te, che hai sì buone attinenze dall'una parte e dall'altra, che vai coi santi in chiesa e coi ghiottoni all'osteria…
– Ho capito: disse vivacemente Pelone agitando la testa dall'alto in basso come un bamboccio chinese: ho capito perfettamente ciò che mi volete.
– Benone! Che sì che l'intelligenza ti si è svegliata in buon punto!
– Ma quello che voi volete, è impossibile, perchè nell'apprezzare la mia condotta voi mi calunniate stranamente. Io protesto e riprotesto che con quei tristi arnesi a cui voi fate allusione, non ho relazione di sorta.
– Eh via! vuoi tu pigliarmi per uno sciocco? Sai che da lungo tempo ti conosco.
Pelone fece un movimento.
– Tu dubiti della sincerità delle mie parole, riprese Barnaba con vivacità. Hai ragione. Farei lo stesso anch'io nei panni tuoi; certo dubiteranno ancora più di te quelli a cui comunicherai le mie proposte…
– Ma io non comunicherò nulla a nessuno, interruppe l'oste agitando la mano e il capo in una mossa protestatrice, perchè io non conosco nessuno, perchè io non so nulla di codesti affari.
Barnaba continuò come se la interruzione non avesse avuto luogo.
– Di' loro, a quei cotali, che io sono pronto, quando vogliano, a dar prove tali della mia buona fede, innanzi a cui ogni dubbio ed ogni sospetto deve sparire.
– Vi ripeto…
– Siamo intesi… Ti lascio tempo a pensare alle mie parole, a deciderti e fare la mia commissione… Questa sera sul tardi passerò di qua, come al solito Sarà assai bene per te se mi potrai già fare una risposta; e meglio ancora se quella risposta sarà secondo il mio desiderio…
– Impossibile, impossibile, caro sor Barnaba, perchè proprio, in coscienza, in santa e vera verità io con quella gente non…
– Che se tu non vuoi fare a mio talento in codesto, sappi che non mi mancheranno altri modi per giungere al mio scopo, che so già fin d'ora quali altre strade aprirmi per arrivarci, e che a te la falò pagare ad ogni costo.
– Ma…
– Ora basta… Andiamo di là che ho due parole da dire alla tua Maddalena…
Nella stanzaccia non c'era che Meo, il quale tirava dei sospironi grossi, curvo sopra il braciere.
– E Maddalena? domandò Barnaba. È forse costì sotto?
Meo scosse la testa coll'aria addolorata d'un uomo che ha mal di denti.
– No.
– Dov'è?
– Fuori.
Pelone finse una gran collera.
– Sempre così quella sgualdrina d'una sgualdrina, pettegola, che Dio le mandi un accidente… Appena io ho voltato le spalle, la mi sguscia via per andare a chiaccolare… e far peggio.
Meo trasse un sospiro più forte di tutti i precedenti.
– L'aspetterò un momento: disse Barnaba. Frattanto che aspetto, tu, bel giovane, vai dal tabaccaio e mi compri un paio di sigari; tò un da quattro soldi.
Il giovinastro si alzò a malincuore, prese la moneta ed uscì con evidentissima mala voglia.
Barnaba stette ancora pochi minuti e poi fece l'atto d'un uomo che si ricorda di colpo d'una cosa cui aveva obliato. Guardò il suo oriuolo e disse:
– Per bacco! Non pensavo più che avevo un affare a cui provvedere proprio adesso. Conviene ch'io vada. Parlerò altra volta a Maddalena.
S'avviò all'uscio.
– E Meo coi sigari? domandò Pelone.
– Lo incontrerò per via, e se non l'incontro, mi terrete voi i sigari in disparte e serviranno per un'altra volta.
Quello di mandar Meo in commissione era stato uno spediente immaginato da Barnaba per aver modo di poter dire due parole a quello scimunito senza che le udisse il padrone nè Maddalena, i quali vegliavano con molta cura su di lui. Uscendo dall'osteria prima che Meo fosse rientrato e fermandolo per la strada, Barnaba sarebbe pur finalmente riuscito a ciò per cui dopo il colloquio col Commissario aveva pensato di venire a quella taverna.
Ma mentre egli stava per partirsene, ecco soprarrivare correndo la Maddalena. Entrò coll'impeto d'una bomba, si tolse di capo un fazzolettino con cui aveva riparato le sue chiome dalla neve e si scosse dalle spalle e dalle braccia quella che vi era caduta su.
