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Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4
Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

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Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4

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Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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In cotal guisa si travagliava nella meridional Carolina, essendovi da una parte, od una ostinazione aperta contro il volere dei vincitori, od una simulata sottomessione, e dall'altra quei consiglj stessi che si pigliavano, operando un tutto contrario effetto a quello, che gli autori loro si proponevano. Il calore intanto della stagione, lo stato medesimo poco sicuro della Carolina, la carestia delle provvisioni, e la necessità di aspettar, per campeggiare, che fossero fatte le messi, indussero un pressochè generale silenzio della guerra, e soprattennero gl'Inglesi, acciò non si volgessero a voler conquistare la Carolina Settentrionale prima dell'uscir d'agosto, o dell'entrar di settembre. Per la qual cosa Cornwallis distribuì i suoi nelle stanze, di manierachè più pronti fossero e a dar animo ai contenti, ed a frenar gli scontenti, ed a por mano, quando fosse venuto il tempo, alla invasione di quella provincia. Attendeva specialmente a raccor vettovaglie e munizioni da guerra, delle quali fece la principal massa a Cambden, Terra grossa posta sulle rive del fiume Wateree sulla calpestata, che conduce nella settentrionale Carolina. Temendo poi, che i leali di questa provincia da eccessivo zelo mossi non prorompessero innanzi tempo, e perciò rimanessero oppressi, mandava loro continuamente dicendo, aspettassero le messi; stessero quieti; apparecchiassero intanto provvisioni per le genti del Re, che venute sarebbero a soccorrergli verso settembre. Queste esortazioni non poterono tant'operare, che i leali della contea di Tryon messi al punto dal colonnello Moore non insorgessero. Ma oppressi tosto da un subito impeto dei libertini guidati dal generale Rutherford, pagarono con una totale sconfitta il fio dell'imprudenza loro, e del non aver dato ascolto agli avvertimenti di chi più di loro e sapeva e poteva. Ottocento leali però sotto la condotta del colonnello Bryan riuscirono a congiungersi colle genti regie. Mentre una delle parti si ordinava ad assaltare nella stagione propizia la settentrional Carolina per di là aprirsi la via nel cuore della Virginia, il congresso faceva ogni diligenza per mettersi in grado di poter ricuperare la Carolina Meridionale. Nel che fece, come si vedrà, grandissimi frutti. Così la guerra, che per la malvagità della stagione era quasi spenta, doveva al tempo nuovo con maggior rabbia, che prima, riaccendersi.

Prima di raccontar quelle cose, che accaddero nell'aspra contesa che ne seguì, necessaria cosa è, che ci facciamo a descrivere quelle, che intervennero nelle isole Antille tra i due possenti, ed instizziti rivali. Già era seguìto un feroce affronto nelle acque de la Grange tra Lamotte-Piquet, che guidava quattro grosse navi, tra le quali se ne trovavano due di 74 cannoni chiamate l'una l'Annibale, l'altra il Diadema, ed il comandante Cornwallis, che ne aveva tre, la più grossa delle quali nominata il Lione portava 64 cannoni. Ma questa non fu, che leggiera avvisaglia rispetto alle battaglie, che poco dopo seguirono. Era verso il finir di marzo arrivato alle Antille il conte di Guichen con tali rinforzi marittimi, che il navilio francese vi arrivava bene a venticinque grosse navi di alto bordo. Diventati i Francesi superiori per l'armi navali, e prevalendo medesimamente delle terrestri, avevano senza soprastamento alcuno imbarcate molte genti sotto la condotta del marchese di Bouillé, e si appresentarono con ventidue navi tutte di tre ponti avanti l'isola di Santa Lucia. Intendevano di pigliarla per assalto. Ma tali furono le disposizioni fatte dal generale Vaughan delle forze terrestri, alle quali comandava, e sì accomodatamente si era l'ammiraglio Hyde-Parker, il quale dalle americane spiagge si era in queste recato con sedici maggiori navi, attraversato alla bocca del Gros-Islet, che i capitani francesi si tolsero dall'impresa, e se ne ritornarono alla Martinica. Giugneva pochi giorni dopo a Santa Lucia cogli aiuti d'Europa l'ammiraglio Rodney, il quale congiuntosi coll'Hyde-Parker venne ad aver con lui ventidue navi tutte di tre coperte. Fatti allora gagliardi, gl'Inglesi, commesse le vele al vento, andarono a volteggiarsi avanti il porto del Forte Reale della Martinica, invitando i Francesi a battaglia. Ma Guichen, che voleva far seco loro a ferri puliti, e combattere, quando voleva egli, e non quando volevano gli altri, non uscì. Per la qual cosa Rodney, lasciate in crociata alcune navi delle più veloci, perchè spiassero