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Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2

Ali Bey al-Abbasi
Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2
CAPITOLO XV
Descrizione di Marocco. – Santi. – Palazzo del sultano. – Giudei. – Giardini. – Corvi. – Leprosi. – Monte Atlante. – Brebi. – Collezione di alcuni vocaboli di quell'idioma.
La città di Marràhsch, o Marocco, antica capitale del regno di questo nome, ruinata da una lunga serie di disastrose guerre, spopolata dalla peste, non conserva ora che l'ombra del suo passato splendore. Ne' tempi della sua prosperità una popolazione di quasi settecento mille abitanti ravvivava l'agricoltura, le arti, ed il commercio del paese: al presente appena conta trenta mille abitanti.
Le sue mura che sopravissero alle ingiurie del tempo, e della mano degli uomini, ne attestano l'antica grandezza. Esse girano tre leghe, e questo spazio è adesso ingombro di ruine, o trasformato in orti; la minor parte forma la presente città; e quantunque le muraglie delle case siano tirate a filo, e formino contrade, lasciano ancora nell'interno delle isole grandi spazj vuoti.
Molte osservazioni astronomiche mi hanno data la longitudine della mia casa, chiamata Bebhamed Duquali posta quasi nel centro delle mura: longitudine orientale = 9° 55′ 45″: dell'osservatorio di Parigi, latitudine settentrionale = 31° 37′ 31″; e la declinazione magnetica = 20° 38′ 40″ Orient.
Le strade della città sono di larghezza assai disuguali, allargandosi qua e là e ristringendosi più volte. Gli accessi alle case alquanto considerabili sono quasi sempre formati da chiassolini tanto angusti e così tortuosi, che un cavallo non vi passa senza difficoltà; e ciò fu espressamente fatto dai grandi per potersi più facilmente difendere nelle rivoluzioni popolari, e nelle frequenti guerre de' scheriffi per la successione al trono, poichè bastano quattro o sei uomini per difendere uno di questi vicoli. Per la stessa ragione le case sono provvedute di feritoj, e la mia sembra, piuttosto che una casa, una fortezza.
L'architettura di Marocco non è diversa da quella delle altre città dell'impero; val a dire che le case sono composte di un cortile con gallerie, o corritoj all'intorno, cui corrispondono lunghe e strette sale, illuminate soltanto dalla luce che entra per la porta. Le principali case hanno due e tre cortili simili al descritto; la mia ne conta cinque. Poche sono quelle che abbiano finestre verso la strada. Molte sono fatte di pietra, ma la massima parte di smalto composto con terra, sabbia, e calce che si batte entro due tavole applicate alle due superficie del muro; ciò che chiamasi tàbbi.
La città di Marocco contiene varie piazze o mercati, che come le strade, non sono nè lastricate, nè coperte d'arena; la qual cosa le rende estremamente incomode, sia ne' giorni piovosi a cagione del fango, come ne' tempi asciutti per la soverchia polvere.
Tra le molte moschee di Marocco se ne contano sei grandi, delle quali le principali sono El Kautoubia, El Moazinn, El Benious. Trovasi la prima isolata in mezzo ad un grande spazio scoperto: elegante ne è la sua architettura, e l'altissima sua torre si rassomiglia molto a quella di Salè. La moschea di Benious conta omai seicento cinquantadue anni da che fu fabbricata: è grande assai, ma la sua architettura presenta una bizzarra mescolanza di architettura antica e moderna, essendo stata in molte parti rifatta di nuovo. Trecento cinquant'anni dopo fu innalzata la moschea El Moazinn veramente magnifica, e posta in vicinanza della mia casa. Le sono addetti dieci ministri, assai mediocremente pagati per ordine del sultano colle entrate della moschea: di modo che questi ministri, come tutti gli altri di Marocco sono obbligati di procacciarsi la loro sussistenza col travaglio, o colle pie truffe dei talismani che vendono per guarire le malattie, i veleni, le ferite, i maleficj ed altri accidenti… Ah grande Maometto! voi non ingannaste mai gli uomini con sì piccole frodi!.. Il profeta non si arrogò giammai il dono dei miracoli, pubblicamente confessando che fu accordato a Gesù Cristo, e non a lui.
