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Psicologia Del Maltrattamento
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Psicologia Del Maltrattamento

Язык: Итальянский
Год издания: 2019
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Psicologia

del

maltrattamento

Approccio alle ultime ricerche sul maltrattamento

di

Juan Moisés de la Serna

Tradotto da

Simona Ingiaimo

PREFAZIONE

Questo libro tratta uno dei problemi più importanti del nostro tempo, il maltrattamento, sia esso fisico che psicologico, da una prospettiva nuova.

Questo libro aiuterà a conoscere una realtà di cui si parla a malapena oltre le cerchie degli esperti di salute e sicurezza e copre l'intero ciclo di vita.

Nonostante gli sforzi compiuti dalle autorità per frenare i flagelli sociali come la violenza di genere, il maltrattamento e l'abuso differenziano in varie forme ogni individuo.

Dedicato ai miei genitori

RINGRAZIAMENTI

Approfitto per ringraziare tutte le persone che hanno collaborato dando il loro contributo nella realizzazione di questo testo, in particolare l'Istituto Nazionale di Statistica della Spagna; la dottoressa Virginia Mora, Esperta di Violenza e Trauma; la dottoresa María Manrique de Lara Ochoa, Coach Motivazionale e del personale educativo, e il dottor Pedro José Horcajo Gil, Master in Psicologia Generale Sanitaria (dottorato di ricerca in Psicologia Scientifica: efficacia di un programma di trattamento per gli uomini accusati di maltrattamento delle loro mogli).

I miei ringraziamenti in particolare ad Erika Marcheggiani, Dottoressa in Farmacia e traduttrice associata ad aziende farmaceutiche, per il suo lavoro di revisione della qualità della traduzione del testo in italiano.

AVVISO LEGALE

La riproduzione totale o parziale di questo libro non è consentita, o la sua incorporazione in un sistema di informatico, o la sua trasmissione in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, sia in forma elettronica, che meccanica, con fotocopie, per registrazione o altri mezzi, senza previa autorizzazione e per iscritto dall'editore. La violazione dei suddetti diritti può costituire un reato contro la proprietà intellettuale (articolo 270 e seguenti del Codice Penale).

Rivolgersi al C.E.D.R.O. (Centro Spagnolo per i Diritti di Riprografia) se è necessario fotocopiare o scansionare qualsiasi frammento di questo lavoro. È possibile contattare C.E.D.R.O. attraverso il web www.conlicencia.com o telefonicamente al 91 702 19 70/93 272 04 47.

"Psicologia del maltrattamento: Approccio alle ultime ricerche sul maltrattamento"

All rights reserved

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Tradotto da Simona Ingiaimo

CAPITOLO 1. DEFINIZIONE DI MALTRATTAMENTO

Il maltrattamento è una situazione alla quale chiunque può essere sottoposto in un particolare momento, a casa, al lavoro o semplicemente camminando per strada.

Quando si viene maltrattati all'interno della famiglia, si parla di violenza domestica o intrafamiliare. Uno dei problemi relativi alla violenza domestica è che viene segnalata raramente, a causa della vicinanza emotiva tra l'aggressore e la vittima.

Per quanto riguarda la violenza domestica, l’aggressore è chiunque eserciti una violenza fisica o psicologica su qualsiasi altro membro della famiglia (figli, genitori, coniugi, fratelli, ecc.) la quale, la violenza di genere non rientrando in questa categoria, si definisce come quella esercitata da un uomo su una donna con cui condivide o ha condiviso legami emotivi.

Se si guardano i risultati offerti da Google, sulle tendenze di ricerca del termine della violenza domestica nei suoi diversi significati in tutto il mondo, dal 2004 al 2017, si può vedere che il primo paese che suscita più preoccupazione è l'Angola, seguito dall’Uganda e dal Porto Rico; nella posizione sedici vi sono gli Stati Uniti, e dei sessantuno paesi che compongono il risultato di Google, la posizione numero cinquantadue è occupata dalla Spagna, l'ultima posizione è occupata dall'Italia.

Questo non riflette il numero di casi di questo tipo di violenza a seconda del paese, bensì le volte in cui il termine è stato cercato, per esempio un paese in cui sono riportati pochi casi di violenza domestica, ma la popolazione è molto sensibile, per cui vi si tenderà a fare molte ricerche su Google al riguardo.