gli andamenti del nemico, ed avvertissero, se salpasse, se ne tornò colle rimanenti a Santa Lucia. I Francesi non si ristarono. La notte dei 13 aprile, levati quattromila valenti soldati uscivano con ventidue vascelli, pronti ad intraprendere quelle fazioni, per le quali si discoprisse loro migliore la occasione. Ne ebbe Rodney subito avviso, e corse a ritrovargli, avendo seco venti navi delle più grosse, ed una chiamata il Centurione di 50. Guidava la battaglia lo stesso ammiraglio Rodney, capitano generale dell'armata, l'antiguardo Hyde-Parker, il dietroguardo Rowley. Solcavano i Francesi il canale della Domenica, intendendo di sboccar per questo per potersi poscia allargare al vento della Martinica. Governava tutta l'armata come capitano generale il conte di Guichen, la vanguardia il cavaliere di Sade, la retroguardia il conte di Grasse. Si incontrarono le due armate la sera dei 16 aprile. Si studiavano i Francesi di schivar la battaglia, avendo le navi loro ingombre di soldati, e trovandosi a sottovento. Ma gl'Inglesi andavano loro incontro. Sopraggiunse la notte, durante le quale Guichen iva aggirandosi, affine di non trovarsi all'indomani nella necessità del combattere; Rodney per lo contrario col disegno di costringervelo. La mattina seguente le due armate, fatti con mirabil arte molti volteggiamenti, finalmente ad un'ora meridiana si attaccarono la vanguardia inglese colla retroguardia francese, la quale pei detti volteggiamenti era divenuta vanguardia, mentre la vanguardia era divenuta dietroguardia. Arrivava in questo mentre colla battaglia Rodney, e si mescolava colla battaglia francese, combattendo francamente il Sandwich, sul quale egli stesso si trovava, colla Corona, che portava il conte di Guichen, e coi suoi due secondi. Ma siccome l'armata francese aveva fatto grande sforzo di vele prima che s'incominciasse il combattimento, così gli ordini suoi non erano fitti. Oltreacciò la sua vanguardia, siccome quella, ch'era meno veloce veleggiatrice della battaglia, e della dietroguardia, era rimasta indietro a sottovento, ed era nata una notabile distanza tra essa e le due seconde. Questa distanza era anche diventata maggiore, perciocchè la nave francese, l'Azionario, che nella fila era l'ultima della battaglia, e perciò avrebbe dovuto congiungersi colla prima della vanguardia diventata, come dicemmo, dietroguardia, era anch'essa rimasta indietro, e lasciatasi calare sottovento. Volle Rodney giovarsi di questa opportunità, e si mosse a fine di entrar di mezzo, e tagliar fuori questa dietroguardia dalla restante armata. Ma la nave il Destino, capitanata da Dumaits de Goimpy, ch'era la testa della dietroguardia medesima, gli si attraversò nel suo cammino, e combattendo valorosamente lo arrestò. Ne sarebbe ella però stata sfolgorata da una forza tanto superiore, se non che il conte di Guichen, accortosi del disegno di Rodney, aveva ordinato alle navi della battaglia, che voltassero i bordi, e tutte di compagnia, pigliando il vento in poppa, ed indietreggiando, andassero a raggiungere, ed a soccorrere la dietroguardia. Fu la mossa eseguita con grandissima celerità, ed in tal modo fu rotto all'ammiraglio inglese un disegno, il quale, se avesse avuto effetto, causato avrebbe l'ultimo eccidio dell'armata francese. In questo punto Rodney correndo pericolo, che Guichen facesse a lui quello, ch'egli aveva voluto fare a Guichen, si tirava indietro, ed iva di nuovo a porsi nella fila coll'altre sue navi. Poco poi volle ricominciar la battaglia, e già aveva disposte le vele per ciò fare. Ma veduto, che il Sandwich, ch'era la sua nave capitana, a mala pena pei gravi danni sofferti poteva pigliar l'abbrivo, e che anzi faceva le viste di voler affondare, avendo anche altre navi sconciamente rotte e fracassate, se ne rimase. Il conte di Guichen, fatto penna, racconciò le sue navi; poscia pose nella Guadaluppa per deporvi i suoi feriti e malati. Rodney continuò a volteggiarsi nell'alto mare, e poscia si condusse a porsi in crociata davanti il Forte Reale della Martinica, sperando di poter intraprendere l'armata francese, che credeva, fosse per venire a dar in terra a quel porto. Ma finalmente, non vedendo comparir il nemico, e conosciuta la necessità di rassettar le navi, di far acqua, di sbarcar i feriti, ed i malati, andò a dar fondo a Choc-bay nell'isola di Santa Lucia. Morirono in questo fatto degl'Inglesi da 120, e furon feriti 350. Dei Francesi morirono 221, e furon feriti 340. Rodney nel racconto, che mandò in Inghilterra, della battaglia, assai lodò l'ammiraglio francese, come capitano esperto e valoroso, aggiungendo ancora, ch'era stato acconciamente secondato da' suoi uffiziali. Nel che tacitamente rimproverò i suoi, dei quali generalmente fu scontento. L'uno e l'altro ammiraglio pretendettero la vittoria, come sempre suol accadere nelle battaglie, che hanno avuto un fine dubbio.

