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La plebe, parte III
La plebe, parte III

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La plebe, parte III

Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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Trasse di tasca un rotolo di napoleoni d'oro incartocciato, e lo porse al sacerdote, il quale lo prese con qualche esitazione.

– Mille lire, disse Don Venanzio, tenendo il rotolo fra le sue dita con un certo riguardo; è una ricchezza per quella povera donna: ma le riuscirebbe assai più gradito il dono, se tu stesso, Gian-Luigi, venissi a recarglielo, se tu stesso, come buon figliuolo fa per la madre, provvedessi ad acquistarle con siffatta somma ciò di cui ella abbisogna.

– Ha ragione, rispose Gian-Luigi, e codesto farei molto volentieri, glie l'assicuro, se lo potessi, ma pur troppo gravissime, pressanti e numerose occupazioni mi tolgono dal potermi recare per alcun tempo al villaggio… Ma le accerti alla buona Margherita, la prego, che appena mi sia fattibile – il che vuol dire fra una settimana o due al più – io mi recherò costà a vederla, a vedere quei cari luoghi pieni di tante memorie…

Si volse a Maurilio che era sempre stato muto fino allora, immobile, col suo sguardo penetrativo fisso sulle avvenenti sembianze del suo compagno d'infanzia.

– Ci andremo insieme, Maurilio, non è vero? Mi sarà più caro ancora il far teco questo primo pellegrinaggio di ritorno alla nostra piccola Mecca.

Maurilio fece un segno d'assentimento, ma non disserrò le labbra.

– Sta bene, disse allora il buon parroco, il quale, mezzo persuaso già dalle parole di quell'ingannatore, cominciava a trovarne minori i torti, ed aveva ripreso verso di lui l'accento affettuoso e cordiale di paterna tenerezza. Tu mi parli delle tue occupazioni che sono gravissime e numerose; ma quali son esse?

Il giovane non mostrò il menomo imbarazzo, e rispose con una specie di allegra leggerezza, facendo ballare colla mano inguantata i gingilli che pendevano dalla sua catenella d'orologio:

– Quali? Sono di vario genere… Prima di tutto, Don Venanzio, saluti pure in me un luminare della scienza medica, un dottore che ha saputo diventare, come si suol dire, alla moda.

– Medico! Come? Tu fai il medico?

– Sì signore. Non per tutti, non esclusivamente. Scelgo i miei clienti e le occasioni…

– Ma io ho sempre creduto che tu non avessi manco finito il corso di medicina.

– Finito e strafinito: esclamò Gian-Luigi dicendo questa bugia con più sicurezza che altri avrebbe avuta affermando una verità. Sono il medico prediletto delle signore che hanno i vapori e dei ricchi personaggi d'importanza che digeriscono male. Non accetto paga, ma mi forzano a prendere dei regali che valgono più del doppio… Non c'è mezzo migliore per farsi pagar caro che il non voler nulla. Ad un povero medico che sia un pozzo di scienza, ma che si presenti infangate le scarpe, il cappello frusto e gli abiti che mostrano la corda, non si aprono le soglie eleganti dei palazzi dei ricchi; ed è molto se lo si stima degno di curare i servitori: lo si paga e lo si tratta come un operaio qualunque. Al signor dottore che ha carrozza e veste come un milionario si spalancano i penetrali del tempio di Pluto. Io sono creduto in società un ricco che presta il soccorso della sua scienza a qualche amico per favore; poichè non ho bisogno, si crederebbe offendermi non regalandomi il doppio di quel che mi viene. Ma questa è la parte minore dei miei proventi. Faccio delle operazioni bancarie col re della nostra Borsa, il cavalier Bancone, a cui ho dato qualche consiglio per domare la sua gotta. Per riconoscenza egli mi fa da filo d'Arianna nel labirinto dei giuochi di Borsa. Ho cominciato per trafficare di capitali che non avevo: adesso faccio fruttare e rimpolparsi i guadagni avvenuti.

