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La plebe, parte II
La plebe, parte II

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La plebe, parte II

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Язык: Итальянский
Год издания: 2017
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– Fra poche ore: diss'egli. Chi sa che cosa sarà di me?

Stette così un poco, immobile, sovrappreso dal tristo pensiero, poi sentendosi intirizzire dal freddo della notte, si riscosse, saltò giù dal letto ed acceso un lume si vestì di fretta. In quel punto rientrava la carrozza ch'egli aveva mandato a cercare dal portiere. Francesco guardò l'ora: erano le cinque meno un quarto.

– Ho più di due ore per provvedere alle mie cose: diss'egli.

Sedette alla sua scrivania e scrisse due lettere, una per suo padre, l'altra per la madre. S'interruppe assai volte nell'opera sotto l'assalto d'una profonda emozione. Chiese loro con calda supplicazione perdono del dolore che avrebbe cagionato, se egli fosse stato soccombente nel duello a cui stava per recarsi; il pensiero di questo dolore essergli amarissimo, disse, ed avrebbe egli in quel punto dato qualunque cosa per loro poterlo risparmiare, ma al triste passo essere indotto da ineluttabile necessità, a cui senza disdoro non avrebbe potuto sottrarsi: villanamente insultato da un prepotente, sarebbe stato indegno d'esser loro figliuolo, di portare il nome onorato di suo padre, se non avesse propulsato l'iniquo oltraggio. Nella lotta a cui stava per recarsi e cui certo avrebbero condannato i sentimenti religiosi di sua madre, evidentemente lo assisteva la ragione, e Iddio pietoso non l'avrebbe abbandonato.

Quando ebbe finite queste lettere rimase alquanto col capo reclinato e chiuso fra le palme delle mani, i gomiti appoggiati alla tavola. Una maggior tranquillità entrò in lui. Pensò che al cimento nè la sua mano, nè la sua voce non dovevano tremare; bagnò d'acqua fresca un tovagliolo e si inumidì la fronte e le tempia; si atteggiò innanzi allo specchio per provarci l'aspetto e le mosse che avrebbe dovuto avere in presenza dell'avversario; impugnò una pistola e tolse di mira l'immagine sua entro la lucida lastra, per avvezzarsi a guardar freddamente la bocca nera dell'arma rivolta minacciosamente verso la sua testa; poi sorrise di sè, gettò la pistola sul letto e passeggiò un poco per la stanza con piede riguardoso, a capo chino. Ad un punto gli parve udire un lieve rumore nelle camere vicine; il suo cuore gli fece indovinare ratto che cosa fosse; fu d'un balzo presso il lume e lo spense; poi stette immobile, trattenendo il fiato, ma col cuore che gli batteva. Era la buona madre inquieta, che veniva con passo leggiero ad origliare all'uscio se il diletto figliuolo dormisse. Teresa socchiuse la porta ed ascoltò attentamente un istante; non vide nulla nell'oscurità della stanza, non udì il menomo rumore; esitò un momento, vogliosa di accostarsi al letto del figliuolo e vederlo, timorosa di turbargli il sonno salutare; vinse il timore e la si allontanò chetamente come la era venuta.

– Quanto mi ama! Esclamò Francesco, giungendo le mani con un fervido accesso di riconoscenza. Povera madre mia!

Pochi momenti dopo il giovane vestì il pastrano, si pose in testa il cappello e pigliate le due lettere che aveva scritte, discese con passo guardingo nel cortile, passando per la medesima scaletta per cui era salito. Nell'officina, nelle scuderie, nella casa, tutto era ancora chiuso, scuro e muto. Francesco picchiò all'uscio della loggia del portiere e chiamò a voce contenuta ma vibrata:

– Bastiano!

Il grosso uomo che abbiamo già veduto non tardò a rispondere all'appello, e venne fuori avvolto nel suo pastranone.

– Fa il piacere, gli disse il giovane, apri lo sportello. Ci devono venire due amici a cercarmi e non voglio che abbiano a picchiare.

Bastiano obbedì senza la menoma osservazione, quantunque trovasse strana la venuta di visitatori sì mattinieri. Francesco fece avvivare il fuoco nella stanza del portinaio e sedutosi presso il camino stette aspettando. Il portiere notò la preoccupazione del giovane, ma non osò interrogarlo. Il sospetto però che qualche cosa di disaggradevole fosse avvenuto o minacciasse di avvenire al padroncino lo assalse. Suonavano le sette all'orologio dell'officina, quando una carrozza si fermò sul viale dirimpetto al portone della casa, e tosto dopo il dottor Quercia entrava nell'andito dove Bastiano, mandatovi dal padrone, stava col lume in mano per guidarlo nel camerino in cui Francesco aspettava.

