
Полная версия
Il bacio della contessa Savina
Si dovette ritardare il pranzo d'un'ora, richiamare il fuggitivo che almeno venisse a spennare il corpo del suo delitto, e mentre il signor Nicola e sua moglie erano occupati in altre faccende, l'Agata venne a farmi compagnia nel salotto. Mi domandò con interesse molte cose di Milano, ed io le descrissi le feste, i corsi, gli spettacoli della città, l'eleganza delle signore, il lusso delle carrozze…
Essa mostrò di conoscere non solo i principali monumenti, ma bensì la vita intellettuale ed artistica, e mi sorprendeva assai che una fanciulla che si occupava de' suoi polli, parlasse di cose elevate con non volgare giudizio. Mi disse che i suoi genitori l'avevano condotta a Milano, quando era uscita dal collegio di Como, ove era stata in educazione. Io arrossivo pensando d'essere stato a Como senza vederlo. Poi per farmi passare il tempo aspettando l'ora del pranzo mi condusse a visitare l'orto e il giardino. Nell'orto la mia ignoranza fece la sua prima comparsa. Io non distingueva le piante delle patate dai pomidoro, le carote dal prezzemolo, confondeva il rosmarino colla lavanda, le zucche coi poponi. Essa rideva di cuore, e mi diceva:
– Eppure a Milano si trovano ogni sorta d'erbaggi; ne vidi di bellissimi sul mercato.
– È vero, ma io non li conosco che quando li vedo cotti…
Allora mi svelò l'estetica degli erbaggi facendomi osservare minutamente l'eleganza e la varietà dei loro portamenti, l'increspatura, i frastagli, le tinte differenti delle foglie, la bizzarria delle forme, la singolarità dei profumi; mi faceva odorare il timo, la salvia, il ramerino, il finocchio, il cerfoglio, il targone, la rucola, la maggiorana, la menta, e mi diceva: – Vedete la grande varietà di aromi indigeni coi quali possiamo condire le vivande senza il soccorso delle droghe che andiamo a prendere alle Indie. Vi prego di considerare la grazia d'un fiore di borragine, ma guardate se può darsi un turchino più limpido, un bianco più puro, un nero più spiccato: e il frutto del peperone, e la leggerezza dello sparagio quando si adorna delle sue sementi rosse come coralli. Guardate le foglie glabre e frastagliate dei carcioffi come sono ornamentali!.. e il frutto? non ha esso servito mille volte alle arti ed alle industrie? Le zucche e i meloni non sono forse piante e frutti magnifici, e i fiori di tutti i legumi non sono forse i più vezzosi?.. Guardate i ceci, i fagiuoli, i piselli! Credetemi, signore, chi non vede la bellezza della natura in un orto, non la vede intieramente nemmeno sul lago di Como… Nella natura come nelle arti non basta apprezzare l'insieme, ma bisogna saper conoscere anche i pregi d'ogni singola parte. Chi non ama che il frastuono d'una sinfonia, e non gusta un motivo melodico, non può dire d'intendere la musica; chi non ammira che la sublimità delle montagne e non ha mai contemplato il fiorellino che cresce sui loro crepacci, non conosce la natura. Le scene grandiose le vedono tutti, la musica rumorosa colpisce tutte le orecchie, ma le anime delicate soltanto sanno scoprire il bello nelle cose minute, e godere le delizie della natura e dell'arte davanti gli oggetti impercettibili agli sguardi volgari.
Rimasi maravigliato de' suoi discorsi!.. Passammo in giardino, e quivi mi rinnovò la lezione, mostrandomi tutto quello che io ignorava delle bellezze delle piante. Quivi, credendo opportuno di svelare finalmente qualche cognizione, le dissi:
– Sono sicuro che conoscete il linguaggio dei fiori.
– Lo conosco, – mi rispose, – ma lo trovo puerile.
– E perchè?