Don Venanzio aveva di nuovo nella sua fisionomia da galantuomo un'espressione di scontentezza:

– Io non me no intendo bene, diss'egli, ma questo non mi pare un lavoro serio.

– Seriissimo: rispose Gian-Luigi: perchè è quello che frutta di più.

– E onesto? soggiunse il prete.

– Certo! Il signor Bancone e i pari suoi sono gli uomini più stimati del mondo.

Don Venanzio si curvò nelle spalle.

– Sarà, conchiuse, ma io preferirei vederti medico nel nostro villaggio, guadagnar poco e far molto bene a quella povera gente.

Gian-Luigi interruppe vivamente con una strana intonazione nella voce:

– Oh di far bene alla povera gente io mi occupo di molto, e non solo alla povera gente del villaggio dove fui allevato, ma a tutta quella delle nostre contrade, e non negli angusti limiti soltanto che sono concessi ad un povero medico di campagna, ma in quelli fra cui spazia l'azione di un governo.

Don Venanzio guardava il giovane con tanto di occhi.

– Ella non mi comprende, soggiunse Gian-Luigi sorridendo, nè mi può comprendere, nè io mi posso per ora spiegare di meglio. È un segreto lavoro per cui sono venuto a cercare la collaborazione di Maurilio, e per cui quindi gli chiedo un colloquio sull'istante da solo a solo.

Il vecchio sacerdote guardò bene in volto l'uno e l'altro dei due giovani coi suoi occhi limpidi e sereni, e poi disse con quell'accento di paterna bontà che gli era naturale:

– Non capisco che cosa possa essere e non voglio capirlo… Possiate voi veramente essere così bene ispirati e così addotti sopra una buona via da ottenere alcun bene ai miseri che soffrono; ma permettete al vostro vecchio pastore di ricordarvi un consiglio di cui mi pare pur troppo abbiate bisogno ambedue; quello che nulla si fa di bene se non si procede col santo timor di Dio… Ora vi lascio soli, ed io con quel tuo amico, Maurilio, se gli è di comodo, andremo a trovar quella vecchia di cui ci hai dato l'indirizzo.

Maurilio ringraziò vivamente il parroco che così volesse far subito; Selva, che non aveva in quel punto occupazione nessuna, acconsenti sollecito di accompagnare Don Venanzio, e mentre i due trovatelli avevano il colloquio che vedremo nel capitolo seguente, Giovanni ed il parroco si recavano in casa la Gattona.

CAPITOLO VIII

Appena rimasti soli Gian-Luigi e Maurilio, il primo s'accostò vivamente al secondo e incominciò con vivacissimo accento:

– Maurilio, io ti leggo nell'animo. Il tuo freddo silenzio mi parla più chiaro d'ogni parola. Tu diffidi di me; mi sospetti e sei presso a disistimarmi… Tu mi hai visto ieri sera colle vesti del povero nei ritrovi del povero; poi collo sfoggio del ricco nel convegno elegante dei gaudenti del mondo, e ti domandi: che cosa son io, che faccio? in qual razza di Proteo si è tramutato il tuo compagno d'infanzia? Ebbene, gli è verissimo: sono un mistero, e lo sono per tutti così bene che pochi o nessuno sospettano pure in me, sotto la maschera dell'uomo gaio e leggiero di società, sotto le spoglie del damerino e dell'epicureo, l'individualità d'un proposito e la stoffa d'una volontà. Vengo a svelarti questo mistero… non per platonico trasporto d'amicizia, ma perchè – te l'ho detto ieri sera – perchè la mia risolutezza e l'audacia de' miei disegni hanno bisogno del tuo cervello.

Fece una pausa; Maurilio, sempre silenzioso, sostenendo colla sinistra delle sue grosse mani la fronte vasta e protuberante, abbassò la destra verso il compagno con atto che voleva significare:

– Parla.

