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Racconti Di Habbaassi III
Racconti di Habbaassi
III
Juan Moisés de la Serna
Duello Federica
Casa Editrice Tektime
2021
“Racconti di Habbaassi III”
Scritto da Juan Moisés de la Serna
Traduttore Freedom Of Speech Translations
1ª edizione: gennaio 2021
© Juan Moisés de la Serna, 2021
© Ediciones Tektime, 2021
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Tektime
https://www.traduzionelibri.it
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Prologo
Un alunno della Scuola delle Conoscenze di Hab Y Ssinia (Etiopia), quando è al suo terzo anno di corso, viene addestrato a scrivere storie che, una volta diventato Guida, racconterà alla propria comunità; in questo libro sono state raccolte storie tra i vari studenti che, entrati da bambini, raggiungeranno il grado di Gran Maestro. Uno di questi è il seguente, scritto da un bambino di otto anni: Un bambino nel campo sentì due animali parlanti, e la cosa insolita era che erano una capra e una chiocciola. La prima diceva alla seconda:Dedicato ai miei genitori
Indice
IL GRANCHIO CHIACCHIERONE
IL POLLO MAIALE
IL CENTOPIEDI CHE VOLEVA CONTARSI I PIEDI
L’UOMO PESCE DELF
L’ELEFANTE E LA FORMICA
IL GRILLO PREVEGGENTE
IL VERME NELLA MELA
LA FORMICA UMANA
LA LUCERTOLA CODARDA
IL PASSERO CANTERINO LA-RI
L’ASINELLA DIL-ETTA
IL GRANCHIO DI MONTAGNA
IL COCCODRILLO PIAGNONE
IL GATTO CON GLI STIVALI
LE FORMICHE
IL CAVALLO VOLANTE
IL GRILLO GIGANTE
IL PASSERO GUERCIO
LE FORMICHE GIGANTI
LA CAPRA E LA CHIOCCIOLA
Un alunno della Scuola delle Conoscenze di Hab Y Ssinia (Etiopia), quando è al suo terzo anno di corso, viene addestrato a scrivere storie che, una volta diventato Guida, racconterà alla propria comunità; in questo libro sono state raccolte storie tra i vari studenti che, entrati da bambini, raggiungeranno il grado di Gran Maestro. Uno di questi è il seguente, scritto da un bambino di otto anni:
Un bambino nel campo sentì due animali parlanti, e la cosa insolita era che erano una capra e una chiocciola. La prima diceva alla seconda:
«Io sono più intelligente di te. Guarda! Ho la testa più grande, quindi ho più cervello, e mi posso allontanare quando c’è un pericolo, e posso difendermi»
Mentre parlava, muoveva la testa per metterla in mostra
La chiocciola sembrava non fare caso alla sua amica, e le disse:
«Non c’è bisogno che gridi e neanche che parli: so leggere la mente degli altri animali, e so già di tutte le tue abilità, ma pensa un attimo: sai perché muoiono pochissime chiocciole a causa di altri animali?»
La capra rispose di no;
«Perché sappiamo leggere il pensiero e trasferiamo il nostro nella mente degli altri»
«Non è vero. - rispose la capra - L’altissimo Signore Della Vita ha creato noi più grandi, più forti e possiamo mangiare di tutto. Inoltre, la mia pelle, la mia carne, il mio latte e la pelliccia sono ricercati, quindi dimmi: è successo lo stesso anche con te? O hanno dato tutto il buono a noi, animali superiori, e lasciato appena un po’ per voi?»
La chiocciola, alquanto disturbata per l’insistenza, rispose:
«La verità è che con gli occhi che hai riesci a osservare solo le cose fisiche; noi vediamo le energie. Tu ascolti solamente il rumore fisico; noi molto di più, perché esistono suoni che tu non percepisci. Voi alimentate gli esseri umani con tutto: esistete affinché non ci sia spazzatura né decomposizione in giro; noi ci prendiamo cura delle piante e ci cibiamo di esse; le proteggiamo da altri esseri superiori come voi, comandandovi di lasciarle in pace».