– Perchè i fiori parlano un linguaggio che si intende da chi ama la natura e vive nella sua intimità, senza bisogno di chiedere le loro espressioni ad emblemi convenzionali. Un fiore qualunque, il più modesto fiore del prato, parla al nostro cuore se ci rammenta un istante memorabile della nostra esistenza, un paese, un amico, una parola, se la sua vista risveglia la memoria assopita d'una persona lontana, o d'un giorno felice.
Tali discorsi portavano naturalmente il mio pensiero al mazzetto gettato alla contessa Savina, e pensavo: chi sa, se vedendo una rosa, delle violette e degli eliotropi, essa rivolgerà la mente al povero esule che non vede al mondo che lei!.. e camminavo mesto e silenzioso per quel giardino, seguito dall'Agata; avevamo l'aspetto di due ombre che vanno vagando pei Campi Elisi. Quella conversazione e que' fiori che ci stavano d'intorno m'aveano rapito in un'estasi poetica, quando Martino venne ad annunziarci che il pranzo era servito. A questo mondo tutto finisce in prosa!
Durante il desinare venne in campo il discorso del mio prossimo sgombero e del sistema di vita che mi sarebbe convenuto. Il signor Nicola accennò al consiglio che mi venne dato dal vecchio maestro, di accomodarmi coll'organista pel vitto, e rivolto all'Agata le disse:
– Che te ne pare?
– Il vecchio maestro, – essa rispose, – si trovava in condizioni diverse; la defunta sua moglie era sorella di Tobia l'organista, i legami di famiglia facilitavano le loro relazioni; ma non so se ciò che conveniva a due vecchi cognati di Valtellina possa offrire gli stessi vantaggi ad un giovane milanese avvezzo ad altro sistema. Poi il signor Daniele non conosce Tobia, non l'ha ancora veduto… è un buon diavolo, ma originale… ed ha la lingua un po' troppo lunga. I due cognati andavano d'accordo in molti punti, per esempio nel giudicare l'ordine e la nettezza come cose di lusso; ne sia prova l'abitudine del maestro di farsi servire dagli scolari, che gli mettevano la casa a soqquadro e ne facevano un letamaio.
– Allora, – soggiungeva il signor Nicola, – bisogna pensare ad altro. Ci permettete, non è vero, Daniele, di trattarvi in amicizia e di occuparci dei vostri affari?..
– È il massimo favore che possiate farmi…
– Orbene, che ne pensi, Agata?
– Mi pare, – ella soggiunse, – che si potrebbe trovare una buona donna di servizio pel maestro, che gli tenesse in ordine la casa, e che sapesse fargli da pranzo e il bucato. In fine dei conti la spesa sarà eguale, se non minore, la salute se ne troverà meglio, e in caso che fosse indisposto non sarà solo.
Mi pareva strano che una persona che si occupava di polli e dell'orto potesse avere tanto buon senso. Io approvai intieramente il suo piano e tutti i consigli che vi aggiunsero i genitori, tanto solleciti del mio bene.
– E chi potrà trovare facilmente una donna che mi convenga? – io chiesi.
– La troverò io, – soggiunse l'Agata, e mi mostrò tanta bontà premurosa, e mi spiegò con tanta grazia che cosa dovessi fare, e come contenermi per i miei piccoli interessi di casa, che davvero, se non fosse stata troppo bionda, l'avrei forse trovata anche bella.
Essendo giorno festivo, non fu possibile mandare a Tirano a prendere i miei bagagli, ma quell'ottima famiglia non mi lasciò mancar nulla che mi fosse necessario, mettendo a mia disposizione la più bella biancheria del signor Nicola. Una sola cosa mi faceva difetto: un libro per la sera. Essendo avvezzo da lunghi anni a leggere a letto, e privo da tanti giorni d'un tal piacere, ne sentivo vivamente il bisogno; onde mi feci animo, e dissi all'Agata:
– Siete tanto buona, che vorrei domandarvi un nuovo favore da aggiungere agli altri.
