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È L'Amore Che Ti Trova
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Emma la guardò, implorandola di non abbandonarla da sola con Ian, ma lei la ignorò completamente e si diresse verso il bar. Ian suggerì a Emma di andare a fare una passeggiata sulla spiaggia e lei accettò. La luna era piena e il suo riflesso si allungava sull’oceano, blu come la notte. Era una serata molto mite. Calda, nonostante il tramonto e l’oscurità, ma non soffocante come ne ricordava tante nelle ultime estati. C’era una leggera umidità che riscaldava l’aria. Ian le prese istintivamente la mano. Non si sottrasse. Le sembrava quasi naturale sentire la sua mano nella sua, anche se erano due completi estranei.

“Cosa fai nella vita? Parlami di te”, disse Emma improvvisamente per rompere il silenzio, continuando a camminare sulla sabbia.

Ian le era vicino. Ne respirò il profumo. Era una fragranza speziata e dolce al tempo stesso, una delizia per le sue narici. Si sentiva impulsivamente attratta da lui. Il suo corpo andava verso di lui in maniera incontrollata, mentre la testa glielo impediva. Nel suo intimo era in corso una violenta lotta.

Charlotte le aveva spesso detto che pensava troppo e non si godeva abbastanza il momento presente. Infatti, le ripeteva sovente questa frase significativa: «Abbiamo solo una vita da vivere! Carpe diem!» Emma sapeva che aveva ragione, ma era qualcosa di radicato in lei. Non aveva l’impulsività della sua amica. Avrebbe dovuto comportarsi come lei aveva fatto quella sera e vivere senza pensare alle conseguenze del giorno dopo. Forse era il posto che le faceva venire voglia di fare delle pazzie, chissà. Ad ogni modo era sempre stata troppo seria, su quello non c’era dubbio.

“La mia vita non è per niente interessante. Dipingo. Voglio dire, espongo dipinti in una piccola galleria di Brooklyn, ma non sono conosciuto. Sono persona non grata. Vivo a New York, in un grande loft vicino a Times Square. Faccio pittura astratta, ma mi guadagno da vivere dipingendo case. È ironico, a pensarci. Sono un artista mancato. Parlami di te, Emma. Mi incuriosisci.”

“Non sono un’artista. Il mio è un percorso tradizionale e convenzionale. Ho studiato lingue e mi guadagno da vivere traducendo libri dall’inglese al francese o viceversa. Niente di molto creativo. Niente di particolarmente appassionante nemmeno. Vivo in un piccolo appartamento sul Plateau, che pago il doppio di quanto dovrei per le sue dimensioni. Ho un inquilino con cui condivido lo spazio, Barney, il mio gatto siamese. A grandi linee, questa è la mia vita.”

Rise, ricordando il suo fedele amico a quattro zampe. Anche Ian sorrise. Ascoltava le sue parole incantato. Si lasciava facilmente sedurre dalle donne. Le amava tutte, senza eccezioni. Bionde, rosse, brune, more, basse, alte, magre, tonde. Tuttavia, quella di fronte a lui possedeva qualcosa che aveva sempre cercato. Non riusciva a capire cosa lei riuscisse ad accendere in lui. Era lucido e sapeva che era più di un’attrazione fisica. Non aveva intenzione di andare a letto con lei una notte e poi dimenticarla. Voleva conoscerla. Farla sua, tanto nel corpo quanto nell’anima.

“Hai un ragazzo?”

Emma arrossì e distolse lo sguardo.

“No. Nessuno.”

La sua risposta lo sollevò. Smise di camminare e propose a Emma di sedersi un po’ di fronte al mare per ammirare le stelle e godersi quel momento. Emma si sedette per prima. La sabbia le entrò nelle scarpe décolleté e sotto il vestito, rendendo la posizione scomoda.

Quella sensazione le ricordò il periodo in cui suo padre lavorava in una cava nel suo villaggio natale. L’aveva portata con sé, insieme al fratello Tommy e alla sorella Lizzie, e si erano divertiti sulle montagne di sabbia. A un certo punto era sprofondata un po’ troppo nella sabbia e suo padre aveva dovuto interrompere il lavoro per farla uscire di là, sotto le urla di Lizzie, completamente spaventata, mentre Tommy faceva il valoroso nel cercare di aiutare suo padre. Billy Tyler l’aveva rimproverata per aver disobbedito, quando aveva proibito loro di andare a giocare là qualche minuto prima. Era l’ultima volta che Emma aveva osato fare la ribelle. Suo padre era la dolcezza in persona, ma quando alzava la voce si faceva ascoltare.

