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Scherzi Dei Vicini
Scherzi Dei Vicini

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Scherzi Dei Vicini

Язык: Итальянский
Год издания: 2021
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Il mio maggior cruccio è che da tanto tempo ormai, in presenza di adulti, mi sento costretto a restare immobile come un volgare scendiletto. L’ultimo svolazzamento di un certo rilievo lo feci quando la signora Maria, la nipote di nonna Ida, mi scaricò vicino al bidone della spazzatura. Che affronto! Un vero tappetino persiano antico di seta! Solo perché si erano appena insediati come sposini in quella casa si arrogavano il diritto di decidere della mia sorte, senza rispettare le vecchie sane abitudini della nonna. Gli ho evitato una grossolana sciocchezza. Attraverso una finestra sono tornato di nascosto al mio posto, nel bagnetto di servizio: lei ha pensato che fosse la volontà del marito e mi ha lasciato lì. Ma da allora non mi ha più lavato. Non solo, ma mi ha trattato peggio del peggiore straccio della casa: ho conosciuto ombrelli bagnati, scarpe infangate, e altre simili sconcezze. Forse era meglio la spazzatura.

Certo ho avuto tanto tempo per scorrazzare liberamente per casa in loro assenza. Ma ho sempre evitato di farmi vedere, e appena sentivo la chiave nella toppa mi precipitavo al mio posto e vi rimanevo immobile come se nulla fosse successo. Quella proprio non era vita.

Un giorno ho voluto provare la loro reazione nel vedermi muovere. Mi venne l’idea quando trovai da qualche parte della casa il cadavere di uno scarafaggio. Me lo nascosi sotto e alla sera, mentre stavano mangiando, mi trascinai lentamente verso la cucina. Che scena! Ricordo le urla spaventate di lei, ma ricordo anche i colpi di bastone e di piedi che ricevetti dal marito, il quale alla fine si dette anche delle arie per quel cadavere di cui non aveva alcun merito. Io ci presi delle gran botte, ma per fortuna sono di ottima fattura e non ne ebbi alcun danno.

In seguito acquistai di dignità e prestigio grazie a ciò che loro avevano di più caro e più bello: parlo del loro figlioletto Giorgio. Non quando era molto piccolo, perché lo tenevano nei suoi spazi ristretti sotto continua sorveglianza. Ma quando cominciò a camminare e ad avere più libertà, elaborai il mio piano di rivalsa.

Appena non c’erano adulti in vista, mi trascinavo fino a lui. Era un gran simpaticone, mi guardava scodinzolare senza avere reazioni isteriche ed anzi con interesse, ogni volta toccandomi e prendendomi tra le dita come se non mi avesse mai visto prima. Potrei dire che giocavamo insieme. Quando tornava un adulto, lo rimproveravano di giocare con una cosa così sporca. Ma io insistevo. Tornavo da lui appena potevo, ed a volte era lui stesso a venire da me. Sapevo il rischio che correvo, di essere eliminato per motivi igienici; ma sapevo anche che si trattava di una famiglia che, seppur arida di fantasia e di buon gusto, non difettava di buon senso. Ed infatti alla fine decisero che avevo bisogno di una bella lavata.

Inizialmente ne fui molto contento, anche perché ciò significava essere accettato ufficialmente come compagno di giochi di Giorgio. Lo fui un po’ meno dopo aver provato un lavaggio con centrifuga in una di queste infernali macchine lavatrici moderne, con un detersivo tale che temetti per i miei colori. Non lo auguro a nessuno. Alla fine mi sentivo come se il mondo si fosse sdraiato sopra di me, e per giunta ero zuppo come una spugna ubriaca. Però devo dire che i miei colori erano tornati come non li ricordavo da tempo, forse addirittura come non erano mai stati. Chiunque mi avrebbe trovato bello.

Insieme ad un’altra montagna di biancheria e panni umidi fui ammassato in una cesta. Mi sentivo soffocare. Volevo scappare, a costo di buttare tutto sul pavimento, ma resistetti: sapevo infatti che di lì a poco si sarebbe svolto il rito settimanale della stenditura. Stavolta però, e questa era la novità, l’avrei vissuto in prima persona.