IL GRANCHIO CHIACCHIERONE
Un tempo lontano, sulle rive di un’isola bagnata da acque calde, nacque un granchio di grandi dimensioni. Come i suoi tanti compagni, la prima cosa che fece quando ruppe l’uovo fu di fare un bagno e sentire il caloroso tepore delle acque.
Il granchio dovette apprendere a sopravvivere tra mille pericoli della costa dove abitava, quella splendida isola dalle acque calde, e con quel suo desiderio di sopravvivenza apprese qualcosa di fondamentale per la sua specie: imparò a parlare con gli altri granchi e con gli altri animali.
Di fatto, tutto successe come di seguito: un giorno, il dormiente riposava sotto al sole, in cima a una roccia. Vide un’ombra che gli si avvicinava tra altre cime che si avvicinavano a lui e ai suoi fratelli che gli dormivano intorno.
Per una circostanza risvegliata dall’istinto di sopravvivenza, per proteggersi chiuse le sue pinze e le aprì facendole risuonare, il che fece risvegliare i suoi fratelli che si affrettarono a mettersi in salvo dirigendosi in acqua, e così fece anche lui, lasciando il passero che si avvicinava con la presa vuota.
La scena si ripresentò molte altre volte, e il granchio si rese conto che il movimento delle pinze e il rumore provocato da queste avevano creato un primo linguaggio di avviso per la sua comunità di granchi.
Juan, il nome che abbiamo dato all’animale, fece altre cose notevoli, come notevole fu quando si ritrovò vicino a una femmina di granchio, secondo lui bellissima, e fece alcuni movimenti alzando tutto il suo corpo spostandolo in avanti e indietro mentre produceva rumori soavi e prolungati con le pinze.
La giovane femmina fu impressionata da quel granchio e dai rumori gradevoli che produceva, cosa che non aveva visto fare a nessun’altro della sua specie fino a quel momento e che avevano permesso al nostro Don Juan di ottenere i suoi favori, insieme al considerarlo un ottimo potenziale padre dei suoi figli quando sarebbe arrivato il momento.
La produzione di rumori forti e il movimento di pinze quando un pericolo era avvertito, come anche far risuonare note soavi e prolungate fu senza dubbio un passo molto importante per l’evoluzione della specie; ma l’intervento di Juan nell’evoluzione dei suoi simili non si fermò a questo.
Il terzo avanzamento avvenne durante la stagione degli amori, quando la sua specie aveva l’abitudine di riunirsi in grandi numeri e grandi pericoli si annidavano, come animali che, essendo a conoscenza di quell’occasione, approfittavano dell’istinto primordiale della riproduzione, che in quei casi era anche più importante della sopravvivenza stessa, e si riunivano per alimentarsi della comunità dei granchi.
Juan, nonostante avesse già da tempo scoperto la sua compagna e lei avesse scelto lui, grazie a un istinto speciale si era allontanato dal luogo della concentrazione e aveva trovato un nascondiglio in un luogo adeguato tra le rocce, e lì portò la sua compagna per assecondare l’istinto stagionale con tranquillità e senza i soliti pericoli che vi erano in occasione di questi eventi.
Trasmise le varianti genetiche che gli avevano permesso di vivere a lungo ai propri discendenti, il che consentì una vita longeva anche a loro, nonché di vivere in condizioni migliori rispetto al resto dei suoi compagni.
IL POLLO MAIALE
All’interno del cortile di una fattoria vivevano diversi animali: pecore, capre, maiali, colombe, galline e altri ancora, come i cani.
Dato che l’azienda agricola non era molto grande, durante l’inverno i padroni avevano l’usanza di richiamare gli animali all’interno di un pagliaio che avevano costruito per proteggere il bestiame dal freddo e dai malanni stagionali.