Guichen, racconciate le navi, e levati di nuovo i soldati dalle bande terrestri sotto la guida di Bouillé, diè un'altra volta le vele ai venti. Era il suo disegno di rimontar al vento dell'Isole passando a tramontana della Guadaluppa, e ciò fatto sbarcar le genti a Gros-Islet nell'isola di Santa Lucia. Avuto Rodney avviso della cosa, si pose anch'esso in mare, andando in cerca del nemico. Sboccava dal canale di Santa Lucia, quando Guichen radeva l'estreme spiagge della Martinica verso la punta delle Saline. L'ammiraglio francese, veduta l'armata inglese, si levò dal pensiero di assaltar Santa Lucia. Prese poi molto accortamente la risoluzione di astenersi dal venir a battaglia, quantunque avesse ciò in poter suo di fare agevolmente, godendo il sopravvento. Ma prima voleva quei vantaggi ottenere, che la natura di quei mari, e la qualità del vento gli offerivano. Per la qual cosa andava muovendosi di modo, che conservar potesse il sopravvento, e tirasse gl'Inglesi al vento della Martinica. Imperciocchè in tal caso, vinto, avrebbe potuto ripararsi nei porti di quest'isola, vincitore, non avrebbe il nemico disfatto trovato rifugio. L'Inglese andava via via approssimandosi, ed ogni sforzo faceva per riuscir a sopravvento. Avevano le due armate ricevuto ciascuna un rinforzo di una grossa nave d'alto bordo, la francese del Delfino reale, l'inglese del Trionfo. In questi volteggiamenti, nei quali i due ammiragli diedero pruove di non ordinaria perizia nelle cose marinaresche, si consumarono parecchi giorni, senza che l'Inglese potesse venir a capo dell'intento suo. I Francesi, essendo le navi loro più veloci, a fine di adescar gl'Inglesi colla speranza di una vicina battaglia, e tirargli, come si è detto, vieppiù al vento della Martinica, spesso si lasciavano avvicinare; poscia tutto ad un tratto, collate tutte le vele, si allontanavano. Questo giuoco continuò buon tempo con prospero successo; ma infine poco mancò, non impacciasse i Francesi in una generale battaglia, la quale stata sarebbe ad essi molto pericolosa, non essendo, siccome quelli, che tuttavia la volevano evitare, in ordinanza accomodata per combatterla. Erasi, dopo varie folate, il vento volto ad ostro. La qual cosa vedutasi da Rodney, che stava vigilantissimo, fece improvvisamente voltare le prue alle sue navi, e, correndo per converso a forza di vele, cercava di mettersi sopravvento al nemico per poter poi col vento prospero andargli addosso. Gli sarebbe venuto fatto il disegno, se non che il vento inclinatosi in quel forte punto subitamente a scirocco, diè facoltà all'ammiraglio francese di rivoltar ancor esso i bordi; per mezzo della qual mossa e fronteggiò l'inimico, e l'impedì che non riuscisse a sopravvento. Di nuovo si tirò indietro per non combattere. Ma essendo per l'ultime mosse accostatesi l'una all'altra le due armate, quanto pativa il tiro delle artiglierie, e spingendosi avanti gl'Inglesi velocemente colla vanguardia loro, si attaccò tra questa, e la dietroguardia francese la battaglia, inclinando già il sole all'orizzonte, il giorno dei quindeci maggio. Le prime navi della vanguardia inglese, e più di tutte l'Albione, le quali erano alle mani sole contro tutta la dietroguardia francese, ricevettero infinito danno. Arrivarono intanto le altre. Ma i Francesi più destri al veleggiare si allontanarono. Questo fu il secondo incontro tra l'ammiraglio Rodney, ed il conte