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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V
Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V

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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V

Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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Erano preti, laici, nobili, plebei, poveri per fortuna, poveri per esiglio; nè volevano dare od avere perdono. Mantoné diè loro in guardia il quartiere di Castel nuovo. Poi detto al principe di Roccaromana, che si dimostrava molto dedito al nuovo governo, creasse un reggimento di cavalli nei contorni di Napoli, egli il faceva.

Partiva Mantoné da Napoli, non senza esimio apparato per impressionar quel popolo, di cui l'immaginare è tanto forte. Era la contrada di Toledo, per dove le partenti truppe passavano, tutta parata in addobbo: la guardia nazionale a piedi schieratasi in fila, quella a cavallo sulla piazza, i regolari rimpetto a Castel nuovo. Seguitavano i prigionieri fatti nella conquista di Castellamare, che preso ai tempi precedenti per una fazione improvvisa dai regj, e dagl'Inglesi, era stato con mirabile prontezza ripreso da Macdonald. Si vedevano le insegne polverose e lacere dagli stromenti di guerra, che ai dì più felici per loro avevano i cattivi portate: suonavano a festa le trombe, suonavano i tamburi. I prigioni con le mani legate al dorso, aspettavano pallidi e tremanti la morte. Le bandiere si gettavano a piè dell'albero della libertà: i prigioni condotti a quel tronco, si apprestavano all'ultimo momento; la lugubre scena muoveva i cuori a compassione; aspettavasi ognuno vedere balzar a terra le teste tronche, quand'ecco un gridarsi grazia da ogni lato: soldati e cittadini ugualmente nel pietoso grido si accendevano. Gli scampati da morte certa, a vita certa risorti, ringraziavano con atti di gratitudine le accolte turbe, baciando l'albero, e viva la libertà gridando. Incontanente da compassionevoli e pie donne fu fatta questua, acciocchè coloro, cui la benignità dei repubblicani aveva salvato, potessero ritornare, come loro fosse a grado, alle patrie loro. L'atto umano pareva promettere dolce destino alla repubblica, perchè la pietà abbellisce i pensieri dell'uomo, e dà speranza, perchè sa di meritar premio. Restava, che, com'era il disegno, si ardessero le insegne regie, ma i democrati impazienti le laceravano a gara, e diedero i pezzi in mano a ciascun soldato: i soldati gli appendevano alle punte delle bajonette, gridando tutto all'intorno in quel mentre infinite voci, muojano i tiranni, viva la repubblica!

Mantoné, condotte le repubblicane squadre alla campagna, sbaragliava e fugava facilmente i corridori dell'esercito regio; ma quando più oltre si fu spinto, si accorse, che per lui, nè pe' suoi altro scampo non restava, se non quello di tornarsene prestamente là, dond'era venuto. Il suo ritorno in Napoli costernava le genti: per ultima speranza aspettavano quello che fosse per partorire il valore di Schipani; ma ebbero tosto le novelle, ch'egli, che per aver udito la ritirata di Mantoné, si era condotto alla torre dell'Annunziata, combattuto quivi aspramente dai Russi, dai regj, e da una parte de' suoi soldati medesimi mutatisi a favore del re, era stato preso, dopo di aver veduto lo sterminio quasi intiero de' suoi compagni. Sentissi a questo momento ancora, che Roccaromana aveva bene levato ed ordinato, siccome dal ministro ne aveva avuto il carico, il reggimento di cavalli, ma che invece di farlo correre in ajuto dei repubblicani, l'aveva condotto al cardinale, dal quale aveva avuto le grate accoglienze. Il precipizio era evidente: tolta tutta la campagna, ed insultando già da ogni parte le genti del cardinale vincitore, tutta la difesa della repubblica, e di tanti uomini che avevano seguitato la sua fortuna, era ridotta nella sola città di Napoli, non sicura, nè per concordia di cittadini, nè per nervo di soldati. Non si trattava più di vincere, ma solo di conseguir patti, onde, sfuggita la morte, si acquistasse facoltà di andar esulando per