Non ebbero ad attendere gran tempo che giunse correndo Giovanni Selva.

– Andiamo: disse Francesco alzandosi con risoluzione.

– Ho pensato di venire colla mia carrozza: disse Gian-Luigi; e credo che la ci può servire.

– Avete fatto benissimo.

I tre giovani uscirono. Bastiano era lì sul passo dell'uscio, col lume in mano, irrequieto, dubbioso, con ansiosa curiosità. Francesco, passandogli innanzi, prese a quel brav'uomo una mano e glie la strinse.

– Addio Bastiano: gli disse con accento in cui c'era più affetto che non nelle occasioni ordinarie.

Il vecchio e fidato servitore sentì un certo rimescolo, che gli parve un funesto presentimento. Volle parlare e non seppe che cosa dire; volle trattenere il padroncino e non osò; stette lì intento a guardarlo mentre attraversava le file degli alberi del viale e saliva coi suoi due compagni nella carrozza. Questa era già partita, e il buon Bastiano era ancora là piantato.

– Mah! Diss'egli poi togliendosi da quel luogo e crollando la testa: tutto ciò mi ha un'aria grandemente sospetta.

Una pallida luce incominciava a diffondersi pel grigiastro orizzonte e su per la campagna coperta di neve: questa cadeva tuttavia a lenti fiocchi e tutto era silenzioso come la tomba.

L'ombra d'un uomo, che nessuno aveva scorto, si staccò da una pianta dietro cui si nascondeva; fece alcuni passi sollecitamente per il viale, e mandò un fischio: due altre ombre si staccarono dai tronchi degli alberi, e vennero a raggiungere quella prima; queste due ultime avevano la montura di carabiniere.

– Al cimitero: disse vibratamente, con accento di comando, il primo di questi individui colà appiattati: correte.

I carabinieri non aspettarono altro, e presero la corsa nella direzione medesima per cui s'era avviata la carrozza.

E diffatti queste medesime parole – Al cimitero – aveva dette il dottor Quercia al cocchiere, salendo l'ultimo nel suo legno; poichè infatti colà era stato fissato il ritrovo ed il luogo pel duello che doveva aver luogo quella mattina fra il marchesino di Baldissero e l'avvocato Francesco Benda.

Quest'ultimo, in carrozza, affidò a Giovanni Selva le lettere che aveva preparate per suo padre e sua madre, da consegnarsi loro quando a lui toccasse la peggior sorte; Luigi Quercia diede alcune istruzioni ed ammonimenti a Francesco intorno al modo di governarsi sul terreno: e venti minuti non erano trascorsi da che avevano abbandonato la casa Benda, quando le grigie muraglie del Campo Santo e gli alti filari de' pioppi nudi di foglie apparvero agli occhi del dottore, che stava guardando traverso i cristalli.

– Ferma: gridò egli al cocchiere.

I tre giovani scesero di carrozza.

– Gli è qui che ci dobbiamo incontrare cogli avversarii; disse Quercia, mostrando il viale che conduce all'ingresso principale del Campo Santo. Siamo noi i primi al convegno, e non me ne dispiace.

Diffatti non c'era anima viva in quel luogo, e Francesco e i suoi padrini si diedero a passeggiare, aspettando, sulla neve che copriva tutta la strada.

CAPITOLO II

Poco tempo dopo la uscita di Francesco, l'officina Benda era tutta in moto, e si svegliava altresì la casa del proprietario di essa. Gli operai avevano cominciato il lavoro, i tanti rumori delle diverse opere s'intrecciavano e si confondevano in un rumor solo, gli alti camini de' fornelli fumavano, le fiamme delle fucine si curvavano e strepitavano candidissime al vento de' mantici che soffiavano con pesante raucedine, la voce sonora d'alcuni lavoratori accompagnava col canto il batter de' martelli sulle incudini, e su tutto questo seguitava a cadere lenta lenta a larghe falde la neve.