– Tutto quello che abbiamo è a vostra disposizione.
– Come siete gentile!.. vorrei pregarvi di favorirmi un libro da leggere.
– Ben volentieri… Volete storia, romanzi, viaggi, drammi, poesie?..
– Ve ne lascio la scelta… ben sicuro che mi darete il libro che mi conviene di più.
– Benissimo… farò il possibile per scegliervi una lettura utile e piacevole.
– E di vostro gusto.
– E di mio gusto.
Alla sera dopo cena mi consegnò il libro; io la ringraziai caldamente, e salii tutto contento nella mia stanza. Appena entrato mi avvicinai al lume per guardare il frontispizio del volume, e ne rimasi sorpreso e pensieroso. Era sincerità od ironia?.. era un atto d'ingenuo interesse od una lezione arguta?.. Profondo mistero!.. Il fatto sta che quel libro era l'Ortolano dirozzato di Filippo Re.
VI
All'indomani Martino andò a Tirano a prendere il mio bagaglio, dimenticandosi nell'ufficio della diligenza l'ombrello, che ho potuto ricuperare qualche giorno dopo col mezzo d'un amico del signor Nicola. Sono incalcolabili le noie e gl'imbarazzi causatici dagli imbecilli fra le vicende della vita. Siccome non possono essere occupati che in cose da nulla, e le fanno male, così ci obbligano a rifarle, annoiandoci in frivole cure per le quali li avevamo pagati. Ma in tutte le condizioni sociali siamo pur troppo condannati ad attraversare il pelago dell'umana imbecillità, e questa navigazione desolante ci ruba delle ore preziose, e quindi ci accorcia la vita. Maledetti gli imbecilli!..
Io ero capitato al villaggio appunto per distruggere l'ignoranza e l'imbecillità, e mi ripromettevo grandi vantaggi da questa nobile e santa missione, ed aspettavo l'apertura della scuola per gettarmi a corpo perduto nelle cure della pubblica istruzione.
Intanto la prosa dell'Ortolano dirozzato mi produceva ogni sera il suo effetto infallibile, addormentandomi d'un sonno denso, tenace, profondo, e talvolta facendomi vedere in sogno una testa bionda di donna col sogghigno dell'ironia, fra un cavolo navone e un cavolo rapa.
Non mi ero degnato mostrarmi offeso della scelta del libro, e tacqui fino a che un giorno l'Agata mi domandò se io facessi progressi nell'orticoltura.
Allora gli dissi un po' risentito che non mi sentivo davvero chiamato a quel genere di studi.
– Avete torto, – mi rispose.
– Che volete!.. se preferisco Monti, Foscolo, Alfieri a Filippo Re, la traduzione d'Omero, i Sepolcri e le tragedie ai poponi ed alle zucche, non è mia colpa… i gusti son gusti.
– Non si tratta di preferenze, – essa insisteva – ma di assoluta necessità. Ogni persona di buon gusto, dopo pranzo, preferisce un mazzo di fiori ad un pezzo di pane; ma se i fiori sono vaghi, profumati e deliziosi, non sono necessari come il pane. Per coltivare dei fiori bisogna vivere, e per vivere bisogna mangiare, dunque il necessario deve passare prima del dilettevole, i campi prima dei giardini, l'orto prima della poesia. La poesia è cosa sublime, è un ornamento della vita, ma per vivere bisogna lavorare sul positivo e sul sodo. La vita è cosa seria, ha doveri e necessità dalle quali non si sfugge senza grave danno. Sapete di quell'astronomo che camminando assorto nella contemplazione degli astri è caduto in un pozzo. Sta bene guardare in alto, ma non bisogna cadere nei pozzi, e ce ne sono tanti sulla terra.