terre inconsuete e lontane. Decretava il direttorio, essere la patria in pericolo. Ritiravasi col corpo legislativo ai castelli Nuovo, e dell'Uovo: quel di Sant'Elmo più forte, e che dominava Napoli, era in mano del presidio Francese lasciatovi da Macdonald: un terrore senza pari occupava le menti. La legione Calabra sola non si spaventava, perchè dal vivere al morire, purchè si vendicasse, non faceva differenza. Parte stanziava in Napoli, parte presidiava il castello di Viviena, per cui Ruffo doveva passare per venir a dar l'assalto alla città dal lato del ponte della Maddalena. Si risolvevano i repubblicani a morire da uomini forti: Spartani volevano essere, e Spartani furono: ma gli Spartani avevano uno stato ed una patria, essi non avevano più nè l'una ne l'altra. Perciò perirono senza frutto, in ciò molto più da ammirarsi, che gli Spartani non furono, perchè erano sicuri, che quell'invitta virtù non solamente non sarebbe proseguita con laude nel paese loro, ma ancora vi avrebbe incontrato il biasimo. Udissi tutt'ad un tratto nella spaventata Napoli un romore, come di tuono; tremò la terra; pure il Vesuvio non buttava: veniva dal forte di Viviena. Lo aveva il cardinale con tutte le sue forze assaltato: vi si difenderono i Calabresi, non come uomini, ma come lioni. Pure i regj, combattendolo da tutte parti con le artiglierìe, l'avevano smantellato, e non una, ma più brecce, e piuttosto una ruina di tutte le mura apriva l'adito ai vincitori. Entraronvi a forza ed a furia: gente disperata ammazzava gente disperata, nè solo i vinti perivano. Nissuno s'arrendè, tutti furono morti: date, a chi gli uccideva, innumerevoli morti. Restavano una mano di pochi: la rabbia gli trasportava; feriti ferivano, minacciati ferivano, ammoniti dello arrendersi ferivano. Pure l'estrema ora giungeva. Anteponendo la morte di soldato alla morte di reo, nè sofferendo loro l'animo di venir in forza di coloro, che con tanta rabbia abborrivano, un Antonio Toscano, che gli comandava, e che già stava con mal di morte per le ferite e pel sangue sparso, strascinossi a stento, e carpone al magazzino delle polveri, e con uno stoppaccio acceso postovi fuoco, mandò vincitori, vinti, e rovinate mura all'aria: atto veramente mirabile, e degno d'eterna memoria nei secoli. Tutti perirono; questa fu la cagione del tuono, e dello spavento di Napoli. Ruffo, espeditosi dall'intoppo del forte, passava, e si accingeva a dar l'assalto alla capitale da tre bande, al ponte della Maddalena, al canto di Forìa, ed a Capodimonte; ma il principale sforzo era alla Maddalena. I repubblicani carcerarono come ostaggi alcuni sospetti, e condussero in castel Nuovo, ed in Castel dell'Uovo un fratello del cardinale, ed i parenti degli ufficiali dell'esercito regio. Passarono per le armi i fratelli Bacher con quattro lazzaroni mescolati in congiure. Poi partiti in tre schiere se ne givano contro Ruffo. Writz gli conduceva alla Maddalena, Bassetta a Forìa, Serra a Capodimonte. Caracciolo con le navi sottili accostatosi al lido, batteva di fianco le genti del re. Animavansi con vicendevoli conforti l'un l'altro: quella essere l'ultima fatica loro, o morte, o vittoria; dover lasciare un testimonio al mondo di quanto possa la virtù, che vuole la libertà; vita di servi non esser vita; non esser morte lo scampare dalla servitù; e se dai fati contrarj era fisso, che l'opera loro non potesse più giovare alla libertà ed alla patria, gioverebbe almeno la memoria. Con queste voci diedero dentro ai regj: sorse una furiosissima zuffa alla Maddalena: repubblicani e regj eleggevano piuttosto il morire, che il cedere. Dalla parte dei primi Luigi Serio, vecchio di sessant'anni, combattendo nella prima fronte con un suo nipote, e con una gioventù indomita, che animava con l'esempio e coi conforti, fu morto, e con lui il nipote ed i giovani. Writz, Svizzero, valorosamente travagliandosi con tutte le sue forze in pro dell'adottiva patria, ora qual generale comandando, ed ora qual soldato combattendo, faceva dubbia la vittoria. Finalmente ferito di piaga mortale, e portato in castel Nuovo, quivi mandava fuori l'ultimo spirito.

