bannerbannerbanner
Il peccato di Loreta
Il peccato di Loreta

Полная версия

Il peccato di Loreta

текст

0

0
Язык: Итальянский
Год издания: 2017
Добавлена:
Настройки чтения
Размер шрифта
Высота строк
Поля
На страницу:
2 из 5

–Dunque, Prè Letterio, – disse allegramente il professore Mattia, versando del vino nel bicchiere che Vige s'era affrettata a recare per l'ospite, – quei signori a Roma non sono poi tanto dispettosi come qualcheduno si piace di descriverli…

–Ma che! Lasciamo gracchiare i cattivi, che ne hanno interesse! Quando stavo per partire mi avevano messo tanti scrupoli: "vedrà che butta i denari del viaggio; vedrà che col suo abito da prete non le daranno il più piccolo ascolto: vedrà questo, vedrà quello…" Vidi una cosa sola: che alle porte dove ho battuto in nome dei miei poveri, ho trovato accoglienze le più cordiali e che dal ministro, al quale ho chiesto udienza, mi vennero offerte tutte le facilitazioni possibili…

Il prete pareva soddisfattissimo nel dir queste cose, Nè il professore sembrava meno lieto di udirle a dire.

–Eh! sì, – riprese don Letterio, dopo aver aspirato con lentezza una presa di tabacco, – della gente buona ce n'è ancora. E fa bene di incontrarla in mezzo a tante amarezze che ci tocca di subire nella vita. Vedete, amici miei, anche in questo viaggio… Ero contento, me ne tornavo felice; e proprio agli ultimi giorni…

–Vi è avvenuto qualche cosa di triste? – domandò premurosamente la signora Chiara.

–Che cosa mai? – soggiunse con pari interesse il professore.

–Sì, qualchecosa che mi rammaricò profondamente e farà dispiacere a voi pure, amici miei.

–Don Letterio, ci mettete in una curiosità!

–È un incontro che io feci otto giorni sono per un capriccio bizzarro del caso o piuttosto (si corresse il prete con una dolcezza serena nella voce) per il benefico volere della Provvidenza. Ve lo avevo detto quando partivo: nel mio ritorno avevo divisato di fermarmi qualche giorno in un piccolo luogo della Toscana a metà della strada fra Firenze ed Arezzo. C'è là un mio cugino, curato in quella pieve: non ci vedevamo da più di ventisette anni…

–Ebbene?

–Feci quanto avevo stabilito. Fui accolto a braccia aperte, come un fratello. Così contento com'ero, mi parve una vera benedizione di potermi riposare un poco senza pensieri, in quella casa ospitale, nella fresca ombra di quell'orto, che il mio vecchio amico si coltiva da sè. È un santo prete: un'anima giusta veramente, capace di qualunque sacrificio per il bene del prossimo.

–Vi somiglia, don Letterio.

–Fa il suo dovere come me: nient'altro. Ma ne raccoglie il più grande dei conforti: la benevolenza generale. Vi racconto tutto questo per venire a quanto mi preme.

–L'incontro che avete fatto, don Letterio? – chiese la signora Chiara.

–Appunto… Fra due amici che da tanto non si sono incontrati, si hanno sempre mille cose da narrarsi!.. E fu così, che tra una chiacchiera e l'altra, l'amico mio fu tratto ad espormi, non so proprio più come, anche un caso assai triste, avvenuto allora allora nel suo piccolo paese. Si trattava di una maestrina, una giovane che veniva da Vicenza e che il municipio, sulla fede di eccellenti certificati presentati al concorso, aveva assunto per la scuola popolare del borgo… Quando ella s'era presentata-narrava mio cugino- tutti quanti ne avevano avuta una profonda impressione. Era una povera ragazza, bellissima di volto, ma coi segni così vivi di un grande dolore da inspirare in tutti gli animi il più caldo interessamento. Seria, modesta, intelligentissima, s'era data al proprio dovere con la massima solerzia; e tanto più i conoscenti, che aveva già numerosi e buoni, si rammaricavano nel vederla sempre così sofferente. Un bel giorno corse per il paese una curiosa voce-La giovine maestra stava malissimo; era stata trovata nella sua stanza in uno stato dei più allarmanti; e fu solo per effetto degli energici soccorsi s'ella potè essere salvata da una certa morte… Taluni vollero-e la cosa, mormorata dapprima vagamente, assunse a poco a poco una certa verosimiglianza-che si fosse trattato di un tentativo di suicìdio…

Il prete si riposò un istante, indi proseguì:

–Breve: la giovane venne salvata. Ma la malattia fu lunghissima e grave. C'era là un forte dolore da confortare, una grande miseria da lenire, e mio cugino intervenne pronto. Soccorse quella povera creatura, ch'era buona ed infelice, come meglio gli fu dato, e coi fatti e colle parole. Ella si ristabilì a poco a poco, ma il medico dichiarò ch'ella sarebbe stata ormai nella impossibilità di riprendere, senza tema di una ricaduta mortale, le fatiche dell'insegnamento. Il comune-un comunello non ricco-le elargì qualche sussidio; poi, per quanto a malincuore, dovette metterla in disponibilità…

–Povera giovane!

–Povera davvero!.. Fu appunto in quei giorni, dopo averne appreso la tristissima storia, ch'io stesso la vidi in casa del mio amico. Vi era venuta a supplicarlo di raccomandarla presso a qualche famiglia di conoscenti per farle ottenere un posto di istitutrice, di cameriera… un posto qualunque pur di vivere onoratamente. Mi fece pietà. Ben di raro ho visto una faccia più dolcemente buona e rassegnata; ben di raro intesi una parola più soave o piena di tristezza. Mi fece pietà ancor maggiore quando io seppi il suo nome…

–Qual nome? – domandò subito il professore.

–Loreta Lambertenghi.

–Loreta! – esclamò la signora Chiara con grande sorpresa. – Loreta, la figlia di Prospero Lambertenghi!

–Sì, la figlia di Prospero Lambertenghi e della povera Cannila Sant'Angelo. Ah! è stata ben fortunata la povera Camilla di morir così presto per non vedere il triste destino riserbato alla sua creatura!

–Ma dunque il Lambertenghi?

–Ha finito la sua miserabile esistenza. È morto a Sidney, in un ospitale di suore francesi, dieci mesi sono. La notizia della sua morte deve aver portato un ultimo colpo sulla salute malferma della sua sfortunata figliuola.

–Poveretta, poveretta! – sclamò la signora Chiara con accento commosso.

E un improvviso silenzio si fece fra i tre interlocutori di quella scena.

Prè Letterio aveva compreso la penosa impressione destata dal proprio racconto nell'animo del professore e di sua madre. Eglino sentivano entrambi risvegliarsi in quel momento tanti ricordi, che il tempo aveva addormentali in fondo ai loro cuori.

Dall'epoca in cui il dottor Giovanni Sant'Angelo, compromesso in complotti politici, era stato costretto a riparare in Isvizzera, pochi rapporti aveva egli più avuto colla famiglia della sorella. Col cognato, Prospero Lambertenghi, non erano mai andati d'accordo; diversità d'indole e di sentimenti gli aveva tenuti discosti. Quando, dopo sedici mesi da che il Sant'Angelo trovavasi a Ginevra, giunse la notizia che Camilla era morta, rapita in breve tempo da un fiero morbo, ci fu un momentaneo ravvicinamento de' due cognati. Allora nelle lettere, scritte da ambo le parti sotto la impressione di quella sventura, molte cose dolcissime furono dette a proposito della povera bimba, Loreta, che restava a cinque anni senza il conforto amoroso della mamma. Indi tutto cambiò. Da un lato le fortunose vicende di que' tempi, dall'altro alcune brutte voci corse sulla condotta del Lambertenghi, valser, a rimettere un nuovo gelo tra le due famiglie. Come in simili casi avviene? nè dall'una parte nè dall'altra fu più nè desiderato nè tentato un riavvicinamento, I Sant'Angelo avevano udito per mera combinazione di grandi viaggi impresi dal Lambertenghi; avevano vagamente saputo che la giovane sua figlia, uscita da un educandato, s'era data a fare l'istitutrice. Più in là, nulla. Le ultime novelle le avevano ricevute quel giorno per bocca del prete Letterio.

Dopo un lungo silenzio, la signora Sant'Angelo tornò a mormorare, come a conclusione di tutto ciò che le era ripassato nella mente:

–Povera creatura, povera creatura!

–Eh! – fe' il prete con un profondo sospiro, – sarebbe un'opera ben meritoria il porgere una mano a questa sventurata!..

Il professore, serio, colle dita sprofondate nel suo barbone, guardava fissamente la madre come per leggerle sul viso ciò ch'ella pensava.

Poi ad un tratto:

–Potendolo fare! – disse a mezza voce. – Potendolo… sicuro!