Poco dopo, infatti, la signora Maria salì in terrazza con la cesta. Dapprima mi sentii alleggerire di quel peso soffocante che mi sovrastava; poi venne il mio turno, mi distese per la mia lunghezza e mi sdraiò su un filo. Come se non bastasse questo fastidio, mi strinse una molletta a ciascuna estremità. Un martirio.

Un pallido sole ed un vento sostenuto guarnivano quel pomeriggio autunnale. Un’altra signora stava infliggendo lo stesso supplizio ad altri capi colorati. Le due donne dovevano conoscersi bene, a giudicare dal tono della conversazione.

“Appena se ne vanno”, pensai, “me la svigno anch’io.”

Nel frattempo il filo si abbassava sotto il peso di nuovi panni. Di uno molto pesante in particolare.

“Oh, ma questa è davvero bellissima! Da dove viene?”

“È di mia nonna”, rispose la signora Maria. “Guarda che bei ricami, fatti a mano. Oggigiorno non ne fanno più di coperte così belle. Me l’ha regalata per il nostro fidanzamento.”

“Tienila bene da conto, che chissà quanto vale.”

Più sentivo queste parole, più mi ingelosivo e mi agitavo. Neanche fosse stato il tesoro di Alì Babà. Continuavano a tessere le lodi di quella coperta che, per quanto fosse bella, non aveva neppure la metà dei miei anni e del mio valore.

“Lasciamela toccare. Oh, come è delicata e fine anche al tatto.”

“Le ho fatto fare un lavaggio a parte, con l’acqua tiepida e l’ammorbidente. Non volevo che si rovinasse. … ”

Non ne potevo più di sentire tutte quelle sciocchezze. Cominciai a dibattermi per liberarmi da quelle odiose mollette. Lo stendino con tutto quanto vi era appeso venne preso dalla mia stessa agitazione. Alcuni calzini volarono per terra. Il vento, che entra in tutte le cose e ne penetra e comprende gli umori, cominciò ad assecondare i miei fremiti con una serie di raffiche inaspettate. Mentre le due signore si davano un gran da fare per raccogliere ciò che cadeva e limitare o prevenire altri danni, io mi liberai della prima molletta e comincia a percuotere ripetutamente, con la mia coda libera, la vicina coperta della nonna. Con due o tre colpi ben assestati le feci spostare il baricentro finché non cominciò a scivolare, lentamente ma inesorabilmente, nonostante gli sforzi della signora Maria. Strettamente avvinghiate, e con mia grande soddisfazione, si accasciarono entrambe sul pavimento della terrazza, l’una non più immacolata, l’altra dolorante e consapevole di dover rifare qualche bucato.

Infine mi liberai dell’altra molletta, spiccai il volo e mi sollevai ad un’altezza da cui potevo avere una buona visione d’insieme dell’accaduto. Un bello spettacolo.

Dal basso gli sguardi delle due donne osservavano i miei movimenti con preoccupazione, più per la mia traiettoria che per la mia sorte. Mi scelsi la via di fuga più defilata, e planai lentamente nella direzione scelta. Ero tentato di fuggire altrove per sempre.


Qualcuno suonò al campanello dell’abitazione della signora Maria.

“Chi è?”

“Sono la signora del piano di sotto. Ho trovato un tappetino sul mio terrazzo. Pensavo che potesse essere suo.”

La signora Maria vinse la sua iniziale diffidenza ed aprì la porta.

“Si era impigliato tra le mie piante. Ho pensato che fosse caduto dal suo terrazzo. Sa, lo so come sono i bambini piccoli. Appena ti distrai un attimo … ”

La signora Maria era incredula. “Sì, è proprio il mio. Ma come ha fatto a finire da lei? Pensi che mi è caduto dalla terrazza condominiale!”

“Comunque complimenti. E’ davvero un bel tappetino. Sembra antico, probabilmente un persiano, ed ha un disegno bellissimo.”

“Ha ragione, sa. Fino all’altro giorno era talmente sporco che a malapena si distingueva qualcosa. Pensi che mia nonna lo teneva nel bagnetto di servizio.”

“Davvero?!”

“In effetti starebbe molto meglio in salone o nell’ingresso. Ma a proposito, perché non entra un attimo? Magari posso offrirle qualcosa?”