I repubblicani, massimamente quei Calabresi inferociti, non punto sbigottitisi alla morte del loro prode e fedele capitano, continuavano a menar le mani, ed a tener lontani dalle dilette mura le genti regie. Dal canto loro Bassetta e Serra ottimamente facevano il debito loro. Non inclinava ancora la sorte da alcun lato, perchè prevalevano i repubblicani di rabbia, ed avevano il vantaggio del luogo: i regj sopravanzavano di numero, e di truppe regolari. Mentre così stava dubbia la lance, ecco sorgere grida di viva il re alle spalle dei democrati. Erano una moltitudine di lazzaroni, che stimolati dai partigiani del governo regio, si levarono a romore. Rivoltaronsi addosso a loro i repubblicani, e gli ammazzarono tutti. Ma Ruffo, usando l'occasione che gli si era aperta, perchè i nemici assaliti alle terga avevano rimesso dalle difese, entrava per viva forza, ed inondava la città, solo a lui contrastando quei Calabresi indomabili. Quivi il raccontare le cose che seguirono, parrà certamente impossibile, se si farà a considerare quella rabbia immensa, le ingiurie fatte, il sangue sparso, il sangue caldo, la natura estrema di quei popoli, l'immanità della più parte dei combattenti, da nissuna civiltà temperata. Primieramente, il castello del Carmine, che domandava i patti, fu preso per assalto, e tutto il presidio senza pietà passato a fil di spada. Carnificina più grande e più orribile si faceva per le contrade. Vi si uccidevano gli uomini a caccia per diletto, come se fossero stati fiere; nè età, nè sesso, nè condizione, nè grado si risparmiavano. Uccidevansi i repubblicani per odio pubblico, i non repubblicani per odio privato; nè quei carnefici si contentavano di uccidere, che ancora volevano tormentare. Varj erano i generi delle morti: il ricco ammazzato sugli atrj de' suoi palazzi, il povero sulle scalee, e sulle porte delle chiese: chi era lacerato, vivente ancora, a brani a brani, chi strangolato, chi arso. Ardevano qua e là orribili roghi, e gli uomini gettati a furia dentro, vi si abbruciavano. Godevano i barbari, a guisa di veri cannibali, e facevano le loro tresche, le loro grida, le loro danze festevoli intorno. Un prete venuto con Ruffo, si vantava di aver mangiato carni di repubblicani abbrustolite. Si spargeva voce ad arte da coloro che si dilettavano degli oltraggi e del sangue, che i repubblicani avevano sui corpi loro stampata l'immagine della libertà. Per questo, prima di uccidergli, i meno impetuosi all'ammazzare, gli spogliavano, e così spogliati in mezzo agl'improperj ed alle battiture gli conducevano per la città. Donne virtuose e pudiche, e pel grado loro ragguardevolissime, furono barbaramente e fra gli scherni di una ignobil plebe condotte a questo supplizio, in cui il manco era il dolore del corpo. Vedeva Ruffo queste cose, e non volle o non potè frenarle. Cercavano e chi era reo, e chi era innocente di repubblica, scampo a furore tanto barbaro. Chi fuggiva in abito di donna, e questo ancora nol salvava; chi fuggiva sotto cenci da lazzarone, e non si salvava. Ma quelli, a cui la fortuna aveva aperto uno scampo per le contrade, gliel toglieva per le case; conciossiachè i padroni ne gli cacciavano, sapendo, che se gli ricettassero, le case loro sarebbero saccheggiate ed incese, ed essi uccisi. Vidersi fratelli chiuder le porte ai fratelli, spose a sposi, padri a figliuoli. Fuvvi un padre, il quale per dimostrare il suo amore pel re, scoperse, e diè in mano il proprio figliuolo alla furibonda plebe, comperando in tal modo la salute propria col sangue della sua creatura. Risospinti dalle case i miseri perseguitati si nascondevano nelle fogne, donde di notte tempo e di soppiatto uscivano, cacciati dalla fame e dalla puzza. Se ne accorsero i lazzaroni; si mettevano in agguato alle bocche, come se aspettassero fiere al varco, e quanti uscivano, tanti ammazzavano. Felice chi moriva senza tormenti. Come se la ferocia di quella plebe senza freno avesse bisogno di maggiore stimolo, le si fe' credere, che i repubblicani avessero risoluto d'impiccare, se avessero potuto, la sera del giorno precedente tutti i lazzaroni. Fu olio a fiamma. Cercarono diligentemente in tutte le case; e sfortunata quella, in cui fosse rinvenuta o corda, o spago, o simili: dicevano, essere i capestri apprestati; onde senz'altro dire tormentavano, saccheggiavano, uccidevano. Un