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Yellow Peril: Quel Brutto Muso Giallo
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Ringraziamenti
Questo libro è per mia madre, perduta senza che mi abbia mai davvero amata.
Dedico a lei questi scritti sperando che, dovunque sia, sia finalmente orgogliosa di me.
Indice dei contenuti
Ringraziamenti
Yellow Peril : il Pericolo Giallo
Il Massacro di Los Angeles
La verità sul massacro
I veri mandanti
Il processo Farsa
Le piccole schiave
Le Origini della schiavitù
Inizia il viaggio
Un calvario infinito
Piccola Madre
Sing Song Girls, l' epilogo
APPENDICE 1
APPENDICE 2
Bibliografia..
Yellow Peril : il Pericolo Giallo
Le Origini
L' America è sempre stata razzista. IN definitiva, al fine di autorizzare e compiere i massacri di cui si macchiò con i Nativi e per sottomettere in schiavitù gli Africani era necessario un forte sentimento di prevaricazione e una decisa convinzione della propria superiorità. E' da sottolineare che questi sentimenti erano universalmente condivisi tra il 1700 e il 1800 e che nessuna delle grandi Potenze Europee potè dirsi esente. Tuttavia in America il potere esercitato sulle classi deboli e sulle etnìe diverse raggiunse livelli esasperati e in certo senso il razzismo divenne quasi istituzionalizzato,
al punto che il linciaggio non fu solo tollerato ma anzi per lungo tempo divenne un vero strumento di giustizia utilizzato e suggerito dal Governo e dalla Polizia. I Black Codes e in seguito le Leggi Jim Crow ( vd Appendice ) sono un esempio evidente ed emblematico del sentimento popolare razzista: la storia ne parla abbondantemente nei confronti degli Afro Americani, che sicuramente furono i più colpiti dal sistema legislativo Americano.
Il grande pubblico però poco sa di eguali ( e sotto molti aspetti anche superiori) discriminazioni dell ’America nei confronti degli Emigranti Cinesi, in origine appositamente reclutati dagli Stati Uniti come lavoratori ” a basso costo” e utilizzati per le mansioni più faticose e sottopagate nel periodo che va dal Boom della corsa all’ oro (1848) fino al 1880.
IN questo libro non traccerò l' intera storia del rapporto travagliato ed estremo tra America e Cina, un discorso lungo, ambiguo e che può prestarsi ad interpretazioni diverse. Sono convinta che la chiarezza risieda nella semplicità della sua espressione e nell' esposizione di fatti inoppugnabili che possano in certo senso parlare da soli. Per questo ho scelto due pagine oscure della storia Americana di cui poco si parla ma esemplificative : la storia del linciaggio più atroce di tutti i tempi e la tragedia delle piccole schiave Cinesi, due eventi misconosciuti e ormai finiti nel dimenticatoio che tuttavia segnano col sangue, forse ancora di più del genocidio dei Nativi, il libro nero della storia Americana.
E’ un periodo estremamente delicato per l’America, che riempie di ferrovie l’intero territorio e che nel contempo scopre gli immensi giacimenti minerari che la faranno ricca. Sgombrato il campo dai Nativi, che ormai sono ridotti alla fame o impegnati negli strascichi delle ultime Guerre Indiane, il Nuovo Continente è tutto da ricostruire, e a misura di Yankies. E se negli Stati del Sud lo schiavismo cominciava a tremare sotto la spinta ideologica ( e politica) dell’Abolizionismo, al Nord il numero di lavoratori con la voglia di affrontare i massacranti turni di lavoro imposti dalle Compagnie erano davvero pochini. La vera ondata di Immigrazione, quella che porterà milioni di cittadini di tutto il mondo a sbarcare in America presi dal miraggio di una ipotetica ricchezza, avverrà solo molto più tardi, agli inizi del nuovo secolo. Il Nuovo Continente è quindi , alla metà del 1800, sprovvisto di quella manodopera indispensabile per fare il salto di qualità e porlo in una posizione dominante nei confronti dell’Europa. E’ vero che la corsa all’ oro attirò in loco centinaia di migliaia di allucinati stimolando la crescita delle ferrovie e dell’import-export, ma fu evidente da subito che si trattava di un fenomeno temporaneo che si sarebbe esaurito insieme ai filoni preziosi, come infatti avvenne. Le centinaia di città edificate sulla sabbia in una sola notte non erano destinate a durare e i cercatori d’oro erano lavoratori infaticabili,certo…ma per se stessi. Accumulato il gruzzoletto se ne tornavano a casa loro, in Europa, un nido ” civile” in confronto alla ruvidezza e pericolosità della vita Americana. Bandito lo schiavismo ufficiale gli Stati del Nord si trovarono quindi nella necessità di tornare alla servitù della gleba, importando carne fresca in grado di essere utilizzata all’ uopo.