Poi pensò a Charlotte, che aveva lasciato sola al bar e si sentì in colpa. Quella sensazione scomparve rapidamente quando ricordò tutte le volte in cui la sua migliore amica le aveva fatto lo stesso. Stava bene con Ian. Era dolce. “Potrebbe non essere un serial killer dopotutto”, pensò sorridendo.

“Sono felice di sapere che non c’è nessuno”, disse lui dopo un po’.

“Ah sì?” rispose Emma, guardando il profilo dell’uomo.

“Mi è sembrato di conoscerti da sempre quando ti ho colpita con quello stupido pallone e sono venuto a scusarmi.”

Smise di parlare e girò il viso verso la giovane donna prima di continuare:

“Non voglio che tu pensi che sono uno psicopatico. Ci siamo appena conosciuti. Eppure, con te, mi sento come una barca che ha ritrovato il suo porto d’origine. Non riesco a spiegarlo. Non capisco quello che provo quando sto con te. Quando ti sei girata verso di me questo pomeriggio, quando ti ho guardata… ero… avevo bisogno di rivederti. Di parlarti. Di conoscerti.”

Emma aveva trattenuto il respiro e stava cercando di assimilare ciò che Ian le aveva appena detto. Avrebbe voluto dirgli la stessa cosa, ma non le vennero le parole. Rimasero bloccate in gola. Stava succedendo troppo rapidamente. Non aveva mai incontrato un uomo che parlasse così liberamente delle sue emozioni e riconosceva di trovare la cosa particolarmente eccitante, ma anche un po’ preoccupante. La sua leggendaria timidezza le impediva di esprimersi.

“Sto bene con te. Anch’io.”

Fu l’unica cosa che seppe dire. Ian chinò la testa verso la sua compagna di serata e avvicinò il viso al suo. Esitò un secondo, non di più, e la sua bocca coprì la sua. Quando le sue labbra toccarono quelle di Emma, lei fremette di piacere. La sua lingua si fece timidamente strada per accarezzare l’altra. Sapeva di birra e menta. Era piacevole e dolce. La mano di Ian le sfiorava ora la guancia. Trovò il suo gesto tenero.

Condivideva la stessa sensazione del giovane. Anche lei aveva l’impressione di averlo ritrovato e che si conoscessero da molto tempo. Osò domandarsi se fossero quelle che chiamano anime gemelle. Anime che erano state separate durante la loro incarnazione e la cui missione era quella di ritrovarsi. Poi mise un freno alla sua immaginazione: le loro anime si erano riconosciute, d’accordo, ma trovava tutto ciò troppo rapido. Era solo un bacio, eppure non veniva baciata così da un bel po’ di tempo. Tutti i suoi sensi erano all’erta. Ian la stringeva con più desiderio e le sue carezze si erano fatte sempre più intraprendenti. Lei lo incoraggiò. Poi le sue mani si posarono sulla vita. Emma finì per respingerlo delicatamente.

“Non verrò a letto con te stanotte”, disse delicatamente, ma con fermezza.

Ian era deluso, ma non lo lasciò trapelare. Vedeva che era una decisione irremovibile. Accarezzò i capelli della ragazza. La trovava stupenda e aveva una voglia irresistibile di perdersi nei suoi occhi verdi. L’effetto che quella donna gli faceva era molto più che fisico. Emma si avvicinò di nuovo e prese l’iniziativa di baciarlo. Avrebbe potuto avere un’avventura con lui. Era facile. Ma non era da lei e sapeva che se ne sarebbe pentita. Charlotte era l’esperta in avventure di una notte, non lei. Ciononostante, era tentata di contravvenire ai suoi valori. Solo per una volta.

“Voglio sapere tutto di te, Emma. Tutto.”

“Bene. Da dove comincio?”

***

Charlotte scelse uno degli sgabelli al bancone per sedersi. Prese il telefono e scrisse un breve messaggio alla sua amica dicendole che stava tornando in hotel e invitandola a godersi la passeggiata con il suo bel principe americano. Per una volta, era lei ad avere conseguito un appuntamento con un uomo.

“Madame Riopel, giusto?” chiese un individuo dietro di lei, in francese.

Charlotte alzò la testa e riconobbe Gabriel, l’uomo dell’ascensore. Era un po’ troppo ben vestito rispetto alle altre persone presenti nel posto, ma non sembrava preoccuparsene troppo. Sorrise e girò leggermente la testa verso di lui.