– Dove sei stata? donde vieni disgraziatella che… Dio ti benedica! le disse Pelone a cui la debolezza dalla voce non consenti di gridare.
– Vengo da fare una commissione, oh bella! rispose la giovane correndo di nuovo innanzi allo specchietto a raggiustarsi i capelli.
– C'è qui il signor Barnaba che ti vuol parlare…
Maddalena s'interruppe nella sua opera d'acconciatura, si volse a mezzo della persona sulle sue anche bene sviluppate e guardando con istupore il poliziotto si mise una mano sul seno per additarsi e disse meravigliata.
– A me?
– Si, Maddalena; e di cose che molto v'interessano e per cui mi sarete riconoscente, ne sono sicuro.
La ragazza fece spalluccie ed allungò il labbro inferiore in una smorfietta che significava:
– Non so a niun modo che cosa possiate dirmi voi che abbia alcun interesse per me.
– Ma ora, continuava Barnaba, non ho più il tempo. Verrò stassera: ed allora vi toglierò per dieci minuti ai vostri soliti adoratori.
Maddalena fece un cenno d'acconsentimento indifferente, e Barnaba uscì.
– Se crede trarmi nelle sue panie quel pocaccorto li; disse la giovane guardando con ischerno dietro il poliziotto che partiva; e' la sbaglia di grosso.
Pelone si fece accosto accosto alla giovane e le disse con voce tanto sommessa che non era più che un soffio:
– Dove sei tu andata cara figliuola?.. (che il diavolo la porti): soggiunse fra le gengive.
Maddalena volse verso il padrone il suo muso impertinente.
– Dove? diss'ella… To': ecco là qualcheduno che ve lo dirà per bene.
L'oste si voltò a quella parte che Maddalena gli additava. L'uscio a vetri dello stanzino s'era socchiuso senza rumore di sorta, e frammezzo alla apertura compariva la faccia da faina di Graffigna che faceva cenno a Pelone andasse a parlargli.
Maddalena era corsa con tutta la possibile velocità alla bottega del Baciccia, e colà aveva domandato la si lasciasse introdursi nel sotterraneo dove aveva roba di gran premura da fare e dire, e dove per quel momento non si poteva penetrare dalla taverna.
Baciccia che conosceva le strette ed intime attinenze che passavano fra costei e il capo della cocca, non fece la menoma difficoltà per lasciarla penetrare dal segretissimo usciuolo nell'andito che sotto il suolo del cortile e le fondamenta delle case conduceva nel cosidetto Cafarnao: e dieci minuti dopo essersi partita dall'osteria, la giovane entrava impetuosa e sollecita nel vasto stanzone che vi ho descritto nella seconda parte del mio racconto.
Colà poco prima di lei era entrato eziandio Andrea il fabbro, il povero marito di Paolina. Ma egli v'era penetrato nel modo seguente:
Uscito dall'ospitale in cui dolorava senza cognizione di sè la misera sua moglie; uscito dall'asilo in cui erano stati accolti i suoi figli sui quali egli aveva pianto e i quali avevano pianto con lui, come se un'eterna separazione dovesse aver luogo fra loro, Andrea aveva raggiunto Marcaccio, risoluto ad ogni cosa; ed animato com'egli era tuttavia dal vino, dal dolore vivissimo, dal furore contro lo spietato Nariccia, facilmente, senza più il menomo riluttare, era stato condotto dal perfido amico là dove li attendeva Graffigna, nella bottega da rigattiere di Baciccia.
– Caro mio, aveva detto Graffigna ad Andrea colla sua voce fessa e il tono dolcereccio, qui conviene prestarsi ad una piccola formalità: quella di lasciarvi bendar gli occhi e camminare così, tenuto per mano, un dieci minuti o un quarto d'ora, che tanto ci vuole ad arrivare all'entrata di quel luogo in cui devo introdurvi. Lo volete?
– Voglio: rispose laconicamente Andrea coi denti stretti da quell'ira profonda che tutto l'occupava.
Marcaccio, che non era abbastanza innanzi nella gerarchia della cocca per penetrare in Cafarnao, era partito appena aveva condotto il compagno innanzi a Graffigna.