Guichen. Conservarono i Francesi il sopravvento. Continuarono le due armate pei tre seguenti giorni in veduta l'una dell'altra, muovendosi ambedue coi sovraddescritti fini. Finalmente la mattina dei 19 maggio, trovandosi già gl'Inglesi inoltrati al vento della Martinica per ben quaranta leghe, ed a quattro o cinque a libeccio dei Francesi, il conte di Guichen si determinò ad aspettar la battaglia, ed a questo fine assicurò le vele. Quando poi già si era avvicinata la vanguardia inglese buon pezzo, la francese si spiccò anch'essa e si attaccarono l'una l'altra con eguale valore. Poco dopo arrivarono le altre squadre a' luoghi loro, attelandosi i Francesi a sopravvento, gl'Inglesi a sottovento. La battaglia diventò aspra e generale, combattendo gli uni da orza, gli altri da poggia. Ma le navi francesi della vanguardia e quelle del mezzo essendosi, per combattere più manescamente, accostate più da vicino alla fila inglese, e perciò rimanendo la retroguardia buon pezzo indietro, vi era pericolo, che gl'Inglesi dopo di aver orzato, venissero, poggiando a piene vele, a caricarla. Per prevenir i mali, che da questa mossa degl'Inglesi avrebbero potuto risultare, Guichen fe' rivoltar i bordi alle sue, ed andò di nuovo a porsi in fila colla sua retroguardia. Fu questa mossa molto opportuna; e se l'ammiraglio francese non l'avesse eseguita, ne sarebbe qualche gran disastro avvenuto alla sua flotta. Imperciocchè qualche tempo dopo, ch'ella era stata condotta a fine, ecco che si scopersero nuove navi inglesi, le quali si difilavano a slascio, ed a piene vele contro la retroguardia francese. Ma però, quando esse conobbero, che già la vanguardia, e la battaglia si erano a quella raccozzate, e che tutte e tre si erano in ottima ordinanza arringate, si stettero. Allora l'ammiraglio Rodney raccolse le sue, ch'erano sparse, e di nuovo le affilò. Stettero in tal modo le due armate l'una a rimpetto dell'altra sprolungate sino alla notte, anzi sino all'indomani; ma più oltre non si mescolarono, probabilmente pei danni invero gravi, che avevano ricevuto in questo e nel precedente combattimento. Rodney, mandate le navi il Conquistatore, la Cornovaglia, ed il Boyne, che più delle altre stat'erano danneggiate, a racconciarsi a Santa Lucia, si condusse colle rimanenti a far porto nella cala di Carlisle nell'isola delle Barbade. La Cornovaglia affondò in sull'entrar del carenaggio. Guichen nel medesimo tempo ammainò le vele nel Forte Reale della Martinica. Perdettero gli Inglesi in questi due ultimi incontri da 68 morti, e da 300 feriti. I Francesi 158 morti, e meglio di 800 feriti. Tra i morti noverarono il figliuolo stesso di Guichen, e molti uffiziali di conto. Anche gl'Inglesi ebbero a lamentar la morte di alcuni uffiziali assai riputati. Questo fine ebbero le tre battaglie combattute tra i Francesi, e gl'Inglesi nelle Antille, nelle quali, se a un di presso uguali erano le forze dalle due parti, furono anche uguali la industria ed il valore. Nel che si può far considerazione, quanta efficacia abbiano nel destino delle battaglie, e nel preservar le nazioni da fatali rotte l'arte e l'ingegno dei capitani. Perocchè egli è evidente, che se nei tre combattimenti, che abbiamo testè raccontato, o nel lungo fronteggiare, che fecero l'uno e l'altro per lo spazio di molti dì, i due nemici ammiragli avessero sfallito in un sol punto, ne seguiva la rotta e la rovina dell'armata.