Migliaia e migliaia di Cinesi furono impiegati, a partire dal 1848, dalle compagnie ferroviarie che li utilizzavano come operai non specializzati e quindi sottopagati. Si trattava in genere di poveri braccianti agricoli che emigravano per salvarsi dalla fame e dalle pestilenze che scuotevano la Cina in quel periodo. Si adattavano a sopravvivere con poco e a dormire in mezzo al deserto o alle praterie pur di guadagnare quei pochi cents che mandavano alle famiglie, rimaste in patria. Qui operai Cinesi sulle north railroads nel 1850
Migliaia e migliaia di Cinesi furono impiegati, a partire dal 1848, dalle compagnie ferroviarie che li utilizzavano come operai non specializzati e quindi sottopagati. Si trattava in genere di poveri braccianti agricoli che emigravano per salvarsi dalla fame e dalle pestilenze che scuotevano la Cina in quel periodo. Si adattavano a sopravvivere con poco e a dormire in mezzo al deserto o alle praterie pur di guadagnare quei pochi centesimi che mandavano alle famiglie, rimaste in patria.
Ma da dove? Si pensò quasi subito all’ Asia e in particolar modo alla Cina che stava vivendo un periodo estremamente travagliato con la caduta della dinastia Qing. Disordini interni, guerre e sollevazioni popolari spingevano i Cinesi a fuggire dalla loro Patria ormai devastata dalla fame e dalle malattie; se si rivolsero all’ America fu solo per caso e non per scelta. Le frontiere verso l’Asia erano spesso chiuse o controllate dall’ Inghilterra nella più famosa delle Guerre dell’Oppio, quella che si svolse tra il 1839 e il 1842 e che coincise proprio con l’ondata di immigrazione Cinese in America. I dati parlano chiaro: tra il 1820 e il 1840 si registrano in tutto 11 emigrati Cinesi negli Stati del Nord. Nel 1848 il numero sale a 2 milioni e aumenta ancora tragicamente a 14 milioni tra il 1853 e il 1873, ma questa volta… proprio per colpa degli Americani. Nell’ambito della prima vera Immigrazione si scoprì che i lavoratori Cinesi erano davvero una mano santa per l’economia Americana. Li si descrive come ” instancabili, senza pretese, e in grado di vivere con poco”. Contro un salario medio di 2 dollari i Cinesi erano in grado di sopravvivere…con 40 centesimi, la metà dei quali finiva alle loro famiglie in Patria. Altro punto a favore: il Cinese emigrava da solo, senza famiglia sul groppone e senza tanti grilli per il capo, dovendo risparmiare il più possibile. Inoltre i secoli di Dinastia Imperiale li aveva forgiati all’obbedienza completa e alla sottomissione piena nei confronti del Padrone. Insomma, lo schiavo perfetto. E l’America lo utilizzò appieno. Inizialmente i Cinesi formarono una comunità a parte che veniva usata per servizi di lavanderia o come operai non qualificati per la costruzione delle ferrovie. In seguito, dal 1848 al 1860, le Compagnie Minerarie cominciarono a richiederli golosamente perchè , a differenza degli altri, i Cinesi accettavano lavori ingrati e pericolosi e le loro misure..ridotte gli permettevano di infilarsi in cunicoli stretti dove poteva entrare solo un bambino. Piazzare cariche di dinamite o puntellare da dentro i pericolanti soffitti dei tunnel divenne quotidianità. Parecchi ci morivano, pazienza. Ma per questo era necessario averne altri, molti altri. E giacchè l’ondata di immigrazione sembrava ormai esaurita il Governo pensò bene di reclutarne un buon numero scendendo a patti direttamente con la Cina. Nel 1868 fu stilato quindi il Trattato di Burlingame, una delle manovre più subdole e odiose dell’America per procurarsi a scrocco manodopera. Sulla carta si legge che tale trattato sancisce il diritto inalienabile dell’uomo di cambiare casa e alleanza e il reciproco vantaggio della libera espansione e immigrazione dei loro cittadini per motivi di CURIOSITA’, COMMERCIO o come RESIDENTI PERMANENTI , garantendo loro altresì gli stessi diritti, privilegi e immunità degli altri residenti proteggendoli da atti di SFRUTTAMENTO, DISCRIMINAZIONE e VIOLENZA.