Cristoforo macellaro, che per uso del suo mestiere aveva corde in casa, fu straziato con orribili tormenti, poi la sua testa tronca portata a dileggio di popolo sopra la punta di una bajonetta per la città: l'avevano cinta tutta di corde, e gridavano, esser miracolo di sant'Antonio (correva appunto la festa di questo santo) perchè si era dato voce, che il santo fosse stato quello, che avesse rivelato a scampo dei lazzaroni il tradimento dei capestri. Dichiararono sant'Antonio protettore di Napoli, e degradarono san Gennaro come giacobino, e protettor di giacobini. Pensi il lettore quale immagine di città fosse quella, in cui una plebe barbara correva per le contrade e per le case, mescolando gli scherni alle crudeltà, ed in cui si ardevano uomini vivi, e le carni loro si mangiavano. Qualche consolazione arreca all'animo sconfortato dal vedermi un volto simile a quello di queste fiere, il pensare che atti generosi sorsero in mezzo a tale desolazione; perchè non mancarono padroni di casa che a pericolo degli averi e delle persone loro scamparono da morte le vittime destinate. Durò lo stato orribile due giorni. Infine si risolvè il cardinale, o perchè la umanità finalmente il movesse, o perchè volesse attendere all'assedio del castelli, fazione impossibile a tentarsi in tanto scompiglio, a frenare il furore dei suoi; Napoli atterrita per le morti, diventò lagrimosa pei morti.

Restavano ad espugnarsi i castelli, a questa espugnazione applicò l'animo il cardinale, piantò una batterìa nella contrada di Toledo per battere i repubblicani, che avevano un alloggiamento a San Ferdinando, una all'Immacolata per battere castel Nuovo, ed una terza alla punta di Posilippo per battere quel dell'Uovo, che sebbene sia poco altro che una vecchia casa a guisa di fortezza, è di gran momento pel suo sito; perciocchè chi ne è padrone può battere con vantaggio, ed impadronirsi di castel Nuovo. Veduto il pericolo, i repubblicani che erano dentro a castel dell'Uovo si accordavano con quelli di castel Nuovo, e di Sant'Elmo per fare tutti uniti una fazione notturna contro la batterìa di Posilippo. Accozzavansi le due colonne uscite da castel Nuovo e da castel dell'Uovo, ma quando giunsero alla strada che salendo mette a Sant'Elmo, scambiarono in mezzo all'oscurità della notte per nemici quella dei loro compagni, che scendeva della fortezza. Si diè mano da ambe le parti al trarre, furonvi parecchi morti di qualità dalle due bande: ciò fu cagione di molto spavento. Finalmente riconosciutisi gli amici con gli amici, e riunitisi, e ripreso animo, se ne andarono con incredibile audacia alla fazione. Tanto fu l'ardire e la prestezza loro, che uccise le guardie, e sopraggiungendo improvvisi alla batterìa, la presero, arsero i carretti, chiodarono i cannoni, e tornarono sani e salvi ad incastellarsi. Le truppe di Ruffo sorprese, e spaventate a sì inopinato accidente, si davano alla fuga; già il cardinale aveva messo all'ordine i carri, e la sua carrozza stessa per andarsene. Ma accortosi della pochezza del nemico, e che i repubblicani già si erano riparati ai castelli, se ne rimase, continuando nell'opera dell'espugnazione. Dalla parte loro i repubblicani conobbero, che stante il numero soprabbondante dei nemici che gli combattevano, e le popolazioni contrarie, niuna speranza rimaneva loro della vittoria. Perciò consultarono fra di loro, se dovessero tentar la fuga con aprirsi con le armi in mano il varco fra i nemici. Un Renzi, vecchio ufficiale di molto valore, e il principe de Gennaro altro ufficiale di gran cuore, che s'apparteneva ancor esso alla truppa assoldata, opinava pel tentativo. Una contraria sentenza manifestarono altri, o meno confidenti nella impresa loro, o più nella clemenza del vincitore. Con questi assentiva massimamente Ignazio Ciaja, che solito ad abbellire colla innocente e placida fantasia tutte le umane cose, abbelliva ancora quell'estrema sventura. A costoro non sofferiva l'animo il lasciar fra le mani di un nemico crudele i vecchi, le donne, ed i fanciulli, che avevano in sì lagrimevol caso seguitato la fortuna loro. Prevalse la opinione di questi ultimi, nè si fece più motivo alcuno per iscampare: solo attesero, il meglio che poterono, alla difesa dei castelli, ed a star pazienti ad aspettare che cosa portassero i fati a salute od a rovina loro.