–Potendolo, professor mio! Ma è tanto facile. Che cosa chiede quella poveretta? Ve lo dissi prima. S'accontenterebbe persino di un posto di cameriera…

–E tu, mamma, che dici?

–Che vuoi ch'io dica? Penso che, dopo tutto, quella lì è sangue nostro. È la nipote di tuo padre. Che se anche infine il Lambertenghi, che Dio lo riposi, è stato un cattivo soggetto, non è poi giusto che la figlia di lui, che non ne ha colpa nè peccato, debba soffrire a questo modo…

La vecchietta, la quale aveva messo in quella risposta tutta la focosa convinzione di cui si sentiva dominata, s'interruppe un momento guardando il figliuolo:

–Tu approvi quello ch'io penso?

–E chi mai non approverebbe i buoni pensieri che tu hai sempre, mamma… coll'angelico tuo cuore… La signora sorrise un poco.

–Ah! per questo sì, mi ci sottoscrivo anch'io! – intervenne prè Letterio. – E che voi, signora Chiara, e che il professore Mattia avreste pensato così, io non ho dubitato un istante. Anzi, volete che ve la dica tutta?

–Ma sì, ma sì.

–Ebbene: viaggio facendo, nel mio cervello ho architettato perfino un mio bravo progetto. Ma, badate, un progettino in tutta regola, che se mai potesse avverarsi sarebbe una cosa tanto bella… Ve lo dico?

–Fuori, prè Letterio, fuori!

–Ecco qua. Già tante volte il professore Mattia mi aveva fatto un certo discorso: "La mamma è una donna forte, una donna che per la casa è un tesoro, ma infine cogli anni che passano avrà pure bisogno di condurre una vita un po' più tranquilla…" E poi, non una ma cento volte, un'altra cosa mi disse: "lui deve badare agli studi, deve restarsene tante e tante ore chiuso con i suoi scartafacci e le sue medaglie… e la mamma intanto a star sola si deve pur annoiare; così, in campagna, d'inverno, avere almeno una persona amica da barattar dieci parole lavorando insieme, da farsi leggere un libro per ammazzare il tempo!.." A tutto questo io ho pensato. Se vi prendeste la povera Loreta… Un posto qui alla vostra tavola si farebbe tanto presto. Poi, in fine di tutti i conti, meglio che un'estranea, una persona del vostro sangue… Eh?

Il vecchio prete sostò, aprendo le braccia nell'atto di chi, avendo esposto una cosa molto logica, aspetti con tutta sicurezza la pronta adesione de' suoi interlocutori.

E la risposta non tardò.

–Certo che quanto don Letterio dice è molto giusto! – fe' il professore. – La combinazione sarebbe buonissima…

E così a furia di reticenze continuò ancora un poco, senza dare tuttavia un'esplicita dichiarazione.

Ma al prete Letterio brillavano gli occhi, perchè, conoscendo perfettamente il suo amico, comprendeva che quegli, persuaso, persuasissimo, desideroso di annuire, restava in forse unicamente per lasciare che la madre decidesse lei, come le pareva:

–Dunque, signora Chiara, che cosa vi consiglia il cuore?

–Ma! il cuore mi consiglia di offrire a quella povera creatura il soccorso che ci domanda. Se Dio vuole che così sia per il bene di lei, ch'essa venga dunque! Purchè mio figlio sia contento…

–Qua dentro la padrona sei tu, mamma. E poi, te l'ho detto già prima, tu non puoi volere una cosa che non sia bella.

Don Letterio battè insieme le palme:

–Bravi, bravissimi! È un'azione benedetta la vostra, e ne avrete il compenso. Figuratevi la gioia di quella creatura!

–Le scriverete voi?

–Immediatamente.

–E siete contento?

–Mi avete fatto il più caro dei regali per il mio ritorno… Ed ora, una gocciola ancora del vostro buon vino. E poi in viaggio.

La signora Chiara riempì il bicchiere del prete e quello di suo figlio, ed anche nel proprio versò qualche stilla.

Ridendo tutti e tre toccarono i bicchieri.

Poi, prè Letterio risalì nel carrozzino che l'aspettava nel cortile, e, salutati gli ospiti, riprese la strada di Udine.

III

L'arrivo di Loreta fu stabilito per l'ultima settimana di ottobre. Prè Letterio l'aveva preannunciato con una lettera affettuosissima, in cui si dichiarava addolorato di non potere, a cagione di certi gravi suoi affari, recarsi al paese per assistere alla venuta della sua protetta.