Uno dei lavori più umili in Cina era quello del portatore di risciò. Come vedete in questa foto si trattava di uomini giovani invecchiati prematuramente che si guadagnavano la vita facendo la parte del ” cavallo”. Straccioni, scalzi, con una scodella di riso al giorno accettavano in Cina di fare questo lavoro umile per necessità. I vicoli Cinesi, infatti, spesso erano stretti ,in puro stile medievale, e non permettevano l’ingresso ad un cavallo. Si utilizzavano quindi servi o schiavi che per 10 ore al giorno trasportavano di corsa i Signori da una parte all’altra della città. La maggior parte di loro moriva di infarto prima dei 35 anni.
In pratica si trattò di un vero e proprio commercio a cui la Cina, già obbligata dall’ Inghilterra a sopportare l’introduzione di oppio delle Indie nel proprio territorio, fu chiaramente costretta. Tutta l’ideologia plurimillenaria delI ’Imperialismo Cinese, infatti, si basa sul rifiuto dell’allargamento delle proprie frontiere allo straniero, a cui viene unicamente concesso di commerciare e viaggiare ( e non sempre) sul proprio territorio. L’idea di mischiarsi con l’Occidente, sia culturalmente che praticamente, era sempre stata impensabile per la Cina che aveva inoltre messo veti irremovibili alla emigrazione nazionale, preferendo sistemi di controllo demografico cruenti alla perdita regolamentata dei propri sudditi. Le motivazioni non erano solo politiche ed egemoniche ma costituzionalmente religiose: l’Occidente era considerato ricettacolo di perdizione e culturalmente arretrato per il Colosso che da sempre dominava l’Asia.
Fu quindi esclusivamente la debolezza interna e l’ingerenza Europea a spingerla a fimare tale trattato, che di fatto “svendeva” il proprio patrimonio di carne umana consegnandolo in mani nemiche. UN trattato che si professa bilaterale ma che in pratica costrinse milioni di Cinesi, con le buone o con le cattive, ad emigrare in America.
Dell’arruolamento coatto se ne occupò in primis la Cina, che stilò liste su liste dei “prescelti”; in seguito moltissimi furono ” rapiti ” o ” scomparvero”, probabilmente su commissione. Chiaramente si trattava di uomini giovani e in buona salute strappati alle loro famiglie che rimanevano in Patria come ” ostaggio ” , a garanzia della buona condotta dell’individuo. Una tacita minaccia che arrivava chiara alla mente degli immigrati e che spiega il perchè del loro comportamento servile e sottomesso.
Da ciò alla costituzione in America di una Mafia Cinese, che controllava i traffici umani su sommersa richiesta della stessa Cina, il passo è breve. Ritorcendole contro i mali subìti questa Mafia vi introdusse l’oppio , gli schiavi e la prostituzione arrivando infine a gestirli completamente a spese degli Stati Uniti. Un po’ come dire ” Chi la fa l’aspetti “. In definitiva ci rimisero tutti, nessuno escluso, anche se la pelle scuoiata fu sempre quella dei più deboli a cominciare dai poveri disgraziati ex contadini , costretti a lavorare 15 ore al giorno in condizioni disumane e a rimetterci la vita, e delle piccole schiave che a 7 anni iniziavano la loro povera esistenza di prostitute murate vive e che morivano prima dei 20.
Al di là di ogni previsione i Cinesi si mostrarono estremamente efficienti, al punto che nel 1880 le loro attività erano diffuse capillarmente e pungevano sul vivo l’economia Americana : il loro commercio era fiorente e, proprio come oggi, erano in grado di praticare prezzi decisamente concorrenziali. Gli oggetti Cinesi erano di moda, e così le loro spezie, gli abiti, i profumi. Grazie alla Mafia potevano vendere frutta e verdura, anche di oltreoceano, a prezzi irrisori e le loro abilità si allargavano ad ogni settore, dall’ artigianato alla manifattura e perfino al servizio privato. Ruppero le uova nel paniere anche ai circhi ambulanti, inventandosi acrobazie spettacolari poco riproponibili dai massicci atleti Americani, abituati inoltre ad utilizzare anche animali con spese nettamente superiori. Come operai erano impeccabili e non facevano comunella con quelle idee liberali che aleggiavano nell’ aria intorno al 1880, quelle mezze pretese di riduzione dell’orario di lavoro e di condizioni di vita più dignitose. Soprattutto costavano la metà e per questo lasciavano a spasso i loro colleghi Europei, con prole a carico, che digrignavano i denti e inveivano contro chi ” gli rubava il lavoro”.