La fazione della punta di Posilippo, la ferocia dei repubblicani Calabresi, l'atto disperato del comandante di Viviena, ed il coraggio smisurato dimostrato in tutti i fatti dei democrati avevano dato molto a pensare a Ruffo: si era persuaso, che senza molto sangue, e forse senza lo sterminio di tutta la città non avrebbe potuto riuscir a fine della sua impresa. Il castel Sant'Elmo avrebbe potuto, dominando Napoli, ruinarlo da capo in fondo. Questo castello era per verità in mano dei Francesi, e particolarmente del comandante Mejean, col quale il cardinale aveva avuto qualche pratica, e sopra cui se ne viveva con molta sicurtà. Ma vi erano anche non pochi Napolitani, amatori della repubblica, i quali, uomini disperati essendo, ed in caso disperato ritrovandosi, potevano facilmente fare qualche risoluzione molto pregiudiziale a Mejean medesimo, ed alla città. Oltre a ciò avevano i repubblicani in mano loro nei castelli i prossimi congiunti del cardinale, nè poteva restar dubbio, stante la rabbia loro, e le mortali ingiurie corse fra le due parti, che nell'ultimo furore non gl'immolassero, ove l'estremo dei tempi fosse arrivato. Finalmente consideravano gli alleati, massimamente gl'Inglesi, che cooperavano alla conquista di Napoli col cardinale, che si erano ricevute novelle dell'essere uscita al mare la flotta di Brest, e comparsa allo stretto di Gibilterra, donde le era facile navigare nelle acque di Napoli, e condurre a mal partito le navi Inglesi, che stanziavano all'isola di Procida, e nel mare vicino. Considerate, e maturamente ponderate tutte queste cose, stimando, che non si convenisse mettere i repubblicani nell'ultima disperazione, si deliberarono gli alleati ad offerir loro patti, perchè i castelli e la città si conservassero salvi, e fosse rimosso il pericolo, che sovrastava al navilio d'Inghilterra. Il cardinale per mezzo del comandante di Sant'Elmo mandò dicendo ai repubblicani, che se volessero patteggiare, vi si sarebbe volentieri risoluto. Rappresentò loro Mejean quello, che era vero, cioè che oramai ogni difesa era inutile, e che migliore e più savio partito era il serbar la vita a tempi migliori per la repubblica, che il perire senza frutto per lei: accettassero i patti, esortava, che loro si venivano offerendo. I repubblicani, consultato fra di loro, inclinarono l'animo al partito più ragionevole, e risolvendosi al trattare, proposero in un modello scritto le condizioni per mezzo delle quali promettevano di lasciare castel Nuovo, e castel dell'Uovo, non potendo stipulare per Sant'Elmo, come in potestà di Francia. Parvero sulle prime al cardinale le condizioni superbe, penava al ratificarle. Infine strignendo il tempo, temendo vieppiù della vita de' suoi congiunti, e moltiplicando gli avvisi dello avvicinarsi della flotta Francese, con pari consentimento degli alleati si risolvette ad accettarle. Furono quest'esse: fossero Castelnuovo, e castel dell'Uovo dati in potere dei comandanti del re delle due Sicilie, e dei suoi alleati il re d'Inghilterra, l'imperatore di tutte le Russie, e la Porta Ottomana, e così parimente ad essi fossero consegnate le munizioni da guerra e da bocca con le artiglierìe, ed altri arnesi, che si trovassero nei forti; uscisse il presidio onorevolmente a modo di guerra; le persone e le proprietà, sì mobili che stabili, di ognuno che si appartenesse ai due presidj, si serbassero salve ed inviolate; potessero le persone medesime ad elezione loro imbarcarsi sopra bastimenti di tregua, che loro sarebbero forniti, per essere trasportate a Tolone, o potessero ancora