“Gabriel Jones! Il mondo è veramente piccolo!” rispose Charlotte ridendo.

“Molto piccolo. E guardi che non l’ho seguita!” scherzò lui alzando le mani in difesa.

“Per mia fortuna! Non mi sarebbe piaciuto sentirmi pedinata”, ribatté lei ridendo di nuovo.

Emma aveva ragione. Era un uomo molto attraente. Soprattutto quando sorrideva possedeva un carisma impressionante di cui probabilmente non era consapevole. Le chiese se poteva sedersi sullo sgabello vuoto accanto al suo e lei accettò volentieri. Un po’ di compagnia le avrebbe fatto bene e, soprattutto, era qualcuno che parlava la sua stessa lingua.

“La sua amica se n’è andata?”

“No. È con l’uomo che le ha dato appuntamento stasera. Penso che stiano camminando sulla spiaggia o facendo qualcos’altro”, rispose lei strizzando l’occhio a Gabriel.

Lui sorrise, comprendendo l’allusione della giovane donna. Trovava Charlotte molto divertente ed era particolarmente rinfrescante dopo aver trascorso due giorni in compagnia di colleghi medici che parlavano solo di argomenti difficili legati alla loro professione. Charlotte vide da lontano il cantante della band che avanzava nella loro direzione.

“È qui per affari o per piacere?” chiese Gabriel dopo aver ordinato una birra.

“Affari. Sono una redattrice di Style Magazine. E lei? Piacere?”

Lui rise. Lei gli lanciò uno sguardo divertito.

“No. Lavoro. Se fossi qui per divertirmi, non sembrerei un manichino come ora, nel mio abito da impresario delle pompe funebri.”

Charlotte fece la bocca a forma di O, sorpresa da quello che aveva appena udito. Non riusciva a nascondere le sue emozioni, era troppo espressiva.

“Lei è un imbalsamatore?”

Non avrebbe mai immaginato che lui potesse esercitare un mestiere così macabro.

“No. Medico. Preferisco aiutare i vivi. È sempre più rasserenante per l’anima salvare una vita. Pensava davvero che fossi un becchino?”

Charlotte si mise un pugno sul mento e lo osservò per qualche secondo, con aria pensosa.

“Solo che ha un aspetto troppo serio, direi.”

Una mano si posò sulla spalla di Charlotte. Si voltò e vide il cantante della band, che si era esibito sul palco dall’inizio della serata.

“Ciao, io sono Ryan.”

I suoi occhi marroni, quasi neri, cercavano quelli di Charlotte, che li evitavano.

“E a me non interessa”, rispose subito, voltandosi di nuovo verso Gabriel, con cui stava conversando.

Il giovane rise nervosamente. Non era abituato a essere trattato in quel modo. Punto sul vivo, trovò improvvisamente la situazione eccitante.

“Sono l’amico di Ian. Tu sei Charlotte?”

“Sì, sono io. Ascolta, Bryan…”

“Ryan. Non Bryan…”

“Non ha importanza, sto parlando con questo signore. Un gentiluomo del mio paesino. È davvero scortese da parte tua interrompere la nostra conversazione”, spiegò lei in un inglese approssimativo che Ryan trovò delizioso.

Gabriel assisteva alla scena, cercando di nascondere un sorriso che apparve ugualmente sul suo viso. Tuttavia rimase in silenzio. Non voleva intromettersi. Charlotte era molto interessante e aveva trovato spiacevole che l’individuo interrompesse la loro conversazione.

“Adesso me ne vado”, disse Gabriel, vedendo che il musicista insisteva.

“La sua birra è appena iniziata”, gli fece notare Charlotte, indicando la bottiglia dell’uomo con il dito.

“Non voglio essere causa di litigi…”

Charlotte scoppiò a ridere. Non conosceva Ryan e non aveva alcuna voglia di conoscerlo. Era convinta che Ian avesse chiesto al suo amico di tenerle compagnia mentre lui cercava, probabilmente, di sedurre la sua migliore amica. E Charlotte non aveva nessun bisogno di compagnia. Era lei a scegliere gli uomini con cui usciva. Non erano certo loro a scegliere lei. O almeno le piaceva crederlo. Era una donna orgogliosa, lo sapeva. Era un suo diritto.

