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Dannato Malloppo!
Dannato Malloppo!

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Dannato Malloppo!

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DANNATO MALLOPPO!

Romanzo Western

di Mario Micolucci

Progetto e immagine di copertina di Mario Micolucci

Copyright © 2017 Mario Micolucci

Tutti i diritti riservati.

ISBN: 978-1973816584

Visita il blog: lalunaclessidra.blogspot.com

A mio padre con il quale ho condiviso la passione per questo genere

Pur essendo ambientata in un contesto geo-storico reale, trattasi di un'opera di fantasia. Pertanto, nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell'immaginazione dell'autore. Ogni somiglianza con fatti, luoghi o persone è del tutto casuale. La menzione di personaggi famosi realmente esistiti serve solo a definire lo sfondo storico delle vicende. Infatti, gli stessi non prendono mai parte attiva nello sviluppo della trama.

Qualsiasi riproduzione totale o parziale e qualsiasi diffusione in formato digitale dell'opera, non espressamente autorizzata, è da considerarsi violazione del diritto d'autore.

Indice generale

Little Pit.

Riconoscenza.

Dalla parte della legge.

Le buone maniere.

Buoni affari.

Un piano folle.

Madri bagasce.

Un uomo onesto.

La pulzella da marito.

Alla vecchia maniera.

Inferno e paradiso.

Come i fagioli.

Un diritto sacrosanto.

Anime senza un nome.

La febbre… dell'argento.

Un atto di misericordia.

Maledetto caprone!

La giusta ricompensa.

Un verdetto già scritto.

Dannato malloppo!

Note dell'autore.

Ringraziamenti.

Little Pit.

Little Pit era un villaggio misero, lo era da sempre. Misero, polveroso e malandato.

Era nato decadente come un marmocchio che viene alla luce decrepito, e il sole rovente non aveva fatto altro che peggiorare le cose. L'unica ragione della sua sussistenza era quel piccolo pozzo da cui poter attingere qualche secchio d'acqua limacciosa per irrigare gli ortaggi rinsecchiti. Era l'unico nel raggio di diverse miglia, ma ciò non lo rendeva prezioso, se non per i malcapitati che si trovavano ad attraversare quello squallido canyon fatto di clivi brulli e riarsi.

Di certo, se passavano di lì, non lo facevano per diletto, ma per ragioni oscure e che spesso trascendevano la loro volontà. Per farla breve, o fuggivano da qualcosa o erano stati sbattuti in quella landa di crotali e scorpioni a morire di stenti. Pertanto, i visitatori erano sporadici, stremati e moribondi, ma soprattutto senza un penny in tasca: nulla che potesse favorire l’esistenza di una locanda. E Little Pit di locande non ne aveva, o meglio non ne aveva più. In realtà, un giorno, Joe Otthims era tornato con un carico di whiskey e birra sulla cui provenienza era meglio non indagare. Insomma, qualcosa da mettere dietro un bancone: così, aveva allestito uno squallido saloon nella sua stalla. Come era prevedibile, gli anni erano passati, ma i clienti no, e il vecchio Joe, giorno dopo giorno, aveva finito per scolarsi tutto lui, facendo la fine dell'alcolizzato senza nulla da bere. Della locanda, era rimasta solo l'insegna a penzolare per uno solo dei ganci arrugginiti. Dondolava mestamente ad ogni alito di vento e il cigolio sinistro che produceva era, di norma, l'unico rumore a riempire l'inquietante silenzio di quel posto. Un posto fatto di edifici in rovina abitati da individui consunti e lerci, nel corpo, ma soprattutto nell'anima. Il villaggio era un'accozzaglia di evasi, ricercati e donne reiette: mogli ripudiate o baldracche troppo sfiorite persino per i peggiori bordelli, oppure, assai più spesso, entrambe le cose.

A dire il vero, non proprio tutti i viandanti che avevano ottenuto ristoro dal pozzo erano giunti completamente sguarniti; tuttavia, lì, in quel luogo dimenticato dal mondo e anche dalla legge, si era persa l'attitudine a usare la sottile arma del commercio per spillare quattrini, ma non quella di usare le armi da fuoco. Così, il primo che ci si trovava faceva fuori il malcapitato e gli sottraeva gli averi. Poi, qualche dollaro da spendere per ubriacarsi come si deve ci usciva pure. Di fatto, quei pochi clienti che Joe aveva avuto erano stati in prevalenza i suoi stessi paesani.