rimanersi in Napoli, dove nè esse nè le famiglie loro potessero a modo niuno essere molestate; le medesime condizioni fossero, e s'intendessero concedute a tutti coloro fra i repubblicani che nelle battaglie succedute fra loro, e le truppe del re, o de' suoi alleati fossero stati fatti prigionieri; l'arcivescovo di Salerno, i cavalieri Micheroux e Dillon, ed il vescovo d'Avellino ditenuti nei castelli, si consegnassero al comandante di Sant'Elmo, e vi restassero come ostaggi, insino a tanto che si avessero le novelle certe dell'essere i repubblicani arrivati a Tolone; tutti gli altri ostaggi o prigioni per ragion di stato, si rimettessero in libertà, tosto che la capitolazione fosse sottoscritta; non isgombrassero i repubblicani dai castelli, se non quando ogni cosa fosse presta all'imbarcargli. Fu la capitolazione approvata, e sottoscritta dal cardinal Ruffo in qualità di vicario generale del regno, da un Kerandy per l'imperatore di tutte le Russie, da un Bonieu per la Porta Ottomana, e da un Foote pel re d'Inghilterra. Non s'indugiò a dar mano all'esecuzione dei patti. Da una parte gli ostaggi nominati dai repubblicani si condussero in Sant'Elmo, dall'altra entrarono i regj nei due castelli. Il cardinale, a nome del re, e come vicario generale del regno di qua dal Faro, pubblicò per tutto il reame un editto, per cui perdonava ogni colpa e pena ai repubblicani, promettendo piena ed intiera salute a tutti coloro che restassero, e facoltà d'imbarcarsi per Marsiglia a tutti quelli che amassero meglio, lasciando la patria, andarsi a vivere in lontane e forestiere contrade. Mandava espressamente il trattato a Pescara, in cui tuttavia si teneva Ettore di Ruvo, affinchè cedesse la piazza a Proni, e se ne venisse con tutti i suoi a Napoli, scortato per sua sicurezza dai regj.

I repubblicani intanto s'imbarcavano. Due navi portatrici di quei di Castellamare, avendo avuto facoltà di uscire, già erano arrivate a salvamento nel porto di Marsiglia. Le altre aspettavano la facoltà medesima, e i venti prosperi. In questo punto ecco arrivare Nelson: aveva egli udito, essere la flotta Francese ricoverata ne' suoi porti; trovandosi per questo esente da timore, passato prima per Palermo, e levatone il re, il ministro Acton, Hamilton, ambasciadore d'Inghilterra, ed Emma Liona, sua donna, dico sua per non dire non sua, aveva voltato le vele verso i lidi d'Italia. Non così tosto dalla sanguinosa Napoli si scoprivano le navi d'Inghilterra, che il cardinale mandava a Nelson deputati, per informarlo delle cose fatte, e dei patti stipulati. Rispose l'ammiraglio, non doversi il trattato concluso coi ribelli mandare ad esecuzione, se prima il re non l'avesse appruovato; risposta veramente incomportabile. Certamente i repubblicani erano rei d'atroci ingiurie verso il re, ma pure avevano pattuito con coloro, che il re medesimo e l'Europa quasi tutta avevano mandato con facoltà di pattuire. Certo nel trattato nissuna riserva di ratifica era stata fatta, ma egli era finale ed assoluto. S'aggiunge, che i patti erano stati offerti dal cardinale e dai confederati, e non domandati dai repubblicani. Il non osservargli dava al fatto dell'avergli offerti, apparenza d'insidia. Di tale risoluzione fu molto dolente il cardinale, che non voleva essere disprezzatore delle sue promesse, e per fare che la fede data si osservasse, andò egli medesimo a bordo della nave dell'ammiraglio, con efficacissime parole esortandolo a consentire. Ma l'Inglese, come se temesse, che la umanità e la fede contaminassero le vittorie, non si lasciò piegare; anzi non