Aveva deciso, dopo la prima rottura amorosa all’età di quattordici anni, che nessun altro uomo le avrebbe fatto del male come quella volta. Si sarebbe comportata come loro, anche se la maggior parte delle donne condannava quel tipo di atteggiamento e di comportamento. Sentiva che, al di là di quella promessa, era bloccata e si proteggeva dall’amore.

“Non devo niente a questo tipo perché non lo conosco”, disse Charlotte dopo che Ryan ebbe fatto dietrofront.

“Una donna con carattere e che sa esattamente quello che vuole! Brava!” esclamò Gabriel.

Charlotte posò il gomito sul bancone del bar e appoggiò il mento contro il palmo della mano mentre fissava Gabriel senza dire nulla. Dopo un po’, lui si mise a ridere imbarazzato.

“È la prima volta che incontro un medico che non è vecchio o noioso. Questo mi fa ricordare che è possibile trovare giovani medici come in Grey’s Anatomy, sparò Charlotte per poi scoppiare a ridere.

Era più forte di lei, le piaceva sedurre. A prescindere da chi fosse la vittima.

“Lo prendo come un complimento. Dovrebbe venire più spesso in ospedale, con me lavorano solo elementi prossimi alla pensione”, rispose lui giocando con la sua bottiglia.

“No! Non mi piace molto l’idea… Evito gli ospedali quando non sono malata, sono pieni di germi.”

“Il tipo con cui è uscita la sua amica a questo appuntamento, lo conosceva già?” chiese Gabriel incuriosito, deviando la conversazione.

Charlotte alzò lo sguardo verso il suo interlocutore di fortuna, colta da un’intuizione. La sua attenzione per Emma l’aveva colpita. Si chiese se la sua domanda fosse davvero disinteressata, dato che, di tutti gli argomenti che avrebbe potuto scegliere, proprio la sua migliore amica aveva tirato fuori.

“No, l’abbiamo incontrato oggi pomeriggio, sulla spiaggia…”

“È prudente lasciarla andare da sola con uno sconosciuto?”

Charlotte fece l’occhiolino a Gabriel, roteando il bicchiere e il ghiaccio sul fondo. Poi affondò lo sguardo in quello del medico.

“Ho la netta impressione che voi due siate fatti l’uno per l’altra… Non ha fatto che assillarmi con la sua paura che potesse essere un serial killer…”

“E ci è andata lo stesso?”

“Forse l’ho spinta un po’… e poi bisogna vivere il presente. Carpe diem! Tutto qui.”

Gabriel bevve d’un sorso il resto della bottiglia e si alzò. Aveva deciso di tornare in albergo. Doveva svegliarsi presto la mattina dopo. Anche se era abituato a dormire per brevi periodi di tempo, era più ragionevole approfittarne per riposare.

“L’accompagno in albergo?” le chiese educatamente.

“Perché no?” rispose Charlotte.

CAPITOLO 3 – APPUNTAMENTO MANCATO

Un raggio di sole penetrava tra le tende della camera d’albergo. Charlotte aprì prima un occhio, poi l’altro. Guardò il letto accanto al suo per assicurarsi che la sua amica fosse tornata sana e salva dalla sua avventura con Ian, ma era intatto. Vedendolo vuoto si sedette subito sul materasso. Emma era stata fuori tutta la notte. Emma, la dolce, la romantica, la timida, non era rientrata per dormire. Bisognava mettere una croce sul calendario, poiché si trattava di un evento straordinario. Non poté reprimere il sorriso che le solleticava le labbra.

Erano le sei del mattino. Era ancora presto, ma sapeva che Elvie e Alice dovevano essere già sulla spiaggia per il servizio fotografico previsto all’alba. Ripensò alla sera prima. Lei e Gabriel avevano riso molto tornando in albergo. Aveva apprezzato il tempo trascorso con il medico, senza mai alcuna intenzione di avere un’avventura con lui, anche perché nessuno dei due aveva fatto un passo in quella direzione. Si erano comportati come due buoni amici e le era piaciuto.

Nello spazio di una notte le due amiche avevano, senza volerlo, invertito i ruoli. Charlotte si era addormentata vestita e decise di andare a farsi una doccia, sperando che la sua compagna di stanza tornasse presto e che Ian non fosse davvero un serial killer, come Emma aveva detto e soprattutto temuto, prima di uscire.