Le due donne passarono una buona mezz’ora a chiacchierare; non poco, se si pensa che si conoscevano a malapena di vista. E buona parte di questo tempo la trascorsero a studiare quale fosse la sistemazione migliore per un tappetino così prezioso. Sicuramente non il bagnetto, ma neanche la stanza del bambino - non si sa mai che cosa ci potrebbe fare. E poi è importante la luce, da che parte arriva, in modo che si possano apprezzare meglio le sue sfumature cangianti. E che non sia troppo vicino alla porta d’ingresso, che qualcuno non lo scambi per uno zerbino; anzi possibilmente non deve essere calpestato affatto, perché a lavarlo troppo spesso potrebbe rovinarsi.

La signora di sopra sembrava intendersene dell’argomento, e diede anche qualche consiglio sul modo migliore per lavarlo e pulirlo. Forse in cuor suo ella sperava che il tappetino non fosse caduto da uno dei terrazzi soprastanti, ma che fosse piovuto dal cielo, in modo da poterselo tenere. Invece si accontentò di una buona tazza di tè e di dimostrare a una sconosciuta la sua competenza sull’argomento e la sua onestà.

Avevo fatto una marachella e mi meritavo di essere punito. E poi mi ero preso un po’ di polvere: quindi era doppiamente giusto che fossi sculacciato ben bene col battipanni. Non era proprio il caso di rilavarmi dopo quello che aveva detto quella signora. (Una vera intenditrice: forse con lei mi sarei trovato meglio.)

Però avevo ricevuto un sacco di complimenti, e continuo tuttora a riceverne ogni volta che arriva un nuovo ospite.

L’unico dispiacere è che ho meno possibilità di giocare con Giorgio, per diversi motivi. Intanto perché raramente lo lasciano venire in salone; e poi perché spesso mi trovo addosso le zampe di un tavolino. Già, hanno preso questa provvedimento dopo che per un paio di volte mi hanno trovato nella sua stanza a giocare con lui. Ma per il resto, il nostro affiatamento e la voglia di giocare insieme non sono cambiati.

In quanto a quella coperta della nonna che dicevano fosse così bella, non ne ho più sentito parlare né ho avuto più modo di vederla o incontrarla; per quanto, ora che anche i miei meriti vengono riconosciuti, non avrei più alcun motivo di esserne geloso.

LUCIANO E IL BLACK-OUT

Era una di quelle calde sere d'estate in cui le città sono quasi deserte, e i pochi sfortunati rimasti non hanno niente di più impegnativo da fare se non oziare senza fretta o cercare un po' di fresco, compagnia e divertimento, possibilmente tutto insieme. E io li invidiavo molto.

Con la camicia zuppa di sudore avevo trascorso il pomeriggio a riempire pacchi e a caricarli su un furgoncino, gentilmente prestatomi da un amico che però non aveva potuto o voluto concedermi anche la sua compagnia. Poi avevo guidato quel catorcio, senza aria condizionata e arroventatosi al sole, fino a via dei Ginepri. Soffrendo il caldo e l'afa sopportai anche le farneticazioni dei miei pensieri, che ragionavano sul fatto che un trasloco andrebbe organizzato diversamente e che la mia vita era sempre stata una sequela di errori e stupidaggini di cui quella non sarebbe certo stata l'ultima. Per cercare di consolarmi pensai alle tante cose che quel giorno avrebbero potuto andare peggio (avrei potuto rompere qualcosa durante l'imballaggio; e il furgoncino, nonostante l'apparenza sgangherata, non mi aveva lasciato per strada), ma arrivato sotto la mia nuova casa mi resi conto che qualche brutta sorpresa mi aspettava ancora.

Era buio, e non solo perché ormai era sera. Il cielo era coperto di minacciosi nuvoloni neri. Ogni tanto si intravvedevano dei lampi silenziosi e lontani. Ero sicuro: di lì a poco sarebbe venuto giù un acquazzone terribile. Decisi che per prima cosa avrei scaricato il necessario per poter dormire; il resto avrebbe potuto aspettare l'indomani.

Entrando nel palazzo con il materasso in spalla presi coscienza anche del fatto che il buio era dovuto non tanto ai nuvoloni, quanto alla mancanza di luce elettrica. Ergo, tre piani senza ascensore. E benché il palazzo fosse praticamente nuovo, l'unica lampada di emergenza funzionante la incontrai al primo piano.