Questi chiuse ben bene l'uscio che metteva nella bottega del rigattiere; poi aprì un armadio e fece comparire agli occhi d'Andrea un quadro in cui una grossolana stampa di Madonna alluminata a colori i più stonati del mondo, e intorno al quadro un arazzo di seta rossa a frangie d'oro, e dinnanzi per due ganci appiccati, due candele di quelle pitturate a fogliami che si sogliono distribuire dai sacrestani ai devoti (per averne la mancia) il dì della Purificazione della Vergine.
Graffigna con tutta la gravità e la compunzione che avrebbe potuto avere un sacrestano di professione, accese le due candele, poi trasse dinnanzi all'immagine Andrea meravigliato, levò di tasca uno stile la cui lama acuta luccicava al chiaror rossigno che mandava la fiamma delle due candele, e con accento pieno di solennità, gli disse:
– Voi avete ancora da giurare che di quanto vi capita qui, adesso, di quanto state per fare e per vedere, in qualunque siasi circostanza, per qualunque siasi ragione o minaccia, voi non vi lascierete sfuggire parola alcuna con persona al mondo, nè anco colla più intima, e se mancate al giuramento questo ferro vi punisca nella vita presente, e Iddio vi condanni come spergiuro ai tormenti eterni nella vita futura.
In quell'epoca dell'anno la notte viene sollecita, più sollecita ancora in quelle straduzze strette in cui s'apriva il fondaco di Baciccia, e in giornate, com'era quella, di cattivissimo tempo. La retrobottega in cui la luce del giorno non penetrava che per una finestrucola aperta in un cortiletto cui avreste detto benissimo un pozzo scavato in mezzo alle alte case, era a quell'ora già più che a mezzo nelle tenebre; e tale oscurità conferiva a fare la voluta impressione nell'anima di Andrea da tutte le precedenze già troppo disposta ad essere facilmente maneggiabile dall'arte di Graffigna.
Andrea giurò quasi tremante, colla più sincera e ferma determinazione di non tradir mai quel giuramento; e allora il suo iniziatore, spente le candele, richiuso l'armadio, gli cinse le tempia d'un fazzoletto così bene e fortemente legato, che ci fosse stata in quella stanza anche la luce del pien meriggio, egli non avrebbe visto che notte compiuta. Poscia Graffigna lo prese per mano e gli disse:
– Ora ci conviene ancora fare un bel tratto di cammino prima di giungere all'entrata del luogo dove ho da condurvi; datemi la mano e venite senza timore. Per ora la via è tutta piana; quando vi sarà da discendere, ve ne avvertirò.
Lo prese per mano e lo fece avviarsi. Ad Andrea parve di andare, andare per lunga tratta, udì aprirsi e richiudersi diverse porte, e quando il suo conduttore gli disse poi: – Eccoci ora all'ingresso del nostro rifugio; – egli credeva d'essere di molto lontano da quella scura stanza di retrobottega, in cui gli avevano bendati gli occhi. Il vero era invece ch'egli non n'era punto uscito e che altro non gli si era fatto fare che dar le volte colà dentro, aprendosi e chiudendosi di quando in quando sempre la medesima porta che era quella per cui dalla retrobottega medesima si penetrava nel piccolo andito, dove un uscio accuratamente dissimulato metteva sulla scala per scendere nel sotterraneo.
Qui Graffigna lo fece scender piano piano dopo aver accuratamente chiuso alle loro spalle l'usciolo segreto, e traverso il lungo corridoio sotterra lo condusse in Cafarnao, dove finalmente gli levò la fascia dagli occhi.
Andrea guardò stupito intorno a sè. La luce che vi ho detto penetrare in quel luogo da certe feritoie onde si rinnovava l'aria eziandio, in quel momento per l'ora del giorno già avanzata faceva difetto del tutto: il luogo non era illuminato più che dalla lampada pendente dal mezzo della vôlta.
– Or su, qui non c'è tempo da perdere nè da stupirsi: disse bruscamente Graffigna ad Andrea: ecco qui tutti gli strumenti che vi possono occorrere pel vostro mestiere. Qui potete lavorare con tutta tranquillità, sicuro che nessuno verrà a disturbarci il meno del mondo. Io vi aiuterò ad accendere il fuoco e tirerò il mantice. Eccovi le impronte di cera; mettetevi di buon animo all'opera e fatevi onore.
