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Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2
Il Sultano è del resto sobrio, e mangia colle dita come gli altri arabi; pure quando m'invitava a pranzo con lui, mi faceva portare un cucchiajo di legno, perchè la legge non permette l'uso de' preziosi metalli nel vassellame; e per questo motivo i suoi piatti e la tavola sono affatto simili a quelli dei suoi sudditi. Egli non mangia che le vivande cucinate nell'harem dalle sue negre. A casa mia per altro mangiò cibi preparati da' miei cuochi.
Io tenni andando a Fez la medesima strada che avevo fatto venendo a Marocco. Benchè non fossi pienamente ristabilito in salute, non ommisi nel mio viaggio di fare alcune osservazioni astronomiche, che confermarono le precedenti; sgraziatamente però non ero ancora capace di sostenere un lavoro continuato.
Ne' primi giorni dopo il mio arrivo a Fez ebbi una disputa col pascià; egli pretendeva che in conseguenza d'essermi congedato dal Sultano per andare in Algeri, avrei dovuto partire entro otto o dieci giorni; e mi preparò pure gli oggetti necessarj al mio trasporto, e la scorta che doveva accompagnarmi, ma io mi dichiarai in termini positivi, che non poteva ancora partire, e rimasi a Fez un mese e mezzo. Poco prima ch'io partissi Muley Abdsulem venne a Fez, mi portò una commendatizia del Sultano per il Dey di Tunisi, ed un'altra per il pascià di Tarabba o di Tripoli: Muley Abdsulem me ne diede una sua per il Dey d'Algeri, cui per alcune considerazioni politiche il Sultano non aveva voluto scrivere.
Avendo finalmente fissato il giorno della mia partenza da Fez, mi congedai da Muley Abdsulem, e dai miei amici con maggior rincrescimento che la prima volta, perchè vedevanmi intraprendere un viaggio azzardoso, e temevano di non più vedermi.
La mattina del giovedì 30 maggio 1805 sortj a nove ore e tre quarti di casa coi miei amici che mi accompagnarono prima alla moschea di Muley Edris, indi per un tratto di strada fino all'istante in cui li congedai. La mia casa, le strade, la moschea, e l'uscita della città erano affollate di gente, che da ogni banda cercava d'avvicinarmisi per toccarmi, per chiedermi una preghiera, ec. Dirigendomi al N. giunsi a mezzogiorno nel mio campo di già stabilito al di là del ponte sulla riva destra del Sebou, fiume assai considerabile, che scorre all'ouest.
Venerdì 31 MaggioCi ponemmo in cammino alle otto del mattino, diriggendoci d'ordinario all'E. N. E., e facendo mille ravvolgimenti nelle montagne, fino alle due dopo mezzogiorno, che feci alzare le tende in riva al fiume Jenaoul che scorre con poche acque all'ouest.
Il paese è composto di montagne secondarie, la maggior parte calcaree, con alcuni tratti di terra coltivata.
Tra gli omaggi che mi furono resi dagli abitanti de' Dovar posti lungo la strada merita d'essere ricordato il seguente. Io vidi i fanciulli riuniti per incontrarmi; de' quali colui che precedeva gli altri era vestito d'una tonaca bianca, con un fazzoletto di seta sul capo, e portava in mano un bastone alto sette piedi, all'estremità del quale eravi una tavoletta su cui era scritta una preghiera. Dopo avermi fatto un complimento studiato, mi baciarono la mano, la stoffa, o ciò che potevano toccare, e partirono in seguito assai soddisfatti. Quanto era commovente la loro semplicità! Le madri facevano la scolta per vedere l'accoglimento ch'io faceva ai loro figliuoli.
Sabbato primo GiugnoAlle otto del mattino eravamo già in su la strada andando nella direzione di E. seguendo più d'un'ora e mezzo il fiume Yenaoul che scorre lungo la vallata. Si entrò subito dopo nelle montagne, e si attraversò un piccolo fiume ad un'ora dopo il mezzogiorno. Alle due si fece alto sulla sponda destra.
Il terreno non diversifica da quello di jeri, se non che la vegetazione era alquanto più rigogliosa. Vidi molti campi lavorati, ed un solo dovar.
Il tempo era in parte coperto, ed il termometro nella mia tenda segnava alle quattro della sera 26 e 7 di Réaumur.
Domenica 2Si riprese il cammino alle sette del mattino seguendo l'andamento di molte vallate tra montagne di mediocre altezza, ove si dovettero attraversare ad ogni istante alcuni piccoli fiumi; ed alle quattr'ore ed un quarto della sera si piantarono le tende presso a Tezza, piccola città posta sopra una rupe alle falde d'altre montagne più alte al N. O. Assai pittoresco è il quadro che offre questa città, circondata di antiche mura, colla torre della moschea che s'innalza fuori delle case come un obelisco. La rupe è scoscesa in alcuni lati, ed in altri coperta di piante fruttifere. I giardini ne circondano la base. Da un altro lato aggiungono varietà alla veduta un ruscello ed altri minori rigagnoli che si precipitano dall'alto, ed un ponte mezzo rovinato. Una sorprendente quantità d'ussignuoli, di tortorelle, e d'altri uccelli di varie specie, rendono questo luogo assai delizioso.
La valle coperta d'abbondante messe, mi convinse che questi abitanti sono più laboriosi che quelli delle coste del mare.
Il tempo fu sereno, e caldo assai fino all'istante di far alto, in cui il cielo coprissi di dense nubi; ed appena alzate le tende si udirono terribili colpi di tuono, e cadde una dirotta pioggia.
Malgrado questo contrattempo, ebbi il vantaggio di poter approfittare d'un istante in cui il sole apparve tra le nuvole, e trovai la mia longitudine cronometrica – 6° 0′ 15″ Ouest dell'osservatorio di Parigi.
Incontrai sulla strada molte carovane di Arabi che venivano da Levante, cacciati dalla carestia che regnava ne' loro paesi: erano composte d'intere tribù, che conducevano con loro gli avanzi de' loro bestiami, e tutto quanto possedevano. L'aspetto di tali carovane può dare un'adeguata idea delle antiche emigrazioni della Palestina e dell'Egitto, prodotte dalla stessa cagione.
Un colpo di sole sul rovescio delle mani mi cagionò una resipola. Si gonfiarono assai, e l'infiammazione diventò forte in modo di farmi soffrire acuti dolori.
Lunedì 3Non diminuendo le mie doglie non feci levare il campo: altronde tutta la notte e la mattina il tempo imperversò.
Osservai il passaggio del sole di mezzo a grosse nubi, che mi diede la latitudine al N. di – 34° 30′ 7″; ma quest'osservazione non è attendibile. La pioggia continuava ancora verso sera con un gagliardo vento d'O., e la mia mano sinistra proseguiva a tormentarmi.
Martedì 4La dirotta pioggia non ci permise di riprendere il cammino.
Mercoledì 5Alle otto del mattino si partì dirigendoci all'E., attraversando vallate, salendo e scendendo colline rinfrescate da molli ruscelli. Ad un'ora ed un quarto essendosi passato un fiume, feci alzare le tende entro il circondario d'un antico Alcassaba (castello) detto Temessovín.
Il terreno di questa contrada è tutto composto di argilla glutinosa che forma le colline e le valli fino ad una grande profondità, poichè io vidi degli strati verticali di oltre quaranta piedi. Io suppongo essere il medesimo strato generale, che da una parte va fino alla strada che conduce da Tanger a Mequinez, e dall'altra va a formare le montagne del Tetovan.
In questo giorno incontrai una càffila (carovana) proveniente dal Levante, che conduceva una greggia di più di mille cinquecento capre. Avevano collocate sopra alcuni camelli una specie di baldacchini o piccole tende entro le quali stavano le donne ed i fanciulli delle famiglie più ricche della tribù; le altre camminavano scoperte. Molti buoi e vacche erano cariche, e portavano, come i muli loro carico sul dorso.
Questo era l'ordine della marcia. Il bestiame collocato avanti era diviso in corpi di circa cento capi cadauno, e diretti da quattro o cinque garzoni, che cercavano di conservare un intervallo di circa venti passi tra un corpo e l'altro; le tende, gli equipaggi e la maggior parte delle donne e dei fanciulli collocati sui camelli stavano nel centro; gli uomini a cavallo e a piedi portando il fucile appeso, formavano la retroguardia, ed andavano pure dispersi sui due lati.
L'Alcassaba ove noi eravamo accampati è formato d'un quadrato di muri di 425 piedi di fronte con una torre quadrata ad ogni angolo, ed un'altra nel centro di ogni faccia. Il muro aveva tre piedi di spessezza, ed era alto diciotto. Da quest'altezza sorge un sottile parapetto sull'estremità esteriore tutto sparso di feritoj; e la residua grossezza del muro è il solo spazio su cui devono stare i difensori, che non possono fare alcun movimento senza pericolo di cadere. Vedesi nel centro dell'Alcassaba una moschea ruinata, presso alle rovine d'altri edificj. Varj gruppi, ciascuno di tre o quattro baracche, sono il miserabile asilo degli abitanti di questa solitudine. Il kaïd dell'Alcassaba che abita in un dovar distante una lega, venne a complimentarmi, e ad offrirmi un montone, orzo, latte, ed altre derrate.
Giovedì 6Alle sette ore e mezzo del mattino la mia carovana si avanzava all'Est, e continuò a tenere la stessa direzione fino alle tre e mezzo della sera, quando a canto di un povero dovar, ed a poca distanza da alcune rovine, o informi abituri, feci collocare il mio campo.
Il terreno formato d'argilla pura presentava una vasta pianura, ed un vero deserto senz'abitanti, e senz'altra verdura che quella d'alcuni cespugli abbruciati. Alle dieci si passò presso ad una grande cisterna piena d'eccellente acqua, e verso il mezzogiorno si attraversò un piccolo fiume.
Il tempo benchè sereno era rinfrescato da un vento d'E.
Venerdì 7Partj alcuni minuti prima delle sette del mattino, e dopo di avere passato il fiume Moulovìa, vidi le ruine d'un Alcassaba. Per lo spazio di due ore seguitai a tenere la strada al N. E. in poca distanza dal fiume, indi piegando all'E. continuai fino alle due dopo mezzogiorno. Passai in seguito presso ad un grande Alcassaba minato, intorno al quale vedevansi molti dovar: indi dopo aver attraversato il fiume Enzà si fermò il campo sulla sua sponda.
Profondo è il fiume Moulovìa, ma nel luogo in cui noi lo varcammo, avendo molta estensione, presenta un buon guado. Egli scorre al N. E., le sue acque cariche di melma erano rosse, e dense come quelle del Nilo, ma lasciate alquanto in riposo sono assai buone. Le rive sono basse e coperte di alberi nel luogo in cui eravamo jeri.
Il fiume Enzà, oltre d'avere naturalmente poche acque, viene impoverito di più dai canali che servono all'irrigazione. Era per me un vero piacere il contemplare in mezzo ad un deserto queste tracce dell'umana industria. Le sue acque scendono all'O.
A principio il suolo pare una continuazione della stessa pianura argillosa, deserta, osservata nel precedente giorno. Ma alle dieci del mattino si discese in un altro paese alternativamente composto di strati argillosi e calcarei che formano delle colline. A mezzogiorno passai innanzi ad una montagna che mi sembrò formata di basalto, e che lasciai sulla diritta. Ad un'ora e mezzo entrai in un bel paese, ben coltivato, coperto di belle messi nel di cui centro vedesi l'Alcassaba, ed al N. l'Enzà, sulla di cui riva diritta feci far alto.
Il cielo era mezzo coperto, ed un forte vento di N. E. rinfrescava l'aria. Questo deserto è noto sotto il nome di Angad. Sembra che si dilati nella direzione di N. O. dall'Alcassaba di Temessouinn fino al Sud d'Algeri.
Sabbato 8La mia gente levò il campo alle sette ore ed un quarto, e prendemmo la direzione di N. O. seguendo lo stesso deserto. Alle otto trovammo un ruscello di acqua assai buona. Alle nove e mezzo il paese si andava restringendo tra piccole montagne calcaree ed argillose. Ad un'ora e tre quarti dopo mezzogiorno si passò un piccolo fiume, e volgendomi all'E. camminai alcun tempo lungo la riva destra; alcun tempo dopo si cominciò a vedere qualche terreno coltivato, ed in seguito un dovar. Alle tre e mezzo si alzarono le tende vicino ad un Alcassaba, e ad un dovar chiamato l'Aaïaun Maylouk.
Il suolo attraversato questo giorno è a vicenda argilloso e calcareo. Due linee di montagne che fanno parte del Piccolo-Atlante chiudono l'orizzonte al N. ed al S.
In tutto questo deserto non si videro altri animali che alcuni piccoli ramarri, alcuni ragni morti o addormentati sui rami spinosi di una piccola pianta abbrucciata.
Sopraggiunsi colà nell'atto che gli abitanti facevano la ceremonia d'un convoglio funebre. Il cadavere posto in parata sopra un luogo eminente era circondato da una quarantena di donne, che divise in due cori gridavano in misura avvicendando: Ah-ah-ah ah. Tutte le donne del coro pronunciando il loro ah rispettivo, graffiavansi, e guastavano la cute del volto in modo che grondavano sangue. Stavano al loro fianco sei uomini in linea cogli occhi rivolti al paese d'una tribù nemica, che aveva ucciso l'uomo cui facevansi i funerali: gli altri Arabi a piedi, che formavano il corteggio, le circondavano interamente.
Rimasero mezz'ora in tale attitudine; e le donne dopo avere continuate per tutto questo tempo le loro grida e le loro graffiature, separaronsi dal morto piangendo in battuta. Gli uomini sepellirono il morto nello stesso luogo, e tutti ritiraronsi senz'altra ceremonia.
Il tempo sempre fresco fu costantemente coperto.
Domenica 9Alle sei ore del mattino si riprese la via verso il N. E. Alle sette ore attraversammo un fiumicello; e piegando poi all'E. N. E., alle due dopo mezzogiorno si passò altro fiumicello uguale al primo, ed alle quattro meno un quarto entrai in Ouschda.
Qui il suolo conserva la stessa natura di quello della pianura deserta di cui abbiamo parlato. Alle otto del mattino vidi per altro una buona terra vegetale, ma mal seminata. Le due catene d'alte montagne continuavano a limitare l'orizzonte al N. ed al S. ad una ragguardevole distanza.
Alle sett'ore e mezzo del mattino avevo scoperto in lontananza sopra una eminenza presso al cammino due uomini armati a cavallo, che avanzavansi lentamente verso di noi. Le mie genti incominciavano ad allarmarsi, ma io li acquietai, e quando giungemmo presso di loro seppimo ch'erano scolte della tribù nemica che aveva ucciso l'uomo Aaïaun Moylouk, e che dietro di loro trovavansi le truppe della tribù.
Scontraronsi poi alcuni uomini che mietevano le biade che avevano tutti presso di loro i cavalli sellati ed imbrigliati. Più lontano vedevasi la truppa armata.
Alle dieci ore eravamo nel territorio di questa tribù: è questo uno spazio d'una lega di diametro, tutta coltivata, ed avente più di venti dovar. Ci vennero incontro quattro uomini armati a cavallo, che mi chiesero una preghiera, indi mi licenziarono cortesemente. Questa tribù nominata Mahaïa parvemi composta di gente armigera; e credo che il Sultano di Marocco non eserciti su di lei un precario potere.
CAPITOLO XVIII
Descrizione d'Ouschda. – Difficoltà per proseguire il viaggio. – Detenzione per ordine del Sultano. – Partenza da Ouschda. – Avventure del deserto. – Arrivo a Laraïsck e sua descrizione. – Partenza dall'impero di Marocco.
Ouschda, villaggio che contiene cinquecento abitanti all'incirca, è come gli altri luoghi popolati che trovai al di qua dell'Alcassaba di Temessouin, nel deserto d'Angad.
Le case fatte di terra, sono piccole, e così basse che a pena vi si può stare in piedi. Sono inoltre così succide, e piene d'insetti, ch'io preferj di rimanere sotto la tenda nell'Alcassaba che è assai grande e posto a canto del villaggio: passeggiai alcun tempo entro un piccolo ma grazioso orto di sua pertinenza.
Un'abbondantissima fonte che scaturisce mezza lega al di là d'Ouschda somministra un'eccellente acqua, ed inaffia gli orti del villaggio. Offrono questi una bella verdura e varie specie d'alberi fruttiferi, tra i quali il fico, l'ulivo, la vite, la palma, tengono il primo rango. Il paese produce pure deliziosi popponi, e carni d'una squisita qualità; nè può immaginarsi quanto sia delicato il montone del deserto. Questi animali sono lunghi, magri, hanno poca lana, e vivono in un paese ove trovano appena di che vivere; ma la loro carne è forse la migliore del mondo.
Sia nel villaggio, sia ne' contorni trovansi pochi polli, e nessun selvaggiume; ma abbondano le carni, il riso, la farina, i legumi.
