
Полная версия
Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3
Ricolmo di doni e di ricchezze fu Elfi ricondotto in Egitto sopra una fregata inglese: ma Osman Bey Bardissi, il più valoroso ed influente di tutti i Bey adombrato del ritorno d'Elfi, e temendone l'ingrandimento, dispose di disfarsene ad ogni costo. Quando seppe ch'era sbarcato in Egitto, trovò chi si prese l'incarico di avvelenarlo, e temendo che non bastasse il veleno, gli tese insidie per assassinarlo sulla strada.
Elfi dubitò, o fu segretamente avvisato del pericolo che gli sovrastava, e fuggì a cavallo a traverso al deserto, solo, senza danaro, e privo di tutto. Si racconta, che entrato senza saperlo nella tenda di un Bedovino suo nemico mentre non eravi che la sua sposa, palesò il proprio nome per ottenere qualche soccorso. Spaventata la donna del suo pericolo, gli diede viveri ed acqua, pregandolo a fuggir subito onde non essere sorpreso dal marito che mortalmente l'odiava. Elfi approfittò del consiglio. La donna raccontò al marito l'accadutole, il quale non dimenticando in quel primo impeto di collera i generosi sentimenti che lo animavano: donna, gli rispose, se io l'avessi trovato qui non so quello che avrei fatto… forse l'avrei ammazzato… ma… io t'avrei egualmente uccisa, se tu gli avessi rifiutata l'ospitalità, ed i necessarj soccorsi. Tratto maraviglioso di cui non trovansi frequenti esempi nella storia.
Tutti gli effetti preziosi ch'Elfi aveva portati da Londra furono dopo la sua fuga spezzati, saccheggiati, e venduti. Unitosi ad alcuni Mamelucchi suoi partigiani si stabilì nel deserto; e col danaro ch'ebbe dagl'Inglesi non tardò ad ingrossare il suo partito, e sentendosi abbastanza forte, dopo avere sottomesso alcuni dovar, e tribù, venne a bloccare la città di Damanhour poco distante da Alessandria. Ma gli abitanti ch'eransi dichiarati contro di lui, si difendono già da due anni con una piccola guarnigione di Arnauti.
Intanto gl'Inglesi, e gli agenti d'Elfi ottennero firmani dal Gran Signore che lo dichiaravano Schèih-el-Beled, ossia principe feudatario dell'Egitto. Per far eseguire questi firmani la Porta spedì il Capitano Pascià con tutta la squadra ottomana, e spedì inoltre con alcune truppe Mussa Pascià di Salonicchi, come governatore del Cairo: ma Mehemed Alì ed i Scheih di questa città si opposero a tale disposizione, e dopo alcune trattative col capitano Pascià, e colla corte di Costantinopoli, ottennero nuovi firmani in favore di Mehemed Alì. Il capitano Pascià e Mussa Pascià ritiraronsi senza aver fatto nulla il 18 ottobre 1806; ed Elfi Bey rimase solo ed abbandonato nel deserto. Fu questi senza dubbio un fatal colpo per gl'Inglesi, che perdettero i frutti di tanti sacrificj, ed i vantaggi che loro assicurava l'esclusivo commercio dell'Egitto. Ciò è quanto mi fu raccontato, ma io non guarentisco che la verità di ciò che ho veduto io stesso, e quantunque il capitano Pascià e Mussa Pascià mi dassero non equivoche testimonianze di considerazione e di amicizia, portato dai mio carattere più alla contemplazione dalla natura che agl'intrighi degli uomini, mi tenni sempre lontano da simili affari.
Rimasi diciannove giorni accampato fuori d'Alessandria con tutta la mia gente, nel qual tempo raccolsi molte piante marine, e disegnai la veduta d'Alessandria. Avanti di partire da Alessandria il capitan Pascià ebbe la delicatezza di presentarmi, senz'averla richiesta, una lettera commendatizia per Mehemed Alì, un'altra per il Pascià di Damasco, ed un firmano pel Sultano Scheriffo della Mecca.
