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Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4
I musulmani fanno preghiere in tutti i luoghi consacrati alla memoria di Gesù Cristo e della Vergine, fuorchè al sepolcro. Credono essi che Cristo non morisse, e che salendo al cielo vivente, lasciasse le apparenze della sua figura a Giuda condannato a morire per lui; che in conseguenza essendo stato crocifisso Giuda, può ben questo sepolcro aver contenuto il corpo di Giuda, ma non quello di Gesù Cristo, e perciò non lo onorano. La chiave della cappella in cui trovasi il sepolcro viene custodita dai monaci latini, che però non possono aprirla senza la presenza di un monaco greco, che resta a lato al sepolcro finchè la cappella è aperta.
La rotonda ove trovasi la cappella del sepolcro è sostenuta da informi colonne e senza proporzioni architettoniche. Tutti i capitelli sono d'ordine corintio o composito. La sommità della cupola è vòta, e forma un'apertura di tredici piedi di diametro per la quale riceve la luce.
Unite alla cupola trovansi le separate chiese de' Cattolici Romani, degli Armeni, de' Sirj, de' Cofti, degli Abissini; ed il corpo centrale del tempio forma la chiesa de' Greci.
Presso al Sancta Sanctorum della chiesa greca una scala conduce ad una cappella. Salendo a sinistra vedesi un altare formato nel vivo sasso, in mezzo al quale trovasi un foro di tre in quattro pollici di diametro, ove si dice che fu piantata la croce; in distanza di tre piedi mi fu mostrata nella rupe una fessura naturale perpendicolare, apertasi nell'istante della morte di Gesù Cristo. Tre o quattro passi più in là vedesi un altare, ed avanti a questo altare uno spazio quadrato, che si venera come il luogo in cui Cristo fu crocifisso. II Monte Calvario, un tempo fuori delle mura dell'antica Gerusalemme, trovasi nel centro della moderna.
La casa posta accanto al tempio che contiene il sepolcro di Gesù Cristo, è abitata da alcuni monaci Musulmani, i quali dalle finestre della casa che guardano nell'interno del tempio, diedero più volte giuste cagioni di lagnanza ai monaci cristiani.
Gerusalemme conosciuta dai Musulmani sotto il nome d'el-Kods, ossia la santa, e per quello d'el-Kodse-scherif, è posta al grado 31 46′ 34″ di latitudine settentrionale, e nel 33º di longitudine orientale dell'osservatorio di Parigi. La di lei forma, quantunque irregolare, ove facciasi astrazione dalla cittadella addossata all'angolo occidentale della città, si avvicina assai al quadrato.
Fabbricata sul lato meridionale della sommità d'una montagna con qualche inclinazione al S. E. è circondata di precipizj, sul di cui orlo girano le mura dalla banda di S. E., di E., e di O., non avendo che un breve piano al S. che conduce al sepolcro di Davide, ed un altro più esteso al N. che forma la parte superiore della montagna attraversata dalla strada di Jaffa.
Le strade di Gerusalemme sono assai regolari, diritte, ben selciate, e molte con marciapiedi; ma triste, strette, e quasi tutte poco o molto inclinate. Le case hanno quasi tutte due o tre piani, e poche finestre con porte assai basse, e colla facciata semplice di pietra senza verun ornamento, di modo che quando si passeggia per la città, sembra che si cammini ne' corridoj di una vasta prigione. In una parola vi si ravvisa la verità della pittura fattane da Geremia: facta est quasi vidua domina gentium.
Alcune case hanno piccoli giardini, ma in generale non vi si trova alcun vòto considerabile; onde sopra un'estensione assai minore di quella della Mecca, contiene, per quanto mi fu detto, circa 30,000 anime, senza contare la popolazione dei sobborghi della città.
Non ho veduto in Gerusalemme alcuna piazza propriamente tale, ed i pubblici mercati e le botteghe sono lungo le strade. Abbondanti vi si trovano i viveri ed a buon prezzo: una mezza dozzina di polli, per esempio, pagasi una piastra spagnuola. Il pan comune è una specie di cattiva focaccia, ma trovasene ancora di assai buono; come pure ottimi legumi, erbaggi, frutta, e squisite carni.