Il signor Giacomo, il principale, secondo il solito è sceso un dei primi nell'officina a dare gli ordini opportuni, a curare l'avviamento de' lavori, a provvedere con intelligente prontezza intorno a quanto occorra per la mattinata. È un uomo che passa i sessant'anni, ma forte e robusto. La razza laboriosa e dura alle fatiche a cui appartiene, lo stampo dell'uomo nato pel lavoro manuale che fu quello dei suoi maggiori, si scorgono ancora in lui, mentre nel figliuolo, che ha il vantaggio di costituire già una terza generazione in quella famiglia di agiati, la cui ricchezza cominciò coll'opera dell'avolo, nel figliuolo, dico, quello stampo e l'indizio della razza di proletario sono quasi affatto scomparsi. Giacomo, giovane, lavorò ancora materialmente e indefessamente sotto la vigilanza di suo padre che non era stato tuttavia assalito dalla malattia moderna dell'ambizione di imbrancarsi ad una più alta sfera sociale che la sua non fosse. L'abitudine dell'operosità aveva in Giacomo lasciato svolgere molti de' germi fisici e morali della sua natura originaria d'operaio: nel figliuolo invece, l'educazione signorile e il frequentare la classe oziosa ed elegante, hanno con un ambiente diverso prodotto altri gusti, altre qualità, altre tendenze, quasi direi, altre forme esteriori altresì.

Giacomo è piuttosto basso di statura, grosso e tarchiato, ha una testa voluminosa, colla fronte bassa e quadrata, e con una folta ed arruffata capigliatura tutto grigia. Nel volto ha il colore acceso dei temperamenti sanguigni, e l'aria franca e decisa d'un'indole generosa e d'un carattere fermo; la forza della volontà gli si appalesa nello sguardo sicuro, nelle linee nette ma non dure della bocca facilmente dischiusa al riso. Cammina quasi sempre affrettato, come uomo spinto da premurose bisogne, le spalle rotonde, il passo pesante, le mani in tasca. Parla piuttosto volentieri, e, quando discorre della sua industria, come di cosa che conosce a perfezione, parla con una certa caldezza ed evidenza che non tornano disgradite; ma pur troppo non sa nulla più in là delle cose del suo mestiere, e discorsi di arte, letteratura e politica lo fanno sbadigliare. Veste ricchi panci senza affettazione, anzi senza eleganza affatto: e le sue mani corte, tozze, rugose, di color bruno, colle dita a punte quadrate, sono irreconciliabili nemiche coi guanti.

Quella mattina in cui Francesco andò a battersi col marchesino di Baldissero, adunque, il sig. Giacomo, fatta la sua solita comparsa e il suo solito giro nell'officina, attraversava il cortile per rientrarsene in casa, quando, alzato il viso vide dietro i cristalli d'una finestra l'allegra faccia color di rosa d'una fanciulla sorridergli amorosamente con cenno di saluto. Era sua figlia Maria, che, saltata giù allor allora dal letto, tutto arruffata ancora le sue abbondevoli chiome di color castano, veniva a contemplare il cader della neve coi suoi grandi occhioni neri pieni di dolcezza e di giovanile allegria. La sorella di Francesco non avrebbe potuto essere esaltata come un tipo di bellezza. Le irregolarità delle sue fattezze erano troppe in faccia alla severa esigenza delle regole estetiche. Nulla di men greco della sua fronte un po' sporgente, del suo naso capriccioso, della sua bocca troppo larga, de' suoi occhi troppo grandi; ma questa unione di difetti formava un complesso graziosissimo a vedersi, a cui davano una simpatica piacevolezza la liscia e rosata carnagione, il fiore della gioventù, un'espressione indicibile di lieto umore e di bontà. Maria era la vivacità incarnata della casa, e suo padre soleva chiamarla l'uccello della famiglia; che infatti il suo frugolo e leggero correr di qua e di là, e il suo allegro chiaccherare imperlato di risa poteva paragonarsi al saltellare ed al cinguettìo d'un augelletto.

Vedendo suo padre traversare il cortile sotto il fioccar della neve, Maria non si contentò di salutarlo col moto del capo e col sorriso; aprì vivamente le invetrate e porse in fuori alla fredda brezza di quella mattinata invernale il suo visino color delle rose e le sue labbra color delle ciliegie.

– Buon giorno, papalino: gridò essa coll'accento petulantello d'un beniamino: hai dormito bene?

Giacomo volle corrugare la sua fronte bassa per darsi un'aria di severità e di malumore, cui non riuscì a prendere.

– Sei matta? Esclamò egli colla sua voce robusta. Vuoi prenderti un raffreddore? Aprir la finestra ed esporsi all'aria con questa temperatura! Dentro subito e chiudi più che in fretta.

La capricciosa ragazza scosse vezzosamente la testa da cui piovevano in disordine le sue treccie ricchissime.