Gian-Luigi trasse un profondo sospiro come uomo che ha il petto gonfio da qualche non lieve emozione, e coll'accento spiccato e misurato di chi studia le sue parole od anzi meglio dice parole studiate e preparate, continuò:

– Con te non occorre usare il linguaggio che bisogna parlare a quel buon Don Venanzio. Questo sant'uomo ha sempre vissuto in un guscio, e la sua esperienza e la scienza delle cose del mondo non eccedono la ristrettissima cerchia di un'anima che non ha mai avuto passioni, d'un cervello che non ha mai avuto idee al di là di quelle permesse dal catechismo. Tu soffri delle ingiustizie della sorte assodate nell'assetto sociale, egli in ogni fatto benedice il volere di Dio: tu hai capito e capisci la necessità della riforma, anzi della rivoluzione nell'ordinamento attuale dell'agglomerazione umana: egli non sente e non apprezza che la impotente e miserabile virtù della rassegnazione. Se io venissi a dire a quel buon vecchio: la necessità di cambiare quest'organamento che soffoca i tre quarti delle intelligenze umane, che costringe alla miseria i tre quarti degli uomini, si è fatta sentire su me più che su altri; ha pesato con mano più cruda su di me, quasi appunto per suscitare nella mia personalità appassionata uno stromento della rivoluzione della plebe, per crearmi tribuno e vindice del proletariato, per farmi sorgere apostolo e guerriero dell'emancipazione delle classi povere, ed io ho accettato il carico e mi sono sobbarcato all'impresa, Don Venanzio mi griderebbe spaventato il vade retro Satanas…

Maurilio l'interruppe e disse con voce lenta, fiacca, quasi svogliata:

– Ed è codesto che sei venuto dire a me?

Gian-Luigi guardò ratto intorno a sè, come per assicurarsi ancora che nessuno potesse udire: poi si curvò verso il compagno e rispose con forza:

– Gli è questo.

Maurilio scosse leggermente la testa.

– Una molto superba parte ti sei assunto: disse egli col tono medesimo di prima. Come ti sei sentito tu consacrare cosiffatto campione? Qual cosa o chi ti assicura in tanta impresa? Come Giovanna d'Arco, chiamata per salvar la Francia, hai tu sentito le voci del Cielo chiamarti per redimer le plebi?..

Gian-Luigi interruppe con impazienza:

– È ella un'ironia codesta?.. Cotale risposta non mi sarei aspettata da un compagno d'infanzia come sei tu e da un'intelligenza qual'è la tua… Ebben sì; le ho sentite le voci del Cielo. Le ho sentite nella mia anima, nelle torture che io ho provato, e son quelle che provasti anche tu, nelle miserie di tanta parte del genere umano, nella crudele ingiustizia del mondo che rigetta dalle sue gioie il povero ed il debole, che per lasciarmi penetrar di straforo nell'oasi de' suoi godimenti mi ha obbligato ad infingermi e mentire. Noi empiamente condannano i costumi e le leggi: queste fondamento a quelli: bisogna rovesciare le une e gli altri.

– Rovesciare! rovesciare!.. Tu ne parli con molta agevolezza! L'edifizio non è così corroso alle fondamenta che un urto basti a sconquassarlo. Posa sopra una larga base cui, non foss'altro, l'abitudine ha contribuito a formare.

– Questa base siamo noi, i poverelli, i derelitti, i miserabili. Gli è sulle nostre spalle opprimendoci ch'esso regge. E se noi ci levassimo?

– Come farlo?

– Ecco quello ch'io ho studiato e preparato; e che ti dirò se tu vuoi essermi compagno all'impresa.

– Rovesciare!.. Ammettiamo pur anco che tu ci riesca… E poi? Avrai accumulato intorno a te un caos di rovine. Come potrai far sorgere l'edifizio novello? E saprai tu costrurlo? Ci vuole la potenza dei secoli. Un equilibrio dopo un più o men lungo scombuiamento riuscirà certo a stabilirsi; ma chi può assicurare che in questo nuovo equilibrio l'umanità starà meglio di prima? E non sarà pagato troppo caro questo ancor meno felice stato novello dalla terribilità della crisi avvenuta?