Il pagliaio fu sempre più frequentato, fino a diventare una vera e propria casa permanente per alcuni animali come le colombe, le galline e i cuccioli, che per essere protetti e assistiti, si ritiravano sotto il capanno al sicuro dai più grandi.
Successe che una calda primavera coincise con il parto di una maialina, e contemporaneamente, una gallina mise al mondo i suoi pulcini; anche se questi erano di razze differenti, accadde che un ovetto non ancora dischiuso della gallina rotolasse e si posizionasse vicino a dove la maialina stava partorendo, così che, una volta uscito fuori dal guscio, il pulcino che ne nacque si credette essere un maialino!
La gallina inizialmente non notò la mancanza dell’uovo mentre stava covando, e ciò permise al pulcino di passare le sue prime ore di vita tra i fratelli maiali e la madre incinta. Quando la gallina si accorse di ciò che era successo, lo cercò subito e una volta trovato, tentò di riaverlo ma non ci riuscì: il piccolo credeva ormai di appartenere a un’altra razza.
A mamma maiale non diede fastidio la presenza del pulcino, dato che l’istinto materno glielo fece accettare e proteggere comunque non accorgendosi che quel piccolo pollo stava acquisendo comportamenti che non erano della sua razza ma di quella della sua famiglia adottiva.
Passarono i primi giorni, e la maialina spinse i suoi cuccioli a uscire dal luogo dove li aveva tenuti fino ad allora; vide che il polletto la seguiva ovunque, che mangiava ciò che mangiavano loro e che dormiva dove si riposavano loro, e anche se vide la mamma chioccia richiamare il figlioletto, provò a non fare caso ai tentativi.
Dato che in un luogo in cui vivono tanti animali insieme, non può mancare cibo in abbondanza, il piccolo pollo imparò a sopravvivere insieme ai maiali imponendosi come uno di loro e non rendendosi conto, a causa del suo cervellino molto piccolo, che i suoni che lui emetteva erano diversi da quelli dei suoi fratellastri, e che il loro volume, statura e modo di vivere erano distinti.
Mamma chioccia affrontò la maialina con l’accusa che quest’ultima le avesse rubato il figlio, così litigarono. Dovette intervenire il contadino per separare le due madri; tutt’ora non si sa come finì la disputa, dato che la gallina era eccessivamente istintiva mentre la maialina era molto tranquilla.
Il contadino decise di cambiare le disposizioni e di porre le galline e i pulcini in un’altra area del pagliaio, ma continuò a osservare e vide che il piccolo pollo rischiava di morire lontano dalla sua famiglia adottiva, e con grande felicità della maialina, dei fratellini maiali e del polletto, li lasciò insieme.
IL CENTOPIEDI CHE VOLEVA CONTARSI I PIEDI
Tra le storielle e i racconti che gli Hab-Baa-Ssi tutt’oggi preservano, ne esistono alcuni nati dalle menti di alcuni alunni del terzo anno del corso della Scuola delle Conoscenze, in questo corso che spinge gli alunni a costruire racconti o storie che possano un giorno servire da insegnamento ai bambini del futuro (bambini e adulti senza alcuna educazione) a cui loro stessi dovranno accudire quando diventeranno Guide e cominceranno ad assumersi le proprie responsabilità
Un centopiedi non è un animale di montagna, ma vive tra i grandi boschi; arriva a misurare fino a trenta centimetri, è nero come le foglie secche con cui si nasconde e si ciba e ha l’intero corpo ricoperto di peli neri velenosi. È composto da due parti uguali o comunque molto simili: ha bocca e occhi sia nella parte di dietro che in quella davanti, così da poter confondere i suoi nemici naturali mentre si muove; nella coda conserva una grande quantità di veleno, e i passeri e gli altri animali che si cibano di insetti spesso li divorano mangiandoli dalla testa.
