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Mare Di Amarezze
“Con chi parlavi?”
“Col mio socio in affari.”
“Che tipo di affari?”
“La ristrutturazione dell’Ospedale di Los Angeles.”
“Sembra una cosa complicata.”
“Sì, è difficile infilare tutti nella stessa pagina.”
“Che pagina?”
Mi alzai stizzito, e afferrai il mio cellulare per mettermelo in tasca.
“Perché mi spii?”
“In verità, ero convinto che me ne sarei andato senza vederti.”
“Mi hai spiata tutta la notte.”
“Ho lavorato tutta la notte.” Le mostrai l’iPad che avevo ancora in mano.
“Spero che non siano le stesse stronzate dell’altra sera.” Rimase seduta al tavolo, ma io non avevo intenzione di restarci.
“No, questa volta erano cavolo e trippa.”
“Stai migliorando. Siediti, che sembri un corridore sull’asta di partenza.”
“Sono troppo vecchio per quello, ormai.”
Mi sedetti di nuovo. Lei fece un cenno alla cameriera.
“Quindi, sei una specie di guardone.” Si rivolse alla cameriera che era giunta al tavolo. “Ciao, Ringy. Ci porti due birre scure, per favore?”
Ringy sorrise e andò a prepararle.
“Come mai sei così gentile con lei?” le chiesi.
“Ha lavorato anche lei per strada, finché non è invecchiata troppo.”
“Come succederà a te. Forse la settimana prossima.”
“Divertente. Allora, che cavolo vieni a fare, qui?”
“Pensavo di trovare qualcosa che mi eccitasse mentalmente, e invece ho trovato solo le tue chiacchiere noiose.”
“Beh, anche l’eccitazione ha un costo.”
“Invece la noia è gratis?”
“Fin quando non troverò qualcuno disposto a pagarmela. E tu? Che ne diresti di qualcosa di eccitante?”
Mi misi a ridere. “IO? E perché dovrei?”
“Perché comunque sei un uomo.”
“E quindi desidero una vera donna.”
“E secondo te io non lo sono?”
“Secondo me tu sei… In quell’istante Ringy ci portò le birre e io zittii. Prija sorseggiò la sua, poi mi guardò con aria interrogativa.
“Credo che ci sia un tempo per scherzare e uno per fare le cose serie.” dissi.
“E perché? Sabato scorso ti ho detto che sei un lurido vecchiaccio Americano.”
“La verità non ha mai ucciso nessuno.”
“Allora dimmi la verità su di me.”
“Ok. Sei bellissima.”
“Oh, mi fai arrossire.”
“E lavori per strada perché in fabbrica non faresti gli stessi soldi.”
Il suo cellulare vibrò. Lei gli diede un’occhiata distratta ma non rispose.
“Come mai Siskit si adatta a lavorare al reparto spedizioni per un decimo di quello che guadagni tu?”
“Perché non le permetterò di fare il mio stesso lavoro.”
“Ma va bene per te, vero?”
“IO so cosa faccio.”
“Oh…e cosa stai facendo?”
Lei stette zitta per un attimo. “Va bene. Paga e tornatene al tuo lavoro.”
Si alzò. La guardai andarsene, prima di lasciare i soldi sul tavolo.
Meraviglioso. Proprio come ai bei vecchi tempi.
* * * * *Le due di notte di sabato sera. Tutti i tavoli del solito caffè erano occupati. Mi misi a camminare sul marciapiede al alto opposto. Avevo il mio computer portatile nello zaino a tracolla.
Prija non era al solito posto.
Scrutai la strada in lungo e in largo: niente.
A un tratto vidi Prija uscire da una porticina dell’edificio e sistemarsi la gonna. Era in compagnia di un ometto basso e grasso.
“Sassone!” esclamò una voce alle mie spalle. Mi voltai.
“Siskit! Che piacere vederti!”
Mi abbracciò. “Che fai? Controlli Prija?”
“Ehmmm…sì, fino a poco fa.”
“Anch’io lo faccio, ogni tanto. Ho sempre paura che qualcuno le metta le mani addosso.”
”E’ già successo?”
“Sì, molte volte.”
“Perché lo fa?”
Siskit fece un cenno di saluto a Prija dall’altro lato della strada. Lei rispose con un cenno del capo.
Mi sta guardando?
Provai il forte impulso di salutarla, ma rimasi fermo con la mano avvinghiata allo zaino.
Se n’è accorta che prima la stavo guardando?
Tutti i soldi che guadagna li dà alla famiglia. Nostro padre è malato di cancro, e nostra madre è costretta sulla sedia a rotelle.”
“Oh, no. Che tipo di cancro?”
“Polmoni.”
“E’ in chemio?”
Mi guardò. “Che cos’è?”
“Ehmm…delle sostanze chimiche che ti danno per endovena.” Feci il gesto dell’ago ficcato nel braccio. “A volte te lo danno con le pillole.”
