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Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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Non li temeva essa, quegli occhi; l'assicurava la superiorità dell'intelletto e dell'animo.

La turbavano, al contrario, le occhiate della madre. Quella vecchia espansiva e gioconda con tutti gli altri, aveva mutato aspetto con lei; non dissimulava nello sguardo come una preoccupazione continua, una segreta diffidenza, un'antipatia a stento repressa. Perchè? Elena sdegnava interrogarla.

Il disgusto però le crebbe quando s'avvide che quella osservazione ostile la seguiva anche fuori di casa, da altri; fuori, divenne anzi sgarberia manifesta, dispettosa insolenza. La ragazza della bottegaia l'aspettava su la soglia della bottega per voltarle, vicina, le spalle; la moglie del medico condotto o fingeva di non vederla o rispondeva al saluto chinando appena il capo e fuggendo; la sorella del sarto sorrideva con ironia maldestra; l'ostessa… Che avevano, insomma, coloro? Che aveva fatto, lei, a quelle donne?

Quando potè saperlo, rise. Ingenuamente la madre di una scolaretta le disse un giorno:

– Per quassù lei è una maestra troppo giovine e troppo bella!

Ah ah! Ecco che cosa avevano! Gelosia; invidia; timori d'oscuri pericoli.

Via! Stessero pur tranquille, tutte! Non mirava, no, a rapire l'amante a nessuna, il marito a nessuna, il figliuolo a nessuna! Nè si curò più della guerra esterna.

Ma in casa, per queto vivere, volle subito sollevar la vecchia dello strano sospetto ch'ella cercasse d'innamorarle il figlio. Appena di lui udiva i passi o la voce, scappava nella sua camera.

E la signora Filomena, la vecchia, non tardò ad accorgersi del proposito e a dimostrar gratitudine. Talvolta, piano piano, toccando con l'indice la punta del naso per impor silenzio, entrava a porgerle un uovo appena fatto; talvolta la chiamava dolcemente di sotto la finestra perchè scendesse a prendere un po' di sole con lei.

– Venite giù, poverina! Vi farà bene. E tanto insisteva che bisognava accontentarla. Sedevano a solatio, davanti alla casa e di lato al pozzo e alla catapecchia ov'erano il forno, il porcile e il pollaio. Sotto al fico, dal piede bianco di cenere, la Filomena dipanava matasse all'arcolaio e cantarellava a bassa voce; Elena, seduta sulla panca del bucato, tra l'olla e la siepe su cui asciugavano fazzoletti e borracci, o cuciva o guardava le galline che andavano a letto. Montavano per la piccola scala sbalzando a una a una di piolo in piolo e misurandosi ogni volta, con la testa alta, allo slancio. Su! Ma lassù, là dentro, seguiva un rimescolio di voci e di proteste; e alcune malcontente atterravan di volo e tornavano a beccare nel truogolo. Tra i galletti ancora a terra intervenivano le ultime risse; gli ultimi assalti alle galline proterve. Le oche (non mancavano due oche) si spollinavano a vicenda affondando il becco tra le piume e scuotendo la coda; e il gatto si leccava e lisciava, beato.

Ma già il porco domandava a suo modo la cena; e quando il sole calante accendeva d'una luce d'oro la montagna di là dal fiume, stupenda, la vecchia s'alzava per accontentar il porco, povera creatura, e preparare, dopo, la cena dell'ospite.

***

Questi gli svaghi a Sant'Elpidio! Questa la vita che compensava tanti studi, tanti sacrifizi! Eppoi? Muterebbe mai sorte pur mutando luogo? Ed Elena Baschi nella presente mortificazione fu presa dallo sgomento del futuro, e pianse la sua bellezza sfiorita entro una scuola, il suo ingegno consunto in opera meschina.

Ma della tristezza accorata in cui cadde a poco a poco, ma della desolazione profonda a cui a poco a poco si abbandonò, nè le fatiche della scuola, nè il disagio domestico, nè la stessa mancanza di affetti (orfana; sola al mondo) potevano rendere bastevole ragione. Un maggior male le rodeva l'anima: come un più segreto affanno; come un'aspirazione dell'anima spossata, e pur avida d'un bene ignoto e inconoscibile. Oh fuggire! oh rompere ogni catena! oh morire!

Piangeva guardando dalla finestra della sua camera la mirabile prospettiva dei monti e del fiume e della valle verde, che l'autunno circonfondeva di una soavità luminosa e di una luminosa pace. E non comprendeva che il maggior male le veniva appunto di là, dal contrasto fra la vita esterna e la sua intima vita, dal discordo fra la tentazione di quel cielo e di quella terra piena d'anima arcana e la sua piccola anima riflessa nel suo povero pensiero ribelle.

La sosteneva in faccia agli altri l'alterigia. E non comprendeva l'inconsapevole consiglio che a viver bene le dava, nella persona della vecchia, l'umiltà. Al contrario, della consuetudine con la vecchia risentiva un'irritazione, un fastidio sempre più grave e ormai pari all'odio.

Già esente da ogni soggezione, la Filomena, anche quando la maestra era in casa, cantava a squarciagola i canti della sua fanciullezza; e cantava con impetuosa gioia, interrompendosi talora sol per ripetere l'usato grido – Oh… là! – , che i ragazzi le mandavano dalla pendice opposta. A sessant'anni! Ebbra di vita, così!

– Pazza! – mormorava Elena, tormentata.

Pazza? O piuttosto in quella donna sopravviveva qualche cosa dell'anima primitiva, quando l'umanità non si era fatta estranea e insensibile alla natura? Naturalmente – senza riflessione, senza contemplazione, senza ammirazione – la vecchia cedeva alle stesse energie di vita, che, indistinte, traevano liete voci dagli animali, e colori e profumi dalle piante, e risplendevano nel fiume, contro i monti, nel cielo. E cantava, così, priva di pensiero, per un ignaro irresistibile consenso del suo spirito alla vita universa.

Se non che, al cader del giorno anche lei si raccoglieva; pensava anche lei. E allora soffriva.

Era un presentimento, conoscendo lei pure il carattere aspro, violento, pericoloso, del figliuolo? o era un'oscura temenza che aveva nel sangue, ereditaria? o un panico per qualche recente ricordo di sanguinoso assalto?

Ogni giorno, all'imbrunire, la madre usciva in mezzo alla strada e vi restava immobile, attendendo, in ascolto. Se percepiva da lungi il noto trotto, tanto diverso a' suoi orecchi da quello d'ogni altro cavallo, gridava forte: – È qui! è qui! – ; come annunciasse al mondo intero una miracolosa salvezza; e rincasava trafelata a scaldar le vivande, mentre Elena si ritraeva, saliva alla sua camera. Ma se l'arrivo di Agostino tardava o mancava, allora la madre cominciava a dolersi: – Oh poveretta me! oh Madonna santa! – ; e dalle parole mormorate appena acuiva la voce a esclamazioni angosciose:

– Gli assassini! Oh Madonna santa, se me l'hanno ammazzato, il mio figliolo? Dio! Dio! me l'hanno ammazzato!

Elena, le prime volte che l'aveva vista e udita in tale ambascia, aveva cercato di quetarla, aveva richiesto il perchè di così atroce spavento.

Con sdegno la vecchia le aveva risposto:

– Non sapete nulla, voi!

Ed Elena ripetendo – è pazza! – se ne andava a letto, tormentata perchè la vecchia sino a notte tarda pregava ad alta voce o gemeva in sogno. E il mercante di buoi, quando tornava a notte tarda, sbatteva la porta, parlava forte tra sè; bestemmiava salendo la scala. Forse ubbriaco?

Elena si alzava ad accertarsi che il suo uscio era ben chiuso.

***

Passò novembre. Venne l'inverno.

Quand'ecco, nel pesante silenzio di una sera che nevicava, la folgore, lo schianto tragico.

Elena era già in letto, desta; e udì battere più colpi alla porta.

Chi, a quell'ora? Perchè? Non poteva essere che lui! Non chiamava; mandava, lui – sì, era lui – , un lamento fioco, faticoso, quasi a prova d'ultima vitalità.

Orrenda l'attesa; orrende, a un tratto, le strida che proruppero, della madre: – Il mio Agostino! il mio figliolo! Madonna santa! il mio figliolo!

Elena balzò; e intanto che si gettava indosso la veste, distingueva fra quelle strida atroci, incessanti, lo scalpiccio dei passi per le scale, il sussurro delle voci – di coloro che lo portavano su…

E dall'uscio aperto vide, nell'altra camera, al lume rossigno della candela…; vide; comprese.

Ferito, l'avevano adagiato nel letto… Seguitavan le strida; strazio, spasimo delle viscere materne; odio, esecrazione dell'anima materna davanti l'assassinio del figlio.

Nella memoria di Elena, ogni volta che raccapricciando riguardava la tragica notte, questa sola visione della madre era rimasta evidente; ma del resto il ricordo era torbido, confuso come le immagini d'allora, tra l'ombre agitate dal lume rosso della candela.

E la vecchia che non voleva staccarsi di là, e i due uomini che parevano forzarla senza potere…; due uomini!

Poi, il medico… Giungeva, usciva; tornava dicendo: – laparotomia…; tentare.

E lei, Elena? Nel ricordo si vedeva quale fosse stata sempre là spettatrice, smarrita, tremante, convulsa, nell'ombra. Invece, no: lei sola aveva fatto cessar quelle strida intollerabili; lei aveva tratta a sè la vecchia, l'aveva spinta nella sua camera, l'aveva minacciata – con che parole non rammentava – perchè tacesse.

E la madre, che aveva urlato così il suo dolore, con uno strazio di maternità selvaggia, era caduta a sedere affranta, in un pianto dirotto e cheto; povera vecchia sublime.

***

Morì. E la maestra udì dire che le due coltellate se le era meritate in un litigio all'osteria. Quasi potesse esser giusto tanto dolore; il dolore della madre, cui nessuno all'infuori di lei, che v'assisteva ogni giorno, pensava commiserando!

La vecchia riprese le abitudini domestiche; ma sembrava impietrita dentro. Taceva sempre, ora; e quel silenzio, in essa di natura così clamorosa, commoveva più che lagrime e lagni. Non solo. O perdeva la coscienza della sventura cadendo per la stessa fissità del pensiero in uno smarrimento mentale, o con volontà ferma, con energia chiusa e voluttuosa la povera donna cercava d'esasperare il suo soffrire nulla omettendo delle antiche abitudini.

E ogni sera apparecchiava la tavola, come un tempo, anche per lui! Sparecchiava, dopo, e sospirava; come soleva le sere che il suo Agostino non tornava a casa.

Nè Elena, per quanto si provasse, riusciva a confortarla. Alle parole che venivan dal cuore e che spontanee e sincere avrebbero fatto tanto bene a una donna educata, la Filomena scuoteva le spalle, sfogava lo sdegno brontolando: – Siete una signorina, voi! – Nella fiera vecchia il dolore pareva a volte condensarsi in astio; i suoi occhi mandavano lampi d'ira: per un orgoglio barbaro. Nessuno doveva tentar di scemare il suo disumano dolore. Nessuno!

Trascorso più d'un mese, mutò; s'intenerì alquanto; schiarì gli occhi e il viso attendendo alle pratiche religiose. Prima d'andare a letto recitava il rosario e il Deprofundis; ma Elena, che a seguirla nelle preci si era sentita costretta come da necessità, doveva non dar segno di compianto. Guai se la vecchia le scorgeva gli occhi rossi! La guatava bieca: non la riteneva degna di soffrire per lei!

E con l'andar del tempo Elena, dianzi piegata dalla compassione, tornò a ribellarsi. Si sottrasse a quei modi d'intolleranza. Che obbligo, alla fine, aveva lei di patir tanto per una persona alla quale non era stata congiunta che dalla sua propria sfortuna? Che compenso aveva avuto del suo soffrire? Che speranza poteva riporre nella convivenza con una donna tale; tanto diversa da lei; a lei contraria del tutto, in tutto? E si confermò nel proposito di partir di lassù. E cambiava discorsi e maniere. Non cercava più affatto le buone parole; non si rammaricava più che non fossero comprese e gradite le attenzioni del suo pensiero gentile e vigile. Divenne ruvida; sin impaziente. Taceva lei, ora. Si meravigliava essa stessa, ma non le dispiaceva, d'aver forza bastevole per non rispondere alle richieste che la vecchia era pur costretta a rivolgerle; e quando bisognava, richiedeva con tono altezzoso; senza guardare.

Alla metà di giugno: via! Se n'andrebbe! La liberazione!

Ebbene, allora, nell'attesa, Elena s'accorse che la Filomena posava su di lei sguardi di nuovo indagatori; quasi a leggerle nell'anima. E quasi indotta in un'apprensione diversa, la vecchia cominciò a starle attorno con nuove premure, con attitudini timide, incerta tra la soggezione e la confidenza. Pareva aver acquistata la coscienza de' suoi torti e aver bisogno di perdono e dimandare con gli occhi la pietà che per l'addietro aveva disdegnata, l'affetto che aveva respinto.

Finchè, un giorno, a voce bassa, con le labbra tremule, uscì a dire:

– Voi, Elena, gli volevate bene: è vero?

E gli occhi materni rifulsero dietro il velo delle lagrime.

Elena perdè d'un tratto la sua energia. Stupita, non ebbe coraggio di negare. Non rispose; sviò lo sguardo. E la vecchia:

– Me n'ero accorta, io! E avevo paura che vi sposasse! Ma sarebbe stato meglio…

Bel complimento! Meno male che il suo Agostino sposasse lei, anzi che morire ammazzato! Ma Elena non rise. Non potè riderne neppur dopo; perchè dopo, la vecchia si rivolse a confortar lei per confortarsi con lei.

– Rassegnatevi, poverina! – le diceva – . Pugni al Cielo non se ne posson dare. Ma il Signore è giusto; e voi sapete se era buono, il mio figliolo! Ah se era buono!

O le diceva:

– Cerchiamo d'esser buone anche noi, e lo rivedremo in Paradiso, il mio Agostino.

Elena non aveva questa speranza, nondimeno taceva; non commetteva la crudeltà di contrariare col minimo atto l'illusione della povera vecchia. – Che ignorante! – pensava. – Stolida! Credere che io ne fossi innamorata!; che desideri, io di rivederlo in Paradiso! Io!

E contava quanti giorni mancavano alla chiusura della scuola, e sospirava l'ora che se n'andrebbe. Ma sentiva che il distacco non sarebbe agevole; sentiva che il dolore vincola più dell'amore e che, no, non invano aveva sofferto per quella povera vecchia ignorante e stolida. Bisognava dirle: – Me ne vado. Vi abbandono, per sempre – . Era un pensiero penoso.

Quando un giorno, uno degli ultimi giorni avanti le vacanze, credè giunto il momento opportuno a dar l'avviso. E rincasando, udì… Oh una cosa insana! incredibile! Al solito luogo d'un tempo, sotto al fico, mentre rigirava l'arcolaio, la Filomena cantava a squarciagola! Appena otto mesi dopo aver perduto il figlio in quel modo, cantava; ripresa dal fervore che nel giugno pieno di vita la natura le effondeva d'intorno, dal cielo caldo e luminoso, dai campi dorati di grano e verdi di messi, dai monti azzurri e solatii, dal fiume bianco e lucente. Cantava! Nè volgendosi sorpresa, arrossì; non si vergognò. Interruppe il canto; attese che Elena le venisse vicino. E sorrideva, in un modo…

Elena s'avvicinò per dirle (tanto, non era pazza quella vecchia?), per dirle: – Alla fine della settimana, parto. – Ma prima che parlasse la vecchia le prese di forza la mano, la costrinse a piegarsi verso di lei, sul suo petto, le accostò al viso le guance grinzose, la baciò su la fronte.

Poi si scostò d'un tratto per guardarla – oh con tutto il cuore negli occhi, con un affetto immenso! – , e mentre i lagrimoni le calavano su le grinze e sorrideva: – Il Signore è buono – mormorò – . Mi ha tolto il figliolo, ma mi ha dato una figliola. Tu, sei tu, non è vero?, la mia figliola!

L'OMBRELLO

I

Si accompagnarono, per caso, un pomeriggio del giugno, ai Giardini pubblici, e godettero a trovarsi coetanei o quasi. Ottantatrè, ne aveva l'uno – Ceccuti – ; ottantaquattro, l'altro – Boldrighi.

Bell'età!, e portata così bene da entrambi, con aspetto così vegeto, che, quantunque fossero molto diversi nella faccia e nella persona, ai loro occhi parvero assomigliarsi come fratelli. Ma risentirono un'impressione anche più forte a ripetersi, a vicenda, il nome.

– Io debbo averlo conosciuto, un Boldrighi.

– E io, un Ceccuti.

Dove? quando? Poichè Ceccuti, partito non ancora trentenne da Bologna, vi era tornato da soli due anni col figlio pensionato delle Ferrovie, e poichè Boldrighi non aveva mai perduto di vista le due torri, il loro incontro, se era avvenuto mai, bisognava rintracciarlo qui, a Bologna, più di mezzo secolo addietro. Vattelapesca!

Riandarono fin i tempi della puerizia, rievocarono maestri e condiscepoli, cercarono relazioni famigliari, investigarono nella storia contemporanea della città, si raffigurarono in mezzo alle maggiori solennità e alle più famose vicende: e niente!, lo sprazzo di luce rivelatrice non veniva.

Eppure conservavano freschissima la memoria delle cose lontane.

Pensa e pensa… A un tratto Ceccuti esclamò:

– Si ricorda, lei, di una certa Rosa detta la…?

– … la Garibaldina! – esclamò Boldrighi, arrossendo nelle gote grassottelle.

Non fu un lampo: fu la folgore a squarciare le tenebre.

Ah! ah! Guarda dove, come si erano conosciuti!

– La Garibaldina! – Ceccuti ripetè con le palpebre socchiuse.

– Sicuro! Eravamo due dei Mille!

E risero forte. Ma tosto si ritrassero da quel ricordo, che potendo avrebbero cancellato volentieri dalla loro biografia.

– Quando si è giovani… – fece l'uno, in tono di chi si scusa.

E l'altro:

– Consoliamoci che, a differenza di tanti, noi siamo ancora qua a raccontarci le nostre pazzie.

– Ah sì! Io sto benone; sano di spirito e di corpo.

– E io? Chi lo crederebbe? Io non ho mai avuta una malattia grave.

Ne aveva avute, invece, Boldrighi; ma gli eran giovate a depurargli il sangue.

Poi: moderarsi in tutto; rinunciare quasi a tutto; questo era da un pezzo la norma di Boldrighi, per mantenersi vegeto.

Ceccuti scosse il capo.

Moderazione in tutto; ma non rinunciare quasi a nulla: questa invece la norma sua.

Così, egli beveva anche adesso vino buono a colazione e a desinare; faceva una deliziosa pipatina dopo colazione e dopo desinare. E si manteneva in gamba!

Di fuori Porta Saragozza, ove abitava, il giorno andava in centro, e la sera veniva ai Giardini e rincasava sempre a piedi.

– Il moto è la vita.

Boldrighi scosse ora lui il capo, disapprovando.

– La macchina quando è vecchia bisogna risparmiarla.

Niente Bacco e niente tabacco! Egli campava di latte e ova; e per andar a casa, in via Mascarella, prendeva il tram a Porta Santo Stefano e il tram di Piazza. Una passeggiatina e boccate d'aria libera bastavano a impedir che la macchina arrugginisse.

Discordavano, insomma, nel regime igienico; ma li allietava a un modo la convinzione di aver trovata la via per campare il più possibile e bene.

– Il mondo non mi è mai parso bello come adesso – affermò Ceccuti.

E Boldrighi canticchiò:

– Sempre allegri e mai passiòn!

II

Quella tarda amicizia fu per i due buoni vecchi una nuova fiducia a vivere. Sin dal principio avevano compreso che la presenza dell'uno testimonierebbe agli occhi dell'altro il suo proprio benessere, e che il rimanente viaggio sembrerebbe loro anche più agevole e grato a compierlo insieme. Perciò vedersi ogni sera divenne, più che consuetudine, necessità.

Giocondamente, seduti al solito luogo ai Giardini, si riferivano le liete memorie, escludendo le tristi o solo accennandole; si meravigliavano di casi consimili; scoprivano conformità di carattere, di azioni, d'idee. E non discorrevano di politica.

– Non vogliamo guastarci il sangue.

– Vogliamo andar d'amore e d'accordo.

– Si sta così bene al mondo in pace e quiete!

– Sempre allegri e mai passiòn!

Forse la decrepitezza comporta il più intenso desiderio di esistere e concede ogni giorno, ogni ora, ogni minuto il piacere di quel desiderio esaudito, come per miracolo, per singolare grazia di Dio, o per giusta predilezione della sorte?

Una quasi sola apparenza vitale nasconde il disfacimento del corpo, e appunto allora l'istinto della conservazione esulta in un placido egoismo; la morte è dietro le spalle, e non si vede; non si vede il limite estremo perchè già un piede v'è sopra: e prevale sensibile di continuo, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, la sodisfazione di chi si scorge superstite in una strage e di chi dall'aspra realtà dell'esistenza attinge una illusione non interrotta di vago sogno.

Ma guai se contrasti e sospetti sottentrino a risvegliare e tener sveglia l'apprensione della fine imminente!

Quei buoni Ceccuti e Boldrighi non avevano presentito l'amaro che in fondo a tanta dolcezza amichevole condenserebbe l'emulazione istintiva, la gara, tra ingenua e insana, a chi dei due campasse di più, fosse anche, il di più, un anno solo. E il dissidio che doveva corrucciarli era appunto nel regime adottato per campar un pezzo. Cominciarono a guardarsi chiedendosi dentro: – Sta meglio lui di me? Sarebbe meglio mi mettessi anch'io a latte e ova? – Oppure: – E se bevessi anch'io qualche bicchiere di vino? se dessi anch'io qualche fumatina per aiutar lo stomaco a digerire?

Nel dubbio, tentavano dissimulare sempre più i disturbi e gli acciacchi, e lo sforzo si manifestava nell'aspetto. Allora riprendevano fede e pensavano guatandosi l'un l'altro: – Mio caro, come siete brutto, oggi! Se non mutate usanza, tocca a me cantarvi una requiem!

Ma la consolazione non durava; tornava presto il dubbio, il sospetto, l'apprensione. E a poco a poco provarono il bisogno di sfogarsi, convinti, come erano, che ogni tentativo dell'uno per condur l'altro al suo metodo riuscirebbe vano.

Presero a contraddirsi, a polemizzare; insistenti, caparbi. Le dispute diventarono presto diatribe; e per non mostrarsi deboli cedendo, quando uno era messo alle strette, insolentiva; e l'altro ribatteva.

– Sissignore!

– Nossignore!

– E io vi dico di sì!

– E io vi dico di no!

– Con voi non si ragiona. Ostinato più d'un mulo!

– E voi? È inutile consumare con voi il ranno e il sapone!

Non tacevano finchè non dicevano a un tempo:

– Basta! – Basta!

E Ceccuti prendeva e leggeva (senza occhiali) il giornale o il libretto delle spese quotidiane, e Boldrighi con la punta del bastone imprimeva su la sabbia la fisionomia di un asino (senza occhiali) e ci faceva sotto un bel C affrettandosi però a cancellare il disegno prima che l'amico se ne avvedesse.

Quando l'orologio alla chiesa di San Giuliano suonava le otto sorgevano in piedi; s'accompagnavano, sempre zitti. E alla barriera si separavano con un freddo «buona notte».

Boldrighi andava adagio alla Porta di Santo Stefano ad attendere il tram, e Ceccuti marciava lungo la circonvallazione, alla volta di Porta Saragozza.

Il dimani passavano ore di pena a rimeditar i dibattiti, le provocazioni, le accuse, le offese, le difese. Borbottavano: – Stasera non ci vado. Già, se ha un po' di amor proprio, non ci andrà nemmen lui, ai Giardini: gli ho dato del mulo – gli ho dato dell'asino! – Bisognava finirla! Rottura!

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