Uno di questi centopiedi, diverso dagli altri, un giorno si pose una domanda: sapeva già quante gambe avesse, ma nessuno gli aveva mai detto quanti piedi avesse, e cominciò a contare, ma non sapeva come fare e volle imparare. Quando cominciò a contare vedeva solo una parte di sé, così cammino fino a uno stagno e si vide riflesso solamente per metà: si voltò, e si vede l’altra metà. Ma vide anche il mondo esterno, le stelle e gli alberi. Per lui che non aveva mai alzato la testa, fu una scoperta. Guardò all’interno dello stagno, che conteneva moltissimi animali e disse:
«Che tonto che sono! Mi preoccupo per le mie gambe quando devo ancora vedere tante cose meravigliose!»
E si unì ad altri animali nella contemplazione; apprese cosa succedeva intorno a sé, incontrò altri animali, e apprese cosa succedeva dentro le acque, e quando imparò tutto ciò che c’era da imparare, concluse:
«Da ora in poi non starò più con i miei simili, che vogliono solo sapere quante zampe possiedono».
L’UOMO PESCE DELF
In un luogo lontano, lontano, in altri momenti della storia dell’umanità, in altre latitudini con climi tropicali e acque calde, la Terra era stata scossa dalla caduta, sul suo suolo, di un grosso pezzo del satellite che le roteava intorno, la seconda Luna.
Era caduto perché gli uomini avevano voluto stabilire su di essa una base militare, e quando questa fu sabotata, volò e si disintegrò; la potenza della sua esplosione e la quantità di oggetti che caddero fecero reagire la Terra in maniera molto violenta.
Fece smuovere i continenti, le bocche dei suoi vulcani si aprirono e uscì un’abbondante quantità di materiale che rese difficile la vita sul pianeta; per loro fortuna, gli uomini avevano previsto tutto poiché tra di loro esistevano coloro che si fanno chiamare “psichici”, e il loro mestiere è di avvertire gli altri di ciò che succederà.
Così costruirono un rifugio molto speciale in un luogo altrettanto speciale: era un luogo che aveva la forma di piramide quadrangolare, ma con il vertice verso il basso e attraverso di esso, si connetteva con l’energia gravitazionale del pianeta; lo costruirono in poco tempo e in mezzo al deserto, dove nessuno poteva disturbarli e dove nessuno importava di sapere chi fossero e cosa facessero. Lì, raggiunsero importanti risultati per una nuova energia gravitazionale terrestre grazie a nuovi progressi tecnologici nati dall’ispirazione di uno di loro.
Vi fu un grande e terribile terremoto, e grandi movimenti come reazione della Terra al bombardamento che veniva dal cielo; parte del materiale atterrò su quella piramide seduta sulla roccia, coperta e sostenuta dalla sabbia; altro invece sprofondò sotto il livello del mare, e parte del deserto si trasformò in isola, mentre il resto della sabbia divenne una spiaggia che sopravvisse allo sprofondamento. Ciò permise solo a una delle facce della piramide di mostrarsi ancora al cielo.
I dispersi vissero in quelle condizioni precarie e i messaggi che loro mandavano per far sapere agli altri dove fossero rimasero inascoltati per molto tempo, per cui dovettero ricorrere a mezzo di sopravvivenza offerti dal posto come le coltivazioni interne e il mare che li circondava, considerato la fonte primaria quasi assoluta della loro sopravvivenza dato che sull’isola non cresceva nulla.
Ma ciò non li scoraggiò e fece nascere in loro un’idea: vollero sviluppare, nell’essere umano, le funzioni che gli avrebbero permesso di respirare sott’acqua e al tempo stesso vivere degli alimenti che il mare forniva naturalmente, ma non separandosi dalla forma umana.
Con quest’idea in mente, cominciarono gli esperimenti chirurgici su alcuni membri della collettività che secondo loro avevano maggiori probabilità di sopravvivenza, ma questi non furono efficaci, quindi sospesero le operazioni e decisero di studiare fino in fondo tutti i tipi di animali che avrebbero potuto aiutare gli esseri umani a sopravvivere sott’acqua.