CAPITOLO XXX
Tragitto a Rosetta. – Bocche del Nilo. – Rosetta. – Viaggio al Cairo pel Nilo.
Dopo il soggiorno di cinque mesi e mezzo in Alessandria, ripresi il mio pellegrinaggio il giovedì 30 ottobre 1806, e m'imbarcai sopra un dierme accompagnato da alcuni de' principali Scheih della città, che vollero seguirmi per due ore di navigazione. Il dierme è un bastimento scoperto a vele latine o triangolari. Quello che m'aveva ricevuto a bordo era de' più grandi, ed a tre alberi, con una gran vela ad ogni albero. La lenta manovra di queste navi le espone a frequenti pericoli; e non passa anno senza qualche naufragio al pericoloso passaggio delle barre del Nilo. Non potendo per cagione del vento assai fiacco giugnere avanti sera alle bocche del Nilo, si diede fondo nella rada d'Aboukir alle quattro della sera.
Il 31, alle sette ore e mezzo arrivammo alla barra del Nilo, la quale è posta quattro miglia all'incirca entro al mare. D'ordinario l'onda è assai gagliarda per l'urto delle acque del mare con quelle del Nilo; e perchè i passaggi praticabili cambiano continuamente di luogo, vi sta continuamente un battello per indicarli alle navi. Malgrado questa precauzione, essendo la barra assai larga, in tempo che il Nilo è povero d'acque non avvi legno per piccolo ch'egli sia, la di cui chiglia non tocchi più volte la sabbia; ciò che stanca assai gli equipaggi, e li espone a perdersi. Quand'io passai, essendo il Nilo gonfio ed il mare tranquillo, si attraversò la barra senza quasi avvedersene.
Mancato affatto il vento si gettò l'ancora sul Nilo poco più addentro della barra. Come è bella la vista di questo mare d'acqua dolce! la bocca del Nilo era ancor lontana più di una lega, e pure bevevamo le acque del Nilo perfettamente dolci, che rispingono quelle del mare assai al di là della barra. Alle nove ore e mezzo un vento favorevole ci portò in mezz'ora alla bocca del Nilo… Quale sorprendente spettacolo! Un maestoso fiume le di cui acque s'avanzano lentamente fra sponde coperte di alberi d'ogni specie, da vasti campi di riso che mietevasi allora, da una infinita varietà di piante aromatiche, da casali, da capanne, da case qua e là sparse, da vacche, da montoni, e da diverse specie d'uccelli che facevano risuonar la campagna co' loro canti, mentre copriva il Nilo un infinito numero di oche, d'anatre e d'altri uccelli acquatici, tra i quali si distinguevano alcune truppe di cigni, che sembravano aver signoria sugli altri. Ah perchè mai la Dea d'Amore non scelse per suo soggiorno le rive della foce del Nilo?
Lasciando a sinistra il forte Giuliano, e a destra l'isola Verde, che deve la sua origine ad un dierme naufragato, sul quale la sabbia e la melma ammonticchiandosi ne fecero poco a poco una vasta isola ora coperta di case e di giardini.
In una sinuosità del fiume prendendo il vento da prua, tutti gli equipaggi del nostro, e di altri tredici dierme che ci accompagnavano, saltarono a terra, rimurchiando il proprio bastimento colle corde, finchè in un giro prendendo vento in poppa, furono rimesse le vele, e si giunse in sul mezzogiorno a Rosetta. Sbarcato all'istante andai ad alloggiare nella casa che un arabo mio amico mi aveva preparata.