L'esatte osservazioni astronomiche da me fatte collocano Ouschda nella longitudine orientale dall'osservatorio di Parigi di 4° 8′ 0″; e nella latitudine settentrionale di 34° 40′ 54″. In una latitudine così elevata il clima dovrebb'essere poco diverso da quello d'Europa, ma il deserto che la circonda ne riscalda l'aria a dismisura. Vi ebbimo non pertanto alcuni giorni abbastanza freschi nel mese di giugno, totalmente coperti, ed anche piovosi.
Osservai ad Ouschda un'eclissi della luna. Avrei dovuto fare alcune altre osservazioni, ma sgraziatamente non mi furono dalle circostanze permesse, perchè io doveva tutto sagrificare all'oggetto principale del mio viaggio.
Quando arrivai, il capo ed i principali del villaggio mi avevano dichiarato ch'io non potrei proseguire il viaggio, perchè in questo stesso giorno avevano avuto avviso della rivoluzione manifestatasi nel regno d'Algeri, e che a Tlèmsen, o Tremecèn dov'ero io diretto scorreva il sangue Turco ed Arabo.
Dopo molti discorsi, e dopo avere maturamente riflettuto, mi determinai di spedire un corriere, che al suo ritorno mi portò la notizia, che i torbidi nati in Tlèmsen erano sedati, ma che la strada era infestata dai ribelli che rubbavano ed assassinavano. Chiesi all'istante una scorta al capo del villaggio, il quale mi rispose non aver forze bastanti, ma che cercherebbe ad ogni modo di assecondare il mio desiderio.
Avanti che passassero due giorni il capo ed i principali d'Ouschda fecero venire il Schèk el Boanani che è il capo di una vicina tribù, e gli proposero di scortarmi a Tlèmsen. In sulle prime il Schek non vi acconsentì, e dopo avere lungamente discusso l'affare, partì senza nulla decidere.
Erano già scorsi più giorni in trattative inutili; ed intanto i rivoltosi erano venuti fino sotto le mura d'Ouschda, tirando alcuni colpi di fucile che uccisero due uomini. La mia situazione diventava sempre più difficile, perchè da una parte si esaurivano tutti i miei mezzi di sussistenza, e dall'altra io non ignoravo che i miei nemici di Marocco, che avevano saputo rendere sospetto al Sultano il mio lungo soggiorno di Fez, non ommetterebbero di approfittare di questa circostanza per calunniarmi: risolsi quindi di montar solo a cavallo per andare in traccia di Boanani, che aveva il suo dovar alla foce delle montagne, due leghe distante da Ouschda.
A tale notizia le mie genti si sbigottirono, fuorchè due rinnegati Spagnuoli, che mi seguirono da Fez, e che in questa difficile circostanza mi si presentarono, dicendomi; «Signore se voi ce lo permettete noi vi seguiremo, e divideremo la vostra sorte». Fissai loro gli occhi in volto, e conoscendoli coraggiosi, gli ordinai di prendere le armi affinchè uno mi tenesse compagnia, e l'altro rimanesse coi miei equipaggi.
M'incamminai per sortire accompagnato da uno schiavo fedele detto Salem, e dal mio rinnegato, ma trovai chiusa la porta delle mura, e circa quaranta o cinquanta de' principali abitanti determinati di vietarmene l'uscita.
Io li scongiurai di lasciarmi sortire; ma mi risposero tutti ad un tratto, alcuni colle ragioni, altri colle grida. Io instai, essi resistettero. Finalmente rivolgendomi al capo, presi una delle pistole appese all'arcione della mia sella, e con un tuono tra l'amichevole, ed il minaccioso, gli dissi: «Schek Solimano, noi abbiamo cominciato bene, ma credo che la voglia finir male. Aprite la porta.» Allora Schek Solimano aprì la porta, dicendo agli altri: «poichè egli vuol perire, lasciatelo andare.»
Sortj seguito dal mio schiavo e dal rinnegato, e presi la strada delle montagne di Boanani. Poco dopo la mia partenza vidi avanzarsi a briglia sciolta gli stessi abitanti, che venivano per scortarmi: mi s'avvicinarono scusandosi della loro opposizione, che non aveva avuto altro scopo, dicevan essi, che il loro attaccamento alla mia persona, ed il timore di qualche sventura.
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1
Si crede che Muley Abdsulem morisse poco dopo. (Nota dell'Editore)
2
Quantunque il nome di Mohamèd sia sempre scritto coi medesimi caratteri in Arabo, l'uso ha consacrate le diverse maniere di pronunciarlo, come vedesi in questa nota. (N. dell'Edit.)