– Oibò! Sai bene, papà, che io non patisco nulla… Guarda la bella neve che vien giù!.. È un piacere il vederla… Com'è tutto bellamente bianco, pulito! Si direbbe che la natura ha fatto il bucato ed ha steso sulla terra le lenzuola… To' aspettami un momento, babbo; salto giù e vengo teco a scalpitarne un poco di quella bella neve che nessuno ancora ha toccato. Voglio mangiarne una bella manciata. A me mi piace tanto mangiar la neve!

E prima che il padre avesse tempo a dire pure una parola, Maria aveva richiuso le invetrate ed era sparita dalla finestra; ed un minuto dopo, per la scaletta da cui abbiam visto passar Francesco, la si precipitava saltellando nel cortile, coperto il capo da un cappuccio, avvolte le spalle in un mantelletto.

Fu in un balzo presso il padre che voleva rampognare e non poteva che sorridere.

– Ah! non far nemmanco mostra di sgridarmi, chè già non ne hai voglia: diss'ella gettando le sue braccia al collo del padre e baciandolo sonoramente sulle due guancie. Vedi! A me questo po' di aria libera mi fa bene.

– Avviluppati, se non altro, con più cura, disse Giacomo, serrando egli stesso i lembi del mantello al petto della figliuola. Sei tu almeno calzata a dovere?

– Altro che! Esclamò la ragazza trionfante, e colle due mani sollevando alquanto la sottana, mostrò sotto i lembi di essa, tendendo il suo piedino destro, uno stivaletto di cuoio colla pelliccia. Guarda! Potrei viaggiare per tutte le nevi della Siberia.

E tenendo così sollevate le vesti, la bricconcella, corse senz'altro nel mezzo del cortile, dove la neve era più alta, affondando in essa fin quasi alla caviglia: i due cani di guardia imitarono l'esempio della giovane padrona e lietamente abbaiando, vennero a saltellare intorno e con lei che si piaceva di eccitarneli con qualche carezza. Il padre, fermatosi ad un lato, guardava quella piacevol scena e sorrideva lietamente: sentiva in quel punto tutta la sua felicità paterna.

– E Francesco? Gridò egli in quel punto a Maria, come se avesse bisogno di associare alle dolci impressioni di quel momento il nome di suo figlio per averne compiuto il suo diletto di padre.

Maria aveva presa una buona manciata di neve colle sue manine sguantate, a cui un critico severo non avrebbe potuto trovare che tre difetti: d'essere un po' rosse, d'aver le unghie un po' corte e non abbastanza convesse, di avere la punta dell'indice della mano sinistra tempestata di piccole forature prodotte dall'ago nell'opera del cucire. Levò verso suo padre la faccia e mordendo tuttavia in quella neve co' suoi dentuzzi più bianchi di essa, rispose:

– Oh! sor avvocatino dorme. È stato a ballar tutta la notte lui; perchè egli è un uomo e può andar a ballare.

Giacomo sorrise.

– Vorresti esserci stata anche tu, eh?

– Vorrei di meglio: soggiunse la ragazza ridendo. Esserci stata è tempo passato, e quello che è passato è passato: vorrei andarci in avvenire.

Crollò le spalle, diede un'abboccata alla neve che teneva in mano e riprese con tutta filosofia:

– Ma la mamma dice che le ragazze non ci devono andare a quei balli, e che ci vanno soltanto le maritate, le quali mi pare dovrebbero rimanere a casa a far le madri di famiglia… E aspetto adunque d'essere maritata ancor io per andarci.

E si mise di bel nuovo a saltellare in mezzo alla neve, e i cani di conserva con lei.

– Che matta! Esclamò col medesimo tono giulivo il padre; ma poi tosto con accento più serio: – Oh basta ora. Maria, che ti vuoi render fradicia? Vieni qui subito.

La fanciulla ubbidì senza mostrare troppo rincrescimento, e fu a lato del padre. Questi le aggiustò alcune ciocche di bellissimi capelli che, saltate fuori del cappuccio, le cascavano sul volto animato dai più vivaci colori della gioventù e della salute, e soggiunse:

– Sarai tu sempre bambina quel medesimo? Parli di maritarti, e pare che non abbia più di dodici anni!

– Oh oh ne ho sedici suonati; disse la giovanetta con tono d'importanza, tirandosi su della persona.

In quella compariva ad una finestra della casa la buona faccia della signora Teresa. Essa aveva aperto le invetrate e si sporgeva in fuori, chiamando suo marito e sua figlia.