S'erano appena messi alla bisogna, quando, come per contraddire alle parole di Graffigna, all'uscio ch'egli aveva chiuso dietro di sè (quell'uscio che per alquanti scalini metteva nella rotonda in cui facevano capo i tre sotterranei) s'udì un picchiare con un dato numero di colpi ed a certi intervalli.
Andrea fece un trasalto e impallidì.
– Non temete di nulla, gli disse Graffigna sorridendo, qui non ci può penetrare nemico nessuno, e quel modo di battere rivela un amico dei più intimi.
Andò ad aprire e si trovò in faccia la Maddalena affannata dall'essere corsa con tanta sollecitudine.
– Che cosa c'è? domandò Graffigna.
– Il medichino è qui? di rimbalzo interrogò Maddalena.
– No. Per che cosa siete venuta a cercarlo?
Maddalena gli disse la ragione.
– Collo da forca! esclamò Graffigna tutto lieto. La cosa non potrebbe andar meglio. È a me che tocca esaminare il muso di quel coso là. Il medichino me lo ha specialmente raccomandato, e mi preme farmi onore levandocelo dai piedi. Brava la mia ragazza. Voi tornate a casa vostra per la strada da cui siete venuta: io m'affretto pel corridoio al mio posto d'osservazione.
Maddalena partì com'era arrivata, e Graffigna disse ad Andrea:
– Io mi allontano di qui per pochi minuti soltanto, voi continuate allegramente nell'opera vostra e non abbiate timore nessuno che non tarderò a ritornare e con delle buone provvigioni per darvi forza al lavoro e passare allegramente i momenti di riposo.
Nel partire chiuse dentro a chiave il fabbro e pel corridoio sotterraneo corse dietro l'assito della stanza riposta dell'osteria di Pelone.
Appena ebbe posto l'occhio al bucherello per cui si vedeva entro la stanza, gli comparve innanzi la faccia sbarbata di Barnaba.
– Buono! diss'egli fra se medesimo. Nè il nome, nè la faccia non mi scappano più.
Stette ascoltando. Il poliziotto si offeriva d'entrare nell'associazione dei malfattori.
– Che stupido! pensò Graffigna crollando le spalle. Ed ei si pensa che noi diam dentro in simil rete grossolana?
Quando Barnaba fu uscito, Graffigna aperse pian piano l'usciolo nascosto nell'intavolatura, e sgusciato nel camerino, comparve poi, come vedemmo, agli occhi di Pelone che chiamò perchè gli andasse a parlare.
L'oste si recò con premura nel camerino.
– Avete udito quel che qui si è detto? domandò egli a Graffigna non senza una certa ansietà.
– In parte… Quel Barnaba ha detto che sarebbe tornato qui stassera sul tardi: è quello che ci vuole. Bisogna che voi troviate modo di farlo fermarsi qui il più tardi possibile…
– Come ho da fare? domandò Pelone, che guardava il suo interlocutore con una specie di paura.
– Che? Non sapreste da voi stesso trovare un espediente per ciò? Ditegli, per esempio, che avete comunicato la sua proposta a certuni, i quali desiderano parlare con lui direttamente e verranno qui dopo la mezzanotte…
– Ma codesto gli è confessare che io conosco quella certa gente.
Graffigna si strinse nelle spalle.
– Trovate voi qualche cosa di meglio. L'importante è che costui non esca di qua se non dopo la mezzanotte. Prima di quell'ora le strade non sono ancora ben sicure per un colpo, e poi c'è grande adunanza stassera e ci avrò da fare. Ch'egli si avventuri in queste strade dopo mezzanotte, e il suo conto sarà saldato.
Pelone fu preso da un accesso di tosse, il che lo esentò dal manifestare in qualunque modo una sua idea.
– Siamo dunque intesi: soggiunse Graffigna, che prese il silenzio dell'oste per un assentimento, e se la cosa mi va male per colpa tua, guai a te!.. Ora dammi un paio di bottiglie di quel suggellato e qualche coserella da mettere sotto il dente, che ci ho là un operaio da mantenere in buona voglia e in buon umore.
Prese vino, pane e salame e tornò pel sotterraneo presso Andrea, che continuava nella sua opera di fabbricar le chiavi.
Barnaba intanto, uscito dall'osteria di Pelone, diresse i suoi passi verso la più vicina bottega da tabaccaio a cui pensava che quell'imbecille di Meo doveva essere andato. Lo incontrò diffatti a pochi passi da quella bottega, che veniva di ritorno alla taverna.