Ci sono poi certi poeti che cercano le ispirazioni in aria, e rapiti dai loro voli pindarici non vedono il bello che li circonda, non sanno ammirare i pregi della natura che passa davanti i loro occhi, disdegnano come volgarità la semplice poesia della vita. Io invece trovo la poesia anche nel cortile e nell'orto, ove osservo tanti doni della natura che crescono a beneficio dell'uomo, e mi rammentano i piaceri della mensa, che, raccogliendo la famiglia e ristorando le forze, procura anche i piaceri morali che provengono dallo scambio dei pensieri e degli affetti.
Tali discorsi mi conducevano a serie riflessioni; io le chiedeva scusa del mio sussiego, mi desolava delle mie idee storte, vane e confuse, e mi battevo la fronte. Allora essa rideva, e lodando i miei gusti letterari, incoraggiava i miei studi; e mi consigliava a ripartire il mio tempo fra la prosa e la poesia, fra le cose positive e le amenità.
– Se dovete vivere in campagna, – essa aggiungeva, – avete bisogno d'un orto; se sapete coltivarlo ne caverete degli utili, e poi imparerete anche a coltivare i fiori.
Le promettevo di occuparmene seriamente… ma quando aprivo il mio Ortolano dirozzato, e leggevo quelle elucubrazioni sulla cultura dei cavoli, il libro mi cadeva dalle mani, e contro mia volontà mi addormentavo.
Il vecchio maestro era partito, il mio casino era in ristauro. Il signor Nicola lo aveva consegnato ai muratori, falegnami, fabbri-ferrai, ed ogni giorno andavamo insieme a visitarne i lavori. Io non vedeva che martelli che battevano, seghe ed accette che dividevano e sgrossavano legnami, pialle che spianavano tavole, lime, raspe, tanaglie che rodevano e sconficcavano, cazzuole che muravano, pennelli che imbiancavano, tutto ad onore della mia persona. Ma il signor Nicola vedeva meglio di me che una screpolatura richiedeva un arpese, che un muro faceva corpo, che le assi del solaio non erano ben commesse, e raccomandava ai muratori l'economia della calce, ai manovali di sgomberare i pavimenti dai rovinacci, di spazzare i trucioli che volavano giù dalle scale. Esaminava l'intonaco, e le varie opere del legnaiuolo, e faceva le sue osservazioni. Il giorno dopo si tornava a vedere se i suoi ordini erano stati eseguiti, e se tutto procedeva secondo le convenzioni stipulate cogli operai.
Poi facevamo lunghe escursioni visitando i boschi, i pascoli e le cascine; il signor Nicola mi parlava di migliorie da introdursi, e dei redditi aumentabili, ed io lo ascoltava guardando le belle vedute che si stendevano davanti i nostri sguardi. Bitto ci seguiva dappertutto, e andava avanti ad esplorare il terreno.
Una sera passeggiando con tutta la famiglia Bruni alle falde d'una collina, io osservava attentamente il mio cane che correva dietro agli uccelli svolazzanti sulle siepi, abbaiando furiosamente perchè non si lasciavano prendere.
– L'ingenuità di Bitto vi sorprende… – mi disse Agata, – ma molti uomini fanno come lui: vorrebbero volare senza ali e si lamentano di non poter raggiungere coloro che s'innalzano perchè hanno forze superiori.
La guardai in faccia sospettoso, perchè mi parve alludesse al mio caso, ma vidi che la sua fisonomia non indicava alcuna malizia, e pensando d'altronde ch'essa non poteva conoscere le mie aspirazioni mi tacqui, e meditai lungamente sulla rassomiglianza dei miei gusti con quelli del mio cane.
Quando il mio casinetto mi parve in ordine, pregai le signore Bruni di volerlo onorare d'una visita, anche per favorirmi i loro consigli sulle ultime disposizioni. Accettarono con piacere la mia proposta, e v'andammo insieme; ma mentre mi aspettava dei complimenti sul mio buon gusto, dovetti invece subire le giuste critiche dell'Agata. Infatti fui forzato di riconoscere che mi ero dimenticato le cose più indispensabili agli usi domestici.