Viceversa, una popolazione in cui la violenza domestica è istituzionalizzata e c'è poca consapevolezza di questo problema, non tende a fare quasi nessuno studio a riguardo.

Si evidenzia che, tra i primi venti paesi in cerca di questo termine, quattordici provengono dal continente americano.

Si noti, inoltre, che nel corso degli anni, a livello globale si è registrato un calo nell'uso di questo termine, rimanendo nel 2017 inferiore al 50% delle ricerche effettuate nel 2004.

Se si effettua un’analisi cumulativa dall’andamento stagionale delle ricerche su Google, si può vedere come nei mesi di febbraio, marzo, settembre e ottobre vengano effettuate più ricerche relazionate al tema della violenza domestica; mentre nei mesi di luglio, agosto, dicembre e gennaio vengono effettuate meno ricerche.

Secondo i dati sulla violenza domestica raccolti dall'I.N.E. (Instituto Nacional de Estadística) della Spagna, la violenza domestica e la violenza di genere 2011-2015 (ultimo rapporto pubblicato nel giugno 2016) mostrano una diminuzione graduale dei casi passando da settemila settecentoquaranta nel 2011 a settemila duecentonovantanove nel 2015.

Nelle donne, vi sono riduzioni più importanti nella fascia di età compresa tra 70 e 74 anni, da centonovantatre casi nel 2013 a centottantasette nel 2015. D'altra parte, gli aumenti più notevoli delle donne sono tra le minori di 18 anni, da settecentoquarantaquattro casi a ottocentonovantaquattro.

Negli uomini, la riduzione più notevole si verifica tra i 20 e i 24 anni, passando da centosessantasette casi nel 2013 a centoquarantadue nel 2015; mentre l'aumento più rilevante si verifica tra i minori di 18 anni, dai quattrocentosessantacinque casi nel 2013 a cinquecentonovantadue nel 2015.

Il profilo della vittima di violenza domestica nel 2015 era di sesso femminile (63,0%), nata in Spagna (83,6%) sotto i 18 anni (20,6%).

Il profilo dell'aggressore della violenza di genere nel 2015 è di un uomo (75,0%), nato in Spagna (83,9%), con un'età inferiore ai 50 anni (86,9%).

Per quanto riguarda il rapporto tra vittima e aggressore, nel 2015 i parenti hanno occupato il 65,1% delle denunce di violenza domestica, di cui il 28,7% era rappresentato dalla madre della vittima; l’11,1% dal padre e il 25,3% dai figli.

Come osservato in precedenza, anche se i dati sono stati raccolti e analizzati, c'è ancora molta violenza domestica che non viene denunciata proprio a causa della vicinanza tra la vittima e l'aggressore, sia perché vi è un rapporto emotivo che di dipendenza. Quindi, è difficile per un anziano denunciare un nipote, anche quando c'è un'aggressione da parte sua.

Man mano che questi casi diventano più visibili, e soprattutto vi è la possibilità di riferirli, i dati raccolti saranno più vicini a quelli reali.

Nonostante ciò, occorre prestare particolare attenzione al profilo della vittima al fine di stabilire meccanismi di segnalazione e assistenza, oltre che al profilo dell'aggressore per attuare misure preventive.

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Quando si verifica un singolo episodio, il trauma o il danno psicologico di solito si verifica in fasi. In una prima fase c'è una reazione di stupore e ottusità generalizzata, che è caratterizzata da reazioni lente e meccanismi di negazione. Questo è quello che viene chiamato lo stato di "shock". In una seconda fase, si verificano forti reazioni emotive di dolore, rabbia, impotenza, senso di colpa, paura che si alternano a periodi di profonda tristezza e depressione. Infine, si possono verificare le re-sperimentazioni dell'evento in forma spontanea o successivamente a stimoli correlati. Queste reazioni possono causare D.P.T.S (Disturbo Post-Traumatico da Stress).

Quando la situazione della violenza diventa cronica nel tempo, come nel caso dell'abuso sessuale o dell'abuso di minori e della violenza di genere, le vittime possono presentare alterazioni della personalità in termini di capacità a rapportarsi e della propria identità. Questo è ciò che è stato definito Trauma Complesso.