Dieci minuti, tre viaggi e più di quindici piani dopo, esausto ed ancora più sudato, stavo sistemando il materasso sulla brandina nell'ingresso di casa mia. Non aveva ancora iniziato a piovere, ma di continuare a scaricare non mi andava proprio. Mi sarei messo insieme una specie di cena con alcune scatolette che mi ero portato, e poi subito a nanna.

Certo che con quel buio non era cosa semplice. Almeno ci fosse stata una torcia a pile nel furgoncino, e invece niente. Però, pensai, potrei provare a chiedere a qualche vicino se ha una candela in più, sempre che trovi qualcuno.

Mi feci coraggio e andai a suonare alla porta accanto. Ovviamente il campanello non funzionava e dovetti bussare, ma comunque non rispose nessuno. Chiuso per ferie, pensai. Però mi parve di sentire dei rumori da uno degli appartamenti di fronte, e andai a bussare lì.

“Giovanni, sei tu?”

Mi rispose una voce da uomo, direi di mezza età.

“Mi scusi, non sono Giovanni. Sono il nuovo inquilino di fronte. Mi chiedevo se avesse una torcia elettrica o una candela in più da prestarmi. Con questo buio è tutto così difficile!”

In risposta udii per prima cosa un girare di chiavi nella serratura.

“Giovanni dice di non aprire a nessuno. Ma come si fa, se non c'è un po' di fiducia e solidarietà neanche tra vicini di casa? Anche perché una candela da qualche parte mi pare di averla.”

Nel frattempo continuava ad aprire serrature. Alla fine ne aveva aperte almeno tre. Non potei fare a meno di pensare che, al contrario di quel Giovanni che doveva essere estremamente prudente e diffidente, il mio vicino confidava anche troppo nella buona fede della gente. Non mi aveva mai visto: e se fossi stato un rapinatore?

“Venga, le faccio strada”, mi disse dopo aver aperto la porta.

Entrai e lo seguii. Ricordando le raccomandazioni di Giovanni avevo chiuso la porta dietro di me; ma me n'ero quasi pentito perché, se sul pianerottolo si vedeva poco, là dentro era buio assoluto.

“E' da molto che manca la luce?”, chiesi così per dire qualcosa.

“Direi da ieri pomeriggio. Il peggio è che di giorno, con questa temperatura e coi condizionatori che non vanno, fa un caldo infernale. Attenzione alla sedia, qui.”

Le sue parole mi aiutarono a seguirlo e a mantenere un contatto con lui - che invece nel buio sembrava muoversi molto bene - in attesa che le mie pupille si adeguassero a quella totale oscurità. Quando ciò avvenne mi resi conto di essere in cucina, accanto al ripiano tra il lavandino ed il piano cottura.

“La candela deve essere proprio lì vicino a lei, e qui ci sono i cerini.”

Presi la scatolina che mi stava porgendo, la poggiai e ne estrassi un fiammifero. Poi trovai a tastoni la candela davanti a me, una di quelle sottili da processione.

“La ringrazio molto. E' sicuro che non serva a lei?”

“Non si preoccupi, la prenda pure”, mi rispose sorridendo.

Accenderla non fu molto semplice, ma ci riuscii. Finalmente la stanza si illuminò. Quasi d'istinto cercai di guardare negli occhi il mio interlocutore, ma non ci riuscii perché egli, quasi gli fosse venuto in mente all'improvviso, aveva estratto dal taschino della sua giacca un paio di occhiali e li aveva indossati. Erano lenti scure, da sole: cosa piuttosto strana, pensai, a meno che egli non fosse …

“Mi scusi, Giovanni mi dice sempre che non dovrei mai togliere gli occhiali da sole. Forse è vero. Ma non creda che mio fratello abbia sempre ragione. Per esempio, se fosse stato per lui non avrei neanche dovuto conservare questa candelina, un potenziale pericolo che non avrebbe mai potuto essermi di alcun aiuto.”

Così conobbi Luciano, il mio vicino preferito. Una persona squisita, un carattere solare e, lasciatemelo dire, una mente brillante.

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