– Ecco i poeti!.. – mi disse sorridendo la ragazza, – più fortunati di Bitto hanno le ali per volare al disopra delle cose terrene, ma però, meno positivi degli uccelli, si dimenticano gli agi del nido, che hanno pur tanta parte nella poesia della vita.
L'Agata era troppo buona per aver l'intenzione di pungermi sul vivo, tuttavia ogni qual volta mi metteva al confronto cogli altri animali, io figurava sempre al di sotto della bestia… Non potevo sopportare in pace ogni attacco, nè dissimulare la mia stizza, ed essa, invece di mostrarsi dolente del mio dispetto, pareva si godesse. Alla fine, convinto dalle sue dimostrazioni che gli uomini hanno meno attitudine delle donne per mettere in ordine una casa, la pregai di volermi assistere come una buona sorella, incaricandosi di completare le mie disposizioni e di compiere l'opera che sembrava troppo superiore alla mia capacità. Avendo accettato cordialmente l'incarico col consenso dei genitori, le consegnai il denaro che restava disponibile facendole ampia procura di spenderlo secondo i suoi gusti e il suo giudizio. Due giorni dopo essa partì per Sondrio, accompagnata dal padre, per fare le spese necessarie, ed al suo ritorno venne spedito un carro a prendere gli oggetti acquistati che giunsero in buon ordine, certo a motivo che Martino non faceva parte della spedizione.
Allora l'Agata accordò la Rosa al mio servizio, e volle stipulata una convenzione fra noi, cioè ch'io non entrassi più nella mia futura dimora fino a che l'opera non fosse compiuta. Così, mentre l'Agata e la Rosa, accompagnate dal signor Nicola, dalla signora Giovanna e da Martino, andavano a lavorare a mio vantaggio, e si affaticavano a mettere a posto ogni cosa, io non aveva altro incarico che di passeggiare dalla parte opposta del paese col sigaro in bocca, come un vero sibarita.
In pochi giorni tutto fu messo in assetto, e finalmente ottenni il permesso di visitare la casa. La trovai trasformata, e ne rimasi sbalordito. Essa respirava una modesta agiatezza, piena d'attrattive. Si vedeva dappertutto la mano della donna, si sentiva la sua influenza e il suo intento. Ogni stanza aveva le sue tende, i mobili opportuni, puliti, e collocati a dovere. Al pianterreno un allegro salottino, con un bel tappeto davanti al canapè, un tavolo rotondo nel mezzo; uno studiolo colla stufa, e gli scaffali pei libri, un tinello colla sua credenza a invetriate ove si vedevano le stoviglie, le tazze, i cristalli che brillavano per nitidezza; ed una cucina ben fornita di pentole e pentolini, casseruole e girarrosto. Sugli scaffali si vedevano tutti gli oggetti destinati agli usi domestici, ch'io aveva dimenticati, dal macinino del caffè allo scaldaletto, dalle caffettiere alle lucerne, dai piatti alle scodelle. Davanti al focolare due alti seggioloni a bracciuoli invitavano a sedersi al fuoco. La catena e gli alari lucenti stavano al loro posto. Dopo la cucina si entrava in una piccola dispensa collocata a settentrione, fresca e ventilata per conservare le carni, poi c'era un magazzino ad uso di legnaia e cantina, provveduto dell'occorrente.
Al primo piano due belle stanze da letto, una per me, un'altra a disposizione dello zio quando volesse arrestarsi andando ai bagni di Bormio. Una stanzuccia per la Rosa, un'altra ad uso di guardaroba, un'altra ancora disponibile e vuota.
Tutte le stanze avevano l'occorrente, ma quello che mi colpì di più furono i quadretti appesi ai muri, e i vasi di fiori sui tavoli, e vari altri piccoli oggetti da collocare i sigari e i fiammiferi. Nel gabinetto da studio figuravano le più belle vedute di Milano, che mi arrestai a contemplare con uno stringimento di cuore. Il tinello aveva due bei panorami del lago di Como, e le pareti del salotto portavano i ritratti di alcuni fra i più grandi benefattori del genere umano.