– Meo, gli disse arrestandolo, vieni un momento qui sotto questa porta che ti ho da dire due parole.
Il giovinastro seguì Barnaba sotto la vôlta d'un portone lì presso, e quando furono colà trasse di tasca i due sigari che aveva comperato e i due soldi che glie n'eran rimasti.
– To'; eccole la sua roba: diss'egli.
Barnaba prese i sigari e respinse la mano che teneva le due monete di rame.
– Que' soldi tientili; e' son per te.
Lo scimunito allargò tanto d'occhi a quel dono che era molto lontano dall'aspettarsi, e mise in tasca i due soldoni con una certa vivacità che svelava come la sua grossa natura non fosse inaccessibile alla seduzione del denaro.
– Bisogna che io ti parli a lungo e sul sodo di certe cose che ti interessano e ti toccano da vicino più che non credi: così continuava il poliziotto: ma bisogna che ciò avvenga in segreto, senza che alcuno possa sospettare, e tanto meno Pelone e la Maddalena. Per ora tu sei atteso in bottega e non ti conviene soverchiamente indugiarti; ma questa sera bisogna che tu prenda un'occasione qualunque di scappolartela e di venire ad un convegno ch'io ti darò per sentire ciò che occorre… Hai capito?
Meo guardava chi gli parlava colla sua solita aria melensa e non faceva la menoma parola nè il menomo atto di intelligenza e di risposta.
Barnaba lo prese ai panni e scuotendolo un poco quasi per destarne gli spiriti, ripetè:
– Hai tu capito?.. Ho cose gravissime da dirti che t'interessano… Potrai guadagnare delle belle somme…
Accostò le labbra all'orecchio di Meo e soggiunse:
– E vendicarti di Maddalena e del suo amante.
Gli occhi di vetro dell'imbecille Meo all'udire accennate le somme ch'ei poteva guadagnare, mandarono un baleno, ma a quest'ultime parole si accesero vieppiù e sfavillarono come se ad un tratto si fosse suscitata dietro di loro la fiamma dell'intelligenza.
– Ah vendicarmi di loro! esclamò, di lui sopratutto!.. Certo che sì… Verrò dove Lei vuole… Mi dica pure il luogo e l'ora… Avessi anche da scappare dalle mani di mastro Pelone, verrò.
– Vieni alle otto ore precise sotto il portico del Palazzo di Città. Ci sarò ad aspettarti; e non mi vi indugierò più di cinque minuti. Se tu manchi, bada bene che perdi l'occasione di fare un buon guadagno e di aver ragione della crudeltà di Maddalena a tuo riguardo.
– Verrò: ripetè di nuovo l'imbecille rotando furiosamente i suoi occhi. Ne sia sicuro.
Si separarono; Meo per tornare all'osteria, Barnaba dirigendosi verso la casa abitata da Maurilio e dai suoi giovani amici.
– Oh stranissima macchina umana! Mormorava fra sè Barnaba, camminando a capo chino: tutte tutte, per quanto forti o intelligenti, per quanto limitate ed imperfette, tutte hanno una susta che toccata le fa agire come si vuole. Benedetta la passione! Essa governa il mondo umano con irrefrenabile potere; e chi sa giovarsene mette le mani sulle briglie con cui si menano gli uomini e quindi gli eventi.
Quando sora Ghita, la portinaia, vide comparirle innanzi l'incognito della sera precedente, provò un misto tale di sentimenti che perfino la parola le mancò per un momento. Era stupore e indignazione insieme, sospetto e paura. Quell'uomo entrò con tutta franchezza come si entra in casa d'un conoscente, e disse colla domestica scioltezza d'un amico:
– Buon giorno sora Ghita. Lei sta bene? Ne godo molto. Ho da parlarle da solo a sola. Mi rincresce disturbarla da sì aggradevole compagnia, ma io vengo mandato da tale e per tali faccende che non c'è da indugiare menomamente.
Si chinò presso la cuffia madornale della portinaia e le disse piano:
– Vengo mandato dal sig. Commissario di Polizia.
Ghita mandò un grido di terrore ed alzò le mani al di sopra della sua faccia conturbata.
Barnaba si volse verso le comari che facevano un circolo di occhi curiosi e di faccie interrogative intorno alla Ghita ed al nuovo venuto.