Essendo quasi centrale fra l'Arabia, l'Egitto e la Siria, è assai frequentata dagli Arabi di questi paesi, che vi fanno il loro commercio di cambio. Il principale ramo di commercio attivo della Palestina è quello dell'olio; ma l'importazione del riso, che tirasi dall'Egitto bilancia l'esportazione dell'olio.
I pesi, misure e monete sono le medesime degli altri paesi Turchi; e la piastra spagnuola vale quattro pezze turche e mezzo, ossia cento ottanta parà.
Pochi e di cattiva qualità sono i cavalli della Palestina; molti e ottimi i muli, benchè alquanto piccoli. Gli asini cedono in bontà a quelli dell'Arabia e dell'Egitto, e non si fa frequente uso dei cammelli.
Benchè assai lontane dalla perfezione, le arti vi fioriscono più che alla Mecca; ma le scienze vi sono affatto sconosciute, e le più ragguardevoli persone, che pur vogliono parer costumate, versano nella più profonda ignoranza. La lingua Araba è la più comune, ma vi si pronuncia alquanto diversamente che nell'Arabia, accostandosi all'accento turco.
Contansi in questa città settemila musulmani, de' quali duemila abili alle armi; più di ventimila cristiani di diversi riti: maroniti, greci uniti, greci scismatici, cattolici latini, armeni ec. Pochissimi sono i Giudei nell'antica loro patria.
Quantunque gli abitanti di Gerusalemme, appartenendo a diverse nazioni, e seguendo culti diversi si disprezzino internamente gli uni gli altri; pure perchè i cristiani sono assai più numerosi, vi regna una certa eguaglianza tanto nelle relazioni commerciali, quanto negli affari domestici, e ne' divertimenti. I seguaci di Gesù Cristo vedonsi uniti coi settatori di Maometto, e questa mescolanza è cagione d'una più estesa libertà che in tutt'altra città musulmana.
Il governo di Gerusalemme viene affidato ad una persona del paese, che porta il nome di Scheih el Rele, o di Hhakim; ed il giudice civile è sempre un Turco mandato da Costantinopoli che cambiasi ogni anno. Vi è inoltre un governatore del castello, il capo del tempio, il Muftì o capo della legge, i quali tutti hanno le particolari loro attribuzioni.
In aggiunta di pochi soldati, Gerusalemme può contare sopra duemila musulmani in istato di portare le armi. È circondata di mura merlate assai alte, fiancheggiate di torri; ma incapaci di resistere al cannone. Ho già fatto osservare, che questa città è circondata in più lati da precipizj: negli altri luoghi si supplì a tale difesa naturale con fossi artificiali.
Quando si considera da prima Gerusalemme, circondata da precipizj e da alte mura di pietre tagliate ben conservate, e ricoperte da numerosa artiglieria, con una fortezza di bella e solida costruzione, e ben provveduta di mezzi di difesa; se si fa attenzione al ragguardevole numero di difensori che può dare la sua popolazione, si è tentati di crederla quasi inespugnabile: ma esaminandola più posatamente, svanisce la prima illusione, e si trova incapace di lunga resistenza, perchè per la topografia del suolo non è possibile d'impedire l'avvicinamento del nemico, ed è signoreggiata quasi a vista d'uccello in distanza del tiro di fucile dal monte Oliveto.
La montagna su cui è fabbricata Gerusalemme è affatto sterile, ed è composta d'una roccia cornea o basaltica, facente transizione al trappo, come quasi tutte le montagne del vicinato.
La sua ragguardevole elevazione sopra il livello del mare è cagione della freddezza del clima quantunque vicinissima al tropico. Nel mese di luglio il termometro esposto a mezzo giorno non segnò più di 23° 5′ di Reaumur, e la mattina scese fino a 17° 3′. Il vento fu sempre occidentale, e l'atmosfera variabile. Mi fu detto che nell'inverno cade molta neve, e molta pioggia.
Vi trovai pochi vecchi, ma per altro più che alla Mecca. Le persone del paese osservarono che gli anni più abbondanti d'olive sono quelli ne' quali cade molta neve.
Io ho osservato che il vento vi acquista una straordinaria rapidità.
CAPITOLO XLVI
Ritorno a Giaffa. – Tragitto ad Aeri, e descrizione di questa città. – Il monte Carmelo. – Viaggio a Nazaret. – Notizie intorno ai monaci di terra Santa.