In casa Sant'Angelo già da qualche settimana era quello il discorso di tutte le ore.

A mano a mano che il giorno dell'arrivo si approssimava, cresceva la impazienza della signora Chiara. E lo stesso professore, che di solito serbava in ogni cosa la piena serenità dell'animo, non sapeva sottrarsi dal dividere la irrequietezza di sua madre, la quale per parlargli di quell'argomento aveva perfino smesso il suo abituale scrupoloso riguardo di entrare nello studio di lui, durante le ore ch'egli consacrava al lavoro.

Tale irrequietezza doveva spiegarsi assai facilmente da quanti conoscevano il modo uniforme di vita che i due Sant'Angelo conducevano da tanti anni. Soltanto che, mentre nell'animo della signora Chiara altro non era che la spinta della sua bontà e il forte desiderio di conoscere questa ignorata parente, in quello del professore era pure un dubbio molesto, sortogli involontariamente per effetto di qualche parola maligna, ch'egli aveva potuto cogliere quasi per caso sulle labbra di alcuni conoscenti.

Una sera, al Caffè della posta, un vecchio amico di casa, il conte Leonardo Mangilli, un burberaccio che godeva in paese la fama di un vero orso, mentre gli altri, venuti a conoscenza del divisamento del Sant'Angelo, gliene davano in coro gran lode, s'era lasciato scappare una delle sue solite sfuriate:

–Eh! una giocata al lotto, professore mio! Non si sa mai che numeri sortono da quella ruota benedetta. E poi io, io che orso lo sono sempre stato, a' miei parenti, peggio che al diavolo, la porta l'ho sempre serrata a triplo giro. Chi ha la pace non si muova, dice il proverbio!.. E dice assai bene!

Gli altri s'erano messi a far baccano: "quello scettico del conte Leonardo aveva sempre le sue; a sentirlo pareva che ci avesse un cuore con tanto di pelo; invece…" E avevan finito per celiare tutti, compreso il conte, il quale provava una certa soddisfazione a vedere come la gente lo tenesse in fondo per un burbero benefico di quelli della vecchia commedia.

Ma il professore Mattia di coteste parole si ricordò. E quella sera, quando fu solo nel suo studio, in mezzo a' libri, in quell'ambiente tranquillo dove passava tante ore deliziose, stette a lungo collo sguardo fisso sulle pagine di un volume, aperto dinanzi a lui, vinto da una strana preoccupazione. Il proverbio che il conte aveva citato gli ronzava all'orecchio fastidiosamente… Se, obbedendo ad un consiglio inspirato dalla bontà, avessero commesso un errore? Se per quella decisione presa con troppa sollecitudine, avessero dovuto poi subire qualche amarezza?.. Fatta questa prima riflessione, una lunga catena di pensieri tristi, nerissimi, pieni di torve previsioni, si formava nella mente del professore. Vecchie storie dimenticate, nelle quali la ingratitudine umana era sorgente di dolori e di ansietà, rinascevano nella sua memoria. Di molti fatti analoghi si ricordava: amici suoi che per animo buono eran stati spinti al beneficio e ne avevano avuto pagamento colle peggiori disillusioni. Poi… conoscevano essi abbastanza quella giovane che stavano per accogliere? Chi era? Donde veniva? Che cosa aveva nel suo passato?.. È vero, Prè Letterio l'aveva raccomandata: era uomo di coscienza, e non l'avrebbe fatto senza convinzione. Ma d'altro lato non poteva essere stato tratto in inganno egli pure?.. E lo afferrava quasi un pentimento e si sentiva assalito da un arcano timore pensando che sua madre avrebbe forse un giorno potuto dolersi del passo che avevano fatto.

Di tali suoi timori il professore Mattia, nel desiderio di alleggerirsi l'animo di una preoccupazione della quale provava acuta molestia, aveva voluto muovere qualche accenno anche alla signora Chiara.

Lo aveva fatto attendendo con pazienza il momento opportuno, senza darvi importanza, a velate parole. Ma la signora Chiara gli tappò la bocca subito, con una di quelle frasi, piene di dolce mitezza, che erano in lei consuete e per le quali si faceva adorare:

–Che vuoi che avvenga, figlio mio? Al bene si risponde col bene. Noi abbiamo offerto la nostra casa a questa giovane sventurata, come era nostro dovere, con tutto il nostro cuore. Ella non potrà non amarci. E poi-non ridere, sai, se ti dirò una cosa-ma credi che i miei presentimenti non contino per nulla?

Il professore non si tenne dal sorridere.