Se sin qui erano state in bilico le forze francesi ed inglesi nelle Antille, bene non tardarono molto le prime a diventar d'assai superiori per l'accostamento di un'armata spagnuola poco dopo in quei mari sopraggiunta. Erasi la Spagna posta in grandissimo desiderio d'acquistar l'Isola Giamaica, ed i Francesi dall'altro canto bramavano d'impadronirsi delle altre isole, che tuttavia erano in poter del nemico. Le quali cose se si fossero potute ottenere, era del tutto posto fine alla signoria inglese nelle Antille. Per queste cagioni era partito verso mezzo aprile da Cadice Don Giuseppe Solano con dodici navi d'alto bordo, e parecchie fregate. Scortavano queste meglio di ottanta navi da carico, che portavano undicimila buoni fanti spagnuoli con una quantità grandissima di artiglierie e di munizioni da guerra; fiorito, e formidabile apparecchio, e molto capace invero a servir ai fini, che i confederati, e principalmente la Spagna si proponevano. Già viaggiavano felicemente per l'Atlantico, dirizzando il corso loro al Forte Reale della Martinica. Quivi si doveva fare la massa generale con tulle le forze francesi. Stavasi Rodney tuttavia nella cala di Carlisle, attendendo a riposare, ed a curare i suoi, a far acqua e munizioni, ed a racconciar le fracassate navi. Non aveva egli nissun sospetto di quella piena, che gli veniva addosso. Ma il capitano Mann, che si volteggiava in crociata per l'Atlantico colla fregata il Cerbero, incontrossi tra via colla conserva spagnuola; e conosciuta la cosa di quell'importanza ch'era, pigliando la carica sopra di sè, che il suo ammiraglio sentirebbe tutto in bene, scostandosi dalle commessioni che aveva, veleggiò rattamente alla volta delle Antille per recar l'avviso a Rodney. Avuta Rodney questa novella, troncato ogni indugio, salpava per andar all'incontro della flotta spagnuola, confidentissimo della vittoria, se avesse potuto venirle sopra prima del congiungimento di lei colla francese; e siccome sospettava di ciò, ch'era veramente, cioè, che quella s'avviasse alla Martinica, così l'aspettava per combatterla in sulla via solita a tenersi dalle navi, che verso la medesima isola sono in cammino. Era molto bene considerato il suo disegno; ma la prudenza e precauzione dell'ammiraglio spagnuolo glielo ruppe. Dubitandosi questi di non so che, quantunque niuna cosa avesse spirato dello attendere degl'Inglesi, e del pericolo che gli soprastava, invece di andar per la diritta via verso il porto del Forte Reale della Martinica, torceva il cammino a diritta verso tramontana, indirizzando il corso delle sue navi più in su verso l'Isola Domenica, e la Guadaluppa. Quando poi già era vicino a queste arrivato, si fermò, mandando per mezzo di una fregata molto veloce dicendo a Guichen, venisse a congiungersi seco. Uscì il francese con diciotto vascelli, ed essendo informato, che gl'Inglesi si volteggiavano a sopravvento delle Antille, egli per ischivar l'incontro loro navigò a sottovento delle medesime, e fu sì cauto e prospero il suo viaggio, che le due armate si congiunsero insieme tra la Domenica e la Guadaluppa. Certamente, se tutte queste forze, le quali assai superavano quelle di Rodney, avessero potuto conservarsi intiere, o che i confederati si fossero tra di loro meglio accordati, si sarebbe ottenuto il fine, che si erano proposto, di distruggere affatto la potenza britannica nell'Isole occidentali. Ma prima di ogni cosa queste forze portavano dentro di sè medesime i semi della propria distruzione. Era nata in mezzo ai soldati spagnuoli tra per la lunghezza del viaggio, la carestia delle fresche vettovaglie, il cambiamento del clima, e la immondizia loro una febbre pestilente, che, con incredibile celerità propagatasi, molti già aveva tolti di vita, e tuttavia toglieva. Oltre i morti nel tragitto, eransi sbarcati dodici centinaia di malati alla Domenica, ed altrettanti, e forse più alla Guadaluppa ed alla Martinica. Nè perchè il clima di quelle isole fosse sano, o perchè si somministrassero loro nuovi alimenti, rimetteva il male della sua ferocia. Ogni dì molti valorosi soldati passavano da questa all'altra vita. La contagiosa influenza si appiccò anche ai Francesi, e molto fra i