Un giorno simile a tanti altri, giunse un tizio a cavallo. Fatti salvi gli stivali e il cappello, indossava solo cenci impolverati. Però alla sella, era stato assicurato un fagotto sospetto, e agli abitanti di Little Pit piacevano molto i fagotti sospetti: spesso e volentieri nascondevano piacevoli sorprese. Inoltre, l'uomo era ben armato e sembrava avere una gran fretta di ripartire: tutti ottimi segnali. Dall'atteggiamento, doveva essere un duro, però non ebbe modo di dimostrarlo, poiché, proprio mentre era intento a tirar su il secchio, Hugg Badfinger gli infilò un bel pallettone in testa. La finestrella della latrina aveva una splendida visuale sul pozzo, tanto valeva usarla per puntare il fucile senza essere visti. Badfinger non cagava mai senza Jagy: era così che chiamava il suo fucile Jacob Hawken. Nulla di strano: d'altra parte, c'erano imbrattacarte che, pare, non lo facessero senza un libro a portata di mano. Purtroppo, Hugg non sapeva leggere; in compenso, sapeva sparare.

Il colpo attirò l'attenzione degli altri, ma la preda era sua e non aveva intenzione di dividere il bottino con nessuno. Così, mandò il suo moccioso a ripulire l'ospite, mentre lui si assicurava che a qualcuno non venisse la malaugurata idea di avvicinarsi troppo. In effetti, nessuno lo fece: tutti a Little Pit sapevano che il dito indice della mano sinistra di Hugg non si faceva problemi a premere il grilletto. Non se ne era fatti neanche quando, per futili motivi, aveva sparato all'altro suo figlio e alla moglie che cercava di difenderlo. Pace all'anima loro.

Non vi erano dubbi: di tutta la feccia di Little Pit, quell'individuo era il più marcio e di conseguenza, il più temuto e rispettato.

Sgattaiolando come un furetto, lo sbarbatello provvide a perquisire il cadavere requisendo le cose di valore, poi afferrò le briglie e rientrò nella sua dimora fatiscente portandosi dietro il cavallo. Il tutto, con perizia navigata. Nel frattempo, anche Hugg uscì dalla latrina badando più a tenere il fucile ben puntato che a risalirsi adeguatamente le brache. Con passo misurato e circospetto, imboccò anch'egli l'uscio di casa.

«Allora, marmocchio, cosa abbiamo rimediato?» La mole corpulenta dell'uomo incombeva sul ragazzo che, invece, era di corporatura smilza e minuta: in ciò, era tutto sua madre; tuttavia l'uomo non aveva dubbi sulla sua paternità. Questo, non perché si fosse mai fidato di quella sgualdrinella che aveva malauguratamente sposato: per quanto lo riguardava, solo una bella calibro quarantaquattro nel cinturone era degna di fiducia. Non aveva dubbi, perché i capelli rossicci spessi e arruffati, uniti alla carnagione lentigginosa e ai denti laschi, li accomunavano in maniera inequivocabile.

«Sì, pa'. Ho qui un bel cinturone di cuoio buono: nella fondina, c'è una nuovissima Colt Navy, e poi ho trovato questo fermacarte d'oro con attaccati, più o meno, un centinaio di dollari. In realtà, anche gli stivali e il cappello non erano male, ma nella fretta, non li ho presi. Vuoi che vada a recuperarli?» Il ragazzo rispose evitando di incrociare il suo sguardo. Non guardava mai nessuno negli occhi: usava scrutare il mondo con minuziosa attenzione, ma sempre sottecchi. Era l'unico, in tutto il villaggio, in grado scambiare più di quattro parole con Hugg senza mandarlo su di giri: bastava ciò a certificare la sua fine scaltrezza. Finn era il suo nome di battesimo, ma per tutti era Donnola.

«No, lascia che quei quattro straccioni lì fuori si scannino per le cianfrusaglie: così, almeno, non ci romperanno le scatole per un po'. Sai, figliolo? Se vuoi toglierti di torno un branco di cani, getta un osso e aspetta che si sbranino tra loro.» Ovviamente, l'adolescente era già giunto a quelle considerazioni da sé e, consapevolmente, aveva preferito non ripulire del tutto il generoso ospite; tuttavia era bravissimo a far credere al padre che fosse lui quello che gestiva le cose.