potendo rispondere agli argomenti ed alla facondia del cardinale, scusandosi con dire che non sapeva la lingua Italiana, prese la penna, e scrisse da vittorioso la crudele sentenza. Perchè poi non resti ignoto ai posteri il quanto di vituperio sia stato mescolato in queste sanguinose rivolture, io non posso omettere dal debito di narrare, che Emma Liona era presente, quando Nelson contrastava al cardinale, ed ordinava le uccisioni. Se qualcheduno fra chi mi leggerà, sarà per dire, ch'io dico cose troppo gravi, attenda, che nè voglio, nè debbo, nè posso tacerle; perchè se i vizj si biasimano negli umili, non so perchè non si debbano biasimare nei grandi: che se i grandi pretendono che non è bene che si dicano i loro peccati, dirò, che sarebbe molto meglio, che non gli commettessero. So che la moderna adulazione trascorse tant'oltre, che si va affermando, che ogni virtù è in chi è ricco, o potente, o glorioso, ed ogni vizio in chi è il contrario: per me credo, che la verità in tutto debba aver luogo, e che più debbano pubblicamente biasimarsi i grandi quando fan male, che gli umili, perchè i vizj dei primi sono più negli occhi degli uomini, e servono d'esempio. Nelson trapassando dal detto al fatto, ed entrando nel porto con la flotta, dichiarava prigionieri i repubblicani usciti in virtù della capitolazione dai castelli, sì quelli che già si erano imbarcati, e non ancora partiti, e sì quelli che non peranco si erano riparati alle navi. Perchè poi dubbio alcuno non potessero avere del destino che gli aspettava, gli fece incatenare due a due, e riporre in fondo alle navi. Nè contento al tenergli, gli lasciava bersaglio ad ogni oltraggio, e stremava loro i viveri. Pure noveravansi fra di loro uomini, se si eccettuano le opinioni ed i fatti politici in cui consisteva la colpa loro, molto ragguardevoli per dottrina, per legnaggio, e per virtù. Bastava bene ammazzargli, senza trattargli come vili assassini di strada. A tanto di barbarie si è lasciato trasportare un ammiraglio d'Inghilterra. Furono questi portamenti di Nelson dannati da tutti gli uomini diritti e dabbene, perchè, oltrechè se non si voleva trattare coi ribelli, necessaria cosa era il dichiararlo prima, non dopo la capitolazione, sapeva l'ammiraglio, che non senza compenso ed utile sì del re, che degli alleati, e particolarmente dell'Inghilterra era stata la dedizione dei castelli, perchè per lei e furono conservati intieri i castelli, e conservata salva Napoli, e rimosso il pericolo che i Francesi, dei quali egli medesimo stava in apprensione, arrivando con l'armata loro, non conducessero a qualche mal termine le cose dei confederati. Adunque i repubblicani avevano ricompro le vite loro con la concessione di questi vantaggi, i confederati avevano consentito, ed a queste condizioni medesime, e non altrimenti erano entrati in possessione dei castelli. Brutto certamente procedere si è quello di accettare, e di usare i vantaggi stipulati in una convenzione bilaterale, e di non volerne accettare ed adempire i carichi; ma più brutto è, quando il non adempirgli importa umano sangue. Lodisi da chi vuole il vincitore di Aboukir e di Trafalgar; ma noi, a cui più piace il giusto e l'umano che l'ingiusto ed il glorioso, non possiamo non mandarlo alla posterità, se non come uomo che ruppe fede agli uomini per ammazzargli. Il re, che era sul vascello inglese il Fulminante, non sofferendogli l'animo di vedere i supplizi che si preparavano, se ne tornava in Sicilia. Rimase il campo libero a chi voleva sangue.

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