Partii da Gerusalemme ad otto ore e trequarti del mattino il 29 luglio 1807, per ritornare a Giaffa, strada che aveva fatta venendo in tempo di notte. Dopo la scesa di lunghissima fila di colli, giunsi alle dieci ore in fondo alla valle, ove trovai un ruscello ed un ponte di due archi; a poca distanza in su la diritta il villaggio Alioune, e presso alla strada le ruine di un antico tempio.
Di là salito sulla sommità di altre montagne, passai alquanto prima delle undeci ore presso alle case di Kaskali, poi sceso un poggio, e salitone un altro, mi trovai in sul fare del mezzogiorno a Kariet-el-Aaneb, villaggio meritevole di essere veduto per una bella antica chiesa a tre navi, ora abbandonata, e ridotta ad uso di stalla. Da Kariet montando ancora tre quarti d'ora, si giugne sulla sommità della montagna detta Saariz, appunto nel luogo ov'ebbi l'incontro dei due vecchi gabellieri. Era stato loro detto essere io figlio dell'Imperatore di Marocco; onde, pentiti dall'accaduto, mi aspettavano per iscusarsene, e vedutomi, mi vennero incontro baciandomi le mani, i piedi e la testa. Mi pregarono a scendere da cavallo, e ad aggradire un magnifico pranzo preparatomi presso ad una bella fonte, di dove vedesi il mare.
Poi ch'ebbi mangiato, presi congedo da questi buoni vecchi, e continuai questa penosa strada a traverso di aspre montagne fino ad Abougos, posto in miglior paese, ed alle sei ore arrivai a Ramlè. Le montagne di Gerusalemme fino ad Kariet sono quasi affatto sterili; a Kariet incominciano le vigne, poi piantagioni d'ulivi, e belle foreste di alberi fino ad Abougos La soggetta pianura era tutta coperta di frumento già mietuto, di tabacco, e di frumento della Guinea.
All'indomani 30, partii alle cinque ore e tre quarti, e prendendo la strada di Far e Nazour, arrivai verso le nove a Giaffa, piccola città regolarmente fortificata, capace di buona difesa, e provveduta d'artiglieria, con guarnigione turca e mogrebina.
Il porto non ammette che i piccoli bastimenti che fanno il cabotaggio della Siria, ed i grandi restano in rada sopra una sola ancora per prendere il largo al primo vento essendo la costa troppo aperta. M'imbarcai la stessa sera sopra un battello che fece vela alle nove della sera, e scesi a terra nel porto di S. Giovan d'Acri il giorno susseguente.
Questa piccola città, dai musulmani detta Akka, assai celebre in tempo delle Crociate per la comodità del suo porto, si distinse ultimamente per la bella difesa fatta contro i Francesi; dopo la quale epoca le sue fortificazioni vennero notabilmente migliorate. Il suo porto è molto angusto, ma la rada può contenere numerose flotte. La sua moschea fabbricata dal Pascià Diezzar è tanto gentile, che si assomiglia più ad una casa di delizie, che ad un tempio.
Altra volta era provveduta di eccellente acqua che derivava da lontana sorgente; ma il governo turco non ha fin ora pensato a rimettere l'acquedotto rovinato dai Francesi in tempo della spedizione d'Egitto: onde gli abitanti sono ridotti a bere l'acqua de' pozzi carica di salenite, e pesante come il piombo.
Diezzar Pascià, per quanto mi fu detto, diede prove in tempo dell'assedio de' Francesi, di valore e di fermezza; ma egli era mamelucco, ed educato soltanto nel mestiere delle armi, onde fu estremo nel male e nel bene, non conoscendo la via di mezzo.
Gli Europei hanno in Acri molta libertà, e vi sono rispettati assai, tanto dal governo che dagli abitanti turchi ed arabi. La città è situata nel lato settentrionale d'una vasta baja in faccia al mezzogiorno: e nel tempo della mia dimora il caldo era insopportabile. All'estremità meridionale della baja vedesi il monte Carmelo che prolungasi nella direzione di E. O. fino al mare, ed ha sulla cima un monastero greco dedicato a S. Elia, ed un altro più basso dei cattolici sotto lo stesso titolo, e tra l'uno e l'altro una moschea turca parimenti sacra al Profeta Elia.