Per ottenere tale risultato cercarono di non fare a meno della ricerca di ossigeno dai polmoni, e che i figli di tale essere fossero concepiti all’interno del grembo umano fino a quando avrebbero potuto sopravvivere da sé.
Studiarono e studiarono, e approfondirono la materia della genetica; prima quella degli animali e poi quella che riguardava loro in prima persona: conclusero anche innesti con la genetica animale, ma ne risultarono mostri, così gli studiosi decisero di votarsi agli studi sulla propria genetica, e vollero fare tentativi di innesto sugli umani con altri esseri umani. I risultati furono più soddisfacenti, questa volta.
Trasformarono la fisionomia degli astanti e si resero conto che le donne non potevano crescere i feti in grembo: dovettero crearli in laboratorio, sostituendo il parto delle madri.
Riuscirono a creare il primo uomo-pesce e lo chiamarono DELF.
Il giovanotto fu lasciato in mare, e anche se l’atto può sembrare inumano, gli altri pensarono che fosse il modo migliore affinché si adattasse nonostante sapessero dei rischi che poteva correre, e cercarono di evitarli delimitando una zona della spiaggia con alcune corde in modo che i grandi mostri del mare non potessero avvicinarsi; lì, il giovane visse tutto il periodo della sua prima infanzia.
Si adattò, e quando gli studiosi ritennero che fosse in grado di affrontare il mondo esterno, levarono il cordone e il ragazzo uscì verso il mare aperto, dove le acque erano più profonde, vi era cibo ma anche i pericoli, e questa è la storia della sua vita.
Era nato in laboratorio ma era umano: era dotato di polmoni e del sistema normale di riproduzione, anche se all’inizio non riuscì a trovare una compagna.
Era forte e molto agile, e questa era la prima condizione necessaria posta a sua migliore difesa giacché era risaputo che i grandi mostri erano lenti e che un essere molto agile avrebbe avuto grandi possibilità contro quegli esseri. Possedeva anche due cose molto importanti: un muso che gli serviva da arma e più di ogni altra cosa, aveva una forte capacità psichica, che aumentava grazie alle vibrazioni trasmesse tramite le acque marine.
Così Delf e gli umani con poteri psichici comunicavano telepaticamente: loro gli avevano insegnato tutto ciò che era necessario sapere del mondo sottomarino, e il ragazzo apprendeva molto bene, ma sapeva anche leggere le menti di alcuni pesci che gli nuotavano intorno. A volte, utilizzava i suoi poteri per paralizzare i potenziali nemici o quegli esseri che lui stesso attaccava perché considerati pericolosi.
La sua vita fu un’avventura totale: si allontanò dalla base e visitò tutta la zona circostante; con i suoi poteri mentali, chi era in laboratorio era in grado di raccogliere informazioni che avrebbe passato agli studiosi che sarebbero venuti dopo di loro. Ma gli studiosi di allora non vollero essere sostituiti da esseri digitali, e crearono un altro essere umano, questa volta una femmina, che avrebbe procreato insieme a Delf.
La maggiore avventura di Delf fu la scoperta che ci fossero altri esseri umani che vivevano in altri luoghi, ma quando egli si diresse verso di loro, questi vollero ucciderlo per mangiarselo; nonostante provò a comunicare con loro attraverso la mente, questi la tenevano chiusa come alcuni pesci, che però appartenevano al genere animale.
Quindi, quando tentò di comunicare telepaticamente quanto era successo a chi viveva nel laboratorio, questi gli spiegarono che purtroppo situazioni del genere potevano accadere, e che loro non erano stati in grado di avvertirlo per tempo poiché, ritenutisi soli, erano a conoscenza dell’esistenza di quegli altri umani, che erano animali dalla forma umana e niente di più.