– Tutte queste cose, credi tu che io non le abbia pensate?.. Forse a ricostrurre quel nuovo edifizio la tua intelligenza può essermi utile: ecco perchè io son venuto. Sento in me quanto esser debba il coraggio che affronta una simile risponsabilità, e questo coraggio io lo possedo. Ho lavorato finora nell'ombre, ma la mia opera è spinta oramai tanto innanzi che dal mio cenno dipende lo scoppio. Ancorchè tu mi manchi, questo cenno lo darò. Dal medesimo travaglio anche sanguinoso del conflitto, sorgerà la legge della civiltà avvenire. La società ora si viene corrompendo sempre più nel marasmo: come la natura, ha bisogno di quando in quando che alcuno sconvolgimento la desti e la fecondi per creazioni novelle. La rivoluzione è il percoter della selce: ne sprizzerà una scintilla…

– E intanto si cammina verso l'ignoto. Non è vero che la natura proceda per iscosse violente e che il cataclisma sia l'elemento necessario d'ogni progresso nella creazione. Più attentamente esaminata la storia della natura è un lento e graduato svolgersi coll'opera del tempo. Così è dello incivilirsi del genere umano e del perfezionarsi delle forme sociali. Codesto procede in seguito all'azione di certe leggi morali, che forse un dì si scopriranno e definiranno, come furono scoperte e definite le leggi fisiche. Un uomo non può sostituire al giuoco di queste leggi il suo privato giudizio e la propria audacia. Finora non vi fu che un solo Messia sulla terra, e tu non puoi aver l'idea di dover essere il secondo. È l'opera di molti uomini, di molte generazioni che deve far ciò che tu sogni di ottenere ad un tratto. Per redimere la classe più infelice della società attuale, la plebe, non basta riporla materialmente in alto mandando in frantumi le attuali forme dell'ordinamento sociale; conviene che questa povera gente in prima venga rendendosi degna di stare là dove si vuole farla pervenire. Metti in mezzo alle ricchezze sociali le brutalità della plebe ineducata, e che cosa ne avverrà?..

– Ma quando a guidare questa plebe ci sieno intelligenze superiori – le nostre, per esempio?..

Gian-Luigi prese a Maurilio una mano e glie la strinse forte.

– Maurilio! soggiunse. Noi possiamo avere in pugno quella forza meravigliosa – dirigerla a nostro talento.

– Illusione! Rompi le dighe dell'Oceano, e poi cerca di regolare le onde irrompenti. Senti, Gian-Luigi!.. La mia idea è che i tuoi tentativi, qualunque essi sieno, cadranno nel nulla.

Gian-Luigi fece un movimento.

– E così mi auguro che avvenga: soggiunse vivamente Maurilio.

– Così non avverrà, disse fieramente Gian-Luigi. Soccomberò forse, ma in un mucchio di rovine.

– Soccomberai senza pure le rovine. Tu hai nemiche tutte le potenze del mondo, il denaro, i governi, la religione. E che vuoi tu fare da questo piccolo angolo di terra contro tutta la moderna civiltà europea? So che tu hai cercato alleanza nelle congiure politiche, come la rivoluzione politica ha cercato un sostegno nella questione sociale…

– Ah! tu lo sai? domandò con meraviglia Gian-Luigi.

– Sì, e giudico che soccomberete tutti…

– No, per Dio! Qui non sarà tutta concentrata la lotta. Il segnale della grande rivoluzione scoppierà nelle nostre mura, ma si ripercoterà nelle città principali, e là specialmente dove la cresciuta industria del secolo ha creato più grandi agglomerazioni di proletari e in questi maggior coscienza dei loro diritti. Abbiamo relazioni colla Francia, col Belgio, coll'Inghilterra, colla Germania stessa, e dappertutto la rivoluzione politica si cambierà, appena sorta, in quella sociale… Io sono uno dei capi nelle cui mani vengono a serrarsi i fili di tutta questa rete, a me lo stringerli o l'allentarli: ho bisogno di un ingegno capace che m'aiuti nell'opera, ed ho pensato a te. Vuoi tu esser quello?