È importante notare anche che a volte il danno psicologico può verificarsi in situazioni apparentemente non traumatiche, ma che la persona vive in quanto tale a causa delle proprie caratteristiche personali, del momento dello sviluppo, delle conseguenze per la propria vita, ecc.>>

Virginia Mora, Esperta di Violenza e Trauma.

A questo proposito condivido la mia esperienza, mentre conducevo un seminario di Bioenergetica, dove ho presentato un articolo nell'ambito delle attività programmate di un congresso internazionale di studenti di psicologia.

Il laboratorio è stato quello di realizzare una pratica collettiva con la tecnica della Bioenergetica, la quale presuppone che abbiamo delle difese "attive" che permettono di condurre una vita "normale", nonostante gli eventi traumatici vissuti.

Il compito è di mantenere una postura il più a lungo possibile, simile a quelle usate nello yoga. Si prevede che quando l'organismo si stanca, abbassi le sue "difese", lasciando trapelare qualsiasi conflitto o trauma.

Eravamo un piccolo gruppo di una decina di persone, che uno a uno stava "cadendo" per la stanchezza, dopo di che avrebbero dovuto condividere la loro esperienza con il resto del gruppo.

Ad un certo punto, uno degli studenti cadde e cominciò a colpire i cuscini che si trovavano al centro del cerchio che formava i partecipanti, mentre urlava: "Perché?; Cavolo, perché io?"

Ovviamente il suo linguaggio del corpo e le sue parole in qualche modo stavano ricordando un evento traumatico, probabilmente un abuso infantile, ma al momento di condividere la sua esperienza nel gruppo ha scelto di non farlo, assumendo un atteggiamento serio e rigido, e continuando come se non fosse accaduto nulla.

In questo modo, secondo la teoria Bioenergetica, la ragazza aveva "alzato" le sue difese, permettendole di avere una vita "normale", incurante della sofferenza che era stata in grado di ricordare in quell'esercizio.

Con questo voglio sottolineare che, indipendentemente dal tempo che passa, se non trattati in terapia, alcuni eventi passati, come essere stati maltrattati o aver subito abusi durante l'infanzia, resteranno lì, influendo su qualsiasi età e influendo sulla vita senza che la persona se ne accorga.

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Il trauma o danno psicologico si verifica a seguito dell'evento negativo che la persona ha sperimentato, riversando la propria capacità di sopruso e adattamento. Di fronte a una situazione che genera dolore opprimente, paura, vergogna, impotenza e panico sia per la sua intensità, che per il momento fondamentale in cui si verifica o perché non c'è alcuna possibilità di difendersi o di fuggire di fronte alla situazione che ci provoca danno, il sistema di difesa dell'organismo può collassare e non è in grado di elaborare correttamente ciò che è accaduto o di sviluppare una risposta di controllo. Per questo, il sistema di difesa si mantiene in uno stato inadeguato di allerta permanente che causerà prima di qualsiasi stimolo legato alla situazione traumatica, le stesse reazioni a livello fisiologico, cognitivo, comportamentale ed emotivo che sono stati lanciati a razzo prima dell'evento traumatico.>>

Virginia Mora, Esperta di Violenza e Trauma.

Uno dei problemi relativi ai traumi e al modo di affrontarli è la mancanza di lamentele da parte della vittima, sia perché teme le conseguenze dell'aggressore, sia perché è un familiare o una persona vicina alla famiglia.

A volte, è l'operatore sanitario che non è in grado di offrire una "soluzione", oltre ad aiutare la persona ad affrontare la propria situazione.

Così ho avuto l'opportunità di constatare parlando con un collega, docente universitario di un paese dell'America Latina, che ha anche ricevuto in terapia persone provenienti da quartieri svantaggiati.

Mi ha raccontato che si stava occupando di una madre di un minore, che è stato maltrattato da suo padre, una situazione da cui non poteva "uscire", non volendolo abbandonare, né aveva i mezzi o le risorse per diventare indipendente e lasciarsi tutto alle spalle.