Successe un’altra cosa durante lo stesso viaggio: fu sorpreso dalla forte corrente che lo trascinava verso una direzione e si lasciò trasportare senza però riuscire a uscirne. La corrente lo portò molto lontano e lui si sentiva felice, perché non aveva avuto bisogno di compiere sforzo alcuno: andava da un posto all’altro e poteva vedere e conoscere tante forme animali e vegetali diverse.
Durante il viaggio scoprì molte rovine; il pianeta era cambiato abbastanza e alcune terre erano state inondate insieme alle loro città, e solo con il tempo queste poterono ritrovare la tranquillità sui fondali marini.
Vide anche tanti resti che dovevano essere di macchine provenienti da altri tempi e rimase sorpreso nel vedere numerose creature marine che avevano forma umana, ignorando la domanda se avessero anche loro poteri di alcun tipo. Provò qualche approccio ma fallì, e concluse che era meglio rientrare nella corrente che andava in direzione opposta, anche se di poco distante dal luogo in cui si trovava, ma alla fine andò tutto bene e si sorprese di come, durante il tempo della sua breve assenza, era nata una ragazza che, scoprì dopo, sarebbe diventata sua moglie.
La delfina crebbe e con lei anche altri maschi che avevano avuto modo di svilupparsi così come altre femmine. Quando tutti uscivano in mare, Delf ne era il capo e maestro, anche se non ne era il padre, ma quando anche quest’ultimo punto dei loro studi divenne realtà, tutti scoppiarono di allegria poiché videro la propria ricerca raggiungere il risultato sperato: far sì che l’essere umano vivesse in mare.
L’ELEFANTE E LA FORMICA
Nella Scuola delle Conoscenze di Hab Y Ssinia (Etiopia), al terzo anno insegnano che l’arte del parlare deve essere svolta solo per insegnare o per fare del bene e mai per il male né per esprimere nulla che non sia un elogio o buone parole; per questo, gli studenti apprendono a creare racconti per comunicare con gli altri; uno di questi era di un bambino di dieci anni.
Un giovane, enorme elefante maschio, si cibava da degli alberi all’interno di un bosco. quando, mentre masticava delle foglie, una formica si posò su una delle sue zanne ed esclamò:
«Elefante, per caso credi di essere l’unico essere, qui, che ha diritto a mangiare? Io ho camminato per più di due ore per salire su questo ramo, e quando finalmente arrivo, tu mangi tutte le foglie e mi lasci senza. Me ne devi una e la pretendo»
L’elefante, sorpreso da quella piccola formica che le stava dando ordini, rispose:
«Sono per caso il tuo servo? Credi di potermi dare degli ordini? Ti darò il ramo, ma solo perché lo voglio, non perché me lo chiedi in tale modo»
«Bene, visto che vuoi poggiala a terra laggiù, che è dove abito - disse la formica - e non tornare da queste parti se non per parlare con me»
L’elefante sorpreso dall’autorità rispose:
«Perché gridi? Non sai che abbiamo un udito molto sviluppato? E poi dimmi: perché mi parli come se io fossi il tuo schiavo? Assomigli agli esseri umani con cui fui costretto a vivere fino a quando riuscì a scappare; erano terribili, per caso, anche tu vuoi farmi del male?»
«Gli esseri umani sono terribili mentre le formiche sono civilizzate, non osare mai più paragonare»
L’elefante si fermò davanti alla voce, tanto piccola quanto autoritaria, e se ne andò; un suo fratello che aveva assistito alla scena, gli chiese:
«Per caso quella formica ti ha messo paura? Se così fosse, la strozzo ed è finita»
«Paura! Io non ho paura di nessuno e di niente… Ma aveva una voce così piccola, e piena d’autorità…»
«Quale voce? Io non ho sentito nulla» disse l’altro.
E quello ritornò:
«Per questo motivo ho fatto quello che mi ha chiesto: conosce il modo di parlare senza emettere suoni, e ciò vuol dire che può entrare nella tua mente e dominarla: meglio averla come amica e non farla arrabbiare».
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