La storia delle piccole schiave rapite alle famiglie, in genere contadine, per essere inviate in America e utilizzate come prostitute inizia nel 1865. Fu la Mafia Cinese, con accordi diretti col governo Cinese, a stabilirla e mantenerla in America al fine di evitare ” mescolanze” tra Cinesi e Americani. In seguito si estese anche agli yankiees, che potevano godere di una bambina Cinese in appositi retro-negozi per pochi spiccioli. A differenza dei connazionali maschi, che dopo una decina di anni di duro lavoro potevano tornare in patria, le schiave Cinesi morivano in America senza mai aver rivisto il sole. Vivevano in completa separazione con l’esterno, in celle isolate, accudite solo da una vecchia mammana che spesso le aiutava a partorire o a liberarsi dei numerosi figli illegittimi. Uscivano dalle loro celle solo da morte dopo essersi congiunte con migliaia di uomini. La mafia si liberava di loro facendole scivolare nottetempo nei fiumi o cementandole sotto terra. Qui una giovane donna di Honk Kong con abiti tradizionali nel 1860.
Ora, finchè questi mali riguardavano gli altri Emigranti, in genere Europei, nessuno aveva nulla dire; che si scannassero pure tra loro, il basso costo era una pacchia per i datori di lavoro.
Ma quando questo fenomeno esplose tra i commercianti e i lavoranti ” di pura razza Americana ” iniziarono i guai.
Dal 1850 i Cinesi si erano raccolti in un’area della vecchia Portsmouth Square, una delle prime a stabilirsi durante la febbre dell’oro. Lì avevano prima avviato attività indipendenti di lavanderia ( un lavoro ” sporco ” che nessuno all’ epoca, neppure la peggiore lavandaia voleva fare) aggiungendone rapidamente altre come negozi di fiorista, vendita al dettaglio di frutta e verdura, commercio di riso ed empori atti a soddisfare le necessità quotidiane di una cittadina in crescita. In due anni l’area, prima denominata ” Piccola Canton ” si era allargata a dismisura e proponeva ben 33 negozi al dettaglio, 15 erboristerie/farmacie e cinque ristoranti . Tutta la zona Cinese era in pieno sviluppo ed era anche apprezzata dalle Autorità Locali, che spesso la lodavano pubblicamente presentandola come modello di solerzia e laboriosità. Forti del consenso i Cinesi mutarono il nome dell’area originaria in ChinaTown, e per molti di loro era quasi come sentirsi a casa. Per rallegrare le ore bollenti dei desperados in cerca di fortuna la comunità Cinese eresse anche un Teatro che ospitava compagnie ambulanti e ,gradualmente la piccola cittadina divenne un centro ricreativo con l’ambizione di diventare la nuova San Francisco. In realtà il nuovo nome fu coniato dalla stampa, a esemplificare un concetto abbastanza banale, ma in seguito l’America vide o volle vedere in questo gesto un atto di arroganza che rintuzzerà aspramente alla comunità Cinese. In pochi anni Chinatown crebbe, divenendo il simbolo di una città nella città e di un popolo che cresceva dentro un altro popolo. Dalle dodici case di legno affumicato dei primi anni rimase solo un ricordo: nel 1880 l’intera area era divenuta un quartiere elegante che ospitava 22.000 persone (praticamente solo uomini), con sale da gioco e case dell’oppio dove i ricchi Americani e gli innamorati afflitti potevano dimenticare le loro pene. Un mondo variopinto e colorato dove la ” cinesità ” era di moda, inducendo le famiglie borghesi Americane e anche Europee a concedersi il lusso delle porcellane e degli specchi Cinesi, delle loro spezie e perfino dei loro orpelli “amatori”- Insomma un crescendo evidente che insidiò nello stesso Governo degli Stati Uniti il terrore di un futuro capitalismo Cinese tale da far tremare quello Americano , mettendone in discussione anche la moralità dei costumi. Il ” pericolo giallo ” invase l’America, che viveva una situazione storica difficile all’indomani dei ribaltoni della Guerra di Secessione; la destabilizzazione economica del Sud , le correnti politiche che si alternavano, la fame di cambiamento e la smania di dominio assoluto sull’Europa produssero un effetto a catena sicuramente devastante. Gran parte della popolazione Americana aveva risentito negativamente delle conseguenze della ” restaurazione” del Sistema, che aveva condannato migliaia di famiglie alla fame. I commercianti chiudevano bottega e gli immigrati morivano al freddo delle strade o linciati dalla folla perchè sorpresi a rubare nei negozi. Le prigioni erano stracolme e la battaglia per la sopravvivenza prese il colore delle vecchie lotte di classe di stampo Europeo. Ciò che prosperava era la Mafia: Irlandese, in primis, che tuttavia funzionava ” ad integrazione ” di quella di Stato imponendo ai suoi ” protetti” l’obbligo di voto coatto alle elezioni e che supportava le attività clandestine Americane legate all’alcool e alla droga. In secundis quella Cinese, che tuttavia rimase ” fuori ” dallo Stato, rivolgendosi ai propri connazionali e operando esclusivamente secondo i dettami della ideologia Cinese, per cui il nemico va combattuto con le sue stesse armi lavorando indefessamente al solo fine, un giorno, di prenderne il posto.