La mia collega mi ha detto con rassegnazione quanto il suo intervento fosse limitato, specialmente quando non era nemmeno la più giovane che aveva assistito, a parte sua madre. Una situazione "senza uscita" in cui la madre ha sofferto per gli abusi di sua figlia senza poter "fare nulla".

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L'intervento psicologico con persone che hanno subito un trauma dipenderà in larga misura dalla strategia e dall'approccio terapeutico utilizzati da ciascun professionista.

Diversi autori specializzati in traumi come Pierre Janet, Van del Kolk o Herman, stabiliscono la necessità di affrontare l'intervento in fasi.

In una prima fase di stabilizzazione, l'obiettivo sarà la riduzione o l'eliminazione della sintomatologia post-traumatica. Si tratta di fornire alla persona risorse e strumenti per la regolazione e l'autocontrollo emotivo, l'apprendimento delle strategie di reazione e il rafforzamento delle risorse personali. In breve, deve essere una fase di emancipazione.

In una seconda fase ci concentreremo di più su un intervento sull'evento traumatico. Si tratta di superare la fobia della memoria, elaborando adeguatamente ciò che è stato vissuto in modo tale che possa essere "ingranato" nella narrativa biografica della persona. La memoria traumatica è spesso frammentata, senza narrativa, con memorie sensoriali di grande impatto e senza integrazione. L'obiettivo quindi è integrare. In questa fase, tecniche come la E.M.D.R. (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing) che stanno dimostrando una grande efficacia nel trattamento di T.E.P e altri disturbi derivati da una situazione traumatica.

Infine, si tratta di consolidare l'integrazione, facilitare il duello e ricollegare la persona con il proprio ambiente, ottenendo un adattamento ottimale alla propria vita quotidiana e alle relazioni interpersonali.>>

Virginia Mora, esperta di violenza e trauma.

Il maltrattamento, così, diventerà un'importante fonte di stress nel mondo emotivo, qualcosa che non influenzerà tutti allo stesso modo, poiché dipenderà molto dallo sviluppo dell'intelligenza emotiva, ma soprattutto dalla resilienza.

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È ciò che intendiamo quando parliamo di capacità di resilienza o resilienti di una persona, la capacità degli esseri umani sottoposti agli effetti delle avversità, di superarli e anche uscire più forti dalla situazione.>>

Virginia Mora, Esperta di Violenza e Trauma.

Tutto questo nonostante il termine di resilienza sia nato dalla testimonianza dei sopravvissuti dei casi più estremi a cui una persona possa essere sottoposta, come lo erano i campi di concentramento nazisti nella seconda guerra mondiale.

Ovunque è stato analizzato il perché alcuni siano sopravvissuti e altri no, e dei sopravvissuti, perché alcuni siano riusciti a "ricostruire le loro vite" e altri fossero rimasti impantanati nella disperazione sebbene tutti avessero vissuto gli stessi orrori della guerra.

Da questa analisi e da testimonianze come quella di Viktor Frankl, che ha sviluppato la logoterapia come metodo per affrontare queste situazioni, è da dove questo tipo di "formula" è sorto per superare qualsiasi avversità, qualcosa che sembra essere legato al carattere della persona, ma anche al suo modo di pensare e di vedere la vita.

La resilienza è una capacità che può essere appresa e sviluppata, e che ha un ruolo fondamentale nella protezione della persona, dal momento che tutti sono esposti allo stress quotidiano, ma con uno sviluppo adeguato della resilienza si può imparare a superare le difficoltà che si presentano, è importante insegnare ai bambini in età scolare, poiché aiuta a prevenire gli effetti causati da abusi o maltrattamenti che potrebbero verificarsi nella loro vita.

Il boom degli anni ottanta della Psicologia Emotiva, e in particolare del suo ramo più applicato dell'intelligenza emotiva, ha permesso lo sviluppo di un vocabolario così specifico che a volte non si ha familiarità con tutti questi termini, come nel caso di Resilienza, che può essere intesa come l'insieme delle capacità e delle abilità personali a disposizione dell'individuo per affrontare le situazioni più difficili, come i casi di abuso o maltrattamento e uscirne "vittorioso".