Maurilio scosse il capo in segno negativo.

– A noi due l'impero in questa società che ci ha disprezzati: soggiunse Quercia con voce bassa quasi affannosa.

– Ah! tu mi tenti come Satanasso tentò Cristo: disse sorridendo Maurilio. Ma tutto è inutile. Non istimo vantaggiosa all'umanità l'impresa: non la credo possibile, e condanno assolutamente i mezzi che tu hai pensato di poter scegliere.

Un lieve rossore corse alle guancie di Gian-Luigi.

– Che vuoi tu dire? interrogò egli lampeggiando dagli occhi.

E Maurilio, con calma, e quasi afflitto:

– Ieri sera alla taverna di Pelone ho scoperto qual fosse l'individuo che porta il nomignolo di medichino famoso nella cronaca dei delitti…

Gian-Luigi questa volta impallidì; ma in mezzo la sua fronte si disegnò quella tal ruga che conosciamo. Sorse di scatto, e disse con impeto e con accento di comando:

– Taci! Non più una parola!

Passeggiò in lungo e in largo per la camera alcuni istanti: poi si piantò di nuovo innanzi a Maurilio:

– Ebben sì, son io quello… Vuoi tu perdermi? Vammi a denunziare al commissario Tofi, e n'avrai buon premio.

– Gian-Luigi! esclamò con rampogna Maurilio.

– Dovresti farlo! Avresti così tolto di mezzo un accanito ed implacabile nemico di quella società che tu hai preso a difendere così bene.

Si serrò colle due mani la sua bella fronte da statua greca.

– Tu credi ai miei delitti? ripigliò dopo una piccola pausa, con voce soffocata. Oh Maurilio! Chi ci avesse detto che ci saremmo trovati in questa guisa dopo tanto tempo che non ci siam più visti, quando eravamo tuttidue bambini al villaggio!.. Tu l'hai conosciuto fin d'allora, ch'io non poteva passare in mezzo al mondo ed estinguermi come una bollicina di schiuma nel mare. Non fosse che la fama d'Erostrato, qualche rumore si ha da fare intorno al mio essere… Un giorno converrà che tu sappia quali circostanze mi hanno trascinato là dov'io sono: allora forse mi compatirai… Se nella mia opera vinco, tutto il mio passato sarà come distrutto, assorbito nell'apoteosi della gloria; se soccombo non vi sarà imprecazione e disprezzo che basteranno ad infamarmi… Sono un Catilina; se Catilina avesse trionfato, Cicerone sarebbe stato un calunniatore, e Sallustio avrebbe fatto il panegirico del ristauratore della repubblica romana.

In quel momento entrarono solleciti Don Venanzio e Giovanni Selva che tornavano dopo aver parlato colla Gattona. Tutti due avevano nelle sembianze una certa emozione.

– Maurilio: disse il sacerdote con voce concitata; abbiamo da parlarti.

– Li lascio in libertà: soggiunse Gian-Luigi. Addio Maurilio! Quando ci rivedremo molte cose, forse, saranno cambiate… E forse allora mi conoscerai meglio.

Non gli tese la mano, nè Maurilio porse la sua; salutò con molto affetto il vecchio parroco.

– E posso annunziare la tua visita alla buona Margherita? domandò quest'ultimo.

– Sì, rispose allegramente Gian-Luigi, appena finito il carnevale.

Ed uscì col medesimo sorriso col quale era entrato.

– Andiamo da quella povera Ester, si disse scendendo le scale; a quest'ora Jacob non ci sarà, e quando sopraggiunga me ne farò dare i denari.

