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Lo Sceriffo Di Lodz Al Kafka Cafè
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Indice dei contenuti
Lo Scerìffo dì Lodz al Kafka cafè
LA POLDAVA 14.15 Storia in 10 movimenti
O mia mater/sì bella e perdu-u-uta..
Qualcuno sta chiamando Sibelle. E non è l’eco!
Siiiiiiiiiiiiibeeellllllllllllll! Sibeeel! Sibelleeeeeeeeeeeee!
Spoon River,
I’m crossing you
some day.
you heart breaker,
I’m going your way.
to see the world.
to see.
the same rainbow’s end–
Fly me
And let me play among the stars
what spring is like
In other words,
In other words, baby , kiss me
with song
You are all I long for
In other words,
In other words, I love you
Let me sing forever more
All I worship and adore
please be true
In other words, I love you.
Così scrive Stefan Zweig in “Die Welt von Gestern”.
7. SELFIE DI UN DUELLO ALLA RUSSA
AU REVOIR, POLDAVIA!
Lo Scerìffo dì Lodz al Kafka cafè
sede dell'Hakoah FC fan club
LO SCERIFFO DI LODZ AL KAFKA cafè (sede dell'Hakoah FC fan club) romanzo “L'ebreo è qualcuno che legge un libro con una matita in mano perché ne sta scrivendo uno migliore”
Richard Crossman
Capitolo primo
Melodiosa e insieme fastidiosa, la voce che usciva dalla baracca si posava sulla neve fresca, increspandone la superficie, calpestata da un paio di stivali di cuoio grasso. L’ufficiale rallentò impercettibilmente il passo, quasi temesse di calpestar parole. Del che subito s’indispettì. Per punire il pensiero, trasmesso ai muscoli delle gambe, colpì la porta inchiavardata con un calcio, provandone un certo dolore. Al suo ingresso, gli schiavi chiusero d’istinto gli occhi, fingendo di dormire. Tutti tranne uno: il narratore continuò a raccontare imperterrito e raccontava di un ragazzo a Lodz che portava sul bavero la stella gialla come fosse quella di latta di uno sceriffo del selvaggio west. Digrignò i denti il Tedesco e spianò la pistola e la puntò alla nuca rasata dell’Ebreo. La smorfia gli aveva sfigurato anche l’altra metà del volto. Lo scatto schioccante della sicura interruppe la storia dello sceriffo di Lodz. Nel silenzio, i fintodormienti socchiusero un occhio per spiare la scena, al centro della quale un ufficiale monocolo stava presumibilmente per sparare in testa a Moritz Landau. Poi, invece, lo schiavo, afferrato per l’avambraccio scarno, fu spintonato fuori. Da quando in qua Heimito von Witt provava pudore, evitando di punire a morte qualcuno davanti agli altri? All’aperto, ripose l’arma, di nuovo in sicurezza, mettendosi faccia a faccia con la figura in pigiama a righe che saltellava scalzo sulla neve fresca proprio come gli accadeva di fare d’estate sulla sabbia meridiana di una spiaggia italiana, mentre correva al mare. Ricevuto in bocca l’ordine sputazzato dall’ufficiale, Moritz scattò verso il comando, vietandosi di pensare che là sarebbe stato torturato, massacrato, fucilato, impiccato o crocefisso com’era capitato a Shlomo Lewinski. Si ritrovò rimpannucciato, al caldo, seduto in un ufficio ingentilito da un mazzo di fiori (da quanto tempo non sentiva profumo di fiori?) davanti ad una monumentale macchina per scrivere, mentre il tè bolliva nel samovar. - Le guardie mi avevano avvertito che qualcuno insisteva a parlare dopo il silenzio. Avevano ragione: dunque eri tu. Bene, adesso scrivi la storia che andavi raccontando, scrivila per me e camperai ancora -. Landau si rese conto che i fiori non profumavano: erano finti, fatti con chissacchè e confezionati chissà da chi. Un foglio di carta giallo paglierino venne infilato nel rullo della macchina per scrivere.
Lo Sceriffo di Lodz Il figlio primogenito del Ravi s’interessava solo di cow boy e d’indiani e poco si curava del Talmud e portava il tellith, lo scialle da preghiera, come fosse il poncho di una squaw e tutta questa situazione addolorava il Ravi. E ancora più addolorata era sua moglie, la mamele. Quando venne fuori la legge della stella gialla, ci ben altro di cui preoccuparsi a Lodz. Solo Moshele, figlio di Sara, non si preoccupava affatto, anzi si mostrava eccitato all’idea di appuntarsi una stella al petto e fiero. L’avrebbe voluta di latta, che luccicasse al pari dell’oro. S’accontentò di quella di stoffa, ritagliata da mamele. Il Ravi si tormentava la barba e dondolava il capo.
Heimito von Witt parve gradire la storia dello Sceriffo: ributtò di prima mattina Landau nella baracca, promettendogli che, fin che avesse continuato a trascrivere il racconto, sarebbe sopravvissuto. Rientrato nell’alloggiamento maleodorante, Moritz s’era gettato sul suo giaciglio, desideroso di dormire un po’, ma i compagni di prigionia l’avevano interrogato, un ungherese di Pest con particolare insistenza e non senza malanimo. Moritz finì per rivelare che il Tedesco gli aveva chiesto dello Sceriffo di Lodz, ma non confidò di averne trascritto a macchina le peripezie. Quando, a giorno fatto, i Totenkopf, le SS addette alla sorveglianza dei forni, cominciarono a ronzare intorno alla baracca, Landau pensò che von Witt si fosse dimenticato della sua promessa o avesse mentito per crudeltà congenita e che quindi stesse per finire in fumo. Si sbagliava. Prìmo ìntervento dell'Autore: per sapere che cosa c'entrano Kafka e ìl football e che cosa sìano statì l'Hakoah FC e ìl Gìudaìsmo Muscolare dovete aspettare ancora un po'; per ora accontentatevì dì sapere che Franz fu un fan (come dìcono ìn Amerìka) della squadra dì soccer (come sì dìce neglì States), dove nel frattempo cì trasferìamo.
In una New York in bianco e nero, la Quinta Strada è un canyon, il Gran Canyon di una scenografia hollywoodiana prima che si accenda la lucetta rossa del SI GIRA. Perché per un esule europeo tutta l'America è il Far West. I cavalli del Central park trascinavano diligenze tra le ombre rosse downtown. Su una di queste carrozze, si trovava o immaginava di trovarsi qualcuno che si sentiva oppure si sforzava di sentirsi l'ultimo sceriffo in città. Pioveva o poteva piovere da un momento all'altro. C'era ancora chi si portava addosso e portava in giro nei bar una cert'aria da reduce, a pochi anni dalla fine dell'ultima guerra e dall'inizio della successiva. Guerra e Pace: qualcuno cercava di leggere nella sotterranea. Altri sniffavano puzza di violenza carnale, oppure di gomma accuratamente masticata. Plop e il palloncino al sapor di fragola scoppiò come una pustola, come un'afta sanguinante su labbra tagliate. La carrozza stava risalendo la corrente cittadina per tornare al Central park. New York city in un pomeriggio di pioggia, o di pioggia spiovuta. Gente che non deve o non può incontrarsi. Quanto e su chi puntiamo alla terza corsa a Belmont? Secondo ìntervento: non è ancora ìl momento per la squadra dell'Hakoah, fondata da seguacì del Gìudaìsmo Muscolare teorìzzato dal dottor Max Nordau, dì scendere ìn campo; prìma dì tornare nel campo, aggìungo che “Kafka cafè” è ìl tìtolo dì una mìa pìèce andata ìn scena nel secolo scorso a Mìlano con Paolo Rossì nel ruolo dì Franz (notare la somìglìanza fìsìca) e Lucìa Vasìnì ìn quella dì Mìlena; ìo fìrmavo anche la regìa e sostennì ìl ruolo della Mamma dì Kafka.
Non solo Moritz Landau, ma quasi tutti gli occupanti della baracca là al campo furono risparmiati. Ci pensava l'ufficiale von Witt a tener lontani, per così dire, i cani. Moritz Landau continuava a mormorare la sua storia dello Sceriffo di Lodz. Soltanto l'ungherese di Pest lo stava ancora a sentire. A lui Landau l'aveva detto dove lo portava quasi ogni notte Heimito von Witt e che gli faceva fare nell'ufficio del comando: lo costringeva a battere a macchina il suo racconto. Il magiaro s'era tenuto per sé l'informazione. In qualunque luogo e in qualsiasi circostanza, una buona informazione può sempre tornare utile.
Lo Sceriffo di Lodz Moshele Jacobi, figlio del Rabbi, a gambe larghe, decisamente sceriffe, piazzato nel bel mezzo della strada, ne sentì rimbombare la pavimentazione e il suono per lui era quello degli zoccoli dei cavalli mustang – non che ne avesse mai visto o sentito uno. Carezzò la stella di pezza cucita in petto, dalla parte del cuore. Si frugò furtivamente in tasca, tormentando un'immaginaria coppia di Colt, poi, all'approssimarsi dell'esercito, trasformò il gesto in uno sfregamento apotropaico dei coglioni. Alle spalle piombarono i soldati. Le gambe gli dicevano di darsela a gambe, ma uno sceriffo non scappa. Moshele, figlio di Sara, si girò a fronteggiare i tedeschi. Non portava il bracciale, ma, secondo le disposizioni modificate dall'Einsatzkommando, la stella cucita sul petto.
Arrivano, arrivano! Arriva l'Armata Rossa, arrivano i russi. Arrivano a liberare il campo, ma l'ha già liberato la morte. Le guardie sono scappate. Non tutte le guardie sono fuggite. Le SS Totenkopf, predisposte alla gestione dei forni, per far funzionare i quali non c'era più tempo di usare lo zyclon, hanno riempito le docce e le hanno fatte saltare con la dinamite. Quindi si sono tolti di mezzo con il cianuro: ognuno aveva il suo anello. I sovietici, varcati i cancelli, s'arrestarono, turbati, non spaventati, riconoscendo l'afrore apocalittico che avevano inalato a Leningrad sotto assedio per tre anni.
Flash back: lo Sceriffo era là, a gambe divaricate, nel bel mezzo della Jakuba strasse. Davanti a lui, la Gestapo: una ronda. Nessuno che portasse addosso la stella poteva farsi trovar per strada a quell'ora, pena la morte. Se un malcapitato veniva malauguratamente sorpreso, si dava a fuga precipitosa, pur sapendo che non sarebbe riuscito ad evitare una mitragliata alle spalle. Dunque, che ci faceva questo grosso beota a gambe divaricate nel bel mezzo della carreggiata? Abituato a inseguire fuggiaschi pazzi di terrore, il graduato di polizia si sentì disorientato. Ordinò l'alt ai suoi. Si fece avanti da solo. "Lo sai" disse " che stai per morire?" "Solo se sei più veloce di me ad estrarre la pistola" pensò l'uomo con la stella gialla. Mentre così pensava Moshele, fu il tedesco a puntargli l'arma alla tempia. Dietro di lui, i suoi militi fecero scattare la sicura. Il giovane confuse e complicò il suo pensiero: se erano stati loro ad imporgli la stella, allora avrebbero dovuto riconoscerlo. Perciò disse: "Sono lo Sceriffo di Lodz". E abbracciò virilmente la Gestapo. Ripresosi dallo sconcerto, il graduato stava per premere il grilletto e fulminare Moshele, ma qualcosa gli s'inceppò, allora si rivolse agli altri e disse: - Questo giudeo sostiene di essere lo Sceriffo di Lodz -.
Poi, non sapendo come continuare, rise. Risero tutti i tedeschi, abbassando i mitra. Qualcuno aveva spiato la scena, seminascosto dietro le finestre sulla strada. Era cominciata così la leggenda dello Sceriffo di Lodz.
Entrati nel campo, i russi trovarono ben pochi prigionieri in vita e solo due di loro erano parlanti. La leggenda dello Sceriffo che teneva testa ai nazisti facendosi beffa di loro si diffuse nel ghetto di Lodz. Qualcuno cominciò a riferirsi a lui chiamandolo “il nostro Golem”, altri, i vecchi, insinuavano che fosse una sorta di dybbuk. Il padre di Moshele, il Rabbi, non si faceva quasi più vedere in giro. Alla moglie Sara chiedeva con insistenza se avesse sentito associare il suo nome a quello di Rabbi Low, il creatore del Golem di Praga. E rabbrividiva Jacobi, rabbrividiva ricordando come fosse andata a finire con la Creatura praghese, che, ribellatasi a Low, era stata da lui privata del soffio vitale contenuto nella tavoletta d’argilla infilata sotto la lingua e, tornato fango, franandogli addosso, l’aveva sepolto, in sostanza morendo con lui. Moshele Jacobi tornava raramente in famiglia. Quando lo faceva, suo padre si tirava la barba fino a strapparsela. Terzo ìntervento: dì nuovo oltre oceano, dove ando' ìn tournèe anche la squadra dell'Hakoah, ottenendo un concorso dì pubblìco da record per un evento dì soccer neglì States, record tutt'ora ìmbattuto o quasì.
New York, NY, giugno, 25, 1950. Sereno variabile. Oggi, profittando delle condizioni atmosferiche in quell’area geografica, pioggia intensa, la Corea del Nord invade la Corea del Sud a Kaesong. Chi è Morris Land e che cosa sta aspettando in un angolo poco illuminato di una cafeteria al Village? Il sapore della birra, la schiuma, schiuma di birra, passi, può passare, fino a quando uno scambio di battute non le dà un retrogusto tossico, da acido prussico e un allucinante effetto ottico trasforma un neon intermittente sopra al bancone nella scritta luminosa ZYKLON B. Chi è Morris Land e da quanto tempo credeva di aver dimenticato il tedesco? E’ in bocca a quella studentessa seduta di spalle nel separè del caffè giù al Village che stride di nostalgia. E quando la ragazza si volta, sentendosi osservata, il suo sguardo interrogativo e innocentemente seduttivo flette il Morris in Moritz. Due giorni dopo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è in riunione: è in discussione la Corea. Nel frattempo, il V stormo Usaf abbatte tre aerei della Corea del Nord e il Presidente Truman si appresta ad ordinare ufficialmente l’intervento. Siamo alla Russian Tea Room, 145 W. 57thSt. : non è un locale dove ci si aspetterebbe d’incontrare un personaggio dall’aspetto e con i comportamenti di Morris Land. Non meno curiosa è la figura di Truman, che, appena entrato, si sta guardando intorno. Prima di richiamare la sua attenzione, Mr.Land lo osserva con il suo unico occhio buono. Messo a nudo, il putto grottesco e geniale sembra fisicamente prodotto dal suo stesso cervello. Ecco, ora Morris si appalesa. Con l’autore del racconto “Miriam”, per il quale quattro anni prima ha vinto l’O.Henry Award, premio prestigiosissimo, lo sfigurato parlerà di narrativa.
Lodz, flash back. Lo Judenrat, presieduto da Chaim Rumkowski e composto da trentun consiglieri, venne sconvolto dalla Gestapo che compì un arresto collettivo: solo otto membri furono rilasciati e sopravvissero. Chaim nominò ventitré nuovi componenti. Dopo molte esitazioni, Rabbi Jacobi accettò di entrare nel consiglio. Venne altresì costituito il corpo di polizia ebraico, a cui aderirono cinquecentotrenta agenti più uno: che deve fare uno Sceriffo se non arruolarsi nelle forze dell’ordine?
New York, NY: domani è l’ultimo giorno dell’anno, il 1954. Questa sera all’Alvin theatre, 250 W. 52th St., debutta il musical “House of Flowers”, tratto dall’omonimo racconto di Truman Capote, che firma il libretto. La musica è di Harold Arlen, celebre per la canzone “Over the Rainbow”. La regia è di Peter Brook. Tra gli invitati che festeggiano la “prima” da Sardi’s, c’è un tizio con una benda da pirata dandy di velluto bordeaux, in tinta con i revers del tuxedo, dai lineamenti, tirati a pelle di tamburo sul teschio, dall’epidermide cereo-cinerea. E’ finito ad un tavolo ai confini della Siberia. Ma Norman, che non è stato all’Alvin, appena entrato nel locale decorato da più di 700 caricature di celebrities firmate Alex Gard, ignora gli ispiratori dei disegni che richiamano a gran voce la sua attenzione e punta verso la zona riservata ai clienti poco importanti, quasi travolgendo Capote che si è alzato al suo passaggio, per abbracciare e prelevare l’uomo con la benda sull’occhio, trascinandolo al bancone del bar.
-Morris, facciamoci un goccio, vuoi? Ci prendiamo una bella sbronza kosher, una sbronza coi fiocchi, alla faccia dei finocchi, quei succhiacazzi con la cannuccia che si beccano i tavoli migliori-.
Norman Mailer, che tutti riconoscono da quando ha pubblicato “Il Nudo e il Morto” e da quando Carl Vechten gli ha fotografato l’anima in primo piano con la sua Laica 35mm, si è già portato avanti col lavoro. -Tu che prendi, Mickey ?-.
Non è per via del tasso alcolico che l’autore di “La costa dei barbari”, il suo ultimo romanzo da un anno in libreria, ha chiamato così Land: Mickey. L’ha fatto apposta. Quando il reduce-scrittore, lo scrittore-prodigio ha conosciuto in un caffè del Village, poco dopo lo scoppio della guerra di Corea, Morris che, a un tavolino appartato, cercava di tradurre in inglese certe storie su uno sceriffo polacco. L’ha prontamente adottato. Potendoselo agevolmente permettere, Norman gli ha fatto rimettere in sesto la faccia, gli ha dato un paio di dritte eppoi l’ha spedito da un buon agente letterario. Mailer, intanto, modellava su di lui il suo Mickey Lovett, giovane scrittore dai lineamenti resi perfetti dalla chirurgia plastica posto al centro di “Barbary Shore”. Per la pubblicazione di “Tom Mix from Lodz”, a novel by Morris Land, il ritratto in IV di copertina è stato scattato da Van Vechten, che è anche andato un paio di volte a letto con l’autore. -Caro Carl, unisciti a noi! O ti sei già stancato del nostro Mickey? Non sei più in love with Lovett, Carl? -.
La serata passa così, con il Gruppo Capote e il Mailer Clan che si fronteggiano ignorandosi, o s'ignorano fronteggiandosi, proprio come i due bordelli concorrenti di “House of Flowers”. Soltanto Peter, il regista, l’inglese un po’ sparuto che conosce il segreto del teatro, fa da trade d’union, da go between tra i due schieramenti. -Bene, amici, è tempo di levare le tende. Mickey qui…va bene, Morris…Morris, qui, ha visto uno spettacolo basato sulla prostituzione organizzata: mi sembra il caso di condurlo a conoscere, a conoscere biblicamente intendo, le puttane vere. Conto anche su di te, Carl: tu sei un vero uomo, anche se ti capita di coricarti con qualcuno del tuo sesso. Tu, se devi morder la banana, non la fai frullare per berla con la cannuccia- – - Abbassa la voce, Norman, ti prego -.
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