medesimi infuriava, sebbene non tanto, quanto fra gli Spagnuoli. Da quest'inopinato, disordine ne nacque, che i confederati non solo grandemente rimetterono dell'ardire loro all'intraprendere, ma anche una gran parte degl'instromenti a ciò fare venner loro meno. S'aggiunse a questo, che gli Spagnuoli avrebbero voluto far prima l'impresa della Giamaica, i Francesi quella di Santa Lucia, e delle altre vicine isole. Il che fu causa, che non si tentò nè l'una, nè l'altra. In queste circostanze tanto da quelle diverse, che gli alleati si erano poco prima alla immaginazione loro rappresentate, imbarcarono di nuovo le poco sane genti, e procedevano di conserva verso le isole disottane. Guichen accompagnò gli Spagnuoli sino nelle acque di San Domingo, donde, lasciatigli andare al viaggio loro, pose al Capo francese. Quivi si congiunse colla flotta di Lamotte-Piquet, che colà stanziava per la protezione del commercio. Gli Spagnuoli procedettero, ed andarono ad afferrare all'Avanna. Rodney intanto, avute le novelle della congiunzione delle due flotte nemiche, andò a porsi a Gros-islet in Santa Lucia. Quando poi ebbe inteso, che i nemici erano partiti dalla Martinica, avendo ricevuto dall'Inghilterra un rinforzo di vascelli e di soldati guidati dal comandante Walsingham, ne mandò un buon polso alla Giamaica per assicurarla contro gli assalti dei confederati. Coi restanti se ne rimase a Santa Lucia per osservar il nemico, e proteggere le isole vicine. In questa maniera si terminarono le speranze, che sì verdi concette si erano in Francia ed in Ispagna intorno le conquiste da farsi nelle Antille inglesi; colpa parte della fortuna, e parte della diversità e della disgiunzione degl'interessi, che prevalgono per l'ordinario nelle menti dei confederati, i quali concorrere uniti al medesimo fine non vogliono, e discordi non possono.

Dopo le cose, che fin qui abbiamo raccontate, succedè per qualche tempo nelle Antille come quasi una generale tregua da ambe le parti. Ma se era cessata la rabbia degli uomini, sottentrò quell'assai più tremenda degli elementi. Era giunto il presente anno al mese d'ottobre, e godevansi gli Antillesi l'inaspettata cessazione dell'armi, e quella securità, che sì poco avevano sperato, quando i mari e le spiagge loro furono afflitte da una sì spaventevole tempesta, che pochi, o nissun esempio si trovano di altrettanto furore nei ricordi delle cose marinaresche, sì pieni peraltro di orribili disastri, e di compassionevoli naufragi. E quantunque questo terribile flagello di Dio abbia, dove più, dove meno disertato tutte le Antille, in nissuna però tanto infuriò, quanto nella fiorita isola delle Barbade. Incominciò a menare la non descrivibile tempesta la mattina dei dieci, e continuò ferocissimamente per ben quarantotto ore. Le navi, che sicure stavano nel porto, furon tosto strappate dalle ancore, e nell'alto e tempestoso mare sospinte. Correvanvi un vicinissimo pericolo di naufragio. Non meno degna di compassione si trovò la condizione di coloro, che rimasero in terra. Imperciocchè la notte, che seguì, crescendo vieppiù la violenza della bufera, le case diroccavano, gli alberi si diradicavano, gli uomini e le bestie erano arrandellati qua e là, e pesti miserabilmente. La capitale stessa dell'isola fu pressochè uguagliata al suolo. La magione del governatore molto forte, conciossiachè avesse le mura grosse ben tre piedi, era scossa fin dalle fondamenta, e faceva le viste di voler crollare. Di dentro abbarravano le porte, e le finestre, ed ogni sforzo facevano per resistere a tanto stravolgimento del cielo. Tutto fu nulla. Superò il dragone irreparabile; schiantò dai gangheri e dagli arpioni le porte e le imposte; le mura stesse diroccava. Il governatore colla sua famiglia si rifuggiva nelle sotterranee volte. Ma da questo cercato asilo contro il vento lo cacciava tosto l'acqua, la quale cadendo dal cielo dirottissimamente inondò, e, quasi un secondo diluvio, sopraffece ogni cosa. Uscivano allora all'aperta campagna, dove con incredibile stento e pericolo si ricoverarono dietro un mastio, sopra il quale era rizzata la stacca della bandiera; ma questo ancora traballando alla furia del trabocchevole