«Meno male: temevo di aver sbagliato anche stavolta. Vediamo cosa c’è nel fagotto, pa'?»

«Calma, ragazzo! Togli la sella al cavallo e portalo nella stalla, prima che ci caghi sul parquet!» Con un ghigno ironico, l’uomo sputò sul pavimento fatto, sì, di legno, ma tagliato in tavole grezze, scheggiate, raffazzonate e lorde.

Il giovane eseguì e condusse l’animale per una porta sul retro che consentiva l’accesso alla rimessa senza dover uscire di casa. Quando tornò, trovò il padre che aveva aperto sul tavolo il panno del fagotto per valutarne il contenuto. I suoi occhi erano lucidi, commossi addirittura.

Tutti dicevano che Badfinger non avesse un cuore: ebbene, si sbagliavano, e di grosso! Ciò che Hugg provava per gli oggetti di valore era qualcosa di struggente e totalizzante.

Si trattava, senza dubbi, della refurtiva rimediata da una diligenza ed era esattamente ciò che l'uomo aveva sospettato; tuttavia, mai, si sarebbe aspettato tanto. Lo aveva intuito già da quelle banconote: erano accuratamente ripiegate in un fermaglio d’oro. Non potevano appartenere a uomini come lui o come il ceffo che aveva fatto fuori. Loro, i soldi, o li spendevano subito o li tenevano accartocciati nelle brache, e poi il cappello, gli stivali erano da damerini e ancora troppo nuovi: stridevano con il resto del vestiario come un bicchiere di latte sul bancone di un saloon.

«Allora, pa’, com’è andata?» Dannatamente bene... eccessivamente bene. Donnola lo sapeva benissimo e, nel suo intimo, era assai preoccupato.

«Quando imparerai a valutare una refurtiva? Non lo vedi da te?» rispose con il fiato spezzato per l’emozione. «E’ chiaro: il tizio e i suoi compari hanno puntato molto in alto. Devono aver ripulito la famiglia di qualche pezzo grosso. Guarda che gioielli: mai visti diamanti così! E questa piccola rivoltella? Ha decorazioni in oro massiccio e finiture in madreperla e avorio: è deliziosa. Un’arma inutile, ma deliziosa: quel genere di gingilli che piacciono tanto ai gentiluomini con la puzza sotto il naso.» Ci sputò sopra e tentò di lustrarla con la manica lurida. «Ha persino la retrocarica: guai a imbrattarsi le nobili manine con la polvere da sparo! Il suo vecchio proprietario deve essersela fatta fare apposta per lui.» continuò, esaminandola.

«Caspita, pa'! Ne avevo sentito parlare, ma non avevo mai visto una pistola che puoi caricare con un unico gesto!»

«Frena gli entusiasmi! La retrocarica è un'invenzione balorda che non troverà mai impiego reale e che mai troverai in commercio. Se vuoi sparare come si deve, devi essere tu ad armare la camera di scoppio. Gingilli come questo lasciamoli a chi le pistole non le usa. Per come la penso io, questa qui non è diversa dalle collanine e dai braccialetti della refurtiva: roba buona per essere scambiata con un bel gruzzoletto, ma di certo, non per infilare del piombo su per le chiappe di qualcuno.» Estrasse la sua pistola a canna lunga: la portava infilata nei pantaloni, stretta tra il ventre prominente e il cinturone. Quindi, la poggiò con vigore accanto all'altra più piccola, come a volerla soverchiare. «Questa è un'arma. Mangia polvere nera come una scrofa e caga piombo a pallottole da quarantaquattro! Il progresso avanza e il mondo diventa sempre più incomprensibile, ma di una cosa sono certo: tra i revolver, nulla spara meglio di una Walker Colt e sarà così anche tra cent'anni. Poco, ma sicuro.»

Il valore complessivo del bottino era assai cospicuo: molto di più di quanto avesse mai posseduto. Pertanto, l'uomo era decisamente di buon umore e, dopo aver dato un pizzicotto nulla affatto delicato sulla guancia del figlio, scoppiò in una sonora risata.

«Finn, prendi la Navy e portamela.» Il tono si fece serio, ponderato.

«Subito, pa'!» "Lo sta facendo veramente?" pensò il ragazzo mentre gliela porgeva con tutta la fondina di cuoio nero e lucido.