Emma premette il pulsante dell’ascensore ed entrò mentre la porta si apriva. Il suo vestito era sgualcito, le sue scarpe piene di sabbia fine e la sua testa piena di ricordi della notte precedente con Ian. Avevano trascorso parte della notte a parlare, a baciarsi e a scoprirsi. Si erano addormentati l’una tra le braccia dell’altro, finché una guardia, durante il suo giro mattutino, li aveva trovati e svegliati. Ian aveva rispettato la scelta della giovane donna e non avevano fatto l’amore.

Mentre l’ascensore continuava la sua ascesa, accarezzò le labbra gonfie con l’indice, ricordando la sensazione che le labbra di lui le avevano provocato. Guardò l’orologio. Erano le sei e mezza. Charlotte doveva essere preoccupata. La loro prima intervista era all’altro capo della città e si ricordava che dovevano partire presto. Avrebbe dovuto fare una doccia, prendere un caffè o una bevanda energetica per sperare di reggere tutto il giorno. Anche se stava ancora fluttuando tra le nuvole, si rendeva conto che il suo corpo aveva bisogno di riposo.

Quando l’ascensore si fermò al suo piano e le porte si aprirono, sussultò alla vista di Gabriel Jones, che indossava joggers neri e una maglietta bianca. Non pensava di incontrare qualcuno a quell’ora del mattino, tranne forse il personale dell’albergo. Lui le sorrise e aspettò che uscisse prima di entrare nell’ascensore. Le augurò una splendida giornata. Gabriel andava a correre, un’abitudine che aveva preso all’epoca dell’università per concentrarsi meglio in classe e liberarsi dallo stress che doveva sopportare durante gli esami.

Emma raggiunse la sua stanza saltellando, tenendo le scarpe nella mano sinistra. Quando si accorse che la porta era aperta rallentò lo slancio. Riconobbe la voce di Charlotte, che parlava con qualcuno dalla voce profonda e calda, con un leggero accento britannico. Alla fine capì che era Candice Rose, il capo della sua amica. Fu presa dal panico immediatamente, quando si rese conto dell’aspetto che doveva avere. La donna avrebbe subito capito che aveva dormito fuori.

“Stamattina sarò con voi”, disse Candice.

“Non ti fidi di me?” rispose Charlotte sulla difensiva.

“Non è questo. Lo sai bene. Voglio vedere come vanno le cose sul campo”, si difese Candice.

Emma approfittò di quel momento per entrare nella camera e vide le due donne, che di riflesso guardarono nella sua direzione al suo apparire. Candice si mise ad analizzare la giovane donna dalla testa ai piedi. Il suo sguardo si posò sulla vita, sulle gambe e, per un breve istante, sul petto. Per un attimo Emma si sentì come sotto giudizio. La cosa non le piaceva, ma evitò di dirlo. Sapeva di essere in torto e non voleva gettare acqua sul fuoco per niente. E poi si sentiva di basso livello con il suo abito del giorno prima tutto sgualcito, di fronte a una donna dall’aspetto di alta classe. Charlotte ruppe il silenzio.

“Eccoti! Candice verrà con noi stamattina. Vai a farti una doccia, ti aspettiamo per andare a fare colazione.”

“La notte è stata difficile?” chiese Candice, che non aveva staccato gli occhi di dosso a Emma e la cui voce non tradiva alcuna emozione.

Emma non capiva se era arrabbiata o sarcastica. Preferì rimanere in silenzio e guardarla per un attimo. Era una bella donna che doveva essere molto più giovane di quanto sembrasse in realtà. Era vestita in modo sobrio, ma di buon gusto, e indossava abiti firmati che Emma non poteva permettersi con il suo stipendio attuale. I suoi capelli erano biondi e scendevano scalati fino alle spalle. Niente meches pazze o treccine ribelli. Portava una camicetta bianca con solo l’ultimo bottone superiore aperto, sotto una giacca nera, e persino una cravatta. Aveva pantaloni neri a portafoglio, per completare il suo look androgino, che era anche molto femminile. Emma aveva incontrato Candice raramente e ogni volta le ricordava un avvocato, con la sua aria professionale e distaccata.

“Faccio presto”, balbettò, afferrando un paio di pantaloni e una camicia nella sua valigia.