“Ah, sì. Dovrebbe farlo. Ma costa 300.000 bath al mese.”
“Allora fa la radio?”
“Sono sei mesi che la fa. Ha perso tutti i capelli, ormai.”
“Mi dispiace molto.”
“Non dire a Prija che te l’ho detto.”
“Ok.”
Arrivò un messaggio al suo telefono. Lei lo lesse e sorrise. Mi guardò.
“Allora, promesso?”
“Promesso. Ma non lo sa nessuno?”
“Solo un’altra persona. Comunque, Prija sta arrivando.”
Vidi Prija che dall’altra parte della strada aspettava che una moto passasse, prima di dirigersi verso di noi.
“Devo andare. Mi raggiungi più tardi al solito caffè?”
“Certo. Ma perché te ne vai’”
Dovetti scappare per non farmi sommergere dalle emozioni. Adoravo le mie chiacchierate acide con Prija, ma non volevo assolutamente che lo sapesse. E adoravo i suo viso, così simile a quello della donna scolpita nella mia memoria. E ora, la rivelazione che vendeva il suo corpo per pagare le medicine al padre gravemente malato. Tutto ciò stava mandando in tilt il mio cervello, come un pallone che si gonfiasse fin quasi a scoppiare. Qualcosa stava per cedere.
Se fossi stato un uomo abituato a bere, forse due bicchieri di vodka o di whiskey mi avrebbero rimesso in sesto. O mi avrebbero aiutato a dimenticare.
Odiavo quello che faceva Prija, ma nel contempo l’ammiravo. L’amore è così potente da condurre all’auto-distruzione? E io, se fossi stato al suo posto, avrei fatto come lei? No so se avrei la forza di fare un sacrificio simile, tale da cambiarmi la vita. Lei è disposta a sacrificare la sua giovane vita per il bene della sua famiglia.
Cosa avrei potuto dirle, la prossima volta che ci saremmo visti? Ogni mia accusa sarebbe crollata ai piedi di una sedia a rotelle e un vecchio morente. E i suoi genitori sapevano quello che faceva per loro? Probabilmente no. E cosa dire degli ubriachi e dei molestatori che le mettevano le mani addosso? Ogni sera, lei metteva in pericolo non solo la sua salute, ma la sua stessa vita.
La conosco da meno di una settimana e mi sento già immischiato nella sua vita. Devo andarmene da Bangkok, subito! Posso scrivere ovunque. Magari, me ne ritorno in Amazzonia. Nella foresta pluviale, lontano dal caos e dalla gente. Via dal cancro e dalle puttane. Lì, nel silenzio della jungla e senza distrazioni, l’unica cosa che mi serve è un collegamento satellitare, una bottiglia di repellente per insetti, e potrò starmene in pace finché ne avrò voglia.
* * * * *Alle tre del mattino riuscii ad impossessarmi di un tavolo e ordinai qualcosa da mangiare, in modo che la cameriera non mi pregasse di andarmene subito. Se Siskit mi avesse raggiunto, avremmo potuto mangiare insieme.
Non passò molto prima che la sua dolce voce mi suonasse alle orecchie. Ceh bella ragazza, e che sorella affettuosa nei confronti di Prija!
“Sono contenta che mi hai aspettato.” disse, sedendosi.
Salutò Ringy. “Che vuoi da bere?” le chiesi, spingendo verso di lei il piatto con la cena. “Ti ho preso qualcosa da mangiare.”
“Ce l’hai ancora quella aranciata frizzante?” chiese a Ringy, in thailandese.
“Certo. Se volete, vi porto la bottiglia grande. Aranciata anche per lei, signore?”
“Sì, grazie.”
“Che fame!” esclamò Siskit.
Chiacchierammo del più e del meno in thailandese. Ero felice che sapessi parlarlo di nuovo.
Spinse il piatto verso di me. Feci un boccone anch’io.
“Che lavoro fai?” mi chiese.
“Medico e scrittore.”
“Davvero? E cosa scrivi?”
“Un po’ di tutto. Libri di avventura, storia, romanzi…”
“Qualcuno dei tuoi libri è stato tradotto in thailandese?”
“No. Esistono solo in Inglese.”
“E quanti ne hai scritti?”
“Sedici. E altri quattro sono in lavorazione.” Spinsi il piatto verso di lei. “Ma ora basta parlare di me. Ti piace i tuo lavoro al reparto spedizioni?”
“Sì, mi piace, ma non vedo l’ora di tornare al mio villaggio a Pattani.”
Smisi di masticare e la fissai.
“Mi manca la mia famiglia.” Spinse il patto verso di me. “Che c’è?”
Io ingoiai e bevvi un sorso d’acqua. “Pattani, giù al sud?”
“Sì. Lo conosci?”