Hugg estrasse la rivoltella, la soppesò e se la rigirò in mano. Essendo una calibro trentasei, era una pistola di media potenza, ma in quegli enormi palmi legnosi, appariva quasi un'arma da borsetta.

«Sembra fatta bene. È un po' piccolina, poco più che un giocattolo, ma per un moccioso come te, andrà benissimo» disse, porgendola al figlio. Lo fece con una certa riluttanza: non aveva alcuna intenzione di usarla lui; tuttavia poteva farci qualche bigliettone rivendendola, ma ora che disponeva di quel piccolo tesoro doveva procurarsi qualcuno che gli guardasse le spalle. Non che si fidasse granché del suo marmocchio, però, era la persona verso la quale provava meno diffidenza, e poi era a buon mercato: tutto sommato, lo aveva implicitamente ingaggiato con una comune pistola e qualche munizione.

«Grazie! Ne farò buon uso. D'altra parte, ho avuto un ottimo maestro.» Non che il suo vecchio avesse perso troppo tempo per insegnargli a usarla, ma era da quando aveva memoria che lo osservava, mentre ripuliva l'arma, o mentre la caricava, o soprattutto, quando sparava, e Finn era un eccellente osservatore. Inoltre, suo padre gli aveva permesso di esercitarsi con una vecchia Paterson arrugginita che aveva trafugato dal cadavere di un militare. Aveva un brutto gioco tra la canna e la testa del tamburo, ma, tutto sommato, era pur sempre una pistola e per anni, era stato l'unico giocattolo di cui aveva disposto. Ciò, fino quando aveva definitivamente smesso di funzionare.

«Semmai dovessi trovarmi con le spalle al muro: ricordati di quest'uomo. Promettimi di non essere di memoria corta.»

Se esisteva qualcuno in tutto l'Ovest con una memoria d'acciaio, quello era Finn Badfinger. Ogni cosa, sin nel più infimo particolare, era indelebilmente incisa nella sua mente. No, la sua memoria era tutt'altro che corta e, presto, glielo avrebbe dimostrato...

«Lo prometto, pa'!» Donnola prese la rivoltella, la rimise nella fondina e se l'assicurò al cinturone. Poi, con un gesto repentino, la estrasse fingendo di puntarla, la lanciò in aria, la riafferrò, la fece ruotare su un dito e la rimise a posto con rapidità e destrezza. Il premio per la sua esibizione fu un violento ceffone: il giovane si ritrovò a terra con la guancia gonfia e il labbro tumefatto.

«In quale circo, hai visto queste cretinate? Quando si estrae la pistola, è per sparare e quando si spara, si spara. Punto. Vuoi essere un pistolero o un giocoliere?»

«Scusa, pa'.»

«Ma quali scuse. Semplicemente, fallo un'altra volta e stanne certo che mi riprendo quel giocattolo, te lo infilo tra le chiappe e faccio fuoco.» Non c'erano dubbi che l'avrebbe fatto sul serio.

Hugg tornò a esaminare, o meglio, a rifarsi gli occhi con la refurtiva. Bisbigliando tra sé e sé, si sforzava di fare due conti su quanto avrebbe potuto ricavare, e le somme che farfugliava erano in migliaia di dollari. Lo sguardo gli si guastò quando si trovò a srotolare un grosso foglio: odiava ciò che non comprendeva e non c'era nulla che capisse meno di un documento pieno di scritte. Però, una cosa la sapeva: i potenti riuscivano a fare miracoli esibendo pezzi di carta come quello. Inoltre, vi erano su dei timbri assai familiari, poiché molto simili ai disegni impressi sulle banconote. E se le banconote erano piccoli pezzi di carta dal grande valore, il suo era un pezzo di carta bello grosso e magari...

Nel vederlo, Donnola si preoccupò ulteriormente. Il padre aveva intuito che il ceffo non avesse agito da solo; tuttavia, preso dall'avidità, aveva messo in secondo piano quel particolare rilevante. Se il tizio prima non era solo e dopo sì, significava che, probabilmente, si era intascato il meglio della refurtiva e se l'era data a gambe, ma ciò comportava, anche, che avesse i suoi ex-compari alle calcagna. Si trattava di una banda di fuorilegge capace di assaltare la carrozza di un pezzo grosso. Quel posto non era più sicuro. Quindi, urgeva riportare il discorso sull'argomento dei complici.