Rosetta posta sulla riva sinistra del Nilo è poco larga, ma lunga assai. Le case sono fatte di mattoni come quelle della vicina campagna, ed hanno quattro o cinque piani; lo che unitamente alle molte finestre ed alle grandi e sontuose torri, la fa parere una bella città d'Europa. Se poi vi si aggiunga la vicinanza d'un vasto fiume, ed al di là la prospettiva del Delta, la bontà del clima, e l'eccellenza de' suoi prodotti, è facile il giudicare quanto delizioso ne sarebbe il soggiorno, se le benefiche disposizioni della natura non fossero contrariate dagli uomini.
Rosetta è governata da un Agà arnauto detto Alì Bey, che d'ordinario tiene sotto i suoi ordini trecento soldati della sua nazione. Eravi accidentalmente in questo tempo un altro Alì Bey turco figliuolo d'un antico Pascià; onde eravamo nello stesso tempo tre Alì Bey a Rosetta.
In questa città fa la sua residenza un vescovo greco, ed adesso vi si trovava pure l'arcivescovo del Monte Sinai che recavasi dal Cairo a Costantinopoli, ov'era in pari tempo diretto anche il luogotenente generale del Capitano Pascià detto Kiùhia.
Non uscii quel giorno di casa che per visitare il celebre sig. Rosetti che mi fece una straordinaria accoglienza. La seguente domenica fu piovosa, e s'udirono gagliardi tuoni.
Il lunedì 3 ottobre m'imbarcai alle due ore dopo mezzogiorno sopra un càncha per rimontare il fiume. Il càncha è una specie di bastimento unicamente destinato alla navigazione del Nilo: rassomiglia ai dierme, ma ha di più una camera assai comoda divisa in due parti che ne formano una sola, ed un gabinetto circondati da belle finestre. Io vi occupai solo le camere, ed il rimanente della nave i miei domestici, equipaggi, e cavalli.
Alle due ore e mezzo si passò in faccia ad Abu Mandour, ed alle cinque giugnemmo presso Berinhal, borgata posta sulla riva destra dopo aver lasciato Lemir a sinistra.
Le frequenti sinuosità del Nilo obbligando gli equipaggi a rimurchiare spesse volte il bastimento, sono cagione che si prendono assai numerosi: il mio era di quattordici uomini. La sera si diede fondo tra i villaggi di Entaube, e di Edfina.
Martedì 4Si spiegarono le vele con leggier vento alle otto ore del mattino, e dopo avere lungamente rimurchiata la nave, arrivammo a Fizzara villaggio posto dirimpetto all'altro di Schemschera sulla riva destra, ove vidi passare un feretro. Un uomo ben vestito, probabilmente l'iman, apriva il convoglio seguito da dodici o quindici persone; teneva loro dietro il morto portato sulle spalle da quattro uomini, e coperto da alcuni panni di diversi colori, l'ultimo de' quali era rosso. Era seguito da cento femmine all'incirca che mettevano altissime grida. Giunto il convoglio al luogo della sepoltura le donne si ritirarono, e gli uomini rimasero soli per seppellire il cadavere.
Ad ogni tratto incontravamo delle aje ove battevasi il riso; e le rive erano tutte coperte di vacche e di bufali, che scendevano anche nel fiume fino al collo, e talvolta ancora cacciavano la testa sott'acqua, e ve la tenevano uno o due minuti.
Alle cinque ore e mezzo della sera passammo presso al villaggio di Salmia, e tre ore dopo si gettò l'ancora fra la città di Rähmanieh posta sulla riva sinistra, ed il villaggio di Dessouk situato sull'opposto lato.
La vista di Rähmanieh, come quella delle altre città interne del basso Egitto, è alquanto trista. Le case sono fabbricate sopra piccole alture di terra nera, e fatte di mattoni mal cotti dello stesso colore, che non venendo imbiancati, danno a queste città un aspetto lugubre. Notai un quartiere della città tutto composto di colombaje fatte a guisa di pani di zucchero, o di cupole paraboliche. Accanto alla città trovavansi accampati circa mille Arnauti, che avevano molti battelli al lungo della loro linea.
Mercoledì 5Si rimase all'ancora fino alle dieci ore, quando si mise alla vela con buon vento, che in breve tempo ci portò tra i villaggi di Morguese e di Maïdmoun, indi a Mehalet Abouaali e Caffer-Machar, in faccia al quale sulla opposta riva vedonsi molti gruppi di case nelle quali sonovi moltissime colombaje eguali a quelle di Rähmanieh; perciocchè scarseggiando in questi paesi le carni, vi si mangiano assai piccioni. In questo luogo le rive sono prive di alberi.
A mezzodì passammo innanzi a Saaffia, poi Mahhaladiaya, indi a Hheberhhil, Dameguiniddena, Schebberis, Saoun-el-Hajar, Nikleh, per ultimo Addahharie allora occupato da' Mamelucchi: per cui ci siamo ben guardati dall'avvicinarvici, tenendoci presso alla destra riva, ove trovasi il casale di Schabour.
Alle otto della sera giunti al di là di Noffa, il bastimento diede in secco sulla sponda destra; lo che ci forzò a passarvi la notte.
Giovedì 6In sul far del giorno mi avvidi d'essere tra Nitmè e Caffer-el-Baga. Non bastando l'equipaggio a metter la nave a galla si fecero venire alcuni Arabi; ma si dovette restare a Caffer-el-Baga finchè durò un gagliardo vento di levante. Approfittai di questo contrattempo per iscendere a terra, ed osservarvi il passaggio del sole che mi diede per latitudine settentrionale di questo villaggio 30° 47′ 55″.
Dopo tre ore di lentissima navigazione arrivammo alle quattro a Mischla, ed un'ora dopo dovemmo gettar l'ancora per mancanza di vento.
Trovavansi colà ancorati due altri bastimenti, dai quali fummo informati che gli Arabi della riva sinistra avevano alquanto più sopra preso un bastimento, e che avevano due scialuppe armate.
Alle sei ore e tre quarti si fece vela con leggier vento, e passata Zaïra, si diede fondo alle otto e mezzo a Tounoub.
Venerdì 7Il tempo burrascoso non ci permise di partire avanti le due dopo mezzogiorno. Dopo i villaggi di Komscherif, e di Tschan arrivammo alle quattr'ore e mezzo in faccia a Zaouch. Singolarissima è la vista di questo luogo. Figuriamoci un gruppo di cento cinquanta cupole paraboliche alte diciotto in venti piedi, la di cui base può averne dieci in undici di diametro, formate di terra e di mattoni neri, in mezzo alle quali s'inalza una torre. Queste cupole sono abitate da colombi, e la base dagli uomini; onde potrebbe dirsi essere questo un villaggio di piccioni con pochi individui della razza umana.
Avvicinandosi la notte, i tre equipaggi si posero in armi per esser pronti ad ogni avvenimento in caso che fossero attaccati dagli abitanti della riva sinistra.
Alle sei ore e mezzo, lasciato Nadir sulla sponda destra entrammo mezz'ora dopo nel canale di Menouf al S.O., abbandonando il tronco principale del Nilo, sul quale potevamo trovarci esposti agl'insulti degli Arabi della riva sinistra. Alle dieci ore si diede fondo nel canale.
Sabato 8Si spiegarono le vele alle sette ore e mezzo fra una densa nebbia, dissipatasi la quale, trovai che il canale poteva in quel luogo avere duecento cinquanta in trecento piedi di larghezza. Ritenuti dalla calma non arrivammo a Menouf prima del mezzogiorno. Ad un'ora ci rimettemmo in viaggio, e si dovette rimurchiare fino a notte.
Domenica 9Dopo essere rimasti all'ancora nel canale fino alle sette del mattino, si fece vela con un leggier vento, ed alle nove eravamo presso a Quèleti di dove incominciai a scoprire col cannocchiale le montagne del Cairo.
Vidi poco dopo sulla sponda diritta un villaggio con molte colombaje formate di segmenti di sfere di terra cotta, il di cui lato convesso è al di fuori, ed il concavo volto all'indentro serve di nido. Ogni sfera può avere un piede di diametro, ed ogni colombaja è composta da molte sfere ordinate in cupole paraboliche; una sola finestra serve all'ingresso ed all'uscita de' colombi; ed il padrone vi entra per un'apertura fatta nella base della cupola. Al di fuori sono assicurati nel muro molti bastoncelli perchè possano appollajarvisi i piccioni.
Alle dieci ore e mezzo entrammo nel tronco sinistro del Nilo che scende a Damiata. Il canale di Menouf riceve le acque del tronco destro del Nilo, e le versa nel sinistro. Alle dieci e tre quarti ci ancorammo sul braccio sinistro del Nilo, di dove vedevo perfettamente le due grandi piramidi benchè distanti ancora dodici leghe.
Si mise alla vela alle undici ore e mezzo, e dopo sei ore e mezzo di navigazione, durante la quale lasciammo a diritta ed a sinistra diversi villaggi, demmo fondo felicemente a Boulak, che è il porto del Cairo sulla riva destra.
La navigazione del Nilo da Rosetta al Cairo è altrettanto deliziosa, quanto stucchevole per il lettore deve riuscire il nome di tanti villaggi; ma avrei creduto di mancare all'esattezza del mio itinerario, ommettendo di ricordarli.
CAPITOLO XXXI
Sbarco. – Stato politico del Cairo e dell'Egitto. – Le piramidi. – Djizè. – Il Mikkias. – Il vecchio Cairo. – Commercio.
Il giorno dopo diedi avviso del mio arrivo al mio amico scheih El-Medhluti, che ne informò all'istante Seid Omar el Makram primo scheih del Cairo, il quale spedì i cammelli necessarj per lo sbarco del mio equipaggio. Scheih-el-Medluti venne ad incontrarmi con molte persone, e mi condusse a casa sua ove mi aveva preparato un appartamento.
Colà ricevetti le visite di Seid Omar, e di molti altri grandi del Cairo. Ma fui altamente commosso alla vista di Muley Selema fratello dell'imperatore di Marocco. La sua figura, i suoi lineamenti, le sue maniere mi rammentarono vivamente quelle del mio rispettabile amico il Principe Muley Abdsulem: il mio cuore balzò di gioja, e gridai: Muley Selema!… e di già eravamo nelle braccia l'uno dell'altro: lungo tempo le nostre lagrime c'inumidirono le guancie. Sedemmo senza poter parlare. Io ero informato delle sue sventure, egli non ignorava ciò che m'era accaduto partendo dagli Stati di suo fratello; onde potevamo senza preamboli entrare in discorso. Selema si lasciò trasportare assai contro il fratello Imperatore. Cercai di calmarlo, e gli rimproverai amichevolmente alcuni suoi leggieri falli. Dopo un lungo trattenimento alzandosi mi baciò la barba, dicendomi che le mie parole erano più dolci dello zuccaro.
Poi ch'ebbi restituite le visite ai grandi scheih, andai con Seid Omar a trovare il Pascià Mehemed Alì, cui diedi la lettera del capitan Pascià; e non vi fu cortesia che non mi usasse. Questo giovane principe è di gracile corporatura e svajuolato; ha gli occhi vivaci ne' quali scorgesi una cotal aria di diffidenza: è per altro valoroso, e non privo di buon senso, ma non avendo avuto veruna istruzione trovasi spesse volte imbarazzato. In tali congiunture, Seid Omar che ha molta influenza sul di lui spirito, rende importantissimi servigi al popolo ed allo stesso Pascià.
Si fanno ascendere a cinquemila gli Arnauti sotto gli ordini di questo governatore dell'Egitto. Questi soldati sono caparbj ed esigenti oltre ogni dovere; ma il popolo li tollera pazientemente, perchè non sarebbe più felice nè co' Turchi, nè co' Mamelucchi; e non essendo in grado di darsi un governo rappresentativo, sopporta il presente giogo in silenzio. D'altra banda Mehemed Alì che riconosce il suo inalzamento dal coraggio di queste truppe, ne dissimula gli eccessi, e non sa rendersene indipendente. Altronde i grandi scheih avendo sotto questo governo molta influenza e libertà, lo sostengono con tutte le loro forze. Il soldato tiranneggia, ed il basso popolo soffre, ma tacciono i grandi perchè non soffrono, e la macchina va alla meglio. Intanto il governo di Costantinopoli privo di energia per tenere tutt'i paesi sotto l'immediata sua dipendenza, si accontenta di una specie d'alta signoria, che gli frutta alcuni leggieri sussidj, che ogni anno sotto varj pretesti cerca di accrescere. I pochi Mamelucchi che rimangono ancora, vivono rilegati nell'alto Egitto, ove non giugne la potenza di Mehemed Alì: ma siccome questi per una singolarità della natura non possono colla generazione mantenere la loro popolazione in Egitto, e loro non è permesso di tirarne altri dall'Asia, si ridurranno tra poco al nulla. Elfi Bey col suo corpo di Mamelucchi, di Arabi, di Turchi e di rinnegati scorre il deserto di Domanheur. Il governo di Costantinopoli non può fare verun conto d'Alessandria, la quale per la sua posizione geografica non è nè città Egiziana, nè città Turca: tale è il quadro fedele dello stato politico dell'Egitto.
Io non prenderò a descrivere la città del Cairo, troppo nota a tutti gli Europei; nè a parlare dell'immenso suo traffico presentemente ridotto in misero stato per le guerre d'Europa, per la rivoluzione de' Mamelucchi, e per i progressi de' Wehhabiti; nè de' principali scheih ond'è formato il suo governo, perchè il presente sistema dipende in gran parte dall'arbitrio del Pascià.
Quantunque le piramidi di Djizè fossero allora circondate d'Arabi ammutinati, e che fosse pericoloso l'avvicinarsi, volli ad ogni costo tentare di vedere questi colossi inalzati dalla mano degli uomini. Recatomi a Djizè m'avanzai verso le piramidi scortato della mia gente armata fino al punto in cui la prudenza permetteva d'inoltrarsi.
L'immaginazione senza il soccorso del tatto non basta per formarsi un'adequata idea delle piramidi, della colonna d'Alessandro, e di tutt'altro oggetto di forme e proporzioni inusitate. Aveva meco un telescopio acromatico, ed il canocchiale militare di Dollond. A forza di confronti, di avvicinamenti e di raziocinj, io mi lusingo d'aver potuto formarmi un'idea se non del tutto esatta, lo che è impossibile quando non si consulta che un solo senso, almeno assai prossima alla verità.
Io non parlerò delle loro dimensioni, perchè la commissione d'Egitto ha completamente esaurito l'argomento: basta sapere che sono le più grandi moli che esistano.
Tre sono le piramidi di Djizè; una delle quali minore assai delle altre due: ma tra le due maggiori io credo non esservi la differenza indicata da' viaggiatori.
Il profondo storico de' traviamenti dello spirito umano, il sig. Dupuis, ha detto che la grande piramide è fatta in modo, che l'osservatore posto al piede il giorno dell'equinozio vedrebbe il sole a mezzogiorno come seduto o appoggiato sulla sua cima. Ciò vuol dire che il piano inclinato o la faccia della piramide forma col piano dell'orizzonte un angolo eguale all'altezza meridiana del sole a tale epoca, ossia eguale all'altezza dell'equatore. Le piramidi essendo esattamente poste nella latitudine di 30 gradi N., ne viene che quest'angolo dev'essere di 60 gradi. Ora siccome tutte le faccie pajono essere egualmente inclinate, il profilo della piramide tagliato perpendicolarmente dalla sommità alla base per il mezzo delle due opposte faccie, deve esattamente rappresentare un triangolo equilatero. Questo felice azardo, prodotto dalla più semplice figura rettilinea, adoperata nella costruzione di un edificio, produsse questo bel fenomeno, e diventò per me uno sprone che mi spinse a verificarlo.
Quando osservansi le piramidi a qualche distanza ci sembra che abbiano la base alquanto più lunga che i lati, ossia l'angolo della sommità più aperto, e più ottuso che gli angoli della base; ma questa illusione deriva dal vedersi quasi sempre due lati della piramide, ed allora vedesi la diagonale del quadrato della base, che di sua natura è più lungo che un lato; lo che rappresenta all'occhio le piramidi schiacciate quantunque la loro altezza sia eguale alla lunghezza d'uno dei lati della loro base.
Fu pure sciolto il problema rispetto alla loro destinazione, sapendosi destinate per ultimo soggiorno de' sovrani che le inalzarono. Gli Arabi le chiamano El Haràm Firàoun, e raccontano mille scioccherie delle loro strade sotterranee, che stendonsi sotto tutto il basso Egitto.
È noto che su questi antichi monumenti non vedonsi nè iscrizioni, nè geroglifici che possano condurci alla cognizione de' tempi in cui furono fatte. La più grande viene attribuita a Cheops che viveva circa ottocento cinquant'anni avanti l'era cristiana; ma io inclino a crederla anteriore ai tempi storici, perciocchè se fosse opera di quel principe avremmo altre testimonianze oltre quelle di Erodoto sopra un monumento che a' suoi tempi doveva eccitare l'universale ammirazione.
A' piedi della maggior piramide vedesi un dovar arabo, che serve di scala per formarsi una più esatta idea delle sue vaste dimensioni.
Presso alle piramidi vidi la Sfinge busto o testa formata d'una rupe di enorme grandezza, che gli Arabi chiamano Aboullahoul. Io ne rimarcai perfettamente l'acconciatura di capo, gli occhi e la bocca; ma perchè mi trovava quasi in faccia non potei vederla di profilo come lo desideravo.
Il piano e le colline del Sahhara affatto coperti di sabbia bianca mobile chiudono la vista all'occidente.
Djizè è posto sulla sponda sinistra del Nilo. Altra volta, secondo che mi fu detto, questo borgo era un luogo di delizie circondato di belle case di campagna e di giardini; al presente è un tristo villaggio popolato soltanto di soldati Arnauti, che non possono meglio rassomigliarsi che a banditi.
Ritornando da Djizè visitai l'isola di Roudi o Rouda sul Nilo presso la riva destra. Questa isola oggi abbandonata fu anticamente un piccolo paradiso coperto di deliziosi giardini. All'estremità meridionale entro una specie di profondo cortile che comunica colle acque del fiume trovasi il celebre mikkia, colonna innalzata per misurare giornalmente l'altezza delle acque del Nilo in tempo della escrescenza. A quest'effetto è diviso in cubiti disuguali, o a dir meglio inesatti, ed in dita, di modo che chiunque può calcolare l'abbondanza del successivo raccolto. Ma oggi questo monumento di tanta importanza è abbandonato ad un corpo di soldati, o a dir meglio di barbari, che sembrano cospirare alla sua distruzione. Allorchè sbarcai fui condotto sopra un ammasso di ruine abbandonate, di dove vidi con estremo dolore e sorpresa, che in breve preparavasi la stessa sorte al mikkia. Di già una moschea ed altri edificj vicini al mikkia sono stati atterrati; di otto colonne che ne formavano la galleria, quattro giacciono nella polvere, i tetti cadono a pezzi, e per affrettare il troppo lento lavoro del tempo, i soldati levano il piombo che unisce le pietre ed i legni del coperto: per cotal modo si accelera la ruina di un edificio così utile, e che da tanti secoli contribuisce alla gloria dell'Egitto.