– Venite, diceva con voce riguardosa e contenuta: il caffè è pronto.

Maria si cacciava a correre verso la casa, gridando a gola spiegata colla sua voce fresca ed armoniosa:

– Ah cattiva d'una mamma, me l'hai fatta anche questa volta! – E non mi hai dato tempo di prepararlo io il caffè… Aspetta aspetta che vado a castigartene io con tanti baci da stordirti.

La madre colla mano e colla voce accennò alla figliuola non facesse tanto chiasso.

– Vuoi azzittire? Tu sveglierai Cecchino che dorme e che ha bisogno di dormire.

La giovane ammortò i passi e l'allegro suono della voce, ma non cessò di correre verso la stanza della madre, dove fu in un battibaleno e dove, gettate le braccia al collo della signora Teresa, mantenne ad esuberanza la promessa fattale poc'anzi di darle tanti baci da stordirla.

Giacomo sopravvenne un istante di poi, quando la mamma sorridente sotto quella grandine di carezze figliali, diceva a Maria con ischerzosa minaccia:

– Vuoi star ferma, diavoletto che sei?.. Finiscila o t'aggiusto io.

– È bella e finita: disse la frugola ragazza, aggiustando in capo alla madre la cuffia che le aveva mandato di traverso: e poi con tutta serietà s'appressò al piccolo tavoliere su cui stava preparato il vassoio colle chicchere e mescette il caffè.

Era abitudine costante di quella buona famiglia il radunarsi la mattina, appena alzati, tutti insieme a prendere il caffè nella stanza della mamma. Il padre sedeva sopra il seggiolone più presso al camino (quello in cui poche ore prima di questo momento abbiam visto Teresa far adagiare il figliuolo), la madre si assettava sovra una bassa seggiolina innanzi al marito, e frammezzo a loro due solevano mettersi Francesco e Maria, quello allato alla mamma, questa al papà. A questa radunanza non ci mancava mai nessuno, fuorchè il giovane avvocato, quando avea passata la notte, come ora era il caso, in qualche festa: e l'abitudine di esser tutti insieme era tale che quelle volte riusciva sempre spiacevole agli amorosi genitori il veder fra lor due la seggiola vuota, e sul vassoio una chicchera che non si riempiva.

– È rientrato tardi Francesco stanotte? Domandò Giacomo fra un sorso e l'altro di caffè.

– Poco più dopo le tre; rispose la madre.

– Tu già, secondo il solito, sei stata aspettandolo!

Teresa fece un piccol moto del capo che voleva dire: – È naturale.

– E questa mattina, continuò il padre, sor Francesco dormirà di sicuro fino a mezzogiorno.

– Ne ha bisogno: disse vivamente la madre. Quando è rientrato stanotte non si sentiva bene gran che…

Giacomo levò vivamente la testa, interrompendosi nel sorbire il caffè.

– Non si sentiva bene? Esclamò con vivo interesse.

– Ma non mi parve cosa d'importanza: s'affrettò a soggiungere la madre. Disse che il troppo caldo gli aveva fatto venire mal di capo. Figurati che per prendere aria, egli volle venire di Piazza San Carlo fin qua a piedi.

– Che imprudente!.. A rischio di pigliarsi una malattia ed a rischio altresì di cascar nelle mani di qualcheduno di quei birbanti che pur troppo tengono il campo la notte, e che formano quella banda che chiamasi la cocca.

– È vero! Esclamò la madre spaventata ora da un pericolo a cui non aveva pensato dapprima. E noi siamo così isolati e così lontani su questo viale!

– Lo ammonirò io ben bene perchè ciò non gli capiti più: disse il padre. E intanto chi sa ora come sta?

– Dorme tranquillamente, e spero che ciò gli vorrà far bene più d'ogni altra cosa.

– Dorme? Ripetè Giacomo, il quale pareva esitante intorno al pensiero di andarsene a chiarire coi proprii occhi.

Teresa che sospettò questo proposito nel marito, sapendo come per quanta cautela egli usasse, il suo passo pesante, avrebbe svegliato il figliuolo ove Giacomo fossegli venuto in camera, s'affrettò a soggiungere:

– Sono già andata più volte ad origliare alla sua porta; ho anche dischiuso pian piano l'uscio e non l'ho udito a muovere menomamente.

– Non l'hai visto in faccia?

– No, perchè la stanza è tutto scura e non volevo accostarmi al letto per timore di destarlo.

– Hai ragione: disse il marito che capì come quello indirettamente era un avviso a lui di non volerci andare. Lasciamolo dormire.

In quella s'udì un legger picchio all'uscio della stanza.

– Avanti: gridò Giacomo; e un domestico aprì il battente e mise dentro la testa.

– C'è una povera donna che domanda di parlare a Madama.

– A me? Disse Teresa. Una povera donna? Non ha detto chi sia?

– No; rispose il domestico, ma io l'ho riconosciuta.

– E chi è dessa dunque? Domandò a sua volta Giacomo volgendo la testa alla porta.

– Gli è quella poveretta che già venne parecchie volte a domandare l'elemosina; la moglie di quell'operaio che lavorava qui nell'officina e che si fece mandar via perchè era sempre ubbriaco.

Giacomo scosse la testa.

– Eh! questa non è un'indicazione precisa. Pur troppo sono parecchi gli operai che debbono avere tal sorte.

– Quella mingherlina, malaticcia, nera di capelli; soggiunse il domestico; a cui non è più d'un mese. Madama inviò in un fagotto alcune vesti ed alcune biancherie…

– Ah! Paolina: esclamò Maria, battendo le mani tutto lieta d'aver indovinato; la moglie di quell'Andrea.

– Precisamente: disse il domestico: ora mi ricordo anch'io del nome.

Giacomo si alzò da sedere.

– E vuol parlare a mia moglie?

– Sì signore.

– Uhm! Gli è per domandare nuovi soccorsi… Tu farai quello che vuoi, Teresa, ma qualunque cosa tu le dia, gli è tanto che aggiungi a mantener i vizi di quell'ubbriacone di suo marito.

– Giacomo! Mormorò la moglie con accento tra di supplicazione, tra di rimprovero.

– Ti dico che ti lascio fare quello che vuoi: soggiunse vivamente il marito che comprese quella velata rampogna; ma le mie parole sono vere come il vangelo. Oh guarda, ne vuoi una prova? Tu le hai mandato vesti e biancherie non è molto tempo: ebbene io son sicuro che non hanno più nulla di nulla, nè la donna nè i bambini.

E rivolgendosi al domestico:

– Di' un po' tu; come la è vestita?

– Oh a strappi che la è una compassione, precisamente com'era quando Madama le ha dato le vesti.

– Vedi! E se mai tu entrassi nella soffitta di quella gente, vedresti i bambini senza uno straccio di camicia addosso. Ora vuoi tu sapere che cosa ne fu di tutta quella roba che le hai dato? Sor Andrea l'ha venduta per pochi soldi affine di andarsi ad ubbriacare. Ora io mi domando se non è un alimentare il vizio il far carità a quella razza di gente.

Teresa non pareva molto convinta di quell'argomentazione del marito, ma non sapeva trovare una parola da opporvi; ben la trovò Maria che vivacemente proruppe:

– Ah babbo!.. E i bambini?

Giacomo guardò sua figlia come sovraccolto; stette un poco e poi disse:

– Hai ragione. I bambini non ci hanno colpa e qualche cosa per essi non convien rifiutarlo.

Teresa colse a volo questa più esplicita permissione maritale, sorse lesta e frugando nelle profonde saccoccie del grembiale che portava dinanzi, ne trasse un pizzico di monete che andò a porre nella mano del domestico.

– Prendete, recatele codesto.

Quando il domestico fu uscito. Maria disse a mezza voce:

– Sarebbe forse stato meglio che l'avessimo ricevuta quella povera donna.

Il padre che udì quelle parole si volse alla figliuola con qualche vivacità:

– Avresti udito dei piagnistei che ti avrebbero commossa inutilmente.

– Perchè inutilmente?

– Perchè rimediare a quei mali ti sarebbe impossibile…

– Impossibile! Esclamò la ragazza crollando la testa. Non siamo noi ricchi?

Giacomo sorrise.

– Bambina! La nostra ricchezza non tarderebbe a sfumare, se tu volessi riparare dalla miseria i poveri che ti domandano soccorso. L'elemosina non può che recare un rimedio temporaneo; e dev'essere così, altrimenti non ci sarebbe giustizia, ed una malintesa carità premierebbe l'infingardaggine. Dà retta. Io credo usare assai meglio dei miei capitali impiegandoli nella mia industria e facendo così guadagnare il vitto a tante famiglie di laboriosi operai, che non se dividessi le mie sostanze con tre o quattro miseri per farli vivere nell'ozio in un'agiata mediocrità.

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