– Madame, diss'egli facendo scorrere sulle vecchie uno sguardo severo ed imperioso: abbiano la bontà di lasciarci.
Le comari, spaventate da quella guardatura, non ostante tutta la loro curiosità si affrettarono verso la porta e parvero gareggiare a chi uscisse prima. Barnaba e Ghita rimasero soli nella loggia.
– Sora Ghita, incominciò di botto il primo dei due; in alto luogo non si è contenti di Lei.
La portinaia strabiliò.
– Come! diss'ella tutto commossa. Non si è contenti di me? Perchè? Che cosa ho io fatto? Nessuno può dir tanto così sul mio conto, per nessun verso; e se il signor Commissario, come Lei dice, la manda qui per rimproverarmi, la lo può accertare che fui calunniata.
E il poliziotto, coll'aspetto il più severo e minaccioso:
– Ella tien mano ai nemici del Governo.
– Io? Gesù buono! Come si può dire una calunnia falsa di questa fatta?
– Ella sparla degli atti e dei funzionari del Governo di S. M.
La Ghita si ricordò delle parole che aveva dette poco prima contro le prepotenze della Polizia: ma non si smarrì d'animo e gridò più forte di prima:
– Non è vero, non è punto vero.
In quella una carrozza tirata da un sol cavallo ma di prezzo, si fermò innanzi alla porta di quella casa; un giovane di occhi e capelli neri, di abito e maniere eleganti, ne discese lestamente, e di fretta entrato sotto l'andito si diresse verso le scale.
La portinaia e il poliziotto avevano interrotto il loro colloquio per guardare questo nuovo arrivato. Barnaba, appena vistolo, aveva fatto un moto come di gioia, e poi s'era tirato vivamente indietro per non lasciarsi vedere. Il giovane era passato senza gettare pure uno sguardo nella loggia della portinaia.
Appena passato quel giovane, Barnaba riprese con ancora più minaccioso contegno ed accento:
– Ieri sera io l'ho interrogata se quel signore che è venuto adesso adesso capitasse talvolta in questa casa, ed Ella me lo ha recisamente negato.
– Quel signore! esclamò la portinaia; ma io non l'ho mai visto, è la prima volta che viene.
Barnaba fissò ben bene la vecchia e le disse, pesando sulle parole:
– Quel signore è il dottor Quercia.
– Me ne rallegro tanto: rispose franca la portinaia: ma io non ho mai avuto il bene di conoscerlo neanco di nome, ed è la prima volta che lo vedo.
Il poliziotto prese la sua aria più tremenda.
– Badate bene! diss'egli. In queste cose non si scherza!.. Abbiamo molte ragioni di dubitare di voi…
– Di me? esclamò sora Ghita mettendosi tuttedue le mani sul petto, coll'accento dell'innocenza meravigliata per una calunnia. Dio buono! Santa Madonna della Consolata! Di me che sono una povera donna che non faccio male a nessuno e che rispetto tutte le autorità… oh domandi, domandi un po' nel quartiere che cosa si dice della Ghita, e sentirà; che una più onesta donna, non fo per vantarmi, ma si trova raramente sotto le stelle.
– Intanto qui in questa casa abitano parecchi giovinetti che non hanno timor di Dio nè rispetto del Governo.
– Ed io che cosa ne posso?.. Non son mica io la padrona di casa da poterneli scacciare.
– E voi li proteggete…
– Io? Benedette le cinque piaghe! Non li proteggo niente affatto. Discorro con qualcheduno di loro quando talvolta, passando, mettono il naso nel camerino; ma io non ci ho nulla, proprio nulla da che fare con essi.
– Sono amici di quel cotale avvocato Benda che è un rivoluzionario di tre cotte; e presso costui è allogato a servire, e gli si dà molta confidenza, vostro marito.
– Ma Lei sa bene che io e mio marito ce la diciamo come l'olio e l'aceto… L'aceto gli è lui… Di tutto quel che faccia o dica quel disgraziato là, io non ne so nulla, non ne voglio saper nulla, non ci entro per nulla.
– Le parole valgon poco, cara sora Ghita, ci vorrebbero i fatti.
– I fatti? Che fatti? Mi dica Lei che cosa ho da fare.
– Al signor Commissario premerebbe assai di essere informato di tutte le volte che quel dottor Quercia, quel signore che avete veduto passare un momento fa, se ne viene in questo luogo.