“Allora sei musulmana.”
“Certo. Anche Prija lo è. Veniamo da un piccolo villaggio.”
“Ma non vi coprite i capelli.”
“Non siamo praticanti. Non ci inginocchiamo nemmeno le 5 volte al giorno per pregare verso la Mecca. Lo facciamo solo quando siamo al villaggio. Sai, per non dare scandalo.”
Ora, ero completamente nel pallone. Provincia di Pattani… Da quanto tempo non sentivo più queste parole? Sarei dovuto andare lì, appena tornato in Thailandia.
“Che dottore sei?”
“Scusa?”
“Che tipo di dottore sei?”
“Oh…uno qualunque.”
“Hai detto che sei già venuto a Bangkok, tempo fa.” Fece un boccone di riso al curry.
“Sì.” Sollevai il bicchiere vuoto verso Ringy.
Non voglio rispondere a queste domande. Ma non voglio essere scortese con questa ragazza. Non c’è motivo.
“Circa cinquant’anni fa.”
“E dopo tanto tempo, ricordi ancora la nostra lingua!”
“Quando sono arrivato, due settimane fa, ho avuto dei problemi. Poi, piano piano, ho ricominciato a parlarlo.”
“Lo parli bene. Perché cinquant’anni fa eri qui?”
Feci ruotare il bicchiere sul tavolo, con lo sguardo fisso sulle goccioline di umido che lasciava sul tavolo.
“Mi fai una domanda abbastanza semplice, Siskit. Ma la risposta non è…”
“Credevo che te ne fossi andato!”
“Ecco che arriva Prija, –esclamai – e come al solito interrompe i nostri discorsi!”
“Cosa ho interrotto?” chiese lei, prendendosi una sedia e servendosi del mio bicchiere di aranciata fredda.
“Una conversazione piacevole con la mia amica.”
“Oh, hai un’amica?” Sorrise a Priskit e posò il cellulare sul tavolo.
“Sì, l’ho rubata a te.” Presi il mio drink e ci feci un sorso. “Stai ancora lavorando?”
“Infatti.”
“Non ci farai un soldo a scherzare con me.”
“Fossi in te, non ci giurerei.”
“Sai che è un dottore? – disse Siskit – E ha anche scritto sedici libri!”
“Che tipo di dottore?”
“Ehmm…uno per le donne.” dissi, in Inglese. Feci un profondo sospiro. “Ginecologo.”
“Cosa?’” chiese Siskit.
“Tipo…una dottoressa.” rispose Priskit, con un sorriso cattivo.
“Lasciamo perdere, ok?”
Il suo cellulare squillò. Diede un’occhiata. “Devo andare.” Si voltò verso di me. “Resta lì finché non torno. Non abbiamo ancora finito, io e te.” E sgusciò via.
“Oddio! A volte penso che dovrei tapparmi la bocca!” esclamai.
“Perché? – chiese Siskit – Ti fa schifo essere paragonato ad una dottoressa?”
“Niente affatto, ma Prija mi sfotterà a lungo per questo.”
Siskit sorrise. “Hai ragione!” esclamò.
“Parliamo del tuo lavoro. Ti occupi delle vendite dirette?”
“No, sto a logistica.”
“Sembra difficile.”
“Per niente. Sto al computer e mi occupo di riempire di merci i containers, e poi assegnarli alle navi dirette in America o in Europa.”
Si dilungò sul modo migliore per utilizzare gli imballaggi in base alle loro dimensioni. E a come assegnarli ai vari containers in modo che quelli in cima fossero i primi da scaricare.
“Wow, affascinante! Ma che…?!?!”
“Ho un’eruzione cutanea!”
“Oddio, eccola che torna!” Mi misi le mani sulla faccia. “Monistar, Prija. Compralo in farmacia. Non c’è bisogno della ricetta medica. Siskit e io stavamo parlando.”
“Di me?” E sorrise. Per la terza volta, quella sera.
Devo andarmene subito, prima di spiattellare tutto.
“Oh, Signore.” Mi appoggiai allo schienale della sedia, per prendere i soldi dalla tasca dei pantaloni. “Proprio divertente. Ora devo andare.”
“Perché te ne devi andare?” chiese Siskit.
“Ho bisogno di dormire.” dissi.
“Domani è domenica. Nessuno lavora.” aggiunse Prija.
“C’è gente costretta a lavorare tutti i giorni.”
“Sulle femmine o sui libri?” chiese Prija.
“Non ti arrendi mai, vero?” Sorrisi.
Lei scosse la testa, ridendo.
“Devo iniziare un nuovo libro.”
“E di che parla?”
“Non te lo posso dire. E’ una storia triste.”
“A me piace leggere.”
“Pensi di essere capace?”
“Leggo meglio di come scrivi tu.”
“Buonanotte, signore.”