vento, temendo di essere stiacciati da cadenti massi, un'altra volta si allargarono nei campi. Fortuna, che non si sbrancarono, perciocchè separati e privi l'un l'altro dell'aiuto dei compagni, tutti ne sarebbero stati morti. Pure aggirati dal remolino tornavano qua e là, e s'avvoltolavano nel fango e nella mota. Infine stanchi, fracidi e trafelati si ripararono ad una batteria, e dietro i carretti dei grossi cannoni si appiattarono, miserabile e poco sicuro asilo; imperciocchè anche questi erano violentemente scossi e traportati dalla procella. Le altre case della città, siccome più deboli, essendo state prima di quella del governatore rovinate, andavano gli abitatori vagando qua e là in quella tristissima notte senza asilo e senza ristoro. Molti perirono sotto i rottami delle case loro; altri annegarono nelle sopravanzanti acque: parecchj affogarono nella mota. Le tenebre spessissime, il frequente folgoreggiar del cielo, i tuoni spaventevoli, il fischiare orribile del vento, lo stridore della cadente pioggia, le grida miserabili dei morenti, le lamentazioni compassionevoli di coloro, che disperati erano al non potergli soccorrere, il pianto e gli urli delle donne e dei fanciulli facevano di modo, ch'e' pareva venuto il finimondo. Ma all'aprirsi del dì si discopriva agli occhi dei sopravviventi uno spettacolo da essere piuttosto raffigurato dalla spaventata immaginazione, che descritto da una mente non percossa da tanta calamità. Quella testè sì ricca, sì fiorita, sì ridente isola pareva ora ad un tratto trasformata essere in una di quelle polari regioni, dove per l'aspetto sinistro del sole regna un eternale inverno. Case nissune in piè, o rovine traballanti; alberi diradicati; cadaveri umani sparsi qua e là; niun bestiame vivente; la sopraffaccia stessa della terra non pareva più quella. Non che fossero distrutte le promettenti messi e le copiose ricolte; i giardini medesimi, sì dilettevole ornamento, ed i campi, sì lieta speranza dei mortali, non erano più: o arena, o fango, o pozze dappertutto; i partevoli termini distrutti; i fossi scassati; le strade sprofondate. Sommò il numero dei morti a parecchie migliaia. Questo si sa; ma quanto sia stato per l'appunto, è incerto. Imperciocchè oltre di quelli, ai quali furon sepoltura le rovine delle case loro, non pochi furono agguindolati dal crudel girone fin dentro il mare, altri sguizzati via da novissimi, e non mai più veduti torrenti, e fiumi, o dall'onde marine strascinati, le quali, oltrepassato il solito confine, dilagato avevano, e spazzato molto indentro le terre. Tanta fu la gagliardia del vento, che un cannone, che buttava dodici libbre di palla, ne fu trasportato, se si dee prestar fede ai documenti più solenni, da una batteria all'altra, lontana bene a trecento passi. Quello poi, ch'era avanzato al furor della tempesta, diventò preda in parte della rabbia degli uomini. Rotte le prigioni saltaron fuori in quella fatal notte i ribaldi, i quali in un coi Neri poco curando, come gente disperata, la rabbia del cielo, tutto avevan messo a sacco ed a ruba. E forse ne sarebbe stata tutta l'isola condotta ad un totale sterminio, ed i Bianchi tratti a morte, se non era, che vi si trovò a quel tempo il generale Vaughan con una grossa schiera di stanziali, i quali colla disciplina e virtù loro la scamparono. E tanto fecero, che cansarono una grossa quantità di munizioni da bocca, senza di che era da temersi che gl'isolani testè liberati dal flagello della tempesta non soggiacessero a quello non men orribile della fame. E non è da passarsi sotto silenzio da un candido amatore della verità, e delle opere gentili, che i prigionieri di guerra spagnuoli, che non eran pochi in quel dì nella Barbada sotto la condotta di Don Pedro San Jago, capitano del reggimento d'Aragona, fecero tutte quelle parti, che a ben nati e civili uomini si convenivano. Posti tra quel violento scroscio in balìa loro, non che si valessero dell'opportunità offerta per commettere qualche atto inimichevole, niuna cosa lasciarono intentata, nè a fatica, nè a pericolo alcuno si ristettero per aiutare i miseri Barbadesi. Nel che la cooperazione loro non riuscì di poca utilità. Le altre isole sì