Sebbene alcuni abbiano identificato questo termine con una qualità personale con cui si nasce, qualcosa come il carisma, esso può essere addestrato e migliorato, consentendo così di avere gli strumenti giusti per superare anche le circostanze più difficili della vita, ma da che età è appropriato allenare la Resilienza?

Questo è esattamente ciò a cui uno studio dell'Università di Hong Kong ha cercato di rispondere, studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Universal Journal of Health.

Lo studio ha coinvolto duecentocinquantasette studenti delle scuole superiori, con l'86% di età compresa tra 16 e 20 anni, e il resto più di 20 anni, di cui metà erano ragazze.

A tutti é stata somministrata una serie di questionari per conoscere il loro livello di strass, se ci sono stati sintomi fisici associati a stress, presenza di depressione, livello di fiducia in sé stessi, autostima e ottimismo dello studente.

I risultati informano che la metà dei partecipanti ritiene di avere una capacità di recupero adeguata, insieme ad un buon livello di autostima e autocontrollo personale.

Per quanto riguarda il confronto in base al genere, sono stati trovati livelli più elevati di ansia e stress con una percezione sociale più bassa tra gli studenti.

Per quanto riguarda i figli delle famiglie monoparentali, che corrispondono al 10% dei partecipanti, è stato osservato che hanno mostrato livelli inferiori di resilienza e autostima rispetto al resto dei loro compagni di classe.

I risultati sono i meno preoccupanti, perché metà degli studenti ha una bassa capacità di recupero, qualcosa che può essere allenato e che è molto utile sia per aumentare l'autostima, che la performance accademica, in aggiunta, e come menzionato dagli autori, alla scarsa capacità di recupero può portare a disturbi del sonno, associati all'ansia e ad altri disturbi psicosomatici.

Lo studio evidenzia che sono giovani in formazione, e allo stesso tempo si preoccupano del centro educativo dove fanno sport perché si stanno sviluppando fisicamente, sarebbe auspicabile elaborare programmi di formazione di resilienza, migliorando in tal modo la loro intelligenza emotiva e quindi rendendoli più competenti di fronte a stress ed ansia, qualcosa che d'altra parte sembra influenzare maggiormente le ragazze, un aspetto che, nonostante sia stato trovato in altri studi precedenti, non sembra essere spiegato sufficientemente.

Pertanto, lo sviluppo della resilienza è un modo fondamentale per sostenere le vittime di maltrattamenti e abusi, poiché li aiuta a far fronte a situazioni stressanti e, di conseguenza, a superare queste esperienze il più possibile per proseguire con la loro vita, senza produrre traumi che condizionino il loro modo di vedere se stessi o di relazionarsi con gli altri.

Idealmente, all'interno della famiglia o della scuola si dovrebbe aiutare il bambino a costruire la resilienza, quindi ad esser pronti a "sostenere" qualsiasi tipo di aggressione durante la loro vita, riducendo così gli effetti psicologici associati all’abuso o al maltrattamento ricevuto.

CAPITOLO 2. MALTRATTAMENTO INFANTILE

La personalità si costruisce durante l'infanzia, un periodo critico anche per le emozioni. Se pensiamo che è proprio in questi momenti che si forma l'individuo, bisogna capire che l'ambiente in cui vive è fondamentale per uno sviluppo corretto.

In tenera età ci sono varie forme attraverso cui i genitori possono educare, come l'opinione, la correzione e persino i rimproveri; nel tempo il ruolo è stato esteso agli insegnanti e ai compagni di preadolescenza e adolescenza.

Privarli di un'adeguata stimolazione può essere alla base di uno sviluppo incompleto da parte del minore, ecco perché durante l'infanzia è positivo dare più stimolazioni, che saranno necessarie per aumentare le possibilità di prestazioni successive.

Ma se la stimolazione positiva aiuta il bambino, cosa succede quando viene punito o quando gli viene detto "sei stupido"? In che misura le emozioni dei bambini sono suscettibili?

Questo è esattamente ciò che hanno tentato di scoprire con uno studio condotto dal Dipartimento di Studi Familiari e Clinica Infantile e dal Dipartimento dello Sviluppo Psicologico dell'Università di Utrecht (Paesi Bassi) insieme al Dipartimento di Psicologia dell'Università dello Utah (USA), studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Experimental Child Psychology.

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