Sulla porta della cucina stava affisso il lunario, e un calendario dell'ortolano, nel quale si leggevano i lavori e le semine da farsi ogni mese.
Quella buona ragazza così sensata e positiva, visti i miei piccoli mezzi, mi aveva dichiarato non occuparsi che del solo necessario; essa aveva dunque trovato necessario coprire la nudità delle pareti, riposare i miei sguardi sulle care memorie della patria, ricondurre il mio spirito di quando in quando per le vie della mia cara Milano, rammentando l'aspetto ridente della natura coi più bei siti contemplati sul lago, e richiamandomi alla mente le grandi virtù dagli uomini che onorano l'umanità.
Di quella povera casa, così deserta, tacita, e nuda, essa aveva fatto una dimora piacevole, comoda, popolata di ricordi, eloquente d'insegnamenti, fornita di graziose opere d'arte, un rifugio tranquillo e sereno, che invitava alla pace ed allo studio.
Commosso e riconoscente, non sapevo in qual modo dimostrarle la mia gratitudine. Essa aveva apparecchiato il nido al povero esule, s'era studiata di rendergli meno squallida la vita solitaria. Come una buona sorella aveva prodigate le cure più affettuose nell'allestimento d'ogni stanza, usando gli accorgimenti più delicati, le previsioni più sottili. Io andava pensando a qualche regaluccio che le provasse la mia piena soddisfazione, ma mi trovavo nell'impossibilità di poter acquistare un oggetto qualunque al villaggio.
Mi si presentò il pensiero di offrirle la medaglia di mia madre.
Era quanto io possedessi di più prezioso, e vi tenevo tanto che dapprima respinsi tale idea come una tentazione. Non sapevo risolvermi a privarmi di quella santa memoria; respingevo il progetto, e lo riprendevo esitante e sconvolto da mille diversi pensieri, quando la Rosa venne a dirmi che l'Agata mi attendeva ansiosa di conoscere l'effetto prodotto dalle sue disposizioni.
Dovetti risolvermi a partire colla medaglia o colle mani vuote; o quella o niente!.. In tale dolorosa alternativa, piuttosto di passare per un ingrato ho preferito lacerarmi le fibre del cuore, presi la medaglia deciso e rassegnato al dolore di privarmi dell'ultimo residuo della famiglia, dell'unico segno che mi rammentasse mia madre, e corsi a casa Bruni.
L'Agata era nel suo giardinetto aspettando il mio ritorno, quando io le comparvi dinanzi tutto sconvolto dall'interna lotta delle mie sensazioni. Vedendomi ne rimase confusa, temendo di non avere incontrato il mio gradimento. La rassicurai piuttosto coi gesti che colle parole, perchè mi mancava la voce. Poi le presentai la medaglia dicendole:
– Questo è l'oggetto più prezioso che posseggo, è l'unico ricordo che mi rimane della mia povera madre; vogliate accettarlo come un pegno della mia viva riconoscenza.
Fece un moto di sorpresa e rifiutò: una grossa lagrima scese sulle sue guancie, indi mi rispose:
– La vostra soddisfazione mi ricompensa largamente del poco che ho fatto. L'allestimento della casetta è stato per me un vero divertimento, il dono che vorreste farmi mi prova che sono riuscita al di là delle mie speranze, io ne sono contentissima e non desidero altro.
– Non rifiutate, vi supplico, di accettare questo piccolo segno della mia gratitudine.
– Ma nemmeno per sogno, caro Daniele, io sarei ben crudele se vi privassi d'una tale santa memoria!
– Eppure, Agata, sento dentro di me una ispirazione che mi spinge ad insistere, sento come la voce di mia madre che mi ordina di mettere questa medaglia nelle vostre mani, come un sacro deposito… rifiuterete la preghiera di una povera madre morta?