“Ci vediamo domani.” disse Siskit.
“Ti porteremo in un bel ristorante.” disse Prija.
Scossi il capo: sapevo che stavano scherzando.
CAPITOLO TRE
Un bussare alla mia porta mi spaventò. Chi poteva essere? Diedi un’occhiata all’orologio sul microonde: le quattro pomeridiane di domenica.
Aprii la porta e mi trovai faccia a faccia con due ragazze sorridenti.
Prija mi scavalcò entrando. “Allora, sei pronto per uscire? Ti devi cambiare questa camicia puzzolente!” Esaminò con cura il mio appartamento.
Siskit mi sorrise e mi abbracciò.
“Che bello vederti, Siskit! – le dissi – Credevo che steste scherzando quando mi avete parlato dell’andare fuori a cena!” Chiusi la porta.
“Ti abbiamo avvisato che saremmo venute a prenderti.” Disse Prija, sedendosi davanti allo schermo del PC.
“Ho creduto che non faceste sul serio, perché non vi ho mai detto dove alloggiavo.”
“Che roba è?” chiese Prija, indicando le cifre sul monitor.
“La stima del budget necessario per i lavori di ristrutturazione dell’ospedale e la nostra offerta.”
“Wow, quanti numeri!” Guardo la cifra del totale. “ Cosa? Diciassette milioni di dollari?”
“Si, questa è la stima che hanno fatto i miei soci.”
Prija si alzò. “Siskit, tu che sei pratica di conti, dai un’occhiata a questo.” Porse la sedia alla sorella. “Vai daccapo.”
Le due ragazze cominciarono a scorrere i numeri.
“E’ una cosa piuttosto noiosa. – dissi – Allora, è tutto esatto?”
“Oh Oh! – disse Siskit, indicando alla sorella delle cifre. Scorse velocemente la pagina successiva.
“Che cos’è “il mix pronto?” chiese Prija.
“E’ la miscela di calcestruzzo, pronta per l’utilizzo.” risposi.
“E quante sono dodicimila iarde?”
Feci un rapido calcolo mentale. “Circa 120 camion pieni.”
Le sorelle si guardarono. “Guarda, che c’è un errore sui 120 camion di calcestruzzo.” esclamò Prija.
“Che dici?” Mi fiondai anch’io a guardare lo schermo.
“Guarda. 204 dollari per dodicimila metri cubi di calcestruzzo.” E m’indicò il numero.
“Santo cielo!” Mi precipitai al telefono. “Dovrebbero essere 20.400 dollari!” Feci il numero. “Scendi all’ultima pagina.” IL telefono squillò. “Sottrai 20000 dal totale. Ehi, numero Tre!”
“Che c’è?”
“A che punto siamo con la nostra offerta per i lavori di ristrutturazione dell’ospedale?”
“Che ore sono lì?”
“Le quattro del pomeriggio. Allora? Dai un’occhiata alla cifra totale dei costi.”
“Ma che c’è? – bofonchiò l’uomo dall’altro capo del telefono – Vuoi darmi almeno il tempo d svegliarmi prima di cominciare a urlare?”
“Ma che fai, dormi?”
“Di solito è quello che si fa a notte fonda. Dammi il tempo di aprire gli occhi e accendere il PC.”
Tamburellai impaziente con le dita sul tavolo.
“Ok, sono davanti al PC e sto guardando l’offerta.”
“La vedi la cifra totale per i costi del mix pronto?”
“Aspetta, sto arrivando…Oddio!”
“Proprio così!”
“Dovrebbero essere 20400 dollari, non 204!”
“Esatto. A che punto siamo della trattativa?”
“Beh…”
“Cioè?”
“Abbiamo presentato l’offerta venerdì.”
Crollai sul divano. “Cosa? Che avete fatto?” Sentii la pressione schizzarmi a mille.
“Abbiamo presentato…”
Chi, chi l’ha presentata? Senza il mio consenso?” urlai.
“Io e il numero Due abbiamo pensato…”
“Se quell’offerta verrà accettata, e probabilmente sarà così con quelle cifre, chi pagherà i 20000 dollari di disavanzo sul mix pronto?”
“Io non…”
“Cazzo! Ne hai fatte di stronzate nella tua vita, ma questa è sicuramente il massimo!”
“Lo so, ma ora che…”
“Mettiti subito al telefono e vedi se puoi ritirarla. O se puoi modificarla, se l’hanno già accettata. I miei contabili per ora hanno trovato quest’errore, ma stanno verificando anche tutto il resto. E auguriamoci che non ci sia altro!”
“I…tuoi contabili?”
“Sì. Fammi chiamare subito dal numero Due!” Interruppi la comunicazione e, furioso, lanciai il cellulare sul tavolo.
Le ragazze mi fissavano. Io sprofondai nel divano, a braccia conserte, e tirai un lungo sospiro.
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