francesi, che inglesi furono poco meno di quella della Barbada devastate. Ma nella Giamaica all'impeto della tempesta si coniunse un orribile tremoto, ed inoltre il mare gonfiò sì fattamente, che tutte le case, ed i campi, sin molto addentro nell'isola, ne furono totalmente desertati. Ma stantechè il vento era da levante, gli effetti del temporale furono maggiori sulle spiagge occidentali della medesima, particolarmente nei distretti di Westmoreland, e di Hannover. Accadde in ispecialità, che mentre gli abitanti di Savanna-La-Mer, ricca e grossa Terra nel Westmoreland, stavano stupefatti osservando l'inusitato gonfiamento del mare, lo sterminato cavallone arrivò loro addosso, e tutto, uomini, bestie, case portò seco a perdizione. Non rimase vestigio veruno di quella infelice Terra. Più di trecento persone furono inghiottite dalle onde. I fertili campi rimasero largamente coperti d'infecond'arena. Le più opulenti famiglie furono ad un tratto ridotte alla più strema miseria. E se oltre ogni dire degna di compassione fu la condizione di coloro, i quali in terra abitavano, non fu migliore quella degli altri, che si trovarono in sull'acque. Imperciocchè delle navi, che gli portavano, alcune andarono a traverso negli scogli, altre furono ingoiate dal furibondo mare, ed altre a grande stento se ne tornarono lacere e fracassate nei porti. A queste fatali strette si trovarono non solo quelle, che viaggiavano, ma ancora quelle, ch'erano sorte nei porti anche i più sicuri, le quali o ruppero dentro i medesimi, o furono cacciate di forza nel mare sì straordinariamente fiottoso. Tra le altre il Fulminatore di 74 cannoni affondò anime e beni. Parecchie fregate o naufragaron del tutto, od in tal modo furono scassinate, ch'era difficil cosa diventata il racconciarle. Perirono in tutto per gli effetti di questa procella di navi inglesi un vascello di 74, due di 64, uno di 50, con sette in otto fregate. In mezzo a tanti, e sì gravi disastri, e ad un quasi totale disfacimento della natura, recò qualche conforto la umanità del marchese di Bouillé. Erangli venuti nelle mani alcuni marinari inglesi, miserabili reliquie delle ciurme delle navi il Lauro, e l'Andromeda, che rotte si erano sulle spiagge della Martinica. Gli rimandò franchi e liberi a Santa Lucia, mandando, non voler ritenere prigioni coloro, i quali erano stati alle prese cogli arrabbiati elementi, e dall'impeto loro scampati. Aggiunse, sperare, avrebbero gl'Inglesi i medesimi termini usato verso di quei Francesi, che l'inesorabile fortuna avesse gettato in poter loro. Ricordò, increscergli, gl'Inglesi cattivi esser così pochi, e nissun fra gli uffiziali essersi salvato. Conchiuse con dire, che siccome era stata comune ed universale la calamità, così anche dover esser comuni ed universali la umanità e la benevolenza. I mercatanti di Kindston, città capitale della Giamaica, con mirabil esempio di bontà cittadina tosto si obbligarono a somministrare un aiuto di diecimila lire di sterlini ai sofferitori. Il Parlamento, udito il fortunoso caso, quantunque a quei dì tanto fosse pressato dalle spese della guerra, decretò si donassero ai Barbadesi ottantamila lire di sterlini, ed a quei della Giamaica quarantamila. Nè i doni si ristettero alla munificenza pubblica; che anzi molti privati cittadini vollero soccorrere della propria pecunia gli abitanti delle Antille. Il navilio di Guichen, e quello di Rodney schivarono la burrasca, perchè il primo già era partito nel mese d'agosto per alla volta dell'Europa con quattordici vascelli di tre palchi, convogliando una ricca e numerosa conserva di navi mercantili. Il secondo, e per questa stessa partenza di Guichen, non sapendo, dove questi s'inviasse, e perchè quelle genti spagnuole sbarcate all'Avanna gli davano non poco sospetto, mandate, come abbiamo detto, alcune navi a proteggere la Giamaica, si era posto in via poco tempo dopo colle rimanenti per alla Nuova-Jork. Ma però in America, prima ch'egli vi arrivasse, anzi prima che partisse dalle Antille, v'era intervenuto un maraviglioso rivolgimento nelle pubbliche cose, siccome da noi sarà in conveniente luogo raccontato.

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