Allora, vedendomi umiliato e dolente della sua esitanza, stese la mano dicendomi:
– Come semplice deposito l'accetto. – Prese la medaglia, la guardò attentamente, le diede un bacio, se la pose in seno, ed aggiunse: – Essa mi darà il diritto di trattarvi come fratello… fin che saremo vicini.
– Mia madre vi ascolta a vi benedirà, – risposi.
Le baciai la mano con affetto fraterno, mi ritirai nella mia stanza, perchè sentivo bisogno di trovarmi solo, per piangere in libertà.
VII
Il giorno seguente presi possesso della mia nuova dimora, dopo di aver dimostrato come seppi meglio tutta la profonda riconoscenza per la cordiale ospitalità ricevuta in quell'eccellente famiglia. La partenza da casa Bruni mi riuscì dolorosa come se vi avessi vissuto degli anni. Vi sono a questo mondo luoghi ai quali non ci avvezziamo nemmeno dopo una lunga dimora; ve ne sono altri nei quali si sta bene fin dal primo giorno, e che non si vorrebbero lasciare. Generalmente in questi si è destinati a passare rapidamente, e negli altri a consumare la vita! ecco il nostro destino!
Pregai quei buoni signori di continuarmi la loro amicizia.
– Nulla è cambiato, – mi rispose il signor Nicola, – avete due case invece d'una sola, ecco tutto!..
Volevo baciargli la mano, ed egli si è rifiutato, dandomi due grossi baci sul volto. Mi accompagnarono fino alla porta della loro casa, mi strinsero le mani affettuosamente. Martino portava il mio sacco da notte, le signore mi dicevano:
– A rivederci… a rivederci.
– A rivederci… questa sera, – io risposi, – e partii salutando colla mano, seguito da Bitto, che, colla coda bassa, dimostrava non essere più contento del suo padrone.
La Rosa m'aspettava sulla porta della casa, mi venne incontro per alcuni passi, prese il sacco dalle mani di Martino, e m'introdusse nel mio nuovo possesso.
Salii il primo piano seguito dalla fantesca, ed affacciandomi alla finestra che guardava sul cortile vidi un bel gallo a penne variopinte, il quale scuoteva la cresta orgogliosa, sorvegliando quattro belle galline che razzolavano in terra.
– Ove avete trovato quei bei polli? – chiesi alla Rosa.
– È un dono della signora Agata, che volle piantarvi il pollaio co' suoi allievi. Rammentandosi gli elogi fatti a colazione sulla freschezza delle uova, desiderò che continuaste a trovarne d'eguali sulla vostra tavola.
– Eccellente creatura!.. cuor d'oro!..
– E testa fina!.. – soggiunse la Rosa.
– Sicuro!.. sicuro!.. ma… ma… e ripeteva dentro di me: ma peccato che sia bionda!
Io era sempre perdutamente innamorato della contessa Savina, alla quale non avevo mai parlato, e che aveva rifiutato di restituirmi il bacio. Ma… ma!.. e andavo girellando per le camere come un uomo che cerca qualche cosa. Cercavo infatti lo scioglimento d'un problema: – date due donne giovani, ed amabili entrambe, una lontana e inaccessibile per la distanza, la nobiltà, la ricchezza, le condizioni sociali, e l'altra vicina, accessibile per relazioni di famiglia e opportunità d'ogni genere, un giovane s'innamora della prima e disdegna la seconda. Qual è la forza che lo spinge di preferenza verso l'impossibile?.. ecco l'incognita… Ho passato il primo giorno nel mio nuovo domicilio occupato esclusivamente di questo problema, che mi pareva un'equazione algebrica fra le più complicate e difficili. Chiuso nel mio studio, coi gomiti appoggiati allo scrittoio, e le mani nei capelli, io meditava le condizioni della vita e delle umane passioni, inesplicabili. Udivo al di fuori della gente che domandava alla Rosa: