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I fantasmi: Dramma in quattro atti
I fantasmi: Dramma in quattro atti

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I fantasmi: Dramma in quattro atti

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Raimondo

E che mi giova, che mi vale la tua sincerità di ieri? Che mi vale la tua sincerità di oggi? Oggi, sì, tu dici di sentirti mia per l'eternità, ed io voglio ammettere, voglio credere, voglio credere ciecamente che oggi davvero tu non sapresti nemmeno concepire di non essere legata alla mia memoria dopo la mia morte come sei stata legata alla mia persona durante la mia vita. Ma quale lavorio, quale trasformazione compirà il tempo nel tuo cuore, nella tua mente, nella tua carne? Quale influenza eserciteranno su te le tentazioni che dovrai affrontare quando io sarò sparito?

Giulia

Non ci sono tentazioni per chi non vuole averne.

Raimondo

Tu le fuggirai, non è vero?

Giulia

Sempre, Raimondo!

Raimondo

T'inseguiranno dovunque! E anche prima d'inseguirti non ti consentiranno di metterti in fuga! Per resistere certamente alle tentazioni che ti si affolleranno intorno, dovresti essere cieca, dovresti essere sorda, dovresti non avere sensibilità di donna, dovresti non avere nervi, dovresti non avere sangue… Oh come ti vedo, sola, nella lotta funesta!.. E come già mi sembra di guardarti dal mio sepolcro! (Toccandosi il petto quasi volesse squarciarselo) Dio, che lacerazioni qui dentro! Che punture infernali!

Giulia

(disperatamente) Raimondo, fammi la grazia di strapparti questo pensiero dal cervello!

Raimondo

(gridando) Io mi venderei l'anima per poter morire con la sicurezza assoluta di non essere tradito! (Si getta affranto sulla poltrona.)

Giulia

(sedendo anche lei, abbattuta, scoraggiata, esausta) Che strazio! Che strazio!

(Un lungo silenzio.)Giuseppe

(sta per entrare dalla comune, ma s'arresta sotto l'arco della porta, chiamando, prudentemente, con poca voce:) Signora! (Pausa) (Poi un po' più forte) Signora!..

Giulia

(scuotendosi, si volta) Dite pure, Giuseppe.

Giuseppe

(entra, avanzandosi.)

Giulia

(gli si accosta.)

Giuseppe

(pianissimo) Quei due di stamattina sono tornati con i loro amici.

Giulia

(titubante e parlando ugualmente piano) Ora non so se…

Giuseppe

Dirò loro di pazientare un poco?

Giulia

Sì, Giuseppe. Pregateli di pazientare.

Giuseppe

(esce.)

Raimondo

(ha visto Giulia confabulare col servo, ma non ha colte le parole. Trasognato, le chiede:) Che voleva Giuseppe?

Giulia

… I tuoi discepoli, che, come ti ho detto, avevano espresso il desiderio di ossequiarti, sono di là e attendono una risposta.

Raimondo

(recisamente) Non li ricevo! (Breve pausa) La loro presenza in casa mia… mi avvilirebbe di più. Io ne avrei la sensazione d'una minaccia. (Con le lagrime agli occhi) Essi sono coloro che, come te, mi sopravviveranno lungamente…

Giulia

Ti adorano.

Raimondo

Che importa! Hanno nell'animo tutto l'ardore dell'età bella e rappresentano dinanzi a me il fascino e le seduzioni della giovinezza, che sarà la mia grande nemica! Appunto dalla giovinezza, Giulia, tu sarai tentata e messa alla prova: dalla giovinezza, che sa amare e sa farsi amare… (Piange.)

Giulia

Raimondo!.. (Lo abbraccia, lo bacia, lo carezza, piange con lui.) Raimondo!..

Raimondo

Sì, baciami, carezzami… Piangi con me… Mi fa tanto bene! (Poi asciugandosi gli occhi) Lo vedi che è meglio quando piangi senza nascondere le tue lagrime? Io divento più ragionevole. Ora, per esempio, convengo che non devo essere cattivo con quei bravi ragazzi. E, non solo li riceverò affettuosamente, ma anche li intratterrò su certe cose molto interessanti, che da qualche tempo avevo l'intenzione di comunicar loro. Vengano, dunque. Io li aspetto.

Giulia

(si avvia verso il fondo.)

Raimondo

(vedendola avviarsi, ha un moto infrenabile, di cui attenua l'espressione nell'accento mitissimo) No… Non andarci tu. Li farò chiamare da Giuseppe.

Giulia

(si ferma.)

Raimondo

(suona il campanello che è sulla tavola.)

Giuseppe

(ricompare sotto l'arco della porta) Sono qui, eccellenza. (E resta discretamente, sulla soglia.)

(Pausa.)

Raimondo

(a Giulia, dopo una reticenza timida, quasi temesse di essere compreso:) Non ti ritiri nella tua stanza?

Giulia

(con bontà) Sì, Raimondo. (Fa per andare.)

Raimondo

E… te ne vai così?

Giulia

(ritorna a lui, gli dà un bacio in fronte con tenerezza compassionevole, e quindi lentamente esce a sinistra.)

Raimondo

(la segue con lo sguardo di sottecchi; e, quando ella è sparita, rivolge la parola a Giuseppe, senza guardarlo, con la voce tremola, a cui cerca di dare una intonazione ferma e serena:) Giuseppe… dite a quei giovani… che possono entrare.

Giuseppe

(esce dal fondo.)

(Sipario.)

ATTO SECONDO

Lo stesso salottoSCENA IRAIMONDO e I SUOI DISCEPOLI

(Raimondo è seduto tuttora sulla poltrona accanto alla tavola. Attorno a lui, ma non troppo dappresso, in piedi, sono i suoi discepoli. Una dodicina. Il più discosto è Luciano, la cui figura, appartata, accasciata, immobile, con la faccia bianca, con gli occhi che di sbieco guardano Raimondo senza mai volgersi altrove, si distingue sùbito fra quelle degli altri. Essi hanno atteggiamenti vari, tra di angoscia e di attenzione intensa. Sui loro volti giovanili nessun lume di sorriso; e quel loro aspetto grave e triste contrasta con la gaiezza dei loro abiti primaverili, sui quali spiccano i ciuffetti d'erbe e di fiori pratensi messi all'occhiello o cacciati nelle saccocce delle giacche un po' in disordine.)

Raimondo

(ha già parlato con vivacità, ed ora tace per riprendere lena.)

(Tutti tacciono con lui, in attesa ch'egli continui.)

Raimondo

Concedetemi qualche altro momento di riposo.

Paolo

(mite e premuroso) Voi non dovreste parlare tanto, professore. Vi nuoce.

Raimondo

Vi assicuro di no.

Roberto

(ai compagni, con voce discreta) Ma quest'aria rarefatta gli fa mancare il respiro. Siamo in troppi qui dentro.

Almerico

Si potrebbe aprire la finestra.

Raimondo

E sì: aprite la finestra. Fate che mi prenda anch'io un poco di questa primavera. (Girando lo sguardo sui discepoli) Voi ve ne siete già fregiati.

(Qualcuno, senza far rumore, apre la finestra.)

(Il silenzio si protrae sulla immobilità e sul raccoglimento di tutti.)

Raimondo

(respira allargando il torace. – Quando si sente ben rinfrancato, continua.) Vi dicevo, dunque, che, per mia volontà, voi sarete i miei eredi…

Manlio

(osando d'interrompere) Ma perchè occuparvi oggi di queste cose? Siete ancora così energico! Siete ancora così vivo! Basta guardarvi in faccia per vedere che la vostra energia non sarà esaurita nè domani, nè fra un mese, nè fra un anno…

Raimondo

Credo assai prossima, caro Manlio, una crisi mortale. So bene ciò che dico. Questo deve essere il giorno del commiato. Oggi, nel perfetto dominio della mia ragione, posso disporre lucidamente del mio piccolo tesoro scientifico. Domani, forse, non potrei. Lì (indicando l'uscio a destra), nella mia stanza di lavoro, troverai sulla scrivania un voluminoso manoscritto. Portalo qui.

Manlio

Obbedisco. (Esce, quasi lentamente, a destra. Poi ritorna, e, in atto devoto, porge al professore il grosso manoscritto. – Quindi, si ritrae.)

Raimondo

(mostrando ai discepoli, col braccio un po' levato, lo scartafaccio) Ecco! (Lo pone sulla tavola. Si passa la mano sulla fronte.) Ascoltatemi, ragazzi miei. Un medico che ha modo di studiare sulla propria persona una delle malattie più gravi che affliggono l'umanità, è un medico privilegiato. Questo privilegio è toccato a me, e credo di averne attinto un grande profitto. Lo spirito di conservazione e il bisogno di difesa, che sono insiti nella nostra natura, in me hanno raggiunto proporzioni formidabili. Nessun uomo ha sentito quanto ho sentito io la necessità di prolungare la sua vita, e nessun uomo, per ritardarne la fine, ha mai combattuto con tanto accanimento! Io debbo a questo accanimento le preziose ricerche che ho fatte e la scoperta dei rimedii sperimentati. Per molto tempo, io sono riuscito a vincere il male che tornava all'assalto con un impeto singolare. Vi dico in coscienza che, se non avessi dovuto lottare contro quella violenza a dirittura eccezionale, la vittoria del medico sarebbe stata completa! (Breve pausa) E, chiuso in questo manoscritto, io conto di affidare a voi il frutto dei miei bizzarri studi. (Riflettendo tristamente) Così, sulle mie rovine sarà fiorita un'opera di salute per gli altri. (Indi, con balda animazione) Volete voi assumere il còmpito di utilizzare a pro dei sofferenti la mia eredità con la vostra vigoria giovanile, col vostro ingegno e col vostro fervore? (Dopo avere aspettata invano la risposta) Nessuno risponde?!.. Questo silenzio mi addolora.

Manlio

Questo silenzio, professore, non è che una protesta del nostro affetto. Io sono uno sciamannato a cui non dovrebbe essere permesso di chiamarsi vostro discepolo: tuttavia, ciò che sento io non è certamente diverso da quello che sentono i miei compagni, ed io ve lo esprimo alla meglio, per me e per loro. Il nostro affetto non crede, non può credere che voi dobbiate davvero abbandonarci per sempre. Voi ci parlate già con la serenità con cui ci parlano da un mondo lontano i morti che ci sono più cari; e invece noi vi siamo vicini e vediamo e ascoltiamo un uomo del quale non sapremmo negare la perfetta vitalità e da cui non ci sembra verosimile di doverci separare tra poco. Ma, certo, ogni parola detta da voi, appena uscitavi dalla bocca, diventa il pensiero migliore del nostro cervello, quasi che in noi realmente si trasfondesse qualche cosa di vostro. Questa, professore, è la risposta che possiamo darvi.

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