Sidi Belabbèss è il santo patrono di Marocco. La sua moschea, come quella di Muley Edris a Fez, è composta d'una sala quadrata coperta da una cupola ottagona, le di cui travature sono incise e dipinte in rabeschi, e coperte al di fuori di tegole inverniciate e colorite. Il sepolcro del santo è coperto di molte stoffe di lana e di seta, poste le une sopra le altre: vedesi da un lato la cassa delle elemosine. Il palco, ed una parte delle muraglie sono coperti di tappeti, e di altri drappi.
Presso al salone o moschea sono molti cortili con portici e camere destinate ad alloggiare i poveri, i storpiati, gl'invalidi, i vecchi. Questo spettacolo è ributtante, ed al triste aspetto che presentano tante miserie dell'umanità, si aggiunge la mancanza di quelle saggie istituzioni praticate in Europa negli stabilimenti di tale natura. Mille ed ottocento infelici dei due sessi sono al presente alimentati in questo luogo col prodotto delle elemosine, e colle entrate della moschea.
Questo santuario serve pure d'asilo agli sgraziati perseguitati dal dispotismo, i quali rifugiatisi nel suo circondario possono negoziare la loro grazia, ed aspettare di essere riammessi al godimento de' loro diritti, essendo intanto sicuri che il loro asilo non sarà violato. Per altro non avvi veruna legge positiva in favore di tale immunità, ma è talmente fondata sulla pubblica opinione, che quel monarca che, abusando del suo potere, osasse di violarla, sarebbe irrimediabilmente perduto nelle rivoluzioni che farebbe nascere. Quanto è mai vantaggioso all'umanità questo pregiudizio in un paese ove l'abitante, privo d'ogni civile guarenzia, trovasi assorbito dallo spaventoso vortice del despotismo! Il capo di questo stabilimento ha, come quello di Muley Edris a Fez, il titolo El Emkàddem, il vecchio, ed è egualmente rispettato; anzi incomincia ad avere odore di santità.
Farò qui parola dei due più gran santi che attualmente vivono nell'impero di Marocco; uno de' quali Sidi Ali Benhamet risiede a Wareu, ed il secondo chiamato Sidi Alarbi Beumàte trovasi a Tedla.
Questi due santi si può dire che quasi decidano della sorte dell'impero, perchè si crede ch'essi soli provochino sul paese le benedizioni del cielo. Nel loro distretto non avvi nè pascià, nè kaïd, nè governatore del sultano, e non si paga alcun tributo: il popolo viene governato dal rispettivo Santo, sotto una specie di teocrazia ed in una tal quale indipendenza. È tanta la venerazione di cui essi godono, che quando visitano le provincie, i governatori vicini ricevono i loro ordini, ed i loro consigli. Non però lasciano i due santi di predicare la sommissione al sultano, la pace domestica, e la pratica delle virtù. Immenso è il prodotto dei doni, e delle elemosine che loro si fanno, e forse non v'è una sola donna in tutto l'impero che non si procuri l'opportunità di parlargli quando vengono nel proprio paese. In questi religiosi viaggi sono accompagnati da una folla di miserabili che cantano le lodi del Signore, o quelle dei Santi personaggi. Li seguono pure molti uomini armati, preparati a difendere la santa causa a colpi di fucile.
Ho di già fatto osservare che questa celeste grazia della santità era in alcune famiglie ereditaria: il padre di Sidi Ali era un gran santo; Sidi Ali lo è attualmente, ed il suo maggior figlio Sidi Bentcami incomincia ad esserlo.
In un gran giro che Sidi Ali fece a Marocco, ebbi l'onore d'intrattenermi con lui; egli liberò la mia dilicata coscienza da qualche scrupolo. Gli feci un piccolo dono di mille franchi, ed egli mi diede una magnifica pelle di leone, sopra la quale egli da tredici anni faceva la preghiera: vi aggiunse molte confetture ed un gran vaso di siroppo di limone, ch'egli costuma di mischiare col suo te. Non trascurai di encomiare molto questo siroppo quando ne presi in sua compagnia. Sciolto affatto da ogni mondano interesse, il sant'uomo impiegò il danaro ch'io gli diedi, ed il prodotto delle abbondanti elemosine che aveva ricevute, nell'acquisto di fucili e di altre armi pei difensori della fede che l'accompagnano.
L'aspetto di Sidi Ali, dell'età di circa cinquant'anni, è venerando e grave. Un volto regolare, colori risentiti, occhi vivaci, piccola barba candida come la neve, forme piccole e pienotte perfettamente proporzionate… Dio sia lodato! Il suo abito sempre uguale consiste in una specie di camicia, o piccolo caftan di lana bianca, un piccolo turbante, una specie di hhaik leggere di lana bianca, che coprendo la testa del santo gli ondeggia sciolto sulle spalle e sui fianchi a guisa di piccolo mantello. La sua voce alquanto nasale acquista grazia dalla sua divina dolcezza. Il maggior figlio di Sidi Ali cammina sulle traccie del padre, e spira santità malgrado la sua fresca età. Può avere ventisei anni, ma è più grande e grosso di suo padre, e più rossiccio. Altri figli avuti dalle sue negre, accompagnavano il santo che viaggia in una lettiera sostenuta da due muli. Questa lettiera è abbastanza lunga perchè l'uomo apostolico possa coricarsi quando trovasi stanco d'avere colle sue ferventi preghiere chiamate sopra l'impero le grazie della divinità.
Non ho potuto vedere Sidi Alarbi che era a Tedla, ma conosco un suo nipote venuto a ritrovarmi da parte sua. Egli è rubicondo assai, e talmente grosso d'avere difficoltà di respiro. Mi si disse che Sidi Alarbi, è ancora più grande e grasso del nipote. Onde apparisce che i digiuni, e le mortificazioni non pregiudicano al vigore ed alla sanità dei nostri santi. Si aggiungeva che a fronte della sua pinguedine Sidi Alarbi monta leggermente a cavallo, e sa ben tirare un colpo di fucile, lo che è un nuovo favore della divinità. Sgraziatamente ebbero luogo alcuni diverbi tra questo santo ed il Sultano Muley Solimano. Avendo l'ultimo fatta fabbricare una moschea nel territorio di Tedla, ed avendo forse mancato a certi riguardi, Sidi Alarbi credette di doverla convertire in una scuderia. Muley Solimano per rappacificarlo gli donò mille ducati; ed il venerabile santo mandò in vece mille montoni al Sultano. Giova sperare che quest'atto di pentimento gli procurerà la misericordia di Dio per le raccomandazioni del santo.
La città di Marocco ha nove porte. Le mura che la circondano sono abbastanza solide, altissime, ed armate di torri al di fuori, tranne dalla banda del palazzo del sultano, ove invece sono al di dentro, formando come una cittadella che domina la città. Le muraglie sono quasi tutte costrutte di terra battuta colla calce.
Il palazzo del sultano trovasi al S. E. del circondario della città. Viene formato dall'unione di molte fabbriche assai vaste; perchè oltre gli appartamenti del Sultano, de' suoi figliuoli, di Muley Abdsulem, e dell'infinito numero di donne che loro appartengono; vi si trovano diversi giardini ed orti. Sonovi pure le abitazioni delle persone della corte, dei domestici, delle guardie, due moschee, ed immensi cortili o piazze nelle quali il Sultano accorda le sue meschouàrs, ossia pubbliche udienze. Tanti edificj formano un laberinto di muri, e come un'altra città, il di cui esterno recinto può avere una lega e mezzo di circonferenza.
Per entrare nel palazzo propriamente tale, dopo avere attraversate tre immensi cortili, o piazze d'udienza, conviene da prima entrare in un quarto cortile ove trovasi il corpo di guardia, di poi passare in un altro, in mezzo al quale vedesi un cobba, o casuccia quadrata alcuni piedi più alta sopra il piano del cortile. Questa casuccia internamente coperta di tappeti, e provveduta di alcuni cuscini è il luogo in cui stanno i grandi ufficiali di corte in attenzione degli ordini del Sultano: è propriamente un'anticamera, ove le persone obbligate a risiedervi si fanno servire di pranzo e di cena. Da questo cortile si entra in un vestibolo, ove trovansi paggi di servizio, ed un'altra guardia; e di là finalmente si entra in un giardino, ove sono due casette di legno, in una delle quali il Sultano suol ricevere le persone.