CAPITOLO IX

Torniamo nel sucido cortiluccio del ghetto in cui si apre la porta ferrata del misero stambugio di Jacob Arom il rigattiere ebreo.

Molte ore sono passate dacchè abbiam visto il vecchio avaro prendere colla figliuola il suo pasto frugalissimo apparecchiato dalla modesta scienza culinare della vecchia Debora. Lo donne sono sole di nuovo nella stanzaccia a pian terreno; e l'ombra della sera, prima ancora del solito per la nebulosità della giornata, incomincia ad invadere quel luogo tristissimo, fatto più tristo da quell'ora crepuscolare. Come prima, come sempre da varii giorni, le donne parlano di quel tremendo avvenire che la sventurata maternità sopraggiunta minaccia alla povera Ester. Aspettano con ansia che Gian-Luigi, fattone avvertito, compaia a rassicurarle, venga a dir loro che ha bello e trovato il modo di salvare la povera figliuola dall'ira, che sarà implacabile, del padre.

In realtà Debora ha maggior dose di speranza di quel che non abbia la povera Ester. Questa, nei meno ardenti trasporti degli ultimi convegni avuti insieme, nella lunga di lui assenza, ha sentito nell'amante sminuita quella passione che gli aveva fatto superare ogni ostacolo, vincere ogni circostanza per potere arrivare sino a lei. Ora – e l'istinto di donna meravigliosamente lo avverte – ogni amore che scema è amore che parte; quando non si ama più all'eccesso si è avviati a non amar più abbastanza; dietro la calma del primitivo ardore, sta la indifferenza e la sazietà. Ester aveva immensamente sofferto anche prima che la terribile verità del suo stato le fosse rivelata; di poi la sua pena era diventata doppia, e soffriva passando a vicenda da un'esaltazione d'animo ad un abbattimento rassegnato, ma di disperazione sempre.

Debora adunque la confortava alla speranza con ogni miglior argomento che sapesse trovare; e la infelice fanciulla scuotendo la sua stupenda testa degna del pennello di Tiziano esclamava con cupa risolutezza che era tale da far paura:

– No, Debora, vedrai ch'egli non verrà nemmanco. Il perfido! E' mi ha dimenticata del tutto… Chi lo avrebbe creduto?.. Ah mio padre ha ragione. Tutti i cristiani sono mancatori di fede… Sai tu che cosa solo mi resta? Morire.

La vecchia alzava le mani secche e rugose verso il cielo, sclamando spaventata:

– Che cosa dite?.. Vi dà di volta il cervello Ester?.. Come siete sempre eccessiva, voi!.. Vi dico che il signor Quercia verrà, e troverà modo di levarvi di qui; ed io vi seguirò, perchè già non voglio mica rimanere allo sdegno di vostro padre che cascherebbe tutto su di me, e che non sarà una giuggiola, no; e tutto sarà aggiustato.

Ester lasciò cadere abbandonatamente sopra le ginocchia la bella destra con cui si sosteneva il viso, e reclinò sul petto il capo.

– Mio padre! diss'ella a mezza voce, ma con espressione di molto cordoglio nell'accento. Abbandonarlo!.. E sarà per sempre di certo… Non lo vedrò mai più, mai più in questa vita!.. E nell'altra?.. Ahi c'è forse un'altra vita?.. Ancorchè ci sia, mai più, mai più egli non mi perdonerà, vivesse gli anni dell'Eterno… La sua maledizione, quella maledizione onde mi minacciava poc'anzi mi perseguirà traverso i secoli con odio implacato… Ed egli ora mi ama pure!.. Quasi al pari de' suoi tesori… Ed io devo dargliene tanto dolore!.. Che farà egli, quando solo, senza più affetto nessuno, fuggito dalla figliuola?

Debora la interruppe.