Tutto sommato, il suo vecchio era un uomo arguto: se gli si dava un po' di tempo, arrivava sempre a conclusioni sensate. La minaccia, però, era imminente, mentre quel bastardo bramoso che si ritrovava per genitore era totalmente inebriato dalle ricchezze e non sembrava troppo lucido: serviva un aiutino.

«Pa', sai cos'è quel foglio?» esordì.

«No, ma potrebbe fruttare qualcosa.» Come poteva essere altrimenti: se era stato scelto e riposto tra i gioielli più preziosi, ci doveva essere un motivo più che valido.

«Perché, prima, hai detto: "il tizio e i suoi compari"?»

«Smettila di fare domande stupide: hai idea di quante guardie dispongano i ricconi quando si mettono in viaggio? Pensi che quel bellimbusto le abbia fatte fuori da solo?»

«Sì, pa'. Ma ora, gli altri dove saranno?»

«Che vuoi che ne sappia? Per quel che mi riguarda, possono starsene tutti ad ardere nell'inferno...» L'uomo si interruppe di colpo, s'irrigidì e imprecò: «Per tutti i diavoli! Dobbiamo svignarcela da qui!»

Riconoscenza.

Hugg Badfinger e il figlio si affrettarono con i preparativi per lasciare il villaggio. Per non dare troppo nell'occhio, distribuirono il bottino tra le tasche dei gilet e le sacche appese alle selle dei due cavalli: la nuova recluta e il buon vecchio Frik. Quest'ultimo era un ronzino orribile, quasi un mulo sia nell'aspetto che nel portamento, però era affidabile e faceva sempre il suo con assoluta dedizione. Ovviamente, non bisognava pretendere troppo dai suoi modesti mezzi fisici. Inoltre, la sua bruttezza era un ottimo deterrente per i ladri: se si voleva rubare un cavallo, tanto valeva procurarsi una gran bella bestia. Ad ogni modo, nonostante anni di onorato servizio, il suo padrone non ci pensò un secondo a scaricarlo a favore del bel sauro appena rimediato. Frik fu lasciato a Donnola che, comunque, gradì l'offerta.

Di fatto, disponevano di due cavalcature e ciò rendeva decisamente più piccolo il deserto che li circondava; tuttavia mezzogiorno era passato da poco e attraversarlo a quell'ora non sarebbe stato comunque piacevole. Magari, sarebbe stato più agevole attendere un paio d'ore, per poi raggiungere il paese più vicino al calar della notte. Meglio ancora, partire prima dell'alba e arrivare con il sole già alto, ma non ancora davvero rovente. Inoltre, così facendo, avrebbero sfruttato il favore delle tenebre per lasciare il villaggio e non esporsi al tiro di quei pezzenti che avevano per vicini. Certo, non è che si sparassero tra loro a ogni occasione, ma quel curioso fagotto e la loro improvvisa sortita avrebbero potuto stuzzicare le brame di qualcuno, e la strada per assecondarle, spesso e volentieri, passa per una cinquantina di grani di polvere nera, un po’ di piombo e una canna fumante.

Tutte valide considerazioni, ma l’evidenza meno trascurabile era che, assai probabilmente, degli spietati professionisti avrebbero potuto farsi vivi da un momento all’altro e se avessero intuito qualcosa, magari, avrebbero pure organizzato una bella festa in paese. Una festa di spari, fuoco e morte.

L’alternativa alla fuga poteva essere quella di nascondere il cadavere e depistare gli eventuali inseguitori: sarebbe stata, senza ombra di dubbio, la via più comoda e sicura, se non fosse stato per il fatto che generare un tale allarmismo tra i suoi concittadini avrebbe spazzato via ogni loro dubbio sulla cospicua consistenza della refurtiva. In tal caso, le sopracitate brame sarebbero divenute inevitabilmente incontenibili così come il desiderio di soddisfarle...

Badfinger giunse alla conclusione che, come sempre, la via suggerita dal cinismo era quella da seguire. Il suo malloppo valeva troppo, valeva molto più delle misere esistenze di un manipolo di straccioni. La vita di nessuno, a parte la sua, era più preziosa di quel bottino. Se quegli ipotetici fuorilegge avessero fatti fuori tutti quei pezzenti, gli avrebbero persino fatto un favore: si riduceva il numero di potenziali testimoni. Quella roba era sua. Sua e basta! Ne era geloso e non sopportava l’idea di condividere con alcuno neanche il segreto della sua esistenza. Non lo sopportava al punto che sopì a stento pensieri malsani in merito alla sorte del suo stesso figliolo.