Questo giardino di forma regolare è pieno d'aranci, è assai bello, e ben provveduto di fiori e di piante aromatiche. Le donne non vi entrano. Esse ne hanno alcuni altri di loro esclusivo uso inaccessibili agli uomini. Tra le due casette vedesi un pilastro sopra il quale è collocato un quadrante solare orizzontale. Un giorno che aveva fatto portare i miei strumenti, osservai il passaggio del sole per prendere la latitudine di questo punto, e feci un segno sul pilastro, affinchè si rettificasse la posizione del quadrante che trovavasi alquanto disorientato. Feci quest'operazione in presenza del sultano.
Un'altra volta il sultano mi condusse egli medesimo nell'interno del palazzo, e mi fece vedere i bei appartamenti fatti all'europea con grandi finestre dalla banda del giardino, ed una magnifica sala, che non aveva altri mobili che pochi tappeti. Quest'appartamento che trovasi al primo piano è assai bello, e soltanto la scala è mal collocata, oscura, ed assai meschina. Nello stesso giardino trovasi un passaggio interno per andare nell'appartamento di Muley Abdsulem posto a fianco del palazzo. Quest'entrata non ha guardie, ma le porte sono sempre chiuse; ed il portinajo non le apre che al Sultano, a Muley Abdsulem, ed a me: per ogni altra persona è necessario un ordine particolare del Sultano. La casa di Muley Abdsulem è abbastanza spaziosa, ed ha pure in sul davanti un bel giardino.
La Giuderia ossia il quartiere de' Giudei, che ha pure un parziale recinto, è situato tra il palazzo e la città. Anche questo quartiere fu ruinato come gli altri, e vi si trova solamente un mercato abbondantemente provveduto. La porta viene chiusa la notte ed il sabbato, è custodita da un kaïd.
I Giudei di questo quartiere si fanno ascendere a circa due mille; quali tutti, senza distinzione d'età nè di sesso, non possono entrare in città che a piedi nudi; e sono trattati con estremo disprezzo. Il loro abito di color nero è assai meschino, ed è perfettamente eguale a quello de' Giudei di Tanger. Il loro capo che sembra un buon uomo, e che venne più volte a ritrovarmi, non veste meglio degli altri. Le donne vanno per le strade col volto scoperto, ed io ne vidi alcune assai belle, anzi straordinariamente belle. La loro capigliatura per lo più bionda, ornata di rose e di gelsomini, dà ai loro volti un'aria seducente. La dilicatezza e la regolarità dei tratti, l'eleganza del corpo, la bellezza degli espressivi loro occhi, le grazie allettatrici sparse su tutta la persona, danno loro quel bello ideale, che invano cercasi altrove che nei capi d'opera della greca scoltura. Eppure queste singolari bellezze sono disprezzate ed avvilite; esse vanno a piedi nudi, e sono obbligate di prostrarsi ai piedi riccamente ornati delle orribili negre, che godono dell'amor brutale e della confidenza dei Musulmani loro padroni. I figli maschi de' Giudei sono belli finchè sono giovanetti, ma degradono coll'avvanzare degli anni, talchè difficilmente si vede un Giudeo di bell'aspetto in età matura. Devesi ciò forse ascrivere alle sofferenze inseparabili dall'orribile schiavitù che li opprime?
I Giudei esercitano molte arti o mestieri; sono essi i soli argentieri, i soli lattonaj, i soli sarti di Marocco. I mori sono soltanto calzolai, falegnami, muratori, magnani, e fabbricatori di hhaik.
Anticamente la città di Marocco era circondata di giardini, e di belle piantagioni, che stendevansi a grandissima distanza. Per l'irrigazione di que' giardini vi derivavano dalle montagne dell'Atlante moltissime sorgenti per mezzo di acquedotti, o canali scoperti: grandiose opere, di cui al presente non rimangono che le ruine per attestare alle persone istruite che gli arridi deserti ond'è al presente circondata la città, erano ameni e fertili orti. I pochi giardini tutt'ora esistenti ricevono l'acqua da alcuni conservati acquedotti sotterranei; tra i quali quello che conduce alla mia villa di Semelalia è così grande, che gli uomini incaricati di ripulirlo vi passeggiavano sotto in piedi fino ad una ragguardevole distanza. Quest'acqua è eccellente.