Ecco una prima Chinatown nel 1860. Si trattava di poche case di legno, qualche emporio e poca roba legata alla quotidianità. Ma nel giro di soli 30 anni il quartiere cambiò completamente, divenendo un punto di riferimento per le notti folli dei ricchi Americani.
Il pericolo giallo era una diretta conseguenza del comportamento Americano, che aveva sfruttato i suoi schiavi fino al punto da esserne sopraffatto. A differenza dell’ Afro-Americano che per mentalità e cultura si era integrato col suo nemico cogliendone e utilizzandone i lati funzionali, il Cinese-Americano esprimeva unicamente la propria natura Imperialista, dominata dal senso del dovere, da quello dell’onore e da un esacerbato sentimento di riscatto. Adattandosi alle peggiori condizioni di vita egli aspirava al miglioramento della propria esistenza e a quella scalata sociale che gli avrebbe consentito di porsi allo stesso livello dei suoi padroni. Era un senso innato, conseguenza di millenni di storia che non potevano essere cancellati con la sola ” deportazione ” in un Paese straniero, ma che anzi veniva sublimato dalla forzata castità, dalla solitudine e dalle sopraffazioni sociali. Dietro quel sorrisino incancellabile il popolo Cinese nascondeva una tragica forza e una impressionante caparbietà. Il suo motto era: ” sopravvivere ad ogni costo, e prosperare “. Potrei stare qui a parlare per ore disquisendo della differenza tra intelligenza e furbizia senza mai venirne a capo. In realtà esistono dei comportamenti errati che, pur producendo un effettivo vantaggio a breve termine risultano poi dannosi e deleteri nel tempo. Se a ciò aggiungiamo una motivazione egoistica e delle modalità indifferenti al male che se ne procura otteniamo immancabilmente un danno ad effetto boomerang , che prima o poi ci si ritorcerà contro. Se infine la natura della nostra vittima non si concede a perdoni facili ecco che l’eco del nostro operato si allargherà a dismisura, con sicuri risultati distruttivi . Questo in parole povere fu il rapporto tra America e Immigrati Cinesi: ed ecco il motivo per cui, una volta compreso il possibile meccanismo causa- effetto, l’America intera gridò al ” pericolo giallo “.
Ed ecco la stessa Chinatown in quel di San Francisco nel 1906.
In quel bailamme che fu il triennio 1880-1882 trovare il capro espiatorio risultò abbastanza facile: com’ era prevedibile i Cinesi furono accusati di concorrenza sleale, furto di lavoro e rivalità sociale. Sulla scia di una prima Legge razziale del 1861 che proibiva agli Orientali malamente definiti tutti
” Cinesi ” o ” mongoli ” di sposarsi con bianchi ( cosa che comunque i Cinesi stessi aborrivano) ne furono promulgate altre che ne restringevano sempre più il campo dei diritti umani e giuridici. In barba al Civil Right Acts del 1866 che stabiliva che ” tutti i cittadini di ogni razza e colore nati in America godevano pienamente della cittadinanza Americana” i Legislatori esclusero dal diritto i Cinesi , appellandosi ad un sottile gioco giuridico per cui classificare un orientale secondo uno standard fisso non era possibile. La legge del 1875, infatti, definiva la differenza tra un ” bianco ed un Afro-Americano” concedendo ad essi e ai loro discendenti nati in America pari diritti. Non era tuttavia in grado di operare una separazione sostanziale tra ” bianco e giallo”, anche perchè gli Orientali presentavano cromaticità più eterogenee degli Africani e meno tratti somatici salienti. Si limitava a classificarli come ” non bianchi” e per questo escludibili dal diritto di cittadinanza. Quindi qualsiasi Cinese naturalizzato Americano rimaneva pur sempre uno straniero.
Non etichettabili morfologicamente come razza inferiore, in quanto mancanti di quelle caratteristiche che si riscontravano invece negli Afro-Americani, per i Cinesi fu creata ex- novo una sotto-razza rispolverando e manipolando addirittura i vecchi concetti Darwiniani. Nacque così la razza dei Coolies che accomunava non soltanto Cinesi e Mongoli ma anche Indiani ( dell’India) e molte altre etnie.