A Hugg bastò un’occhiata e Donnola capì subito come agire. Montarono in groppa e schizzarono fuori dalla stalla a spron battuto. Così facendo, non concessero a nessuno il tempo di organizzare le idee e agire di conseguenza.

«Pa’, se sfianchiamo così i cavalli, non ce la faranno mai ad attraversare il deserto!» obiettò il ragazzo, mentre Frik ansimava e sbuffava per tenere il passo del sauro. Il ronzino reggeva il confronto, solo perché l’altra cavalcatura era provata per il viaggio appena affrontato.

«Non stiamo attraversando il deserto, ci stiamo nascondendo. Taci e seguimi, cretino!» I modi irosi e la brutalità potevano farlo apparire come il classico uomo senza cervello, che faceva affidamento sulla sola violenza; ma Finn sapeva benissimo che suo padre non era affatto uno sprovveduto. Anche stavolta, aveva optato per la soluzione migliore.

Spronarono i cavalli fino a sparire dietro un’altura dando, così, l’impressione di inoltrarsi nel profondo del deserto. Una volta lontani da sguardi indiscreti, cambiarono direzione e risalirono un alto colle dal fianco meno impervio. L’altro suo versante, quello visibile dal villaggio, era invece caratterizzato da uno strapiombo tipico dei canyon. Lì, il terreno era calcareo e caratterizzato da innumerevoli grotte e anfratti: il luogo perfetto dove celarsi o celare ed era anche il posto ideale da cui osservare senza essere visti.

Nascosero la refurtiva in una piccola cavità naturale che si curarono di occultare con delle fronde e legarono i cavalli in una caverna, poi strisciarono fino all’argine del burrone per seguire le sorti di Little Pit.

«Partiremo per Agua Dulce prima che albeggi» stabilì Hugg.

«Non capisco pa': visto che è a due passi da lì, perché non andiamo direttamente a El Paso? E’ una città, e un paio di gringo in più non si notano. Ad Agua Dulce sono quattro gatti e ci metteranno subito gli occhi addosso. Sei stato tu a insegnarmelo!»

«Non credere che, adesso che hai una pistola, possa permetterti di darmi dei consigli! Se sono stato io a insegnarti quelle cose, vuol dire che so qualcosa più di te. Molte delle persone dirette a El Paso fanno una sosta a Agua Dulce per rinfrescarsi e per abbeverare i cavalli. Quindi, pulcioso insolente, passeremo piuttosto inosservati anche lì. Inoltre, come hai appena detto, non sono che quattro gatti e ciò significa che riduco il rischio di imbattermi in un fottuto cacciatore di taglie che conosca la mia faccia. Sai? Quella bagascia di tua madre e l’altro imbecille di tuo fratello non sono le uniche persone che si sappia abbia ammazzato.»

«Perdonami, ho ancora molto da imparare.» Negli occhi di Donnola divampò una fiamma fugace. Però, il suo sguardo era basso, come sempre d’altra parte; così l’uomo non ebbe modo di notarlo.

Calò la notte e con essa, il gelo. Quel dannato deserto era sempre così: ti arrostiva di giorno per poi assiderarti dopo il tramonto; tuttavia i due abitavano lì da anni e non viaggiavano mai senza portarsi dietro una coperta. Anche Finn ne aveva una tutta sua: certo, era mezza tarlata e ospitava più di qualche pidocchio, ma era calda e ciò era sufficiente.

Non attesero molto. Nella piana sottostante si palesò, alla luce della luna, un gruppo di otto individui. Fermarono i cavalli a una certa distanza dal paese e mandarono in avanscoperta uno di loro. L'uomo, liberatosi della giacca, si rotolò nella polvere e procedette a piedi. A quanto pareva, dovevano essere a conoscenza della curiosa accoglienza che Little Pit era usa praticare con gli ospiti che recavano con sé doni appetitosi. Il tizio, così conciato, appariva come un malcapitato di nessun interesse e ciò gli avrebbe consentito di attingere indisturbato acqua dal pozzo e indizi dai suoi stessi occhi.

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