–Oh! mamma, i tuoi presentimenti!

–Già, già, lo so, tu li metti in canzone. Roba da vecchiette, che amano le fantasticherie… Ma intanto-voialtri gente seria, fìlosofoni che non credete a nulla di nulla, potete ridere quanto volete-certi presentimenti non fallano mai! E questa volta…

–Ebbene, mamma, questa volta?

–Sono presentimenti de' migliori! – fè la signora tutta allegra, fregandosi le mani.

Il professore, dinanzi alla figura così placida, così serena di sua madre, sentì anche questa volta, come sempre nelle incertezze della propria vita, venire una tranquillità soave nel suo spirito:

–Iddio voglia che sia così, mamma, – disse. E non ci pensò più.

Intanto il giorno della venuta di Loreta era giunto e mezz'ora prima dell'arrivo del treno il professore Mattia trovatasi già in attesa alla stazione di Tricesimo.

Passeggiava impaziente in su ed in giù dinanzi alla piccola casa, tendendo l'orecchio se si udisse il rumore del convoglio, affacciandosi allo stanzino ove il capostazione se ne stava curvo sull'apparato del telegrafo, per sapere se per caso fosse segnalato qualche ritardo. Intanto fuori, sulla strada, di là dallo stecconato dipinto di verde, Agnul stavasene curiosando anche lui, colla frusta fra le mani, accanto al cavallino che sonnecchiava.

Il treno finalmente arrivò.

L'unica persona che scese a quella stazione fu Loreta Lambertenghi. Ma se anche ve ne fossero state cento, il professore Mattia non avrebbe durato fatica a riconoscerla, tanto la sua figura era distinta e tanto rassomigliava al ritratto fattone da don Letterio Prandina.

Era una donna ancor giovane, alta, bruna, molto pallida, dalle vesti di lutto semplicissime. Portava un cappello rotondo, di paglia nera, e sul viso una veletta grigia sotto la quale brillavano due occhi grandi e profondi.

Scese rapidamente da una carrozza di terza classe e volse subito uno sguardo in giro come cercando qualcuno.

Il professore Mattia si avanzò:

–La signorina Lambertenghi… – chiese con voce un po' tremante.

La ragazza ebbe un sorriso di piacere.

–Sono io. E lei… il professore Sant'Angelo?

–Sì.

Si strinsero la mano non trovando subito altro da dirsi, con quella incertezza che non si scompagna mai da un primo incontro il quale avvenga in così delicate contingenze.

–Ha fatto un buon viaggio?

–Buonissimo; solo mi parve tanto lungo. Non vedevo l'ora di essere arrivata.

–L'attendevamo anche noi con tanto desiderio. La mamma poi…

–Sua madre! Come dev'essere buona!

E uscirono dopo che il professore ebbe incaricato un guardiano della stazione di ritirare il bagaglio di Loreta e di recarlo poi in casa.

Fuori, Agnul era già pronto. Il ragazzo seduto a cassetta colla frusta tra le ginocchia, spalancò tanto d'occhi a vedere la forastiera e nella sua grande curiosità dimenticò perfino di mettere la mano al cappello.

–E presto! – disse il professore quand'ebbero preso posto.

Il carrozzino partì velocissimo.

Per qualche minuto nè Mattia nè la giovane dissero parola. Lei guardava intorno le belle distese de' prati già invasi dalla mestizia autunnale.

–Che luoghi pittoreschi! – mormorò dopo un poco.

–Sì, il paese è bello. Certo, adesso che l'autunno avanza, tutto apparisce più malinconico. Ma nella stagione buona…

Erano giunti ad uno svolto della strada e sul colmo di un poggio apparve la casa dei Sant'Angelo, bianca, coi vetri luccicanti nello splendore del tramonto.

–Ecco lì la nostra casa, – fe' il professore accennando col dito, – laggiù dietro a quei due grandi pini.

–Ah! laggiù!

–Sì: ed ecco mia madre, che ci sta aspettando. Infatti a piede del viale che saliva alla casa, fiancheggiato di vecchi pini, la signora Chiara, avvolta nel suo sciallino di lana scura e colla sua cuffietta nera in capo, li stava aspettando.

Con un sorriso sulle labbra la buona donna si avvicinò al carrozzino quand'esso sostò, e affabilmente, con quel modo incoraggiante che concilia di primo acchito la simpatia, tese le mani a Loreta.