Il 6 agosto decisomi di andare a Nazaret, mentre in compagnia di alcuni amici usciva di città, fui attaccato da una vomica spasmodica, dalla quale mi liberai in poche ore con una dose d'emetico, che fortunamente conservava ancora nella mia piccola spezieria. Fu questo il terzo attacco di bile ch'io soffersi in trentotto giorni, il primo al Cairo, ed il secondo a Gerusalemme.
Mi posi in viaggio il giorno 7 alle sei ore del mattino, prendendo la strada all'est per un terreno prima piano, poi montuoso, di tratto in tratto coperto di alti alberi, e sparso di casali circondati da campi e da prati. Trovandomi ancora assai debole camminava lentamente temperando la noja della strada coll'osservare le numerose greggie che pascolavano su quelle pendici.
Non arrivai a Nazaret prima delle quattro della sera, quantunque non sia distante che sei ore da S. Giovanni d'Acri; ma io era forzato di andare lentamente, e di prendere riposo ogni due ore. Andai ad alloggiare nel convento de' Francescani posto nel sito in cui la Vergine fu visitata dall'Angelo Gabriele.
Nazaret di Galilea è città aperta, fabbricata sul pendio d'una montagna volta a levante, popolata da circa mille Turchi, e da altrettanti Cristiani. Gli abitanti approfittano del pendio del suolo per cavare delle camere nella roccia di modo che ogni casa ne ha una parte sotterranea. Tra i Cristiani i cattolici romani sono di lunga mano più numerosi di quelli degli altri riti, che pure vivono in buona armonia. Le donne musulmane sortono col volto scoperto, e le feste e le allegrie sono comuni ai due sessi, ed agli individui di tutte le religioni.
La carne, i legumi, o frutta, l'acqua, il pane, tutto è bonissimo specialmente nel convento. I monaci vi godono piena libertà come in Europa: portano pubblicamente i sacramenti agli ammalati, e sono sommamente rispettati dalle persone di ogni culto, perchè la loro condotta è veramente esemplare e meritevole della riputazione di cui godono.
Il convento è un grande e bello edificio solidamente fabbricato, e capace di una buona difesa militare. In mezzo alla chiesa assai gentile, vedesi una grande scala di marmo che conduce alla grotta ove si effettuò il grande mistero dell'incarnazione. Per due anguste scale si monta all'altar maggiore posto sopra la rupe che forma la volta della grotta, e dietro all'altare trovasi il coro de' monaci; cosicchè questa chiesa è formata di due piani, quello della grotta nel fondo, l'altro del corpo principale della chiesa in mezzo, e l'ultimo dell'altare maggiore e del coro nella parte più elevata. Al di là del coro vedesi pure un altro piano in forma di tribuna, occupato da un eccellente organo. Un'angustissima scala fa capo ad un'altra grotta, che si suppone essere stata la cucina della Vergine, per esservi in un angolo una specie di focolajo. Altra scala, egualmente stretta, comunica coll'interno del convento. Questo convento è composto di tredici religiosi, nove de' quali, compreso il prelato, sono spagnuoli.
I Musulmani credono anch'essi la verginità di Maria, e la miracolosa incarnazione di Gesù, spirito di Dio, per l'intromissione dell'Angelo Gabriele; e venerano il luogo santificato da questo grande mistero, ove vengono frequentemente a fare le loro preghiere. Un giorno vidi una numerosa processione di montanari maomettani venire accompagnati dalla loro musica per presentare un fanciullo alla Vergine, tagliandoli la prima volta i capelli in chiesa.
Mezza lega al S. O. della città avvi un luogo detto precipizio, che è propriamente una gola delle montagne di Nazaret sopra la valle d'Estrelon; accanto alla quale la montagna è tagliata a picco dalla cima al fondo. La tradizione del paese vuole, che i Giudei conducessero Gesù Cristo in questo luogo per precipitarlo, e ch'egli si salvasse rendendosi invisibile. Non molto al di sotto della sommità fu cavato un altare nella rupe, al quale una volta all'anno vi si reca il popolo per celebrarvi una messa; al quale oggetto fu fatta una strada che attraversa il precipizio.
Nella valle d'Estrelon avvi un vasto e popolato villaggio dello stesso nome, ove fu data la celebre battaglia di Nazaret.