– Eh! non vi crucciate di codesto… Che cosa farà? È facile indovinarlo. Si consolerà col suo denaro che in fin fine è ciò che ama di più, è anzi la sola cosa che ama.

Un picchio discreto risuonò all'uscio del cortile; le due donne sussultarono e si guardarono in faccia commosse.

– Se fosse lui! mormorò Ester diventata pallida, poi tosto arrossita.

– Gli è lui di certo: disse la fante levandosi più affrettatamente che poteva: ne riconosco il modo di battere, ve l'ho detto io che sarebbe venuto.

Si accostò all'uscio, e traverso i battenti gridò colla sua voce fiacca e balzellante da vecchia:

– Chi è là?

– Apri, Debora, son io: rispose la voce sonora di Gian-Luigi.

Ester fu dritta di balzo con un grido: e poichè le mani tremanti di Debora non erano abbastanza sollecite ad aprir la serratura e tirare i chiavistelli, accorse la giovane all'uscio ed in un attimo ebbe essa medesima spalancato il battente innanzi al suo amante che entrava avviluppato nell'ampio mantello scuro, il cappello rabbattuto sugli occhi.

La penombra che regnava in quell'ambiente, non lasciava scorgere alla giovane l'espressione della faccia di Gian-Luigi; e fu ventura per lei, chè l'aspetto d'impaziente contrarietà ch'egli aveva entrando sarebbe stato per la misera un nuovo dolore, una piena conferma dei timori che istintivamente provava l'anima sua. Ma pur tuttavia, qual differenza di maniere fra il presente contegno dell'amante e quello ch'egli aveva un tempo ne' suoi incontri colla fanciulla! Era egli allora che tosto, ratto, impetuosamente l'afferrava con amorosa violenza, la stringeva con braccia appassionatamente desiose, le copriva di caldi baci il leggiadro viso arrossito, le diceva un mondo di soavi parole amorose; ora Gian-Luigi entrò senza manco un saluto; fu essa che, lasciando a Debora il richiudere accuratamente la porta, gettò al collo di lui le sue braccia e tutta abbandonandosi al suo petto, disse con voce tremante d'emozione ed amore:

– Sei tu!.. Sei pur tu alla fine!.. Oh quanto tempo che non ci siam visti!.. Cattivo!.. Perchè rimaner tanti giorni?.. Li ho contati: e' mi parevano ciascuno un'eternità… Che cosa hai tu fatto in questo frattempo? Come non hai tu mai pensato a me? Potresti tu mai dimenticare che sei tu il sole della mia vita?

E queste parole, susurrate in quel tenace amplesso, venivano frammiste ai più caldi baci di quelle calde labbra color di corallo.

L'amoroso effluvio di quella avvenente persona che pendeva dal suo collo, l'ardore di quei baci che gli scoccavan fiamme nel volto, la passione di quelle parole poterono assai sull'animo di Gian-Luigi e ne dileguarono per quel momento la malavoglia e l'uggia con cui era egli colà venuto; onde fu con voce temperata a molto affetto e non senza rispondere col suo all'amplesso della giovane, che egli disse a sua volta:

– Dimenticarti, mia cara Ester!.. Non pensare a te!.. Sei tu la cattiva che puoi credere di simili cose e dirmele.

Le poche parole del giovane fecero maggior effetto sulla figliuola di Jacob che le molte della vecchia Debora. Ella sentì il suo cuore riconfortato. Per la donna, in generale, la parola dell'uomo che essa ama, per quanto destituita di prove, per quanto priva ben anco delle apparenze della verità, sarà sempre un'autorità degna di fede. Gian-Luigi poteva egli mentire? Mai più! Tanto eccesso di lui sì lo poteva ella pensare quando egli era lontano dagli occhi suoi, e non le stava presente la malìa della persona adorata; ma stretta dalle braccia di lui, sotto i suoi baci, udendone la dolcezza della voce, la misera, tutta posseduta dall'amore, non aveva più resistenza di sospetto, nè difesa di diffidenze.

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