La pianta più comune ne' contorni di Marocco è la palma. Quest'albero si solleva ad una prodigiosa altezza; ma i frutti nè uguagliano quelli di Taffilet, nè possono conservarsi secchi tutto l'anno: chiamansi billòh. Entro e fuori del circondario di Semelalia io possiedo molte di queste piante; e nel mio giardino io mangiavo frequentemente del midollo, ossia della parte centrale del tronco, che è un'eccellente cosa.
In una foresta di palme tra Semelalia e Marocco si è formata una specie di repubblica di corvi, le di cui costumanze sono affatto singolari. Ogni mattino allo spuntar del giorno questi uccelli partono tutti in traccia di cibo, recandosi in luoghi assai lontani senza che che rimanga un solo in quel contorno: tornano poi verso sera riunendosi a migliaja nel bosco e facendo un orribile fracasso, quasi fra di loro si facessero il racconto delle avventure di quel giorno: cosa da me più volte osservata tanto in tempo d'estate che d'inverno. A fronte delle praticate diligenze io non ho mai potuto trovare in queste parti i corvi a piedi rossi osservati da altri viaggiatori e naturalisti.
Trovasi a breve distanza da questo bosco un sobborgo isolato abitato soltanto da famiglie che hanno la sventura di essere infette da una espulsione somigliante alla lepra, che si propaga di padre in figlio. Quest'infelici sono esclusi dalla società degli altri abitanti, e non avvi persona che ardisca di avvicinarli.
Vedesi stando a Marocco la Cordelliera dell'Atlante, di cui un quarto rimane costantemente coperto dalla neve. Ho calcolato che nella sua totalità possa avere 13,200 piedi d'altezza sopra il livello del mare; ciò dico per approssimazione, giacchè per averne un'esatta misura avrei dovuto eseguire delle operazioni trigonometriche, che avrebbero allarmato i barbari che mi circondavano, e sagrificai quest'oggetto, siccome molti altri, al mio grande progetto. Questa cordelliera è posta obbliquamente innanzi a Marocco dirigendosi dal S. O. al N. E., ma la parte più immediata trovasi al S. della città non più distante di sei leghe. Essa si prolunga nell'interno dell'Affrica, e si volge al levante passando al S. d'Algeri, e di Tunisi fino ai confini di Tripoli. Avremo opportunità di parlare altrove di queste montagne, esaminandole sotto un diverso rapporto.
I viveri sono più a buon mercato a Marocco, che a Tanger, o a Fez. Questa sgraziata capitale quasi spopolata affatto dalle guerre e dalla peste ha perduto ogni commercio. Le arti e le scienze non possono prosperarvi, nè avervi incoraggiamento, mancando Marocco perfino d'una scuola di qualche importanza. Il circuito delle mura, l'immenso ammasso di ruine, gl'infiniti acquedotti resi inutili, i vasti cimiterj che la circondano, possono soli rendere credibile una distruzione così rapida, e così sorprendente.
L'alcaïsseria di Marocco non è paragonabile a quella di Fez, ma gli Arabi delle vicine montagne vengono a farvi le loro provvisioni; lo che anima alcun poco il mercato.
Questi Arabi montagnardi sono tutti di piccola statura, negri, abbrustoliti del sole, e di un ributtante aspetto. Sono conosciuti sotto il nome di Brebi, e formano una nazione separata. Quantunque la maggior parte di loro sappia parlare l'arabo come gli altri abitanti, si valgono d'un idioma affatto diverso dalla lingua araba, fuorchè nelle espressioni prese dalla medesima. Io mi feci spiegare alcuni vocaboli, di cui ne do la seguente nota:


I Brebi contano così fino al venti, ch'essi chiamano aascharinn come gli Arabi, di cui ne hanno adottate le espressioni numerali di decine, che combinano colle unità brebe; per esempio

Usano pure le espressioni;

Secondo la costumanza de' Francesi, che dicono sessanta dieci, quattroventi dieci.
Rimarcansi nelle montagne diversi dialetti della lingua breba: tutti estremamente poveri e formanti misti d'arabo; di modo che si può prevedere che la lingua breba scomparirà in pochi secoli. Per iscrivere in questa lingua si adoperano i caratteri e l'ortografia araba: ma a fronte delle mie più diligenti ricerche non ebbi notizia di verun altro libro scritto in questo idioma.
