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Attenzione ai completi antipioggia di scarsa qualità, questi se pure ci riparano dagli scrosci d’acqua sono in grado di produrre una condensa interna forse più dannosa della stessa pioggia.
L’abbigliamento intermedio è bene che sia in Pile, materiale sintetico che garantisce a sua volta un’ottima tenuta all’umido e che mantiene una temperatura corporea quasi costante.
Insomma in inverno prima che farci brillare gli occhi per la nuova canna o il nuovo mulinello, guardiamoci bene intorno per spese mirate che non rendano la pesca fonte di malanni.
Capitolo 5- I MULINELLI Se per gli ami esiste un’ evoluzione documentata circa l’evoluzione degli stessi, nel campo delle canne c’è stata una trasformazione molto più lenta con un lunghissimo periodo in cui la canna palustre opportunamente lavorata ed il più pregiato bambou l’ hanno fatta da padroni.
Una lavorazione più pregiata prevedeva l’assemblaggio di lamelle di bambù di forma esagonali.
In alcuni posti dove l’evoluzione è stata più lenta, vedi Portogallo, è possibile trovare ancora canne per varie specialità in tronchino esagonale.
Veniamo al più semplice degli attrezzi “la canna fissa”.
Semplicità d’uso non corrisponde a semplicità di pesca. I virtuosi della canna da riva utilizzano ancora questo attrezzo non potendo contare sull’aiuto che la frizione di un buon mulinello offre in caso di prede di peso.
Tralasciando le canne in bambù che certamente hanno accompagnato l’infanzia di molti pescatori ancora in piena attività, oggi la canna fissa è costruita in fenolico, per il segmento economico, ed in varie mescole di carbonio per il segmento di mercato che va dal pescatore della domenica fino al più evoluto degli agonisti.
La tecnica costruttiva in entrambi i casi prevede una serie di elementi tubolari dalla conicità più o meno accentuata, inseriti l’uno nell’altro(canna telescopica), con lunghezze che partono dai 3 metri fino ad arrivare e superare i 10 per telescopiche pure o per un ibrido tra la canna telescopica e quella ad innesti che è la ROUBASIENNE.
Se per lunghezze di 3 – 4 metri è ancora accettabile il peso della fibra di vetro, per lunghezze superiori il rapporto peso lunghezza è ad assoluto appannaggio delle canne in carbonio.
Una sette metri in fenolico si attesta infatti su pesi che possono arrivare al chilogrammo mentre una media mescola in carbonio, per una canna della stessa lunghezza si attesterà su di un peso intorno ai 3 etti. Ciò senza voler arrivare alle canne in altissimo modulo con pesi davvero risibili ma estremamente costose e da utilizzare con grande cautela per l’intrinseca fragilità agli urti dei materiali.
La canna fissa di misura contenuta tra i tre ed i quattro metri viene utilizzata per la pesca in buca o per la pesca in velocità di piccoli pesci come castagnole, latterini o altri pescetti e solo in questo caso è pensabile un uso non troppo affaticante di un attrezzo in fenolico.
Superata la misura dei quattro metri è consigliabile l’uso di una canna in carbonio che specie per le misure più corte, 5 e 6 metri, sono acquistabili a prezzi contenuti, anche in considerazione del fatto che per l’uso marino il carbonio “alta resistenza” meno pregiato dell’alto modulo, è più indicato sia per l’ ostilità dell’ambiente, spesso scogliere, che per la mole del pesce più ricercato con tale attrezzo, il cefalo o muggine, che può raggiunge taglie di assoluto rilievo e che unisce alla combattività sicuramente tra le più elevate riscontrabili in mare.
Le fisse più lunghe, tra i 7 e gli 8 metri sono ancora sufficientemente diffuse anche se, vista la misura che inizia
ad essere notevole, necessitano di una costruzione in materiali maggiormente pregiati per contenerne il peso. La 8 e la 9 metri sono utilizzate per la pesca dalle profonde banchine portuali o per la ricerca delle occhiate che non accostano troppo alla scogliera dove siamo appostati.
Le canne fisse di lunghezza superiore appartengono al mondo dell’agonismo e passiamo di preferenza alle roubasienne, canne di derivazione transalpina, molto utilizzate in acque dolci, che presentano la caratteristica di una cima di 5/6 metri telescopica, raccordata ad una serie di pezzi ad incastro che prevedono una tecnica tutto particolare, consentendo delle lenze anche di solo 5 metri montate su canne anche da 14. Durante il recupero della preda il pescatore provvederà a staccare man mano i pezzi posteriori che poggiano su appositi rulli fino a poter afferrare la preda.
LA BOLOGNESE
La necessità di poter meglio assecondare le fughe dei pesci, di poter disporre di una frizione per controllare le fughe ed evitare rotture delle lenze, spesso capillari, hanno portato
alla nascita della bolognese.
Questa canna consta di un fusto telescopico, molto simile se non proprio derivato da una canna fissa, su cui sono montati una serie di anelli. Il pezzo inferiore dell’attrezzo ospita un portamulinello che sarà montato orientativamente all’altezza del gomito del pescatore e sarà preferibilmente del tipo a baionetta. La disposizione degli anelli dovrà tentare di assecondare il più possibile la curvatura della canna sotto carico e più sarà parabolico l’ attrezzo di più anelli necessiterà. Per tale motivo sulle bolognesi di maggior pregio troveremo anelli intermedi montati su tubetto tra due sezioni della stessa canna e numerosi saranno gli anellini che correderanno la cima degli attrezzi.