Dietro le più autentiche notizie ch'io mi sono procurato in sul luogo, guarentisco il seguente stato de' monaci cattolici romani in Terra Santa

A Seida avvi un convento pei monaci Francesi ora disabitato. Inoltre trovansi in Levante quattro altri conventi separati dal corpo di Terra santa: cioè

Le contribuzioni ordinarie che i monaci pagano ogni anno al governo turco, sono così regolate

Oltre le ordinarie sono inoltre costretti di pagare altre eventuali contribuzioni, e gratificazioni ai governatori, ec. Il solo Muftì di Gerusalemme ha esatte nel corso di otto anni 40,000 piastre.
Il panno, di cui vestonsi i monaci vien loro spedito dalla Spagna e dall'Italia; come pure il cuojo di cui fannosi in paese i loro sandali. In fine può dirsi, generalmente parlando che i cristiani latini, i quali in altri tempi sconvolsero il mondo per impadronirsi dei luoghi Santi, li hanno adesso talmente abbandonati, che senza i soccorsi della Spagna non sarebbevi alcuno stabilimento del loro rito.
Anche la Francia contribuisce al loro mantenimento colla protezione del suo ministro a Costantinopoli; ma questa non toglie che i governatori turchi non vessino di continuo i monaci di Gerusalemme per cavarne denaro: talchè passano la vita in perpetui travagli, e sono veri martiri del loro zelo.
Poichè lo stabilimento de' religiosi cattolici romani in terra Santa arreca grandi vantaggi agli abitanti di questi paesi, io non temo di raccomandarli alle potenze d'Europa. La diversità dei culti deve dileguarsi innanzi agli occhi del filosofo che desidera il bene della umanità: e questo è il sentimento che dirige le mie azioni, e la mia penna. Senza grandi sacrifici si potrebbe rendere assai migliore la sorte di queste virtuose vittime dello zelo religioso.
CAPITOLO XLVII
Viaggio a Damasco. – Monte Tabor. – Mare di Galilea. – Fiume Giordano. – Paese vulcanizzato. – Damasco. – Popolazione. – Grande moschea. – Bazar o mercati, e manifatture.
Partii da Nazaret il giorno 19 agosto in migliore stato di salute, che riconosceva da quel felice clima, e dopo due ore di cammino fra le montagne, arrivai a Canaan, celebre pel miracoloso cambiamento dell'acqua in vino. Da questa piccola città che può contenere al più cinquecento famiglie, scesi in una valle alla destra del Tabor, montagna di ragguardevole elevatezza, ove accadde la trasfigurazione di Gesù Cristo, ed alle di cui falde i Francesi diedero la famosa battaglia del Monte Tabor. Dai colli che chiudono la valle a N. E. vidi l'estremità del mare di Tiberiade, di Galilea; e feci alto presso al villaggio Stheltinn.
Il giorno 20 dopo aver passata una stretta gola tra le montagne tutte coperte di boschi, mi trovai quasi sulla spiaggia del mare di Galilea, che ha sette in otto leghe di lunghezza dal nord al sud, e due leghe di larghezza. Questo bel catino d'acqua circondato da alte montagne; l'atmosfera carica di grosse nuvole ammonticchiate che lasciavano appena sfuggire di quando in quando qualche raggio di sole; la città di Tiberiade, famosa per le sue acque termali posta sulla riva occidentale; finalmente il monte Tabor che signoreggia le circostanti montagne, presentavano ai miei occhi un'interessante veduta animata da numerose greggie che pascolavano in ogni lato.
La costa settentrionale di questo mare è tutta coperta di basalte, di lava, e di altri prodotti vulcanici: di modo che se le altre rive da me non vedute sono composte delle medesime materie, non sarebbe fuor di luogo il credere che il mare di Galilea fosse altre volte il cratere di un vulcano.