CAPITOLO XVI
Malattia d'Ali Bey. – Storia naturale. – Eclissi della luna. – Ritorno del Sultano. – Regalo di donne. – Annuncio del viaggio alla Mecca. – Visita di etichetta, e regalo del Sultano. – Tenda mandata dal medesimo. – Ali Bey parte da Marocco.
Mentre mi trovavo a Semelalia fui sorpreso da grave malattia, che mi ridusse agli estremi. Nel corso di tre mesi ebbi cinque gravi ricadute, che mi lasciarono così debole da non potermi neppure leggermente occupare de' miei più favoriti studj. Rimasi costantemente nel mio palazzo di Semelalia senza medico, perchè non voleva prevalermi di quelli del paese, e non eravi in Marocco alcun medico europeo. Dovetti perciò curarmi da me stesso, adoperando i medicamenti, di cui ne aveva meco un abbondante provvisione, accompagnata da una apposita istruzione intorno al modo di farne uso; ed ebbi la fortuna nel tristo stato di trovarmi affatto abbandonato a me medesimo, di non perdere affatto i sensi. Quando potevo alzarmi del letto non omettevo di fare qualche operazione astronomica; e rispetto alla storia naturale raccolsi i seguenti fatti.
In maggio i pomi granati erano perfettamente fioriti, come ancora le palme e gli ulivi: gli albicocchi erano maturi, e tagliavasi l'orzo.
In sul finire di giugno incominciava la stagione dei fichi che durava fino alla metà d'agosto.
In luglio eranvi popponi e pastinache, e verso la fine d'agosto si ebbero i primi dattili di Taffilet.
Alla metà d'agosto i mercati incominciarono ad essere abbondantemente provveduti di uve.
In giugno ed in luglio eranvi molti citriuoli, pomi d'oro, ec., legumi di varie sorti, e si raccolsero le granaglie.
Il giorno 31 luglio i miei domestici uccisero nel mio giardino d'estate un serpente lungo sei piedi e quattro pollici, e della circonferenza di cinque pollici ed otto linee nella parte più grossa. Questo rettile mi parve analogo al coluber molurus o al boa; ma egli aveva sulla testa alcune grandi piastre, che lo avvicinavano al Scitale. Io sono di parere che sia d'una specie sconosciuta: ma per mala sorte era un animale immondo, che la legge non permetteva di toccare; onde non potei esaminarlo attentamente, nè disegnarlo, lo che sarebbe stato un delitto in faccia alla gente che mi stava intorno. Perciò i miei domestici si affrettarono di levarmelo dinnanzi e portar lontano quest'animale così bello e curioso. Come mai potrebbero le scienze naturali fare alcun progresso ne' paesi mussulmani!
Ne' tre mesi di maggio, giugno e luglio l'atmosfera fu quasi sempre serena.
Nel medesimo giorno in cui si trovò il bel serpente un vento di S. O. portò una specie di turbine che si mantenne molto elevato, o dirò forse meglio, una massa di vapori che aveva un orribile aspetto. Non vedevasi alcuna nube, ed il lontano orizzonte sembrava un immenso vortice di fiamme, mentre una linea rubiconda sembrava circondarci da ogni lato all'altezza apparente di sei gradi; e di là fino allo zenit il cielo era tutto di colore citrino. Il disco solare era bianco smaccato, affatto privo di splendore e rassomigliava ad un globo di terraglia, o a dir meglio ad un disco di carta bianca. Il termometro era salito al 36°, ed il calore era effettivamente soffocante. Questa meteora si mantenne tutto il giorno; e fu portata senza dubbio dal vento simoum dal deserto, comechè non abbia potuto per cagione del monte Atlante dispiegare al di qua delle cordelliere la sua forza distruggitrice.
L'atmosfera fu alquanto meno carica all'indomani, e quantunque il sole la penetrasse con difficoltà, non presentò il fenomeno del precedente giorno.
Due dì dopo l'atmosfera si caricò di nubi, il tempo fu borrascoso, il vento soffiava interrotto con violenza, accompagnato da' rovesci d'acqua, e da tuoni.
Mi fu detto con asseveranza che in tale epoca non avevansi mai nè borrasche nè pioggie, che non incominciano prima d'ottobre.