La giovane balzò a terra, afferrò le mani della signora e con espansione, vincendo con uno sforzo la riluttanza di lei, gliele baciò replicatamente:

–Come la ringrazio! come la ringrazio!

La signora Chiara si strinse la ragazza al petto, dandole un bacio sulla bocca:

–Ma che, ma che! Siate benvenuta nella nostra casa. Lassù c'è bene un posto anche per voi…

Loreta, confusa, sorpresa quasi, da quell'accoglienza tanto affettuosa, si provò indarno a parlare. Le parole non le uscivano, mentre una lagrima le scorreva giù per le guance patite.

La signora le cinse col braccio la vita e riprese il cammino verso la casa.

–Aveva ragione Prè Letterio, – disse dopo un lungo silenzio la giovane, – aveva ragione quando mi scrisse che avrei trovato la bontà più grande…

–Prè Letterio ci vuol troppo bene, – rispose la signora Chiara. – Non è bontà questa. È un dovere ed una gioia. Io spero che mi vorrete bene, e che sarete contenta in mezzo a noi.

–Se sarò contenta!.. Dio è stato così pietoso verso di me, mandandomi questa grazia. Se vi vorrò bene?.. Come mai altrimenti!

E nel trasporto sincero della sua gratitudine, altre cose la giovane soggiunse, ed altre molte ne avrebbe soggiunte se la signora Chiara non glielo avesse proibito. "Era momento di finirla adesso! Doveva riposarsi, doveva tranquillizzarsi che proprio il bisogno ce lo aveva. E poi già glielo comandava e intendeva di essere subito obbedita…"

Tale fu l'ingresso di Loreta nella famiglia dei Sant'Angelo.

IV

Per quanto da una parte le accoglienze fossero state cordialissime, e per quanto dall'altra vi avesse risposto la più calda riconoscenza, certo, ne' primi giorni non potè completamente essere vinto quel vicendevole imbarazzo, che tratto tratto s'impadroniva così dei Sant'Angelo come di Loreta, e che tutti e tre riuscivano assai malamente a dissimulare.

V'erano delle ore nella giornata-quelle specialmente che di solito sono consacrate alle intime confidenze familiari-in cui cotesto imbarazzo manifestavasi più molesto. Alla sera, quando terminavano la cena e si erano esauriti i soliti argomenti della chiacchiera giornaliera, facevasi assai sovente un improvviso silenzio fra que' tre personaggi. La signora Chiara andava a sedersi nella sua grande poltrona, in un angolo della stanza, che rimaneva quasi immerso nella penombra, accanto alla stufa dove già s'era acceso il primo fuoco; il professore si poneva a giocherellare col grosso cane di casa-un bel terranova dagli occhi intelligenti-che veniva a posargli la testa sulle ginocchia. Loreta rimanevasene al suo posto, pallidissima, collo sguardo fisso a terra, come assorta in una lontana visione. Sulla sua fronte bianca si sarebbe creduto di scorgere una nube di tristezza. E nel fissarla attentamente quasi s'indovinava uno sforzo ch'ella s'imponesse per celare il vero stato dell'anima sua.

La signora Chiara pescava nelle proprie memorie, per rompere que' silenzi incresciosi, i vecchi aneddoti paesani, le burlette di cui in altri tempi era stato maestro il nonno Sant'Angelo, qualche strofetta allegra, di quelle che l'arguto vecchietto improvvisava ne' momenti di buon umore nella sua caffetteria di Tricesimo e che si citano ancora oggi nel Friuli insieme a' versi migliori di Pietro Zorutti.

E quando Loreta sorrideva:

–Eh! eh! – esclamava tutta soddisfatta la buona signora-casa Sant'Angelo è stata sempre casa di gente allegra. Visacci mai, neanche nelle ore cattive. E tutti così: il nonno non si dice; il babbo di Mattia, con tanti pensieri, allegro sempre anche lui. E Mattia come lo vedete, con tutti i suoi studi e le sue medaglie e i suoi occhiali d'oro, così serione ch'egli pare… Ma se ci si mette!

–Non ci credete veh! alla mamma. Dice così per farmi arrabbiare.

–Sicuro, poverino! Ma se mi ponessi a narrare un paio soltanto delle sue storielle!

E ne narrava alcune difatti, ad onta delle proteste che il professore affettava di fare.

Una fra quelle storielle era graziosissima davvero e curiosa anche per la sua eccentricità.

Si riferiva al grosso cane di Terranova, che accompagnava dovunque il professore come la sua ombra e per il quale in famiglia si avevano grandissime cure.

На страницу:
2 из 5