Altra caratteristica sarà il tipo di anello montato che sarà a ponte singolo, ovvero ci sarà solo un gambo inferiore da legare alla canna, e diverse saranno le altezze dei “ponti”. Per evitare che l’umido possa far attaccare la lenza alla fibra della canna saranno da preferire canne montate con anelli a ponte medio o alto.
Bolognesi montate con anelli a ghiera ovvero non legati potranno solo appartenere alla fascia più economica del mercato e generalmente il materiale di costruzione sarà l’economico e pesante fenolico.
La pesca con canna bolognese avverrà quasi sempre abbinata ad una lenza sostenuta da un galleggiante.
Molto diffusa è la pesca con canna bolognese per la pesca della spigola in ambito portuale, di saraghi ed occhiate dalle scogliere naturali. Molto spesso e sempre più di frequente il classico galleggiante da bolognese viene sostituito da un “galleggiante all’inglese” che presenta qualche vantaggio specie con vento ma mare sostanzialmente calmo.
E siamo arrivati alle canne all’inglese; queste sono il corrispettivo anglosassone delle nostre bolognesi e nascono per la pesca in canale a lunga distanza. Poi l’uso è stato allargato al mare e le misure canoniche attestate sui 3 metri e novanta sono cresciute fino ai 5 metri circa. L’inglese classica è una canna ad innesti in tre pezzi ed è connotata da numerosi anelli guidafilo (oltre i 10) generalmente di piccolo diametro.
Esigenze commerciali e di pesca in mare hanno immesso sul mercato attrezzi da 4,20/4,50 Mt. telescopici, con un numero di anelli che arriva a 15/16. La telescopicità degli attrezzi non consentirà una perfetta scalatura degli anelli, per cui saranno molto frequenti anelli intermedi tra due sezioni legati su tubetto.
La canna all’inglese, di base più potente della classica bolognese, consente una pesca a maggior distanza dalla riva, e le più potenti, in grado di lanciare galleggianti in parte piombati di una portata fino a 30 grammi, consente di posizionare le nostre esche fino a 40/60 metri, al punto che il filo in bobina del 14 o del 16, dovrà essere corredato di un adeguato parastrappi dello 0.25, mutuato dalla pesca a fondo dalla spiaggia.
In Italia sono molte le aziende che producono canne da riva di ottima fattura da ricordare Maver, Triana, Tubertini, Trabucco, Milo. Tra le non italiana citiamo l’ottima produzione della Daiwa, la Mitchell, la Shimano. Di principio sappiate che canne troppo economiche, spesso non durano l’arco di una stagione e che spendere qualche soldo in più per un attrezzo di sicuro affidamento è spesso l’unico modo per risparmiare.
Capitolo 4- LE CANNE
LE CANNE DA SURF
Arriviamo ad una delle discipline di più recente diffusione e che forse solo da poco è entrata in una fase di maturazione. Da un surf casting elaborato per aspiranti Rambo, fatto di condizioni meteo durissime, di zavorre ben oltre i 150 grammi e di prede spesso solo agognate ma presenti in modo massiccio solo in alcune ben delimitate zone, si è passati ad una definizione del surf casting che abbraccia un po’ tutte le tecniche a fondo praticabili dalla spiaggia ed il concetto, a personale parere, è ancor più da estendere.
Quindi la produzione delle canne da surf casting varia da attrezzi in grado di lanciare poche decine di grammi, generalmente si parte dai 50 grammi, fino a canne in grado di scagliare a buone distanze piombature da oltre 2 etti. Sulla questione dei materiali poco cambia rispetto a quanto già detto per le canne dedicate alla pesca da riva. Carbonio e basta.
Il fenolico lasciamolo al pescatore non convinto, al ragazzino alle prime armi; non è solo una questione di peso dei materiali ma proprio di azione e nessuna canna in fenolico sarà in grado di eguagliare l’azione di una mediocre canna da surf in carbonio.
Resta qualche limitatissima nicchia di mercato del fenolico riservato probabilmente alle sole circostanze di pesca oceanica a grossi predatori ed in qualche centro di pesca Africano è ancora in voga forse una sola canna in fibra di vetro ovvero la Mariner Strong della Mitchell che ha fatto un po’ la storia della specialità.
Le canne da spiaggia, estremizzando un po’ il concetto, potrebbero essere considerate delle bolognesi molto potenti; la richiesta di mercato vede una produzione di canne nelle misure tra i 3 metri e sessanta ed i 5 metri. La gran parte della produzione, il segmento più consistente, vede commercializzate canne tra i 4 ed i 4,5 metri. Canne telescopiche in gran parte, in un numero vario di sezioni che parte dalle tre fino ad andare oltre le 5 sebbene il target più diffuso vede canne in 4 o 5 sezioni. Esiste poi una produzione di attrezzi in tre sezioni ad innesto da non confondere con le due pezzi, che pur essendo canne da spiaggia, applicano il concetto costruttivo di origine anglosassone della ripartizione di sezione che meglio vedremo tra poco.
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