Candice la seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso il bagno, continuando ad ascoltare Charlotte, che le descriveva l’itinerario della mattina. Aveva intuito che la giovane donna aveva passato la notte fuori e di certo non da sola: aveva gli occhi cerchiati e stanchi, il suo vestito era stropicciato e macchiato di sabbia, mentre i capelli erano spettinati. Contrariamente a quello che la gente poteva pensare, non era facile ingannarla, né era stupida. Osservava molto le persone e, attraverso il loro linguaggio corporale, era in grado di indovinare come fossero. Candice aveva vissuto molto. Aveva capito subito che Charlotte non era una ragazza di chiesa e che collezionava uomini e avventure. Mentre era a una serata di beneficenza, un socio d’affari di suo marito aveva vuotato il sacco, senza sapere del legame tra le due donne. Quel dettaglio l’aveva divertita. Era la vita privata della sua collaboratrice, dopotutto, e non aveva alcun diritto di controllare quella parte della sua esistenza. Almeno, non finché non pregiudicava la rivista. Per lei era essenziale erigere una barriera tra le due sfere.

“Se tu vieni, Emma potrebbe restare qui. Mi potresti correggere l’inglese se mi sbaglio…” propose improvvisamente Charlotte.

“No. Non l’ho portata qui per pagarle un viaggio di piacere e perché passi le notti a flirtare e le giornate a dormire. E non sono qui nemmeno per tenerti la mano, Charlotte. Voglio vedere Emma al lavoro. Voglio vedere su chi sto investendo i miei soldi.”

Charlotte sorrise al suo capo. Aveva totalmente ragione, anche se aveva un modo di esprimersi molto diretto. Non aveva peli sulla lingua. Diceva pane al pane e vivo al vino. Un tratto che anche Charlotte possedeva e che, a volte, provocava scintille tra le due donne. Prese la borsa e ci infilò il registratore, il suo taccuino e due penne. Candice guardò la sua redattrice con soddisfazione.

Loro due avevano diversi punti in comune. Era bello non dover sopportare urla e lacrime ogni volta che diceva quello che pensava o doveva alzare la voce. Lei non andava per il sottile ed era sempre sbrigativa. Apprezzava anche Charlotte per le altre sue qualità, come l’ambizione, la sincerità e l’impulsività, che le ricordavano i suoi inizi. Erano già troppo lontani nella sua memoria, tanta acqua era passata sotto i ponti. Candice aveva certamente molti difetti, tra cui quello di essere dura con la giovane donna, perché voleva che rasentasse la perfezione. Charlotte aveva un vero talento e Candice sperava che avesse successo senza sabotarsi, come aveva troppo spesso visto fare da alcune delle sue ex redattrici.

Emma uscì finalmente dalla doccia dopo una decina di minuti. Era fresca come una rosa e si era truccata leggermente. Trovò le due donne che continuavano a parlare del loro soggiorno.

“Riuscirà a resistere tutto il giorno? Lo spero”, chiese Candice prendendo la sua borsa, che aveva messo sul letto.

“Le diamo del buon caffè nero e vedrà che reggerà”, rispose Charlotte al posto di Emma.

“Credo che sia in grado di rispondere da sola, o le manca l’uso della parola?”

“Sono in piena forma. Non la deluderò, signora Rose.”

***

Fu il telefono a svegliare Ian. Socchiuse gli occhi e vide che erano già le tre del pomeriggio. Prese il telefono, che aveva smesso di squillare, e vide che aveva perso la chiamata di Lilly Murphy. Con la mente un po’ confusa raggiunse con la mano il pacchetto di sigarette sul comodino e si ricordò di trovarsi nella stanza degli ospiti della casa estiva dei genitori di Ryan. Tolse una sigaretta dal pacchetto, che rimise vicino al suo cellulare, e la accese dopo essersi avvicinato alla finestra. Pensò per un momento a Emma e rise come uno stupido, poi il suo sorriso svanì pensando a Lilly. Inalò il fumo della sigaretta e compose il numero della giovane donna per richiamarla.

“Sono io, Lilly, che succede?” chiese quando una voce femminile rispose al secondo squillo.

“Lo chiedo io a te. È da ieri sera che cerco di contattarti.”

La preoccupazione nella voce della donna aveva lasciato il posto alla rabbia.

“C’è stata un’emergenza?” chiese Ian sospirando e iniziando a fissare una crepa nel pavimento in legno massello.

“No. Non sei tornato a casa ieri sera. Non mi hai chiamata per informarmi e non mi hai inviato nessun messaggio. Il tuo capo ne ha lasciato uno perché ti stava cercando, quindi immaginati. Come pensi che mi sia sentita?”

“Mi sono preso un giorno libero. Ho fatto tardi e ho bevuto un po’. Ho preferito dormire da Ryan…”

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