Salendo il pendio di N. N. E. vedemmo alcuni Bedovini a cavallo, che osservandomi in atto di difesa non osarono di attaccarmi. Presi riposo alle nove ore del mattino nel Khan, ossia casa del profeta Giuseppe, ove trovai un corpo di soldati mogrebini d'Acri, ed una cisterna d'eccellente acqua; a quaranta passi dalla quale sono le ruine di una altra, che la tradizione dice essere quella, in cui i figli di Giacobbe rinchiusero il fratello Giuseppe avanti di venderlo ai mercanti Ismaeliti. Ripresi il cammino alle dieci ore, e giunto sulla sommità d'una collina a N. N. E. mi si aperse innanzi un nuovo orizzonte di dove vedeva scorrere in profondo letto il fiume Giordano. Ad un'ora dopo mezzo giorno giunsi al ponte di Giacobbe (cantara Yacoub) di tre archi acuti di pietra sul Giordano, con un'antica fortezza alla testa occidentale allora occupata da un distaccamento di soldati del pascià d'Acri: ma circa sessanta passi al di là trovai altro corpo di soldati del pascià di Damasco. Queste due guarnigioni poste ai confini dei rispettivi governi, quantunque egualmente composte di turchi, pare che appartengano a differenti nazioni; tale è lo stato di indipendenza dei Pascià, e l'anarchia che regna nelle provincie dell'impero ottomano.
In questo luogo il fiume Giordano può avere sessantaquattro piedi di larghezza, e non è molto profondo, ma scorre rapidamente. L'acqua quantunque alquanto calda è buona, e le sue rive sono coperte di giunchi e di altre piante palustri. Siccome noi altri musulmani conserviamo una particolare riverenza per questo fiume, non mancai di bagnarmi, e di bere della sua acqua a sazietà. Fui qui raggiunto da una carovana assai numerosa, colla quale feci alto sulle rive del fiume.
Venerdì 21Partimmo alle quattro e mezzo del mattino, e dopo un lungo e disastroso viaggio per luoghi alpestri, indi per una sterile campagna, entrammo in una piccola macchia, in fondo alla quale trovasi sopra un poggio il villaggio di Sassa, ove si passò la notte.
I campi Flegrei, e tutto quanto può dare un'idea della distruzione vulcanica, non sono che una languida immagine dell'orribile paese attraversato questo giorno. Dal ponte di Giacobbe fino a Sassa il terreno è composto di lava, di basalte, e di altri prodotti vulcanici: tutto è nero, poroso, tarlato, sicchè ci pare di viaggiare in una regione infernale: ma particolarmente presso Sassa vedonsi spaccature ed ammassi così spaventosi di materie vulcaniche, che fanno inorridire, pensando all'epoca in cui vennero lanciate dal seno della terra infiammata. Le spaccature, ed i bachi che vedonsi qua e là, contengono un'acqua nera come l'inchiostro, e per lo più puzzolente.
Da ciò apparisce chiaramente che questi paesi furono in altri tempi popolati di vulcani; e scontransi ancora varj piccoli crateri sul piano. Per un singolare contrapposto questo piano è chiuso a settentrione da una montagna, la di cui sommità inalzandosi fino alla regione delle nevi perpetue, offre al di sopra delle reliquie degli spenti vulcani l'aspetto di un perpetuo inverno.
Sabato 22Dopo due ore di viaggio cominciammo a trovare i segni della prossimità di una grande capitale, borgate e villaggi e giardini ad ogni passo. Alle otto e mezzo essendo saliti sulle colline che chiudono l'orizzonte, scopersi all'est un immenso piano, circondato al nord da alte montagne, tra le quali ne marcai una isolata dalle altre di gigantesca forma piramidale, alle di cui falde tra un'infinita quantità di giardini sorgono le torri delle moschee di Damasco; e tutta la campagna è seminata di villaggi e di alberi fruttiferi.
Riposatomi un istante nel villaggio di Daria posto entro ai giardini di Damasco, giunsi poco dopo mezzo giorno alle prime case della città dagli Arabi detta Scham.
Il viaggiatore che si avvicina la prima volta a Damasco crede di vedere un vasto campo di tende coniche; ma avvicinandovisi davvantaggio trova che queste tende altro non sono che un'infinità di cupole, che servono di tetto a quasi tutte le camere delle case nei sobborghi esteriori della città. Queste cupole e per la forma e per la grandezza loro rassomigliano perfettamente alle colombaie d'Egitto di cui si è parlato in addietro.
Le case dell'interno della città formate di più solidi materiali hanno d'ordinario due piani, ed il tetto piatto come nelle città dell'Affrica, avendo egualmente poche finestre e piccolissime porte, e la facciata senza ornati: ciò che unito al silenzio che regna nelle contrade dà alla città un aspetto tristo e monotono. Le strade sono ben selciate con marciapiedi assai elevati da ogni banda, di sufficiente larghezza, ma non livellati.